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Autore: hiccup    31/08/2012    3 recensioni
Kurtofsky -
Di tutte le persone che avrebbe potuto incontrare in un Gap nel bel mezzo di New York, Kurt Hummel non avrebbe assolutamente dato un centesimo per scommettere di incontrare lui.
[...]
Quando un Kurt Hummel depresso e un David Karofsky drogato di caffè s'incontrano, con la partecipazione di una Rachel Berry mediamente normale.
[...]
A dispetto di tutto non è una storia demenziale.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Rachel Berry | Coppie: Dave/Kurt
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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più o meno
Salve a tutti, premetto col dire che questa è assolutamente una storia senza pretese, priva di senso, concepita dopo una meditazione poco seria. So solo che avevo voglia di scrivere di questi due da un bel po' di mesi e che alla fine ho buttato giù qualcosa.
E' una storia leggermente lunga ma mi dispiaceva dividerla in due parti quindi, se non ve la sentite proprio di avventurarvi in una lettura del genere, non ve ne vorrò.
Naturalmente nessuno dei personaggi mi appartiene - per fortuna loro -
Detto ciò,
Buona lettura!



Più o meno
( Quando un Kurt Hummel depresso e un David Karofsky drogato di caffè s'incontrano, con la partecipazione di una Rachel Berry mediamente normale )

***


Di tutte le persone che avrebbe potuto incontrare in un Gap nel bel mezzo di New York, Kurt Hummel non avrebbe assolutamente dato un centesimo per scommettere di incontrare lui.

Non era il suo genere di negozi, il Gap.
Come assistente del caporedattore di Vogue avrebbe dovuto – teoricamente - tenersi lontano da posti come quelli per dedicare la sua attenzione unicamente alle costose boutique e ai negozi privilegiati, dove avrebbe potuto fare sfoggio del suo buon gusto in fattore moda.
Tuttavia dubitava seriamente che avrebbe trovato un regalo per Finn in una boutique di Gucci o Dolce&Gabbana, quindi aveva optato per il primo Gap che gli si era parato davanti sulla via di casa.
Non aveva ancora un’idea precisa di che cosa volesse acquistare al fratellastro, magari una camicia, avrebbe lasciato che il suo istinto lo guidasse. Come sempre.
Vagò per una buona mezz’ora facendosi largo tra uomini annoiati che seguivano le proprie mogli indaffarate e freneticamente in cerca di qualcosa da un reparto all’altro, e vecchie signore che tentavano di accaparrarsi le ultime offerte.
Si ritrovò a dare un’occhiata tra le camice a tinta unita perchè, si disse, non si poteva mai sapere di trovare qualcosa di elegante da mettere anche in un Gap, quando all'improvviso un’altra mano tentò di prendere un modello blu oltremare.
- Mi scusi – disse subito una voce e la mano si allontanò di scatto.
E Kurt avvertì un brivido lungo la schiena, alzando lo sguardo, incredulo.
David Karofsky.
Si guardarono per alcuni istanti a bocca aperta, spaesati, poi il più grande tossicchiò appena, in imbarazzo.
- Che... che ci fai qui? – domandò brusco. Come sempre, aggiunse mentalmente Kurt.
- Vivo a New York, Karofsky – rispose, forse con un tono troppo secco – tu, piuttosto, come mai sei qui? –
- Alleno una squadra di un liceo, ora –
- Qui? –
- Già. Sorpreso? – chiese con tono di sfida, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans slavati.
- No – disse subito Kurt preso in contropiede – solo, non lo sapevo. Da quanto tempo sei a New York? –
- Quattro mesi. Tu balli e canti ancora su un palco come una fatina? –
Kurt non riuscì a non arrossire per il nomignolo che aveva dimenticato e posò la camicia all’appendiabiti.
- Lavoro per Vogue – mormorò alzando il mento fieramente. Non si aspettava che qualcuno dello stampo di David Karofsky conoscesse Vogue.
- Quel giornale di moda per donnicciole? –
- Lo conosci? – balbettò, sgranando appena gli occhi.
- Solo perché la mia vicina di casa si è abbonata e getta le riviste vecchie nei cassonetti del condominio –
Kurt lo guardò perplesso e si umettò appena le labbra.
- Frughi nel cassetto della spazzatura spiando la tua vicina di casa per leggere Vogue? –



 David Karofsky si era stupito non poco vedendo la sua fatina del liceo frugare tra gli scaffali del Gap; sapeva che lavorava nel settore della moda grazie ad una chiacchierata avuta a Natale quando aveva portato la macchina a riparare da Burt Hummel. L’ormai vecchio meccanico si era lasciato andare ad una lunga conversazone, appena fuori l’officina, su quanto fosse fiero di suo figlio e di quanto gli mancasse. L’aveva trattenuto per una buona mezz’ora e David si era domandato da quando Hummel senior fosse diventato così loquace ed espansivo con lui. Alla fin fine se n’era ritornato a casa con la testa piena di novità riguardanti la fatina e con un gran freddo. Più tardi, facendosi una bella doccia bollente, aveva ammesso a sé stesso di aver fantasticato più di una volta di ritrovare Kurt tra il traffico newyorkese e i negozi affollati, ma aveva rinunciato presto, dandosi dell’illuso, ed aver deciso di dedicarsi con particolare dedizione alla propria squadra.
E quel pomeriggio aveva quasi rischiato l’infarto per esserselo ritrovato davanti; era poco più alto dai tempi del liceo, la pelle nivea e gli occhi grandi e attenti erano gli stessi. Così come i capelli acconciati in quel modo assurdo, da fatina, appunto.
Si erano salutati per modo di dire all’uscita del Gap: David con un paio nuovo di jeans e Kurt con un regalo per quell’allampanato di Finn Hudson. Un saluto mezzo borbottato e un sorriso di cortesia dopo e Hummel si era già voltato e allontanato di un paio di metri quando David l’aveva rincorso e l’aveva invitato per un caffè, maledicendosi una frazione di secondo dopo.
- Perché no? – aveva annuito Kurt, stupito.



Kurt non seppe dire a Rachel, quella sera, perché accettò il caffè da Karofsky; dopotutto era a causa sua se ricordava i suoi anni del liceo come un inferno in terra e, nonostante avessero cucito una presupposta amicizia quel giorno in ospedale, l’uomo gli incuteva ancora soggezione. Eppure sembrava diverso.
Davanti a due caffè bollenti parlarono del più e del meno, della squadra di David e del lavoro di Kurt.
Tutto sembro andare bene, anzi andò bene e Kurt se ne meravigliò. Si salutarono velocemente, non si promisero di rivedersi, né si scambiarono i numeri di cellulare.
Semplicemente non era una cosa da fare, pensò Karofsky salendo le scale e salutando la sua vicina di casa con un cenno della mano, non si vedevano da anni e dopo tutto quello che gli aveva fatto passare, David non se l’era sentita di invitare il ragazzo per un altro caffè.
Kurt, dopo averlo salutato con un sorriso appena accennato, aveva cercato di mettere più distanza possibile da Karofsky e dallo Starbucks. Non era da lui avvertire la bocca dello stomaco serrarsi in quel modo così piacevole, non dopo la rottura con Blaine per lo meno.



Kurt e David s’incontrarono di nuovo nello stesso locale e nessuno dei due si sorprese più di tanto; entrambi erano ritornati ogni giorno alla stessa ora, curiosi. Troppo orgogliosi, tuttavia, di ammettere a sé stessi il perché.
Tra un sorso e l’altro decisero di fissare giovedì come giornata-caffè.
Nessuno dei due trovò scuse plausibili per giustificare quegli incontri, perciò ignorarono il tutto e si concentrarono sul piacere di fare quattro chiacchiere dopo una giornata di lavoro estenuante.



- La tua squadra di football gioca qualche partita? – chiese Kurt sedendosi ad un tavolino appartato, tenendo in bilico un caffè doppio. Karofsky lo imitò prendendo posto davanti a lui.
- Non dirmi che t’interessi al football, fatina. Potrei versarmi il caffè addosso per lo stupore –
Kurt arrossì e borbottò qualcosa di simile a era tanto per far conversazione, gorilla.



Quando Kurt rientrò nell’appartamento dovette reprimere un urlo di spavento, vedendosi piombare letteralmente addosso la sua coinquilina. Rachel Barbra Berry nel suo pigiama rosa confetto lo fissava con cipiglio severo e il sopracciglio pericolosamente corrugato.
- Sono quasi le due di notte, Kurt –
- Non sei mia madre Rachel e, fino a prova contraria, non ho nessun coprifuoco. Cosa ci fai ancora in piedi, comunque? Domani non hai un’audizione? – le domandò, togliendosi il cappotto e andando in cucina con tutta l’intenzione di prepararsi del tè bollente. Nonostante fosse solo novembre, fuori si gelava.
- Ero preoccupata! Dove sei stato? –
- Ad una partita di football – il giovane sbuffò leggermente allo sguardo stranito dell’amica – Giocava la squadra di David – precisò.
- David? – chiese lei stizzita – lo chiami per nome, ora Kurt? –
- Rachel, ne abbiamo già parlato. Va tutto bene, non mi ha picchiato se è questo che vuoi sapere. Era solo una partita –
- A te non piace il football –
- Insomma, Rachel, di cosa ti preoccupi? Siamo... – Kurt si bloccò indeciso su che cosa dire. Prese una bustina di tè earl grey e la mise nell’acqua bollente della tazza. Odiava il tè in generale, preferiva il caffè, ma l’earl grey era una delizia.
- Amici? – concluse la ragazza per lui.
- Mhm più o meno – mormorò lui, evitando di guardarla.
- Kurt, era un bullo. Ti ha reso la vita un inferno, hai cambiato scuola per colpa sua – rimarcò lei.
- E’ cambiato, Rachel, davvero. Non me ne andrei in giro con lui se sapessi che è la stessa identica persona degli anni del liceo –
- Ha fatto coming out? –
- No –
Rachel allargò le braccia in un segno eloquente.
- E con questo? Ci sono uomini che non dicono di essere gay fino ai quarant’anni. E’ una scelta personale –
- Quindi ne avete parlato? –
- Più o meno – tolse il filtro di tè, gettandolo nel lavello e fece per portarsi la tazza di tè alle labbra quando Rachel gli prese le mani, costringendolo a guardarla.
- Ascoltami Kurt, so che dopo la rottura con Blaine le cose non son – il ragazzo l’interruppe.
- Possiamo tralasciare il discorso Blaine, per una volta? –
- Ascoltami – ripetè decisa – dopo la rottura con Blaine – e qui Kurt alzò gli occhi al cielo con una smorfia stizzita – ti sei dedicato completamente alla carriera, com’è giusto che sia. Ma lavori troppo, te lo dicono tutti quanti. Hai bisogno di un po’ di svago e ora non vorrei che questi... questi incontri con Karofsky ti dessero alla testa –
Kurt corrugò leggermente le sopracciglia, guardando il volto sicuro dell’amica.
- In che senso? Non è legale prendere un caffè con un conoscente? –
- Non vorrei che tu tornassi a casa una sera, disperato, perché Karofsky si è divertito a giocare con te –
- Rachel, invece di andare avanti con questi giri di parole, ti spiacerebbe venire al dunque? Temo di non seguirti. E il fatto che siano le due di notte passate non aiuta –
- Oh bè, ci vado cauta io perché è una cosa delicata e di solito tu la prendi mal –
- Al dunque – l’interruppe Kurt con mezzo sospiro; avvertiva il desiderio impellente di sprofondare nel suo letto e dormire.
- Non vorrei che tu t’innamorassi di Karofsky – disse Rachel tutto d’un fiato e si guadagnò uno sguardo perplesso da parte del giovane.
- Sei seria, Rachel? – le chiese portandosi la tazza alle labbra – Avresti una carriera come cabarettista, sai? -
- Non fare così. Ti conosco, Kurt Hummel, viviamo assieme da tre anni oramai e ho notato il cambiamento –
- Quale cambiamento? –
- Sei più sereno, sorridi di più e ti svegli riposato. Eri così anche con Blaine –
Kurt sussultò appena e sopirò pesantemente, lavò la tazza e baciò la ragazza su una guancia.
- Buonanotte Rachel, in bocca al lupo per la tua audizione domani – detto ciò si diresse verso la sua stanza.
- Dovrai abituarti a sentire il nome Blaine uscire dalla mia bocca. E credo uscirà spesso anche Karofsky d’ora in poi – gli urlò dietro – buonanotte anche a te, comunque, e stai attento! –
Kurt sorrise.



Dov’è quel damerino tutto ingellato?
David Karofsky capì di aver chiesto la cosa sbagliata all’istante; Kurt abbassò gli occhi, posando il caffè macchiato sul tavolino.
Il caffè del giovedì pomeriggio era diventato quasi un’abitudine: alle diciassette e quindici s’incontravano in quello Starbucks piccolo ma accogliente, ordinavano due caffè e chiacchieravano.
- Ci siamo lasciati un anno fa – disse Kurt asciutto.
- Mi dispiace – disse David, incerto. Cosa si diceva in quelle occasioni?
- No – l’altro bevve un sorso e scrollò le spalle – non importa. Tu piuttosto? –
- Piuttosto cosa? –
- Hai un ragazzo? – chiese abbassando il tono di voce, sorridendo poi all’espressione imbarazzata dell’altro.
- Ne ho avuto qualcuno, sì, ma non è andata. Diciamo che erano per lo più avventure –
Kurt annuì, appuntandosi mentalmente di rivedere le proprie priorità; David Karofsky, omosessuale represso, aveva avuto più storie di lui, Kurt Hummel, meraviglioso e decisamente avvenente assistente del caporedattore di Vogue.
- Qualcuno si è divertito lontano da Lima – disse buttandola sul ridere, ma ne uscì solo un commento malinconico, da casalinga disperata.
- New York è una città diversa e più aperta – disse David, finendo il proprio caffè.
- Appunto per quello. Un coming out qui non verrebbe preso come un cataclisma naturale – disse Kurt ponderando bene le parole.
- Credo che il fatto che io stia bevendo il caffè con te, fatina, sia la cosa più vicina ad un coming out che esista –
Il meraviglioso e avvenente assistente del capo direttore di Vogue, Kurt Hummel, rischiò di strozzarsi con il caffè.
Cos’aveva detto?


Kurt Hummel era mollemente abbandonato sul divano, teneva tra le braccia una mega confezione di gelato alla nocciola e guardava con sguardo vacuo una soap opera tragica e noiosa.
Era giovedì. Erano le diciotto e venti. E non era andato allo Starbucks. Non aveva nemmeno avvertito Karofsky, che aveva prontamente chiamato tre volte. Ovviamente Kurt non aveva risposto.
Emise un sospiro e si massaggiò la radice del naso. Perché poi non si era presentato? gli chiese una vocina nella sua testa. Era arrivato in anticipo, in realtà, al locale, ma si era rifiutato di entrare. Lo stomaco gli si era chiuso ripensando agli ultimi incontri.
Kurt Hummel aveva finto di ignorare tutti i sintomi; sudorazione eccessiva, farfalle nello stomaco, caldo improvviso, vertigini, gambe molli, sogni compromettenti e felicità, troppa felicità. Ma c’erano troppi sintomi a lui conosciuti e ignorarli era diventato impossibile.
Aveva impiegato una notte intera – insonne – per ricondurre tutte quelle sensazioni alla persona di David Karofsky. E arrendersi. Si era dato dello stupido per poi dirsi che era stato davvero un cretino a non voler ascoltare Rachel. Quella ragazza lo conosceva sul serio.
Kurt Hummel era letteralmente scappato dallo Starbucks perché si era innamorato di David Karofsky e aveva il terrore di affrontarne le conseguenze.
Era talmente assorto che quasi non si accorse nemmeno della sua coinquilina. Quasi, perché la ragazza entrò sbattendo la porta e sbraitando contro qualcuno di non ben identificato.
- Ciao Rachel – la salutò atono.
- Oh, la odio! Forse prenderanno lei perché ha più referenze, ti rendi conto? Io sono stata strepitosa, ho fatto venire i brividi a tutti con la mia canzone di Barbra. I brividi. Poi è entrata quest’oca giuliva, ha cantato qualcosa di scialbo e moderno e Congratulazioni, signorina Mortimer, ottima performance, le faremo sapere. E’ ingiusto! – ti tolse il cappotto e il cappello, gettandosi a peso morto accanto a Kurt.
- Quindi le hanno dato la parte? –
- No, certo che no! Lo sapremo sabato mattina. Ma erano così entusiasti per lei –
- Vedrai, sceglieranno te – mormorò lui.
- Speriamo –
Seguirono un paio di minuti di silenzio, spezzati solamente dal suono del cucchiaio che affondava nel gelato per poi andare nella bocca di Kurt, e in sottofondo dalle voci della soap opera.
- Stai mangiando gelato – notò Rachel.
- Ottima intuizione, Sherlock
- Tu non mangi mai gelato –
- Sono solo stanco. E depresso –
- Perchè? –
- Mhm nessun motivo in particolare –
- C’entra Karofsky –
- Forse –
- La mia non era una domanda, Kurt. Ne vuoi parlare? –
- Non è niente di che – disse – davvero – aggiunse, tentando di convincere la coinquilina.
- Sicuro? Dubito che mangiare tutto il gelato ti sia di sollievo –
- Me ne pentirò domani mattina –
- Non rimandare a domani quello che potresti fare oggi – recitò la ragazza con tono petulante.
- Promettimi che non commenterai –
- Certo, sai che ti puoi fidare –
- Non sono andato all’appuntamento –
- Che appuntamento? – chiese lei interrogativa.
- Ogni giovedì pomeriggio, alle diciasette e un quarto io e David andiamo a berci un caffè –
- Insieme? –
- Non sono andato oggi – ripetè, ignorando la domanda precedente.
- Non capisco, perchè? –
- Perché avevo paura – disse secco.
- Di cosa? Oh, non ti avrà minacciato di morte, vero? – esclamò allarmata.
- No, anzi –
- E allora perché? – Kurt la guardò, incapace di dirlo. E Rachel ricambiò lo sguardo, accigliata, poi sgranò gli occhi.
- Lo sapevo! Te l’avevo detto. Da quant’è che vanno avanti questi appuntamenti? –
- Quasi cinque mesi –
- Cinque mesi, e non me l’hai mai detto? –
- Rachel ti prego, fai l’amica gelosa in un’altra occasione – disse posando il gelato sul tavolino e passandosi una mano sul viso.
- Mi ha chiamato tre volte – disse poi.
- Cosa gli hai detto? –
- Non gli ho risposto –
- Mi fa un po’ pena, ora, Karofsky. Una misera spiegazione se la merita anche lui. Scrivigli che ti dispiace e che hai avuto un contrattempo –
- Non mi piace mentire –
- perché non vai a parlargli? – Kurt la guardò come se fosse una pazza criminale.
- Dimmi che stai scherzando -
- Perché no? Meglio che poltrire e ingrassare su questo divano, non credi? –



Kurt rimase davanti alla porta dell’appartamento 52 per un tempo che gli parve infinito, incapace di bussare.
Era uscito di corsa, maledicendosi ad ogni passo, aveva preso un taxi ed era finito lì, davanti alla porta dell’appartamento di David Karofsky. E lì si era fermato, indeciso sul da farsi.
- Caro, dovresti bussare – disse una voce tremula. Kurt si voltò di scatto, spaventato.
- Non credo la porta si apra da sola – continuò la vecchietta affacciata dalla porta dell’appartamento di fronte al numero 52.
- Uhm, sì, grazie signora. Mi osserva da molto? – domandò incuriosito.
- Quanto basta per capire che non sai se bussare o meno –
- Ha visto se... se David è in casa? –
La vecchietta annuì – E’ divertente spiare quel giovanotto, sai? E’ tornato a casa prima oggi, e non sembrava molto felice, povero caro. E’ gentile, un po’ scorbutico, ma mi aiuta sempre se ho qualcosa da aggiustare in casa. Poi mi chiede sempre di prestargli le mie riviste –
- Non le pesca dalla sua spazzatura, signora? – chiese Kurt stupidamente, senza pensare.
- Che cosa stai dicendo, caro? –
- Nulla, nulla –
- Sei un suo amico? –
- Più o meno – farfugliò preso in contropiede – devo scusarmi con lui per una cosa –
- Allora ti consiglio di bussare – gli sorrise – buona serata – e rientrò in casa.
Kurt si voltò consapevole che la vecchia lo stesse ancora guardando dallo spioncino. Respirò a fondo e bussò due volte, chiudendo gli occhi.
Sentì dei passi oltre la porta, la serratura scattare e si ritrovò davanti David Karofsky.
- Ciao – disse, intimorito.
- Sono le dieci e mezza, tra dieci minuti inizia la partita, quindi se devi dire qualcosa fallo in fretta – disse bruscamente.
- Mi dispiace – esclamò Kurt non riuscendo più a trattenersi – mi dispiace di non essere venuto oggi – ripetè alzando la voce.
David sussultò appena e si spostò dall’uscio, fecendolo entrare nell’appartamento.
- C’è gente che dorme e la tua voce da donnetta non è il massimo – borbottò richiudendo la porta dietro Kurt.
- E’ acuta, non è da donnetta – lo corresse quest’ultimo punto sul vivo.
- E’ uguale –
- Ascolta, David, mi dispiace di non essere venuto oggi –
- Ti ci sono volute cinque ore per realizzarlo? Una chiamata e non mi sarei disturbato a prendere tre taxi – disse seriamente, le mani nelle tasche dei pantaloni della tuta.
Kurt si morse il labbro evitando di guardarlo in faccia e guardandosi intorno, cercando qualcos’altro da dire; l’appartamento di David era decisamente maschile, certificati e diplomi, palloni da football firmati, bottiglie di birra aperte sul tavolo, televisione accesa, i resti di una cena cinese e qualche tazza sporca nel lavello. Però era pulito.
- Mi dispiace – ripetè per la quarta volta nel giro di quattro minuti.
- Ti si è incantato il disco? – domandò l’altro inspirando, spazientito – Non m’interessa se avevi altri programmi o qualsiasi altra cosa da fatina –
- Me ne sono andato perché ero spaventato, non perché non volessi o avessi altro da fare – precisò, arretrando appena inconsapevolmente.
- Terrorizzato da cosa? – domandò l’altro non capendo – non mi pare di averti minacciato ultimamente – aggiunse con un sorriso amaro.
- N-no, assolutamente – balbettò Kurt, tormentandosi il labbro con gli incisivi.
Karofsky sospirò passandosi una mano tra i capelli corti, rassegnato.
- Senti, perché non pensi a quello che devi dire? Non ho tutta la serata per ascoltare le tue frasi sconnesse, fatina – fece per riaprire la porta, congedandolo che Kurt lo fermò, afferrandolo per un polso, sollevandosi sulle punte dei piedi e sfiorando le labbra di David con le sue.
Il contatto non durò più di un secondo ma, quando si allontanarono, ad entrambi sembrò essere passata un’eternità.
Karofsky fissò Kurt tra il sorpreso e il confuso e Kurt, dal canto suo, si limitò ad arrossire e a farfugliare qualcosa d’incomprensibile.
- F-forse è meglio se me ne vado – biascicò poi, indicando la porta.
- Non credo – David si chinò su di lui e fece scontrare bruscamente le loro labbra, strappando un gemito di sorpresa all’altro che gli prese il volto tra le mani. Si allontanarono appena, necessitando ossigeno, e si guardarono con gli occhi lucidi.
- Dio, volevo farlo da anni – ansimò Karofsky baciandolo con impeto, cingendogli la vita con le braccia e attirandolo a sé. Kurt portò le braccia al suo collo, approfondendo il bacio.
Sentirono il fischio d’inizio della partita alla televisione.
- E’... è iniziata – soffiò Kurt senza fiato.
- Al diavolo anche la partita, ho altri progetti per questa sera, fatina – ringhiò David scendendo a baciargli collo.
Kurt buttò la testa all’indietro gemendo.
- Oh, c-concordo –


Bip*
Segreteria telefonica di Kut Hummel, prego lasciate un messaggio dopo il segnale acustico.
Bip
"Kurt! Sono Rachel, ti prego dimmi che sei vivo e vegeto! Non potrei mai sopportare l'idea di averti mandato diritto diritto verso la morte. Per favore, richiamami"
Bip*




***


Vi meritate un premio se siete riusciti a giungere fino alla fine senza subire danni. Spero di avervi strappato almeno un sorrisino :3
Se aveste dubbi, note, consigli, correzioni, non esitate a farmelo sapere.
Grazie mille per aver letto,
alla prossima

hiccup





  
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