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Autore: EliCF    29/08/2012    5 recensioni
Una raccolta di tre One-shot introspettive sul personaggio più amato di Hunger Games: Peeta. Tre momenti fondamentali per la crescita per il personaggio del ragazzo del pane. Dalla prima shot:
"ll grigio domina. Grigio surreale dal sapore di vecchio e sporco. Grigio che sembra voler sfidare l'azzurro del cielo, senza mai trovarne realmente il coraggio.
Nonostante le strade, come ogni domenica mattina, siano poco trafficate, gli abitanti del 12 sono svegli nelle loro case. Da qualche abitazione arriva fin qui il rumore dell'armeggiare di pentole e piatti per la prima colazione; da qualche altra sento lanciarsi auguri di buon giorno e buona domenica, accompagnati dal rumore di qualche tv che si accende. Non accendo mai quel dannato televisore. So che è troppo per me lasciare che anche quell'apparecchio malefico mi ricordi dei miei impegni da vincitore dell'ultima edizione degli Hunger Games, come il Tour della Vittoria.
Non sono felice di tutto questo: quello che desideravo era non diventare una pedina dei loro giochi sporchi e invece ora sento che, sì, mi stanno controllando."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Peeta Mellark
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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Una raccolta di tre One-shot introspettive sul personaggio più amato di Hunger Games: Peeta.
Questo primo capitolo è ambientato subito dopo la fine del primo libro e può essere letto come song-fic. 
La canzone su cui ho scritto è di Arshad, musicista che sta facendo firmare una petizione per inserire il pezzo tra le colonne sonore di Catching Fire. 
Se vi va di leggere la fic con il pezzo di sottofondo (opzione consigliata!) il link è questo: http://www.youtube.com/watch?v=CRSvoKoU3kk
Sentivo di dover qualcosa ad Arshad, così ho dato al capitolo lo stesso nome della canzone. 
Non mi resta che chiedervi di leggere e, nel bene e nel male, di recensire.
Buona lettura e buon ascolto!

Elicf             

Girl on fire


 

- Mi dispiace davvero tanto per le tue mani - 
- Non mi porta, Katniss. E comunque non sono mai stato in gara per la vittoria - 
- Non è così che bisogna pensare - 
- Perché no? Spero solo di non comportarmi in modo vergognoso e... - 
- E cosa? - 
- Non so bene come dirlo. Solo non voglio... perdere me stesso. Ha un senso? 
Non voglio che mi cambino, là dentro. Che mi trasformino in una specie di mostro che non sono -


"Non mi possiedono". 
Era tutto quello che volevo lasciare intendere. 
Osservo il Distretto 12 stagliarsi, sotto di me, in tutta la sua miseria. 
Direttamente dal tetto della casa assegnatami al Villaggio dei Vincitori, sbocconcello uno strappo di pane rubato dai preziosi pezzi esposti in vetrina, al Forno. 
Dopo aver vinto gli Hunger Games, finalmente io e la mia famiglia possiamo permettercelo. 
Ho sempre lavorato duro, lì al Forno: ne sono testimoni le braccia forti e le dita doppie delle mani che, ormai abituate all'atto unico di impastare, presentano una bella sfilza di scottature che si tramutano in bolle giallastre piene d'acqua. Le mani sono il mio prezioso mezzo di lavoro, per il Forno come per la pittura, mia unica e vera passione. Durante il giorno ascolto e guardo il mondo facendone protagonisti i colori. Proprio ora, con un pezzo di pane tra i denti e un po' di vento a scuotere i lembi dei pantaloni ormai troppo larghi, osservo il mio Distretto con attenzione meticolosa ai particolari. 
Il cielo è di un azzurro pastello davvero raro, qui al 12: tutto sembra sempre essere ricoperto da un paio di strati di cenere, anche quando in realtà non lo è. 
ll grigio domina. Grigio surreale dal sapore di vecchio e sporco. Grigio che sembra voler sfidare l'azzurro del cielo, senza mai trovarne realmente il coraggio.
Nonostante le strade, 
come ogni domenica mattina, siano poco trafficate, gli abitanti del 12 sono svegli nelle loro case. Da qualche abitazione arriva fin qui il rumore dell'armeggiare di pentole e piatti per la prima colazione; da qualche altra sento lanciarsi auguri di buon giorno e buona domenica, accompagnati dal rumore di qualche tv che si accende. Non accendo mai quel dannato televisore. So che è troppo per me lasciare che anche quell'apparecchio malefico mi ricordi dei miei impegni da vincitore dell'ultima edizione degli Hunger Games, come il Tour della Vittoria. 
Non sono felice di tutto questo: quello che desideravo era non diventare una pedina dei loro giochi sporchi e invece ora sento che, sì, mi stanno controllando. 
Per me non esistono più notti tranquille. Mi sveglio, in preda ad attacchi di panico silenziosi che, invece di rendermi irrequieto, mi immobilizzano a letto. 
Nomi di bambini a cui vengono tagliate le gambe, proprio come la mietitura ha strappato figli dalle braccia di madri per anni; lampi di luce che scintillano negli occhi umani di ibridi a quattro zampe; dolori lancinanti in tutto il corpo e spari. Sono loro, gli unici da incolpare. 
Gli unici da incolpare per tutto questo, a quest'ora saranno ancora a poltrire nei loro letti ultralussuosi dalle coperte liscie e cucite magnificamente. 
E io non posso farci niente, senza dubbio. 
Ricordo la promessa che feci a me stesso il giorno prima dell'inizio dei Giochi: non avrei dato nulla. Sarei morto. Probabilmente avrei ucciso, ma sarei morto anch'io. Avrei abbandonato questo mondo non ancora del tutto folle e da persona capace di commettere atti concreti che non fossero il solo uccidere; così avrei abbracciato la morte. 
Non è difficile intuire che ciò che ha cambiato il corso degli eventi si possa riassumere in un solo nome: Katniss. 
E' grazie all'audacia e all'astuzia della ragazza ormai più amata di Panem che posso ancora dichiararmi vivo, la quale, per riportare entrambi a casa, ha usato la trovata degli innamorati sventurati del Distretto 12 , suggerita da Haymitch dopo una confessione che, a quanto pare, per me ha fatto la differenza tra il vivere e il morire.
Nonostante la ferocia dell'Arena credevo che, per una volta, i fiori potessero nascere dalla roccia, oltre che dal terreno. Credevo che la mia compagna di Distretto si fosse realmente accorta del fatto che io fossi lì; del fatto che io fossi sempre stato lì, ad attendere che mi cantasse la sua canzone. 
Dovevo sapere che sarebbe bastato un bacio per rimanere incatenato al suo fuoco: le sue fiamme mi avvolgono da allora e grazie ad esse ho avuto la forza di alzarmi e combattere; di esaudire il desiderio di non essere pedina.

- E' stato tutto per le telecamere. Il tuo modo di comportarti -
- Non tutto -
- Allora quanto? No, lascia perdere. Immagino che la vera domanda sia: cosa resterà quando torneremo a casa? -
- Non lo so. Più ci avviciniamo al Distretto 12, più sono confusa -



Per me questo amore non è un gioco. 
Sapevo saremmo sopravvissuti per far scoppiare una rivoluzione. 
Tu puoi farlo: rimani qui e combatti. Non crollare all'idea del fatto che dovrai appiccare un fuoco, perché i Giochi dovranno ricominciare.
Sebbene l'Arena sia stata per me un inferno dolcissimo, posto in cui quel sentimento
 ha preso ancora piede dentro di me, dovremo andare insieme  incontro al nostro destino. Ma ora sono io, solo, rinchiuso tra le tue fiamme. 
Se te lo dicessi, non ascolteresti. Non riuscirei in nessun modo a farti rendere conto dell'effetto che fai al tuo pubblico. 
E a me. 
Sapevo che sarebbe bastato un bacio per rimanere incatenato al tuo fuoco: le fiamme mi avvolgono anche ora e a causa loro non ho la forza di alzarmi e combattere; questo è un guaio. Perché i Giochi stanno per cominciare. 
Da qui su, mi rendo conto di quanto sia imprevedibile il destino. Ti vedo tornare dai boschi proprio ora, capisco di avere ragione alla vista della treccia scomposta e delle prede in spalla. Sei stata una cacciatrice, Katniss, e io la tua preda. Non nascondere il tuo coraggio e dai fuoco alla rivoluzione che ho promesso avremmo fatto esplodere. Ti conviene sorridere ed essere forte: io farò lo stesso nonostante il dolore. 
Lascia che i Giochi abbiano inizio. 
   
 
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