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Autore: ele_lele    30/08/2012    1 recensioni
Samantha, la brava ragazza della porta accanto ligia alle regole, vive a San Diego con suo fratello Jason e con le amiche Minnie e Sarah. Ventuno anni, un rapporto difficile con la sorella maggiore e una cotta storica per il migliore amico di suo fratello la porteranno a vivere la vita in modo diverso e fuori dagli schemi 'prestabiliti'.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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1. Miss Perfettina

Capitolo I

Miss Perfettina

 

 

 

Il campanello suonava, il telefono non le dava pace e, ovviamente, Samantha era sotto il getto bollente della doccia.
-Arrivo!- gridò a nessuno in particolare, chiudendo l’acqua e sbilanciandosi un poco oltre il bordo della vasca per tentare di afferrare l’accappatoio, attaccato, come sempre, sulla parte interna della porta del piccolo bagnetto.
Il campanello suonò di nuovo mentre cercava di allargare l’accappatoio fucsia di microfibra che le si era appiccicato addosso e si accorgeva, con enorme disappunto, di essersi dimenticata in camera le ciabattine.
Corse all’ingresso e fece scattare la serratura: la faccia tosta di suo fratello che si era dimenticato le chiavi si illuminò di un sorriso colpevole.
-Mi spiace Sam, ho scordato le chiavi di casa da Amanda. Sarah?- chiese guardandosi intorno e aggirando il tavolo della cucina per agguantare una manciata di cioccolatini ripieni al caramello dalla ciotola e metterseli direttamente in bocca.
Samantha represse a stento un’esclamazione disgustata, ma la sua espressione sincera più che eloquente fece ridere il fratello.
-Oh, andiamo Sam, non fare quella faccia. Allora Sarah non è in casa?-
-No- grugnì. Jason non avrebbe mollato la presa finché non avrebbe ottenuto quello che voleva.
Riaprì la bocca per dirle qualcosa ma, con almeno una decina di cioccolatini dentro, tutto quello che riuscì a fare fu biascicare qualcosa che Samantha non capì.
-Eh?- domandò scocciata. Perché agli altri capitavano fratelli bellissimi, super premurosi e muscolosi come neppure gli antichi Greci e a lei era toccato Jason? Non che lui fosse brutto, anzi! Con quegli occhi da cucciolo e l’aria giocherellona le ragazze capitolavano ai suoi piedi senza che facesse neppure il minimo sforzo… E con lei era sempre stato gentile, non l’aveva mai ignorata o trattata come una bambinetta capricciosa come faceva invece Amanda. In quanto a muscoli, si disse che probabilmente andava in giro con Ryan proprio per questo. Per compensare.
-Ho detto che io vado in spiaggia, mi vedo là con Ryan. E ti ho chiesto se volevi venire, ma evidentemente i tuoi due neuroni non hanno retto al pensiero di un certo biondo tutto muscoli che fa surf insieme al sottoscritto- la prese in giro bonariamente lui, ridendo di una cotta che lei aveva avuto per il suo migliore amico.
Stava per rispondergli a tono quando il telefono squillò e lei si precipitò a rispondere sotto lo sguardo divertito di suo fratello.
-Pronto? Ah, sei tu… no, nessuno, è che prima non ho fatto in tempo a rispondere e…- non terminò la frase e inarcò un sopracciglio -…stavo sotto la doccia, se me ne avessi dato il tempo e non avessi attaccato al quarto squillo…- vide Jason scuotere la testa: evidentemente doveva aver capito chi c’era all’altro capo del telefono. –Non essere sciocca, certo che l’ho inviato… Sì, l’ho detto alla mamma e se proprio vuoi saperlo ha detto che faccio bene!-
Fu il turno di Jason essere perplesso: che cosa approvava la mamma su Samantha? Era la classica ragazzina indecisa, troppo sognatrice per ottenere davvero quello che voleva e troppo rigida con se stessa per godersi la vita. Chi avrebbe mai approvato qualcosa su di lei?
-…Lascia stare, non ho bisogno che tu me lo ripeta per l’ennesima volta… -i toni si erano improvvisamente fatti acuti e l’atmosfera si era raggelata.
Jason smise persino di masticare i cioccolatini in bocca nell’intento di non perdersi neppure una parola.
 –Sì, lui è qui. Sì, te lo saluto. Ciao.-
Samantha lo guardò leggermente imbarazzata ma non mancò di scoccargli uno sguardo furente. –Amanda- sputò tra i denti, come se quel nome le causasse disgusto anche solo a pronunciarlo.
Jason annuì. Sapeva già che era lei ancor prima della conferma di Samantha.
Era ormai noto a tutto che tra le due sorelle non corresse buon sangue. Che lui ricordasse, da piccole erano indivisibili, poi crescendo, al liceo, dovevano aver avuto uno screzio di cui lui non era al corrente e il loro legame si era incrinato a tal punto che si vedevano solo se costrette, ovvero durante le festività e i pranzi di famiglia a cui la loro madre li obbligava a partecipare, e anche durante tali occasioni il loro rapporto era appena tollerabile: si ignoravano finché potevano, sedavano ai poli del tavolo, se una arrivava presto l’altra adduceva una scusa e arrivava trafelata un secondo prima di mangiare pur di stare assieme il minor tempo possibile.
-Sì, l’avevo intuito…- soffiò divertito mentre lei lo fulminava con gli occhi. –Che dice la cara sorellona?-
-Voleva sapere dov’eri-
-E…?-
-E niente, Jason. Voleva solo sapere dov’eri!- sbottò dandogli le spalle e andando in bagno per prendere un asciugamano rosa pesca da avvolgersi sui capelli bagnati a mo’ di turbante.
-Ciao! Ciao a te! Non trovo Jason, è per caso lì da te? Sì, è qui da me…-
La testa di Samantha spuntò dal bagno con un’espressione perplessa.
-Che stai facendo?- gli domandò dubbiosa, non molto sicura di voler conoscere la risposta. Suo fratello aveva il potere di farle scoppiare un terribile mal di testa con i suoi discorsi senza senso anche nei giorni in cui era perfettamente in forma.
-Contavo quanto ci vuole per chiedere a qualcuno, in modo civile, se sono o meno a casa sua e, a ben vedere, ti ci hai messo un po’ più di…- indugiò il tempo di guardarsi le mani: una era completamente aperta, l’altra aveva due dita piegate e le altre tre stese –otto secondi. Quindi deve averti chiesto qualcos’altro, no?-
Lui e la sua faccia di bronzo!
-Mi ha chiesto se avevo inviato il curriculum allo studio del dottor Sheridan e le ho detto di sì anche se lei non approva, al contrario di mamma, perché dice che quel posto ha pochi sbocchi professionali. Contento?-
-Ora sì. Beh, io vado. Se vedi Sarah salutamela!- e agguantò un’altra manciata di cioccolatini prima di avviarsi verso l’ingresso.
-Jason, Sarah ha già un ragazzo: Tim. Fa il cameriere in quel ristorante vicino al centro commerciale, l’hai anche incontrato, ricordi?-
-Certo che sì. Però non si sono mica sposati, no? E poi, anche in quel caso c’è sempre il divorzio…-
-O un marito geloso che te le dà di santa ragione…- terminò Samantha alzando gli occhi al soffitto.
-Può darsi. Ma solo se non corro abbastanza veloce- e sparì chiudendosi la porta alle spalle.

 

 

Samantha scosse il capo. Jason era sempre il solito bambinone che, nonostante i ventidue anni suonati da un pezzo si ostinava a comportarsi come un liceale. Il contrario di Amanda, che si ergeva dall’alto dei suoi ventitre anni neanche fosse stata la regina d’Inghilterra. E poi c’era lei, Samantha, la piccola Sam, ventuno anni nella realtà anche se tutti gliene davano al massimo sedici, sia per il viso da bambina, sia per la fermezza con cui si atteneva alle regole. Ma se non sei una stanga di un metro e ottanta, con una quarta di seno e con degli splendidi occhioni celesti come era Amanda, ci sono delle regole da rispettare per non apparire ancora più scialba in confronto: andare a letto sempre alla stessa ora, non strafare con l’alcool come tutti quelli della sua età, mangiare cose sane e non fumare.
Praticamente fare l’eremita.
-Hey, Tappetta, tuo fratello?- una voce roca e baritonale le provocò un brivido e la riportò bruscamente alla realtà.
Sulla porta di casa sua, un fusto niente male la fissava con un sorriso divertito che gli tirava le labbra in modo sensuale.
Il tempo di un battito di ciglia, rendersi conto che conosceva il ragazzo in questione ed era già rossa come un peperone.
-Sam?- riprovò di nuovo lui.
Un conto era fingere che la cotta le fosse passata quando era con suo fratello che la sfotteva  e lui era lontano, un altro conto era dover prendere atto della realtà quando se lo trovava davanti, a torso nudo e con i pettorali scolpiti dal football e dal surf, le sue due passioni.
I capelli erano spettinati e lui, in un gesto che faceva anche suo fratello ma a lui non veniva certo così bene, ci passò in mezzo una mano, peggiorando la situazione.
Non solo dei capelli, ma anche quella di Samantha.
-Sam!-
-È venuto in spiaggia a cercare te. Dovevate vedervi lì, ha detto…-
Doveva riprendere fiato e soprattutto ricordarsi di respirare.
Se solo lui non avesse avuto quegli occhiali che Amanda diceva solo i burini portavano e che a lei invece sembravano tanto eccitanti…
Ryan DeRio, la sua prima vera cotta, annuiva distrattamente come colto da un pensiero che aveva finito col tenere per sé.
-Bene, Tappetta, allora vado. Meglio non far attendere i fratellone, eh?- e le strizzò un occhio in modo amichevole.
Un’amica. Ecco quello che lei era per il grande amore della sua vita.
Una dannata, maledetta, banalissima amica.
La sorellina imbranata del suo migliore amico. Ma poteva andarle peggio di così?!?

 

 

Si era messa al computer con l’intento di scrivere una relazione e ad aggiornare il proprio –infinito, come scherzava sua madre- curriculum vitae, anche se era finita per controllare un po’ troppo spesso la pagina di facebook e non aveva svolto neppure metà del lavoro che si era prefissata.
Quando la porta d’ingresso si aprì con poca grazia rivelando la presenza inopportuna di suo fratello Jason, erano le sette suonate.
-Alla fine non sei venuta in spiaggia.- si lagnò lui.
-Evidentemente…- Perché precisare una cosa tanto ovvia? Se non l’aveva vista in spiaggia c’era davvero bisogno di rimarcare che era rimasta a casa?
-Pensavo saresti venuta. Non hai mica detto di no-
-Perché sarei dovuta venire? Non ho mica detto di sì-
-Eccola che ricomincia... Sam, la vita non è fatta solo di regole. Pensavo saresti venuta perché è una bella giornata e magari ti saresti presa una giornata di svago invece di stare sempre lì a fare “Miss Perfettina”-
Miss Perfettina.
Come la chiamava Amanda.
Cercò di non fargli vedere quanto quelle parole avessero il potere di ferirla fino nel profondo, quanto ci stesse male a essere sempre l’asettica, distaccata, fredda, insopportabilmente pignola Miss Perfettina.
-Jason, viviamo a San Diego, in riva all’oceano. California, hai presente? Qui non fa mai davvero freddo, neppure d’inverno e abbiamo il sole trecentosessanta fottuti giorni all’anno, -era partita bene, fredda e distaccata, però poi si era fregata da sola con quella parolaccia: le diceva sempre quando si accalorava per qualcosa e suo fratello la conosceva troppo bene per non essersene accorto- con le eccezioni di Natale, Capodanno e, se siamo fortunati, altri tre giorni a caso. Se dovessi seguire la tua regola del non fare nulla perché c’è il sole sarei una nullafacente. Però non posso permettermelo, perché io –e sottolineò quell’ “io” con rabbia- non ho una sorella più grande che mi dà vitto e alloggio gratis e mi devo pagare l’affitto e la vita e non sbuffare, Jason, perché che tu ci creda o no, anche io ho una vita. E se darmi da fare mi rende Miss Perfettina, lascia che questa Miss Perfettina ti dica una cosa: fuori da casa mia, ora e subito, perché non ho intenzione di vedere ancora la tua faccia per stasera.-
Lui non se lo fece ripetere due volte, fece dietrofront, uscì dalla porta d’ingresso sbattendosela alle spalle, inforcò il vialetto e salì sulla sua jeep nera.
-I miei complimenti, Miss Perfettina- si disse Samantha guardandosi amaramente nello specchio del corridoio: gli occhi erano accesi di una collera che non le si confaceva, la coda da cavallo era sfatta e una bretellina della maglietta era calata sulla spalla. –Anche stavolta sei riuscita a interpretare alla perfezione il ruolo della stronza.-
Chissà se alla fine mi daranno un premio, si chiese, dirigendosi in cucina per scovare qualcosa di commestibile nel frigorifero.

 

 

Evidentemente non era destino.
Se lo ripeteva da quel fatidico giorno in cui i rapporti con Amanda, quando oltre che sua sorella era anche la sua migliore amica, erano andati sempre peggiorando.
Quando erano ancora piccoli, lei, Jason e Amanda, erano inseparabili: crescendo Jason si era avvicinato agli altri ragazzi, mentre lei e sua sorella si erano unite sempre più.
Amanda la vivace, Amanda l’anima delle feste, Amanda la star.
E poi c’era lei, la piccola Samantha, le efelidi sul naso, i capelli castani così diversi dal biondo Californiano di sua sorella, il seno piccolo e la testa sempre sui libri.
Per non dover incontrare lo sguardo ferito di sua sorella.
Samantha che si perdeva nei vestiti sempre troppo grandi, Samantha che si addormentava mentre gli altri la cercavano a nascondino, Samantha alla quale non pesava stare in silenzio anche se era un fiume in piena di parole, Samantha la sorellina piccola.
Samantha che viveva dell’ombra di sua sorella per paura delle luci della ribalta.
Gliel’avevano detto in molti di godersi i suoi ventuno anni, di rendere pan per focaccia alle occhiatacce di Amanda ma alla fine, vedendo che lei non cambiava mai, si erano stufati ed erano spariti a poco a poco dalla sua vita.
Gli inviti alle feste erano diminuiti e chi la invitava non si aspettava mai davvero che lei partecipasse.
“Stasera non posso, magari la prossima volta”, sorrideva, reclinando cortesemente l’invito.  Solo che non c’era mai una prossima volta: o erano gli altri ad allontanarsi da lei o era lei a mettere una distanza di sicurezza tra se stessa e il mondo.
Solo poche persone continuavano a girarle attorno, poche farfalle ubriache del suo profumo fresco come le sere d’estate e la brezza dell’oceano.
-Evidentemente non era destino- si lagnò nuovamente e agguantò un cleenex dalla scatola appoggiata sul divano.
-Stronzate.- Delicata come sempre, un vero fiore, Jasmine Wisteria, detta affettuosamente ‘Minnie’, le diede un colpetto affettuoso sulla spalla per comunicarle che, nonostante i modi e il linguaggio da scaricatore di porto, lei comunque c’era.
Sempre.
-Ti dico che non era destino, Minnie- ripeté nel fazzoletto già umido Samantha.
-E io ribadisco il mio concetto: tutte stronzate. Piantala di piangerti addosso, mica ti sei sposata il ruolo dell’ombra di tua sorella.-
-Non è solo quello, e lo sai…-
-Se stai frignando perché tuo fratello, per fare il bastardo, ti ha chiamato Miss Perfettina allora è ancora meglio: ti confermo io che non lo sei. Ora la puoi smettere che siamo in ritardo?-
Niente da fare, se c’era una cosa che Jasmine non conosceva era la parola “no”.
-Minnie, io non vengo a questa festa…-
-Adesso non fare la lagna! E poi “festa” è una parolona: è solo un ritrovo al parco sopra casa tua, tanto la musica la sentirai comunque anche da qui, perché fare l’orso e non venire? E poi così puoi controllare che non mi sbronzi come la volta scorsa e soccorrermi per bene senza dover correre in mio aiuto alle tre di mattina.-
Messa così non faceva una piega…
-Minnie…- tentò ancora con una nota di disperazione nella voce.
-Lo so, tesoro, certe volte mi sento così anche io.- E vedendo l’occhiata incredula che Samantha le lanciò, si affrettò a precisare –Quando non so mai che vestito mettere per i matrimoni. Per quanto io sia una persona decisa rimango sempre con il dubbio tra due abiti. Però poi la soluzione è semplice: basta indossarne uno e cambiarmi a metà serata!-

 

Se le avessero detto che avrebbe dovuto sopportare anche il silenzio ostinato di Minnie per tutto il tragitto da casa sua al parco, si sarebbe fatta una bella risata, avrebbe preso un plaid e si sarebbe accoccolata sul divano nero di pelle che si era comperata appena aveva fermato la casa e tanti saluti.
La sua amica era entusiasta dall’idea di andare al parco, lo vedeva da come camminava, ma si stava mordendo la lingua pur di farle pesare i suoi gusti in fatto d’abbigliamento.
-Sembri una turista Europea- borbottò per l’ennesima volta.
-Un paio di leggins non fanno mica Europea!-
-Sì se li indossi con una maglietta del genere e hai i capelli scuri.-
-Wisteria, a momenti anche gli anziani con i capelli bianchi hanno un colore di capelli più scuro dei Californiani!-
-Non chiamarmi così! Lo sai che i miei si erano bevuti completamente il cervello nel momento di darmi un nome. Chi è che chiamerebbe la propria figlia ‘Gelsomino’ e ‘Glicine’ solo perché sono le prime piantine che le sono state regalate dai parenti appena nata?- effettivamente non aveva poi tutti i torti. Samantha conosceva i coniugi Skinks abbastanza da sapere che con loro la parola sobrietà non sarebbe mai stata all’ordine del giorno –E riguardo ai capelli: dettagli. Senza contare che poi tu sei pure castana e bassetta rispetto alla media Americana, quindi puoi passare perfettamente per un’Europea-
-Ed è una cosa tremenda perché…?-
-Si rimorchiano le straniere se sono solari e disponibili- e le lanciò un’occhiata eloquente –e se hanno gambe chilometriche o due tette così- e mimò il gesto con le mani.
-Non sono certa di non dovermi sentire offesa-
-Sam, siamo oneste: sei venuta praticamente in tuta! A una festa alla quale avresti dovuto essere carina. Ora, capisco che vuoi dare l’idea della persona compita che prende sul serio il proprio lavoro, però così dai solo l’idea della bacchettona pure un po’ frigida-
-Ah-
-E ti sei messa una maglia talmente lenta che ci si perde la tua seconda di reggiseno. Senza contare le ciabattine da mare…-
-Non mi hai dato tempo di prepararmi- si scusò evitando lo sguardo dell’amica.
La musica cominciava ad essere alta e per farsi sentire fu costretta ad alzare notevolmente il volume della propria voce.
-Perché nell’armadio hai una marea di vestitini. Che li compri a fare se tanto non li metti mai?- le chiese Minnie allontanandosi per salutare degli amici che aveva intravisto nella calca di persone e fendendo la folla di ubriachi come se niente fosse.
Per lei erano tutti sconosciuti. Si era trasferita dal nord California, dove era nata e cresciuta e dove ancora viveva sua madre, a San Diego, dove già vivevano sua sorella Amanda e suo fratello Jason con la voglia di godersi il sole e l’oceano e di sentirsi finalmente libera.
In quattro mesi però non aveva fatto grandi amicizie, conosceva i ragazzi che negli anni precedenti le aveva presentato Jason e alcuni dei tanti amici di Minnie.
Nella massa però riconobbe, tra le tante chiome bionde, una particolarmente indisciplinata, capelli sparati da tutte le parti ancora freschi di doccia e che avevano sfidato la sabbia e la salsedine probabilmente per tutto il giorno.
Non vedeva il suo viso ma sapeva che, sotto la fronte ampia, c’era un naso dalle linee dure e che le ciglia degli occhi erano così lunghe che ogni volta sentiva la tentazione di sporgersi e prendergliele tra le labbra. Conosceva le pieghe di quella bocca che l’aveva fatta sospirare a lungo negli anni e avrebbe passato ore a carezzare le guance leggermente ruvide quando dimenticava di farsi la barba.
Ryan DeRio.
Parlava con una sventola bionda, con tanto di gambe da fenicottero e seno prosperoso e Samantha sentì una dolorosa stretta allo stomaco.
Madre Natura, appurato vari anni addietro con Minnie e Julia, un’altra loro amica, che era dell’Africa e se la faceva con tale Padre Albero, era stata piuttosto ingiusta.
La sventola in questione indossava un indumento che definire abito sarebbe stato eccessivo: copriva a mala pena le grazie della fanciulla ma questa, lungi dal risentirsene, approfittava di ogni occasione per scoprire le gambe toniche e spingere in fuori, con malcelata noncuranza, il petto generoso.
Risentì nella sua mente la domanda di Minnie: -Perché nell’armadio hai una marea di vestitini. Che li compri a fare se tanto non li metti mai?-
-Perché non si sa mai.- rispose a se stessa sottovoce.
D’altro canto, chi poteva sapere quando le sarebbero serviti? Meglio non farsi trovare impreparate…

 

 

-Allora, ti piace la musica?- Le chiese Jasmine.
E quattro. Se avesse dovuto mentire ancora a lungo alla sua amica, piuttosto alticcia e con l’ennesimo bicchiere di birra in mano, che continuava a farle a intervalli di tre minuti sempre la stessa domanda, Samantha si sarebbe volentieri messa le mani nei capelli e avrebbe gridato forte.
Annuì, giusto per fare qualcosa e la vide sorridere mentre riprendeva a muovere il capo in modo forsennato per stare a ritmo.
Come facesse a non rovesciarsi tutta la bibita addosso rimaneva un mistero.
La canzone finì ma ne iniziò un’altra talmente simile che Samantha si chiese se avessero cambiato solo le parole mantenendo la stessa base. Represse a stento uno sbadiglio e sbirciò l’orologio: l’una e mezza.
Per la miseria, ma a San Diego non c’erano regole da rispettare? Un orario in cui smettere di strimpellare a tutto volume e andare a dormire?
Aveva le gambe a pezzi, più per essere rimasta ferma come un palo mentre Minnie le ballava attorno che per essersi mossa.
Suo fratello non si era visto, o forse non l’aveva visto lei: d’altronde era una festa in un parco, con tanto di palco per i cantanti e la vasta distesa di erba fungeva da pista. E poi probabilmente se c’era suo fratello era a una distanza di sicurezza dal tavolo del cibo e delle bevande: la sicurezza di allungare un braccio e di riuscire a far rifornimento senza sprecare troppe energie.
-Allora, ti piace la musica?-
E cinque. Di quel passo avrebbe supplicato Minnie di tacere pur di non mentirle ancora. Per non sbilanciarsi, annuì nuovamente.
Uno spasso.
Evidentemente anche una tipetta con i capelli rossi e una gonna che Samantha avrebbe etichettato come ‘cintura’ la pensava come lei: uno spasso. Però lei ballava, o meglio si strusciava a Ryan e probabilmente questo dava punti alla serata e la rendeva non solo divertente, ma memorabile.
-Allora, ti piace la musica?- E sei.
-Uno spasso- si ritrovò a dire. Evidentemente Minnie approvava perché fu il suo turno di annuire, soddisfatta.
Sbirciò di nuovo l’orologio e sbuffò: le due.
Tornò ad alzare il capo e si rese conto che in realtà non guardava tutta la folla in modo omogeneo: fissava tanto intensamente il miglior amico di suo fratello strusciarsi con la tipa dai capelli rossi che non si sarebbe affatto sorpresa di vederla cadere a terra stecchita dalle occhiatacce che le stava inviando mentre quella, noncurante, le mostrava il didietro tentando di baciarsi Ryan.
Era talmente presa che neppure si accorse quando lui alzò lo sguardo e incrociò il suo con un sorriso divertito sulle labbra e l’espressione furba negli occhi.
-Merda!- sibilò girandosi verso Minnie e tentando una o due mosse col corpo. Pessima idea.
-Sembri un burattino a cui hanno appena tagliato i fili!- ecco, ci mancava giusto la sua migliore amica a darle il colpo di grazia. Anzi che non le aveva chiesto... -Allora, ti piace la musica?-
Ma non fece in tempo a risponderle: una mano abbronzata le si parò davanti assieme a un bicchiere di birra. Dal profumo sembrava…
-Birra all’arancia, la tua preferita!-
Per poco non si strozzò con la propria saliva.
Conosceva Ryan da quando era ancora una marmocchia, era il migliore amico di suo fratello e la trattava come se Amanda fosse stata una sorellina anche per lui: perché le faceva ancora quell’effetto?
-Grazie- accettò la birra di buon grado, continuando a fissarlo da sopra la schiumetta che usciva dal bicchiere di plastica.
L’aveva osservato per tutta la serata, eppure continuava a guardare rapita la maglia aderente leggermente bagnata di sudore che si tendeva sui bicipiti e lo accarezzava come una seconda pelle. Chissà come sarebbe stato passare i polpastrelli sui suoi pettorali dopo esserci stata a letto insieme…
la birra le andò di traverso e nel tentativo di non soffocare davanti a lui iniziò a tossire furiosamente. Lui rise scuotendo il capo e si avvicinò al suo orecchio.
-Che dici se ti riporto a casa?-
Poteva prenderla come una proposta indecente? Sarebbe stato troppo saltargli addosso in un parco durante una festa?
-Dammi il tempo di chiamare Sarah e tuo fratello e andiamo, eh?- e iniziò a cercare con lo sguardo dei volti tra la folla.
-No!- rispose Samantha, aggrappandosi con urgenza al suo braccio. Un conto era stare da sola con lui, un conto era trovarsi con lui e Jason. E quell’impicciona di Sarah.
-No, grazie. Sono con Minnie- lo liquidò sperando che lui insistesse per accompagnarla.
Invece si limitò a scrollare le spalle e a sorriderle –Come vuoi, Tappetta- e sparì nella massa di persone danzanti.
Samantha guardò sconsolata l’orologio: le due e mezza. Ma quando sarebbe finita?
Sentiva le tempie pulsarle e ogni tanto le immagini vorticavano su se stesse facendole perdere l’orientamento.
-Due minuti e andiamo- sibilò arrabbiata a Minnie.
Quella annuì ma poi, vedendo due ragazzi carini che le sorridevano avvicinandosi, si aprì in un sorriso tutto fossette.
E a Samantha venne voglia di piangere.

 

 

 

 

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Ebbene sì, sono davvero tornata su Efp!
Se sono qui è in parte merito di pepita, splendida persona nonché magnifica beta, e di Mimmi che ascolta sempre i miei deliri di parole con incredibile pazienza.
Infine, vorrei ringraziare C. che sa riempire i silenzi anche senza dire una parola.

Questa storia è nata durante un lunghissimo viaggio, nella calura estiva del deserto e tra infinite pianure.

   
 
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