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Autore: Vichy90    29/08/2012    5 recensioni
Siamo all’aeroporto militare, io, la mia e la tua famiglia.
Tua sorella Alice ha un cartellone enorme su cui scritto “bentornato” e piange… piange e non smette più.
Anche tua madre non trattiene le lacrime… è da 7 mesi che sei andato via senza sapere se mai saresti tornato.
In guerra.
Sei voluto andare lì perché il tuo spirito di soldato e di giustizia non ti ha dato scelta e io sono rimasta qui ad aspettare.
E rimango qui ancora oggi. Ferma con le braccia al petto, pensando a come sarai, a quale sguardo solcherà il tuo viso, a cosa avrai visto in quel posto dimenticato da Dio e a quali ferite nell’animo porterai con te.
Mi domando se hai paura. Se hai il timore, come me, di trovare tutto cambiato.
Mi domando se mi amerai ancora.
Ed è in quel momento che sento un applauso levarsi tra la folla e le porte di vetro opaco del Gate scorrere lasciando libero il passaggio dei soldati…
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Te ne sei andato 7 mesi fa.

È da 7 mesi che non ti vedo.

I più lunghi della mia vita.

Afganistan. Iraq. Iran.

Non so dove tu sia, dove tu sia stato.

Qualche lettera, qualche foto. Mai un indirizzo, mai un francobollo che potesse suggerirmi la tua posizione.

Ti amo. Ti amo. Quanti ti amo detti su quell carta da lettere leggera ed ingiallita.

Quante lacrime versate su quell’inchiostro nero, scivolato su quel foglio in calligrafia elegante.

Quante risposte mai date. Quante lettere ritornate al mittente. Quanti messaggi non arrivati.

E ora se qui.

Siamo all’aeroporto militare, io, la mia e la tua famiglia.

Tua sorella Alice ha un cartellone enorme su cui scritto "bentornato", e piange… piange e non smette più.

Anche tua madre non trattiene le lacrime… è da 7 mesi che sei andato via senza sapere se mai saresti tornato.

In guerra.

Sei voluto andare lì perché il tuo spirito di soldato e di giustizia non ti ha dato scelta.

E io sono rimasta qui, ad aspettare.

E rimango anche oggi qui, ferma con le braccia al petto, pensando a come sarai, a quale sguardo solcherà il tuo viso, a cosa avrai visto in quel posto dimenticato da Dio e a quali ferite dell’animo porterai con te.

Mi domando se hai paura. Se hai il timore, come me, di trovare tutto cambiato.

Mi domando se mi amerai ancora.

Ed è in quel momento che sento un applauso levarsi tra la folla.

Le porte di vetro opaco del Gate scorrono lente sui binari che le fanno scivolare di lato, lasciando libero il passaggio a quegli scarponi di cuoio pensante. Alle tute mimetiche dove i nomi sono scritti diversi, ma allo stesso tempo identici, dove svetta la bandiera americana. Ai borsoni. Ai berretti verdi che coprono le teste rasate, tutte uguali.

Nessuno diverso.

Ma ci sei tu nel gruppo.

Ci sei tu, con i tuoi occhi verdi mare ed i capelli rossi che anche se corti non possono essere nascosti.

Il berretto sollevato. La mano destra sulla spalla a reggere l’enorme sacca militare.

CULLEN c’è scritto sulla tua divisa.

E io non aspetto.

Questa volta non posso più aspettare.

Fai un passo fuori da quelle porte e io ne faccio mille correndo verso di te. Avvolgendoti le mani attorno al collo mentre tu lasci cadere pesante il borsone a terra e mi avvolgi nel tua abbraccio caldo che per un periodo che mi è parsa l’eternità, mi è mancato. E mi sollevi verso di te, affondando il tuo viso nei miei capelli e sussurrando il mio nome senza tregua.

Come una litania per bambini. Come un segreto inconfessabile. Come la formula magica di un incantesimo fantastico.

E io non piango. Non piango perché te l’ho promesso.

Perché le donne dei militari devono essere forti come loro. Devono affrontare tutto come loro, nella loro piccola guerra di quotidianità. Di mancanza. Di paura.

E stringo forte gli occhi mentre una lacrima insubordinata fugge al mio controllo. Mentre tu poggi le labbra sulle mie guancie. Sui miei occhi. E sulle mie labbra.

Tremo mentre mi porti di nuovo a terra e sento da lontano le voci dei nostri cari che ti chiamano. Che ti vengono incontro.

Ma tu non li guardi.

Non guardi loro, guardi me.

Stringendomi le mani ti abbassi, ti inginocchi, e ti togli il cappello mostrandomi la tua testa rasata. Mostrandoti così diverso da come ti avevo lasciato.

E dalla giacca mimetica tiri fuori una scatolina di velluto nero. Piccola, quadrata.

Ed è il silenzio attorno a noi, mentre io non ho più fiato per respirare. La vista mi si appanna e il cuore mi scoppia nel petto.

E non dici nulla Edward; apri solo la scatola e me la porgi mostrandomi l’anello più bello che abbia mai visto in vita mia. Brillante e puro… come te.

Ed è a quel punto che perdo la mia battaglia con le lacrime. Perché mi sei mancato troppo. Perché ho avuto tanta paura senza di te.

Perché sei qui, e mi chiedi di sposarti.

<< sì >> e questa è l’unica cosa che dico da quando ti ho visto. Da quando sei tornato da me.

Ti alzi di nuovo e non pensi nemmeno ad infilarmi l’anello perche sei di nuovo sulle mie labbra, mentre mi sollevi e mi stringi forte a te ripetendomi sulle labbra che mi ami e i tuoi compagni, tutti attorno a noi, battono le mani e innalzano urla di gioia ed allegria in nostra direzione.

<< ti amo anch’io >> gemo sulle tue labbra << mi sei mancato così tanto >>

E mentre lo dico ti allontani un poco da me e sorridendo come mai avevo visto mi infili finalmente l’anello che con chissà quanti sforzi sei riuscito a comprare.

<< e da ora in poi >> mi sussurri mentre l’anello scivola sul mio anulare << ricordati sempre che ovunque io io sia, dovunque io vada, per sempre…

...sarò con te. >>
  
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