Below
The Tree
Until the day I’ll die
[Any rock you can see]
Fourth
Act
La pioggia
cadeva leggera sulla sua testa, scandendo il ritmo di quella macabra nenia.
Il corpo
di Kakashi, smembrato dai kunai e dall’odio che l’avevano colpito, intensi, giaceva a terra, l’osso del collo
piegato e modellato come fosse stato gomma.
Non c’era
sangue su quel cadavere, solo troppa pioggia.
[la pioggia cancella i miei peccati]
Sasuke
portò lo sguardo sulla figura ferma del fratello, a qualche metro da lui.
- Itachi…
- la voce uscì stridula e raschiante. – Cosa faremo,
adesso? Dobbiamo fuggire, o ci troveranno e… -
- Non ho
mai detto di volerti portare con me. –
“- Oni-san,
devi aiutarmi. –“
“- Domani. –“
[Non vuoi nemmeno mentirmi, ora.]
L’osservò,
ruotando appena gli occhi verso il cielo. Il fratello maggiore attese l’arrivo
del suo sguardo rosso, e lo ricevette con un’accoglienza di nero.
Sasuke
rimase paralizzato. L’inutilità del suo essere lo colpì all’improvviso,
pensiero vigliacco sfuggito alla mente senza controllo.
- Oni-san… cosa? –
- Hai
capito benissimo. Che senso ha trasportare un fardello
simile, se nemmeno sei in grado di sostenere un combattimento con me? –
- Non… non
puoi farmi questo! –
Paura.
Lenta
filtrava nelle sue orecchie, subdola oltrepassava il cervello, sorda scorreva
nel corpo.
Lo
avvolgeva piano nella sue spire, finto abbraccio,
stretta mortale.
- E chi lo dice, questo? Tu…? – scoppiò a ridere, il mukenin.
Perse il viso del fratello ritrovato. Sasuke
improvvisamente si ritrovò a fronteggiare l’immagine che per anni aveva
inutilmente cercato di cancellare, di distruggere.
Le labbra
si tendevano prepotenti sul viso, le pieghe alla base degli
zigomi crescevano, al pari di piccole montagne.
- Povero
fratellino. Non ho potuto ucciderti… -
Sulla volta
del cielo non brillava alcuna stella. Il vento, ospite curioso, si era perso
lungo la strada dei ricordi. La luce era fuggita cercando raggi di felicità, senza
nemmeno capire che era lei a portarli.
L’erba
uccisa dal fuoco piangeva gemendo, gli animali spodestati dal
fuoco osservavano le carcasse dei loro simili.
Sakura,
attonita, lucida come era sempre stata allenata ad
essere, osservava.
Gli occhi
febbrili, insani, schizzavano inquieti da un fratello all’altro.
Quasi non sentì l’olezzo del gatto che cautamente le carezzò la
caviglia.
Liquido putrefatto che rimase sulla sua mano, quando quella scese ad
accarezzarlo.
Gli occhi
gialli la fissarono. La mano traditrice
[che toglie con la stessa facilità con
cui ha dato]
Si posò
infine sul suo collo, strizzandolo.
Sangue
marcio cadde sul suolo sterile, contaminandolo. – Ciao, micio. – sussurrò
flebile piangendo.
Il
cadavere ancora la fissava, stupido. Fisso nel passaggio alla morte, la testa
al suolo.
- Tu non
mi servi più, ora. – assaggiò quel sangue, lo fece
suo. Folle rituale d’addio.
Pianse.
Pianse. Continuò a piangere. E tra le lacrime vide.
Vide altra morte, altra follia.
La pelle
si screpolò, cadendo in terra. I suoi occhi si allungarono, stiracchiandosi,
diventando più scuri. Le gambe si contorsero.
-
Aspetterò qui. –
E
divenne albero.
- … ma posso lasciarti qui, ancora. –
La voce di Itachi terminò la sua sentenza. Sasuke
si sentì morire. Si aggrappò alla sua veste, urlando.
Crollando
in ginocchio, sbavando, tirando verso di sé la schiena di colui
che amava, più di tutti.
[Più di se stesso]
- Non
lasciarmi qui, non farmi soffrire, non farmi –
- Non ti
farò soffrire, no. –
I loro
occhi si incontrarono.
Non
c’erano stelle nei loro occhi. Il vento della vita si era perso in cerca di altri cieli da percorrere.
E la
luce, malata di solitudine, si era spenta piano, in un inutile focolare di
pietà.
Che
rimase inascoltata.
- Non ti
farò soffrire. –
Lo uccise
trapassandolo da parte a parte.
Il
creatore che uccide la sua creatura in un improvviso impeto d’umanità.
Così i due
cadaveri rimasero a terra, occhi negli occhi, un gatto
e un umano.
[Che aveva perso la sua umanità da
tempo]
- Non ti
farò soffrire perché ti ho amato. –
Non pianse
perché non sapeva dove fossero, le sue lacrime. Non urlò perché non sapeva dove
fossero, i suoi polmoni. Non soffrì perché non sapeva dove fosse, il suo cuore.
Rimase lì.
E non provò niente.
This is how our story doesn’t end
Otto anni
dopo, il sole era tornato su quella radura.
Gli occhi
azzurri vagliarono il panorama, attenti.
“Quello è
un albero bellissimo” pensò il ninja.
- Sasuke, dove sei? –
Vide una
roccia, di fianco a quell’albero verde,
rigoglioso.
Vi si sedette,
un ginocchio piegato contro il petto. Naruto sospirò. Non vide le ossa nascoste
dal prato primaverile. Non vide l’albero chinarsi verso di lui e scuotere le
fronde il segno di saluto.
- Sasuke, tornerai? –
“
Aspetterò qui”
Questa non
è una fine.
In fondo,
questa non è mai stata una storia.
E in
fondo, chi ha il coraggio di chiamare quello tra Itachi e Sasuke
amore?
Io no di
certo.
Emotivamente
parlando, questa fic è stata un disastro. Nel senso
che mi sono fatta prendere troppo, col risultato di soffrire ancora di più.
Però,
a volte servono davvero storie così. Almeno mi fanno riflettere.
Ah, un
piccolo avviso. Se scompaio, prima o poi magari torno.
Ma non tanto presto. Credo.
Dunque,
ci sono tante persone che vorrei ringraziare.
Rekishi, perché ha avuto
la santa pazienza per continuare a chiedermi di questa fic. Perché con le
sue idee è sempre uno stimolo importantissimo. Perché
ha pensato che questa storia fosse adatta a me, anche senza sapere che ero io a
scriverla. E poi, perché mi ha passato le canzoni
della Disney. *-*
Mika, perché questa sera, come in tante
altre sere, ha saputo prendermi sull’orlo della crisi.
E poi, perché mi affitta la casa ad agosto. E mi fa compagnia mentre mi ubriaco come una spugna. E per tante, tante altre cose.
Suzako, [Héra
tesoro mio], per avermi permesso di battere il record di parolacce in una
conversazione di msnXD Ovviamente, anche per i
pomeriggi e per i prossimi cinema, che temo saranno mooolto
emo u.u
Kirjava-neechan, per i preziosi consigli [nella
speranza che si doti presto di msn, ecco]
E poi,
Amee.
Perché ha saputo dirmi quello che pensava, nonostante il momento e quello che
le avevo “confessato”. Per avermi sostenuto mentre la
mente scivolava via lontano.