Crossover
Segui la storia  |       
Autore: Registe    30/08/2012    3 recensioni
Seconda storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone". Sono passati tre anni dagli avvenimenti narrati ne "Il Castello dell'Oblio", e i membri dell'Organizzazione hanno perduto gran parte dei loro poteri e sono ridotti a vagare per il loro mondo primitivo come vagabondi o ladruncoli qualunque. Auron e Mu invece si sono uniti alla Resistenza contro il Grande Satana, anche se Auron non e' ancora riuscito a dimenticare la breve storia d'amore vissuta con Zachar tre anni prima. Nella Galassia Mistobaan, ancora sotto l'influsso del condizionamento, e' diventato il fedele braccio destro dell'Imperatore. Ma il Grande Satana non intende rimanere a guardare, e tentera' con ogni mezzo in suo potere di riprendersi il suo servitore...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 10 - Riunione di anime


Camus biblioteca Baan Palace

Camus nella biblioteca del Baan Palace




“Ed anche questo libro potrà esserci utile!” disse Camus, chiudendo il tomo e porgendoglielo con un sorriso “Visto, padron Vexen? In poche ore abbiamo trovato almeno una ventina di volumi che possono fare al caso nostro! Certo, non si parla di come scondizionare qualcuno, ma un paio di idee interessanti su come simulare i nuclei di energia del Castello dell’Oblio possiamo farcele!”
Potrai fartele” gli rispose, non trattenendo l’ennesimo sbuffo della giornata “Tu hai idea di cosa vogliano dire quelle rune nelle pagine, ma per me non sono altro che stupidi, inutili, vuoti e primitivi disegni!”
Odiava queste situazioni. Si trovava in una delle più grandi biblioteche del mondo demoniaco: per quanto quegli esseri fossero del tutto ignoranti in chimica, fisica e rifuggissero qualsiasi minuscolo congegno tecnologico, erano i più grandi depositari viventi di conoscenza in ambito di magia arcana. Vexen non si era mai considerato un grande mago, limitandosi negli anni a sfruttare i poteri del ghiaccio a suo vantaggio: eppure quei libri lo tentavano, perché sapeva che pochi mondi della galassia potevano rivaleggiare in magia con la famiglia demoniaca. L’unico luogo che potesse mai considerare con un Tempio del Sapere era stato proprio il Castello dell’Oblio, ed al pensiero di averlo distrutto con le proprie mani si morse il labbro. E pur trovandosi in quel favoloso archivio … non poteva leggere nulla! Ed il pensiero che Camus dovesse farlo al posto suo lo indisponeva ancora di più!
La faccia del suo assistente tornò di nuovo davanti ai suoi occhi, con in mano l’ennesimo libro che aveva recuperato a fatica da uno scaffale in alto; i demoni volavano, quindi non avevano scale.
Gli porse un foglio da sotto il vestito “Mi sono permesso di scribacchiare la formula chimica di un nuovo catalizzatore organico da iniettare dentro Mistobaan per facilitare lo scambio dei ricordi. E’ una variante del siero che lei gli somministrò al Castello durante il condizionamento, ma forse questo enantiomero può rivelarsi più utile se dovremo usare una sorgente magica demoniaca. Ma credo che nessuno possa valutarlo meglio di lei”.
Gli lasciò il foglio ed accumulò il nuovo volume su una catasta fin troppo alta di libri, girandosi poi a dare un’occhiata ad alcuni testi posti in basso, su una mensola che arrivava al suo ginocchio. Vexen ancora non riusciva a capirlo.
Io lo ho condizionato, non riusciva a levarsi quel pensiero dalla testa, io lo ho condizionato eppure eccolo lì, volenteroso come ai vecchi tempi. Prima mi mette con le spalle al muro e poi si trasforma nell’assistente più servizievole della galassia ...
La verità era che non sapeva cosa pensare: osservando il sacerdote si rendeva sempre più conto di non sapere nulla di lui. Non che gli interessasse qualcosa sapere come trascorresse le sue giornate al Tempio delle Dodici Case, ma non aveva alcun tassello in mano per poter comprendere quella figura così incomprensibile. Osservare, appuntare, riflettere e poi di nuovo osservare: erano sempre state le sue uniche regole per raggiungere e dominare il mondo intorno a lui, semplici frasi che gli permettevano di catalogare e comprendere non solo gli oggetti, ma anche luoghi e persone. Quando Marluxia aveva fatto il suo primo ingresso nella sala dei troni aveva osservato i suoi occhi blu guizzare da ogni parte durante la presentazione, lo sguardo bramoso di conoscere e dominare; non gli era piaciuto sin dall’inizio ed i poteri di Zexion avevano confermato la sua ipotesi.
Zexion.
Camus era diverso: da quando lo aveva prelevato dal suo Tempio lo aveva visto tutti i giorni, ma si accorse di non averlo mai guardato con attenzione, limitandosi a percepire con la coda dell’occhio una figura dai capelli azzurri che puliva le provette e spazzava nel laboratorio; e così adesso i suoi gesti gli erano così familiari e scontati che non riusciva a leggervi più nulla, e dietro la dolcezza dei suoi occhioni faticava a comprendere se vi fosse nascosto dell’odio o no.
L’idea di non sapere ancora se potesse dargli le spalle lo inquietava.
Si accorse di aver fissato il foglio per un paio di minuti senza nemmeno leggere quello che vi era scritto. Cercò di fissare la mente sui simboli chimici, l’unica cosa che riusciva davvero a rilassarlo. Camus aveva alterato il suo vecchio composto, e solo gli dèi del Nirvana sapevano quando fosse riuscito a scrivere quegli appunti. Eppure quell’isomero era valido.
Dannatamente valido.
La nuova combinazione presentava legami molto più stabili dei vecchi, ed anche se la posizione di un paio di atomi di silicio non lo convinceva del tutto fu costretto ad ammettere che il composti era di prima qualità: “Sì, si vede che hai avuto un insegnante di prima categoria!”
“Non smetterò mai di esserle grato per le sue lezioni, padron Vexen”.
Il sacerdote adesso aveva accumulato i libri in una pila enorme, se l’era stretta tra le braccia e gli stava facendo cenno di uscire “Abbiamo abbastanza materiale per lavorare tutta la notte! E vedrà, sono certo che riusciremo a liberare la mente di Mistobaan! Adesso torniamo nella nostra stanza, ci prendiamo una buona tazza di the e …”
CLANG!
“Allarme! Gli umani sono arrivati fin quassù!”
CLANG!
“Non è possibile, lo Yomashidan dovrebbe aver bloccato ogni via d’uscita, anche se quel mago avesse dei complici non potrebbero mai …”
Alle grida dei demoni all’ingresso della biblioteca Camus fece un salto, perse l’equilibrio e per un attimo le parole furono sommerse dal rumore di almeno venti tomi demoniaci rivestiti di cuoio e borchie che rovinavano sul pavimento. Vexen si riprese dallo spavento, e da oltre le porte della stanza sentì il familiare rumore di un incantesimo di fulmine attivato. Il foglio gli scivolò dalle mani.
Al suono del fulmine non seguì alcun urlo; ci fu piuttosto un crepitare di energia, un ronzare di incantesimi ed il rumore secco del ferro che si abbatteva sul pavimento. I demoni risposero con delle grida da battaglia e passarono all’attacco: dallo spiraglio al di sotto della porta Vexen vide un enorme lampo di luce che si proiettò come un’enorme lama sul pavimento della biblioteca, accompagnato di nuovo dal rumore di una spada che infilzava il proprio bersaglio.
“Sono quelli della Resistenza!” bisbigliò Camus “Stanno assaltando il palazzo del Grande Satana, forse gli dèi vogliono vederci fuori di qui!”
L’ultimo demone rimasto doveva essere a corto di forza, perché il rumore dell’incantesimo giunse ancora più flebile; lo scienziato sentì il richiamo del ghiaccio quando il loro carceriere lo usò per erigere uno scudo, ma per la terza volta ci fu il rumore di una spada abbattuta contro l’incantesimo ed il tonfo di un corpo che cadeva. Il suono di due, se non tre coppie di piedi che si affaccendavano davanti alla porta, giunse alle sue orecchie come una liberazione.
“È qui dentro, ne sono certo” fece una voce giovane che non aveva mai sentito.
“E allora non perdiamo tempo!”
Questa voce invece la conosceva fin troppo bene.
E Camus si voltò verso di lui con uno sguardo di puro panico. La porta scricchiolò sui cardini al primo calcio.
Auron … se mi trova qui …
Poi sentì il suo assistente prenderlo per le spalle e spingerlo dietro l’angolo di una libreria; cercò di protestare, ma l’altro sollevò un dito all’altezza delle labbra, gli strizzò l’occhio e corse verso la porta. Quella si aprì al terzo calcio, e ne emersero prima Auron con il suo stivale chiodato, poi Mu ed infine un tizio biondo che non conosceva. Se Camus gli rivela la mia presenza sono morto.
Ma il suo assistente non aveva occhi che per il nuovo venuto.
“Shaka, fratello mio, ma cosa …?”
L’ennesimo prete. Dalla padella alla brace. Ma il GSB non li aveva massacrati tutti? E meno male che i demoni passano per un popolo efficiente …
Mu fu il primo ad abbracciare Camus, ma il grugnito di Auron attirò la loro attenzione: “Ragazzi, rimandate gli abbracci a dopo. Non so ancora come siamo riusciti ad entrare vivi nel Baan Palace, ed ho intenzione di tornare indietro con tutta la pelle attaccata al corpo” si girò verso la porta sfondata, da qui si poteva vedere il corpo di un demone accasciato “Tagliamo la corda e subito prima di restare intrappolati qui dentro”.
Discorso più che logico.
Se non che lui non era previsto in quella fuga.
Vexen ebbe l’impressione che, in quella combriccola, la testa di Camus si fosse girata per pochi attimi nella sua direzione, e lo scienziato si scoprì con le unghie piantate nel legno del mobile.
Il sacerdote si sciolse dalla stretta dei suoi confratelli e fissò il mercenario “Auron, non ho parole per ringraziarti, non dovevi … non dovevate rischiare la vita per me. Ma visto che sei qui forse possiamo fare del bene a qualcun altro, qualcuno che non può scappare con le sue forze”.
Lo scienziato si guardò intorno, ma le uniche altre vie d’uscita erano le finestre a decine di metri dal terreno.
“Auron, Zachar è prigioniera qui dentro, l’hanno condotta qui durante una missione, l’ho sentito da uno dei generali del Grande Satana. So che tieni a lei e …”
“DOV’E?”
Vexen tirò un sospiro di sollievo e si permise di scostare la testa dal mobile per vedere un po’ meglio; il mercenario aveva cambiato espressione e si era appoggiato la spada sulle spalle. Quando il sacerdote gli rispose che la vecchia Invocatrice si trovava al piano di sopra, nel laboratorio dell’arcivescovo stregone, con un paio di falcate si avvicinò alla porta distrutta “Mu, ho una cosa da fare. E no …” disse non appena il compagno provò ad aprire bocca “… è una questione che voglio risolvere da solo. Tu e Shaka prendete Camus ed andatevene di qui prima che inizino i fuochi d’artificio; ci vediamo alla piattaforma d’atterraggio di prima, stessa viverna”.
Prima che gli altri potessero rispondergli era già svanito. Vexen osservò i tre sacerdoti: senza l’occhio vigile del mercenario avrebbe potuto seguirli di nascosto ed anzi, qualsiasi demone avessero incontrato sul loro cammino si sarebbe confrontato prima con loro e lui avrebbe avuto il tempo di cercare una seconda via di fuga. Se davvero erano entrati con una viverna le cose si complicavano, ma forse con un pizzico di fortuna avrebbe potuto trovare …
“Stia tranquillo, padron Vexen. Adesso può uscire!”
Cosa?


“Axel?”
Riconosceva quella voce trapana-timpani.
“Eddai, stupido roscio, ma è possibile che con due gocce d’acqua svieni come una fanciulla?”
Larxen …da un incubo all’altro …
Aveva cercato di usare il suo potere per riscaldare l’acqua e farla evaporare, ma una volta in quel contenitore demoniaco aveva perso ogni forza, in totale balia dell’ elemento opposto; per quanto la testa ed il collo fossero al di sopra del livello dell’acqua faticava a respirare, come se l’aria stessa fosse impregnata di liquido e lo soffocasse. Accanto a lui, su un lettino, Larxen stava facendo qualche strana contorsione; inutile dire che lo gnomo che li aveva rinchiusi in quel laboratorio non c’era. All’inizio non capì cosa stesse facendo e si limitò ad osservare con scarso interesse il suo tentativo di piegarsi in due ed avvicinare ginocchia e gambe al petto; con la bocca armeggiò con la cerniera della tunica dell’Organizzazione e quando il n. VIII vide comparire un kunai da sotto l’abito nero per poco non lanciò un grido.
Larxen doveva essersi accorta di aver dato spettacolo “I demoni sono stupidi! Non perquisirebbero mai una ragazza fino in fondo”.
Ma dove lo avrà nascosto in quella seconda di reggiseno scarsa che si ritrova?
Lei fece scivolare lentamente la sua arma dalle ginocchia alle caviglie, fino a stringerla con estrema precisione tra le punte dei suoi stivaletti “La Regina delle Evasioni sta per fare il suo ingresso trionfale! Axel, guarda bene e dimmi se riusciresti a fare di meglio!”.


“Che cosa ci fa lui qui?”
Camus respirò a fondo, leggendo l’inquietudine e la diffidenza negli occhi del suo confratello “Mu, è tutto a posto, fidati. Padron Vexen è prigioniero come me, ed è mio desiderio aiutarlo”.
“Non è un tuo desiderio. Tu sei stato condizionato proprio come noi, Camus, non ricordi?”
“Ora non più, fratello mio. Le mie decisioni appartengono solo e soltanto a me”.
Era difficile sostenere la coppia di sguardi che confluiva su di lui. Mu non nascondeva il suo sospetto, e dalle occhiate che lanciava oltre le sue spalle sapeva che stava rimpiangendo l’assenza di Auron. Padron Vexen era ancora dietro di lui, ed aveva compiuto pochi passi lontano dalla protezione della libreria soltanto per maledirlo con tutte le sue forze.
Aveva riflettuto a lungo sul chiamarlo o meno: avrebbe potuto far finta di nulla e seguire Shaka e Mu fino alla prima via d’uscita, confidando che padron Vexen sarebbe stato in grado di seguirli a distanza di sicurezza. Ma poi? Sarebbero comunque fuggiti con Auron e probabilmente con l’Invocatrice, ed il mercenario avrebbe volentieri dato un dito o due della sua mano portante per impedire che lo scienziato fuggisse con loro. Camus non se la sentiva di lasciarlo lì dentro, in balia del Grande Satana e delle sue decisioni.
“Camus, sai bene che non dubito di te. È di quell’uomo che non mi fido”.
“Posso capire le tue ragioni”.
L’ammissione di padron Vexen era giunta come una coltellata. Prevista, anticipata dalle parole di padron Marluxia, ma una coltellata era pur sempre una coltellata, vederla arrivare non aveva lenito le cose. Quando lo scienziato aveva dichiarato la sua colpa nel condizionamento aveva sentito la mente infrangersi: non la sottile crepa, la venatura nel ghiaccio generata dalle parole del n. XI, ma un colpo secco che aveva ridotto i suoi pensieri in centinaia di schegge. Le aveva osservate, quelle schegge: ciascuna sembrava contenere un viso, una persona cara, un luogo, addirittura dei concetti che aveva appreso. Era rimasto in quel piccolo laboratorio cercando di metterli in ordine, come una catena di ricordi fatta di anelli da mettere nel giusto ordine.
E quando li aveva ricomposti, aveva trovato il vero Camus. “Credimi, Mu, nessuno può capirti quanto me. Ma ora sono libero, ed aiuto padron Vexen perché è quello che Camus, Cavaliere d’Oro dell’Acquario, avrebbe fatto. Avrebbe perdonato”.
“Ama il tuo nemico” approvò Shaka, scuotendo la testa in segno affermativo “È questo ciò che ci hanno trasmesso il Maestro Dohko ed i nostri fratelli. E se tu davvero pensi questo, Camus … vuol dire che sei il confratello smarrito da tanti anni, e nessun altro”.
Nemmeno le parole del Cavaliere della Vergine, però, riuscirono a placare lo sguardo di Mu. Il sacerdote dai capelli azzurri sapeva che non era una ferita semplice da rimarginare: aveva atteso a lungo prima di comprendere il suo cuore, perso nella paura e nell’odio dell’uomo che lo aveva condizionato. Ma aveva riflettuto, aveva trovato se stesso, e nel riprendersi la coscienza aveva realizzato che non doveva voltare le spalle all’uomo vestito di nero, la persona che gli aveva insegnato molto. Mu non aveva condiviso nulla con l’uomo, e nel suo cuore c’era solo diffidenza.
“Camus si sta comportando egregiamente, Mu” intervenne Shaka, con la gentilezza e la calma che non erano svanite nel corso degli anni in cui era stato lontano dal Tempio “E forse dovresti prendere esempio da lui. È uno scienziato, un miscredente ed un peccatore …”
“Sì, e ne sono anche molto fiero!”
Shaka sollevò la mano “… ma è comunque un’anima da salvare”.
Narratore: “Shaka, tra molte serie ti pentirai di questa decisione. Sei ancora in tempo per ripensarci …”
Camus ringraziò la prontezza del Cavaliere, ma Mu si limitò a sbuffare, sollevare le spalle e commentare che ad Auron la cosa non sarebbe piaciuta nemmeno un po’, e non sarebbe stata l’intercessione di Shaka o l’abilità oratoria di Camus a convincerlo a dividere un posto sulla viverna con lui. Il perdono era una pianta molto fragile: occorreva nutrirla, coltivarla, proteggerla dalle intemperie e dagli insetti nocivi per raccoglierne i frutti in tempo; forse per il Cavaliere dell’Ariete i frutti erano ancora acerbi, la nevicata troppo forte. Camus sapeva che non poteva chiedergli di più.
Doveva ringraziare la saggezza di Shaka.
Stava per parlare con padron Vexen, quando il sacerdote biondo si chinò, e afferrò il foglio che era caduto qualche attimo prima: Shaka non aveva mai avuto bisogno di aprire gli occhi per leggere, e sfiorando qualsiasi foglio riusciva a comprendere il significato, sostenendo che davanti agli dèi ed al mondo da loro creato tutti i sensi erano equivalenti, se si sapeva armonizzare la propria anima con quella del creato “Camus, sai spiegarmi perché questi segni del demonio sono scritti nella tua grafia?”
“Sono solo formule chimiche, niente di …”
“Di peccaminoso? Sì, lo sono!” fece di scatto, accartocciando il foglio “Cose da scienziati peccaminosi, che vogliono capovolgere la natura delle cose. Mi auguro che tu fossi condizionato quando hai scritto questa robaccia indegna di qualsiasi sacerdote”.
“Io …”
Aveva dimenticato che su alcuni punti Shaka era fin troppo intransigente. Ma prima che sulla lingua gli si formasse una risposta adatta padron Vexen fece un passo in avanti e strappò il foglio al sacerdote, torreggiando di diversi centimetri su di lui “Odio quando gli incompetenti mandano all’aria del buon lavoro …” disse, facendolo scivolare nella tunica lanciando uno sguardo di disprezzo a tutti loro “… e adesso, Camus, visto che hai avuto la geniale idea di rivelare la mia presenza ai tuoi amichetti che ne dici di concentrarsi sul problema fuga? Già è abbastanza seccante girare in compagnia di tre sacerdoti, ma girare in compagnia di tre sacerdoti nel palazzo del Grande Satana Baan furioso mi piace ancora di meno”.
Si avvicinò alla porta e guardò con diffidenza quello che rimaneva del loro carceriere “Da che parte?”
Mu fece per muoversi, ma da sopra la testa dello scienziato si formò da uno sbuffo di fumo un oggetto sottile; Camus strinse gli occhi, cercando di riconoscere cosa fosse. Riconobbe quella che sembrava una carta da gioco, di quelle che ogni tanto esibivano padron Axel e padrona Larxen davanti a dei boccali di birra nei pomeriggi di pioggia al Castello. Ma sulla carta in questione poteva vedere delle venature color rubino. Senza nemmeno pensarci corse verso di lui “Padron Vexen, si levi di lì!”
L’uomo seguì il suo sguardo, ma quando si accorse dell’oggetto questo si era già posato sulla sua spalla; ne uscì un secondo, più violento sbuffo di fumo rosso e rosa che lo avvolse per intero. Camus arrivò a pochi passi da lui, ma quando allungò un braccio dentro la foschia per trascinare via lo scienziato non trovò altro che aria e scivolò in avanti; mentre cadde il fumo si dissolse, e quando atterrò in malo modo sul pavimento nero non c’era alcuna traccia né del n. IV né della sua tunica, ma solo la carta da gioco. Senza pensare alle conseguenze, si rialzò e la guardò meglio. I bagliori rossi che aveva intravisto qualche attimo prima erano spariti, ma sentiva comunque qualcosa di malvagio provenire da lì. Un cinque di picche.
In un attimo Shaka fu accanto a lui e la allontanò dalla sua presa, per poi far comparire un raggio di luce dalle sue dita e ridurla in sottili volute di cenere “Troppi malefici demoniaci qui dentro. Andiamo al cortile prima che possa accadere qualcosa anche a noi”.
“E padron Vexen? Non sappiamo cosa gli sia successo!”
“Se è desiderio degli dèi che viva, lo porteranno di nuovo sul nostro percorso. Abbi fede in loro, Camus”.


Zexion serrò le mani intorno ai piccoli, sottili peli della creatura mentre scendevano lungo la parete rocciosa della regione inferiore del Baan Palace. Sapeva che, se avesse sfortunatamente aperto gli occhi, si sarebbe ritrovato a testa in giù, con centinaia di metri di caduta libera proprio sotto il naso.
Una di quelle situazioni in cui si ritrovavano sempre gli agenti speciali dei film della Terra I, ma lui non era quel tale James Bond e soprattutto in nessuno di quei film il protagonista si trovava aggrappato alla pelliccia di una cacciatrice di taglie irritata e per di più mutata in ragno gigante. Se Zam Wesell si fosse stancata di lui avrebbe potuto scrollarselo di dosso in quel preciso istante, ma l’odore della donna era stabile. Un altro odore disturbava la discesa, ma cercò di allontanarlo in preda al panico.
Faceva scivolare le sue otto zampe in maniera lenta e regolare proprio per non sbalzarlo, e come lei stessa aveva previsto nessuno notò la loro avanzata, mimetizzati con il colore della parete, meno appariscenti di una viverna ma più rapidi di qualsiasi corda, rampino o cavo in acciaio che entrambi portavano addosso per ogni evenienza. Non devo aprire gli occhi.
Il vento costituiva un ostacolo, ed essendo il suo elemento aveva cercato di placarlo, ma la donna glielo aveva proibito: i demoni potevano percepire anche una minima variazione nell’equilibrio magico, lo aveva detto lui stesso, ed anche un piccolo incantesimo avrebbe potuto attirare la loro attenzione. Era per quel motivo che si erano allontanati da Kaspar.
Il ragno gigante in cui la cacciatrice di taglie si era mutata era una razza adatta a quel tipo di percorsi, e trovava il percorso corretto senza scivolare, esitare o rischiare una caduta, e lui riusciva a seguire ogni movimento adattando il suo corpo a quello peloso della creatura, adattandosi ad ogni asperità. Non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso, ma ad un certo punto la signora si fermò ed i peli svanirono sotto il suo pugno. Zexion perse la stretta e cadde a testa in giù per un paio di centimetri, sbattendo prima la testa e poi la spalla su un piccolo balcone mentre la cacciatrice di taglie riprendeva la sua normale forma umana.
“Divertente vero? E pensare che in una missione sulla Terra II stavo per diventare la cena di un mostro simile!”
Divertente non era proprio il primo aggettivo che aveva sulla punta della lingua “Non credo che un ragno gigante possa essere un problema per lei, mia signora” disse, rimettendosi in piedi. Gli odori tornarono distinti, ed uno non gli piaceva affatto. Quello che aveva percepito durante la discesa adesso era potente, invasivo, e di colpo qualsiasi ragno enorme o demone furioso gli sembrò insignificante. Lei dovette accorgersi che la sua espressione era cambiata, perché invece di proseguire lo fissò.
“Sta arrivando qualcuno … qualcuno che …”
Era come avvicinarsi ai grandi vulcani di Mustafaar, e sentire i fumi, lo zolfo, i veleni e lo stesso sapore del fuoco per tutti i polmoni: ma erano moltiplicati di centinaia di volte, come se tutta la morte ed il potere della natura si stessero riversando dentro di lui. Gli oscurarono qualsiasi altra percezione, e la cacciatrice di taglie lo sostenne, scuotendolo “Che succede?”
Solo una creatura poteva avere quell’odore in grado di eclissare anche quello del Grande Satana: “Il generale Baran. Sta arrivando”.
“È un problema per noi?”
Non è di questo mondo. Non può sapere “Non è una questione di problema, mia signora. Lui è il Ryumajin, il Cavaliere del Drago, è praticamente un dio, e se sta venendo qui ci troverà!”
Cercò di isolare l’odore violento della creatura in avvicinamento, ma più tentava di ritrovare qualche odore familiare e più l’aroma intenso di Colui che Nasceva per Giudicare il Mondo prendeva possesso della sua testa. E stava cercando qualcosa, era stato richiamato dal Grande Satana, non era lì per mero caso. La missione poteva dirsi fallita, ma quando cercò le parole per spiegarlo alla sua accompagnatrice lesse il suo profumo prima ancora della voce.
“Un dio? Questa è tutta da vedere. Anche Kaspar si credeva un dio e guarda adesso come scodinzola”.
“LUI NON SI CREDE UN DIO! LUI LO E’!”
“Scommettiamo?” lei abbandonò la presa dalle sue spalle ed armeggiò con un sacchetto agganciato alla sua cintura “E comunque ho già avuto a che fare con divinità … più o meno serie … tanto me lo sentivo nelle ossa che questa missione sarebbe stata più difficile del solito”
Davvero? E io che pensavo che con lei e Kaspar in attacco sarei tornato per ora di cena.
Gli lanciò il sacchetto, e Zexion riconobbe le sette Pietre della Sapienza che avevano guidato il loro teletrasporto in quel mondo “A questa pseudodivinità ci penso io. Tu occupati di cercare Mistobaan e liberarlo, poi vieni a riprendere me e quel mago da circo se non abbiamo ancora finito. E, mi raccomando …” ma non c’era nemmeno bisogno di dirlo “… Mistobaan e Kaspar NON devono toccare quelle pietre. Nella maniera più assoluta. Se il loro condizionamento svanisse preferiresti affrontare cento di quei Cavalieri del Drago piuttosto che la furia dell’Imperatore”.
Si avvicinò alla parete, e l’attimo dopo il ragno gigante aveva intrapreso la sua scalata; il ragazzo sentì il calore degli oggetti magici contro il suo palmo.
Narratore: “Ehi, Zexion, mi sa che sei nei guai!”
“Ma io non ho idea di come liberare Mistobaan, ci sono degli allarmi magici, delle guardie, cosa posso fare?”
Narratore: “Beh, sei un Cocco delle Registe!”
“Cosa? Le Registe? E chi le ha mai viste? E cosa vuol dire?”
Narratore: “Vuol dire una sola cosa, piccolo ragazzino emo col ciuffo. Che adesso sono cazzi tuoi!”
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Crossover / Vai alla pagina dell'autore: Registe