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Autore: Ninfea Blu    01/09/2012    4 recensioni
Storia che nasce da una costola di "Carlisle. L'anima di un vampiro", (riferimento cap. 5, se volete saperne di più) ma potete leggerla anche senza aver letto la storia originale.
Volterra inizio '800. Haidi, la pericolosa vampira dei Volturi, incontra qualcuno, un giovane mortale che la riporta indietro nel passato.
"I suoi occhi... sono ancora qui, in questa stanza. Sono ancora qui, posati su di me. Non sono mai andati via."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Aro, Heidi, Volturi
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun libro/film, Contesto generale/vago
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Rimembranze

Rimembranze

- Il volto di un angelo perduto -

 

 

 

Questo racconto nasce da una costola di “Carlisle. L’anima di un vampiro.”

Si colloca nel periodo successivo in cui il nostro dottore lascia i Volturi, in un anno non precisato d’inizio ‘800. Credo che possiate leggerlo anche senza aver seguito il racconto originario da cui parte.

Buona lettura.

 

 

*******

 

 

Un altro giorno di questa eternità che passa uguale agli altri.

Guardo oltre il vetro della finestra che si apre sulla parete di questa stanza vuota e colgo un brandello di cielo azzurro.

Penso che poteva essere così, il colore freddo dei suoi occhi, prima…

Prima che diventassero caldi come ambra dorata.

I suoi occhi… sono ancora qui, in questa stanza.

Sono ancora qui, posati su di me. Non sono mai andati via.

 

Detesto stare qui dentro, dove il mio sguardo si arresta esausto contro le pareti, indugia sui tendaggi scuri a fissarne le pieghe scomposte; sto qui, sdraiata ad aspettare che se ne vada il sole, mentre vengo assalita da ricordi troppo dolci, che per me, hanno un gusto vago e sconosciuto di felicità. In giorni come questi, mi sento più vulnerabile, benché io sia fatta di una sostanza refrattaria a qualsiasi incrinatura; sono diamante che non si scheggia.

Vorrei che piovesse, o che il cielo fosse grigio e plumbeo come quel giorno ormai lontano, che ci incontrammo per le vie antiche e sonnolente di Volterra, questo borgo all’apparenza così accogliente, che nelle viscere della terra, sotto i tombini di scolo nasconde demoni immortali e una serie infinita di orrori.

L’orrore mi sorprese nei suoi occhi quel primo giorno…

 

C’è troppo sole qui; non ho mai amato l’astro arancione che scalda questa terra feconda di vita, mistero, sangue e anime, generosa di storia e di nobile arte.

Scopro per l’ennesima volta, quanto può essere triste in una giornata di sole, restare al chiuso di questo palazzo, nelle sue stanze segrete, eleganti, fredde e piene di tesori, quadri e arazzi preziosi che Aro ha accumulato attraverso i secoli. Il signore e padrone oscuro di questo luogo, si circonda della luce della bellezza perché forse i vampiri non possono aspirare né raggiungere la luce più sublime.

Non mi era mai pesato in passato, non avevo mai sentito la mancanza della luce come ora.

Forse, perché essa non aveva mai lambito i margini della mia anima dannata.

 

Ero avvolta dalle tenebre, lo sapevo. Vivevo in esse.

Ero come un uccello, che nato e cresciuto in gabbia, non desidera la libertà, finché non la assapora per davvero, almeno una volta; allora, scopre che il gusto è troppo dolce, il profumo troppo buono perché possa scordarlo, e ne vorrebbe di nuovo.

Sono ancora immersa nelle tenebre, ne faccio parte perché sono fatta della stessa materia; affondo nel buio dell’abisso, ma prima non lo sentivo scivolarmi addosso come pesante liquido nero.

Prima c’era solo profonda oscurità in cui galleggiavo sospesa. Prima c’era solo il silenzio di chi non ha anima, né conosce o prova sentimento. Prima c’era solo la notte senza mai il giorno con la sua luce che feriva lo sguardo.

Prima uccidevo senza sforzo, senza il peso del rimorso.

Sappiamo che esistono le stelle, ma non arriviamo mai a toccarle, non percepiamo il loro calore.

Restano distanti e irraggiungibili; sono puntini luminosi nel cosmo, simili a divinità astratte troppo lontane, di cui non possiamo sapere nulla. Poi, per un capriccio del fato, come una cometa, una di queste stelle silenti si stacca dal nero della notte, cade sulla terra e la sua scia gelida, ti sfiora e brucia la tua vita, passa attraverso strati di pelle dura che tutto assorbe, arrivando al centro del tuo essere, lasciandoti un’ impronta sul cuore che pensavi morto. E lì, resta per sempre.

 

Ho sempre odiato il sole; ora, se possibile, lo odio ancora di più.

Ma c’è stato un momento, un luogo e un tempo in cui ho amato il calore che emana questa stella fonte di vita.

È stato quando lui mi fece scoprire quanto poteva essere bello vivere sotto la sua luce, goderne come facevano gli esseri umani, sentirne i raggi caldi sulla nostra pelle troppo fredda. Lo amavo se ero con lui, lo amavo quando faceva brillare la nostra pelle nuda in un campo punteggiato di rossi papaveri, dove noi andavamo a fare l’amore.

Perché quello era amore… almeno per me… e forse, anche per lui…

Come un seme non può germogliare in una terra arida, l’amore è un sentimento che non potrebbe attecchire in esseri come noi; creature bellissime quanto dannate, siamo corpi freddi e vuoti, dominati quasi unicamente dalla sete e dalla lussuria. Eppure, quello era amore.

E lo sapevo, perché era qualcosa che non avevo mai avvertito prima, come una scossa che faceva tremare il cuore, che si propagava nel corpo con forza inaudita, fino a invadere i più remoti pensieri.

Lo ricordo ancora quel giorno incredibile; lontano da palazzo, mi portò nella vasta campagna toscana, tra le spighe di un campo di grano dorato quanto i suoi occhi. Fu strano sentirsi leggeri, con l’illusione di essere innocenti, rincorrersi in quel campo felici come ragazzi che scoprono la gioia della vita.

Dare spettacolo di noi stessi, così…

Sembrava troppo eccitante e pericoloso, perché eravamo totalmente esposti allo sguardo indiscreto di chiunque si fosse trovato a passare di lì, umani o vampiri.

Spogliati Heidi, mi disse. E io avevo timore di farlo.

 

- Sei un vampiro pazzo.

 

- No. Spogliati e fai l’amore con me, qui, in mezzo a questo mare di papaveri, sotto questo cielo senza nuvole, in questa luce pura e cristallina, che fa brillare come diamante le nostre pelli.

 

- Se Aro lo venisse a sapere…

 

- Non aver paura Heidi, non aver paura di sentire la vita. Anche noi possiamo sentirla scorrere… non solo attraverso il sangue… non solo dando la morte…

 

Forse lo era davvero, forse era solo pazzo d’amore e di desiderio, lo stesso che sentivo io.

Forse il suo era solo desiderio di vita.

Mai avevo osato tanto. Mai mi ero sentita così: investita dalla luce.

Trasformata dall’amore.

Era come ritrovare la propria anima senza sapere di averla smarrita.

Lui credeva che anch’io ne avessi una; non lo credevo e pensarlo mi sembrava blasfemo.

Non mi spiegavo come fosse possibile. Eppure era vero.

Com’è vero che adesso soffoco tra queste mura consumate dal tempo e dalle mie lacrime invisibili, in questa stanza che ha visto i nostri amplessi appassionati, custodito i nostri sospiri, che ora accoglie solo il silenzio di un cuore che non batte più e la tristezza di una vita rimasta senza luce.

E io sono ripiombata nel buio; ora lo sento tutto, il peso.

Adesso non è più come prima.

Mi ha abbandonata anche l’indifferenza.

Adesso guardo le mie ignare prede, le osservo subire il mio fascino letale e vedo che sono uomini. Spio la luce dei loro occhi, una fiammella che danza eccitata e mi accorgo del momento preciso in cui si spegne, rapita dal morso della morte. Presto ci saranno altre vite da andare a prendere, ma non oggi; questa giornata è troppo limpida e tersa.

Tornerà un altro giorno grigio come metallo, a sporcare il cielo di Volterra, e io dovrò uscire da questa stanza, fredda quanto lo sono io, per cercare nuove vittime da sacrificare sull’altare della sete dei Volturi.

Io, sacerdotessa di un rito terrificante di morte, che celebravo tranquillamente senza nessuna esitazione o senso di colpa, finché non ho assistito alla tragedia che compivo attraverso i suoi occhi pieni di compassione, che mi guardavano allontanarmi dalla nostra alcova, mi supplicavano smarriti di restare, mentre la sua mano tesa sul lenzuolo cercava di trattenermi. Cercava di salvarmi e io ero già persa, senza rimedio.

 

- Non andare Heidi, ti prego.

 

Non potevo ascoltarlo. Non potevo essere altro da ciò che ero e che sono. Pensavo che avesse torto.

E tornare ogni volta, dopo il compimento della mia opera nefasta, era una ferita in più per lui, e una nuova amarezza per me. Mi sentivo come non mi ero mai sentita, come chi tradisce l’amato, lo umilia e lo sfianca; sa che sta sbagliando, ma, se pure afflitto dal rimorso, persevera nel suo errore, troppo debole per resistere o rinunciare.

Lui voleva cambiarmi e forse, ci sarebbe riuscito. Lui voleva cambiare tutti noi.

Ma non si può trasformare i demoni in angeli.

Il mio angelo buono è passato una volta, e una volta soltanto, io ho amato davvero.

Non potevo trattenerlo senza distruggerlo e l’ho lasciato volare via per salvarlo.

 

 

******

 

 

Vago lenta attraverso le strade di Volterra; non ho ancora scelto le prede che fatalmente, mi seguiranno docili e inconsapevoli, nel loro ultimo viaggio. La caccia non è altro che un gioco sottile, in cui sono maestra: sono il predatore che nessuno vede, che si camuffa abilmente nell’ambiente circostante. E quando mi vedono è troppo tardi.

Il vento sfiora appena il mio volto celato da una veletta nera che nasconde il mio sguardo rosso vermiglio.

Sono una cortigiana dal fascino ambiguo; pelle candida di velluto, nascosta in preziosa seta ricamata, guanti neri nascondono le mie braccia bianche e lisce, e i miei capelli color mogano sono acconciati con grazia in una crocchia. Un parasole mi protegge da un raggio impertinente che potrebbe oltrepassare la coltre delle nubi.

Le mie scarpine sul selciato non fanno rumore mentre mi muovo con la grazia di un cigno che scivola sull’acqua. Passo accanto alla gente che quasi non avverte la mia presenza, se io non voglio farmi notare. Mi muovo come un’ ombra silenziosa.

Osservo la vita umana che mi passa accanto. Ne afferro i rumori, i profumi; il vociare di bambini che corrono, carri e carrozze che passano, in lontananza il suono degli zoccoli di cavalli portati al trotto, uomini e donne che camminano per strada, che parlano, ridono. Lui mi diceva che era il rumore della vita.

Percorro a passo leggero le stradine strette.

Accanto alle case, dalle finestre lasciate aperte arrivano profumi d’ogni genere; di latte e formaggio, di pietanze cucinate che feriscono i miei sensi troppo acuti, e dalle botteghe degli artigiani arriva l’odore di pelli conciate, di inchiostri, di tinture per tessuti, odore di fatica e di sudore.

Odore di sangue, di animali macellati. Eccitazione. Odore di pericolo.

Non ho ancora posato gli occhi su nessuno.

Non ho ancora scelto chi tra le mie vittime mi farà sentire in colpa.

Incontro un curato con la Bibbia in mano, e il mio sguardo si sofferma su di lui per un istante, sufficiente a farlo vacillare; il santo bigotto in abito talare, suo malgrado, resta affascinato, irretito, sento il suo sconcerto di fronte alla mia inquietante bellezza. Probabilmente dall’abbigliamento, mi giudica una donna di malaffare e non sospetta quanto sia peggiore la mia natura; sono ciò che lui combatte, male reale che pure non può conoscere.

Sorrido.

Penso a come mi piacerebbe svelarmi davvero, mostrargli il demonio che sono, ma non posso.

Una legge assoluta stabilisce che nessun abitante di Volterra debba essere portato dentro il palazzo.

Arrivo davanti alla facciata di una chiesa di epoca romanica, severa ed essenziale nelle linee architettoniche.

Un gruppo sparuto di uomini e donne in abiti eleganti vi sostano davanti; stranieri in visita, gente che vuole ammirare l’interno di Santa Cecilia. * Gentiluomini in cappello a cilindro e bastone, avvolti nelle loro marsine scure, accompagnati da raffinate signore alla moda. Mi avvicino a loro; silenziosamente, col passo felpato di un felino, arrivo alle loro spalle. La mia voce è fatta per sedurre: con essa attiro le mie vittime.

“Signori, dopo la chiesa, vi piacerebbe visitare la collezione privata di arazzi di una nobile e antica famiglia di Volterra? Sono di fattura squisita, di altissimo pregio. Non ve ne pentirete.” Incanto per le loro orecchie.

Si voltano tutti, uomini e donne, per vedere a chi appartenga una voce tanto soave e musicale.

Il gruppo di vittime designate si apre come un sipario a rivelare un volto, e lo sconcerto non è più solo il loro.

 

Non credevo che un’ anima morta potesse sussultare, catturata da un’ immagine, un fantasma prepotente che torna a galla dal passato. Un ragazzo di forse vent’anni, troppo avvenente anche per essere un semplice umano, mi sconvolge per le fattezze angeliche di un viso in cui spiccano due occhi celesti, trasparenti come acqua di sorgente e capelli biondi che paiono morbidi come miele. Sento il suo profumo così particolare.

I suoi occhi… dovevano essere così.

Dimentico che sono io il predatore.

E divento preda. Del vento impetuoso del ricordo che spalanca le porte della mente, di un dolore struggente e sconosciuto che fa tremare l’oscurità che ho dentro; di una nostalgia tenera che soffia sul cuore e pare rianimarlo; di due occhi troppo limpidi che mi fissano curiosi e timidi, mentre la gelosia per la giovane donna al suo fianco, scatena la rabbia più sorda e istantanea nel mio petto.

La ucciderei… solo perché è vicina a lui.

 

“Non possiamo che accogliere l’invito di una signora così bella e affascinante.”

Non è la sua voce, ma quella di uno dei gentiluomini; quasi non presto attenzione alle sue parole, perché il mio sguardo non riesce a staccarsi dall’angelo che ho di fronte. Li accompagno dentro la chiesa, dove vorrei separare il mio angelo perduto dagli altri. Ma soprattutto da lei, che resta attaccata al suo braccio, che sorride mesta alle sue lodi e risponde col rossore sulle gote, mentre una strana luce complice, scende dalle vetrate a illuminare la navata della chiesa e scalda l’atmosfera che li circonda. Io li osservo mentre camminano immersi nella luce, ma è lui che mi affascina più di tutto; rubo ogni dettaglio del suo volto, ammiro i lineamenti perfetti, le labbra, il naso diritto, guardo la luce giocare con le onde dei suoi capelli che si accendono di riflessi dorati.

Il gruppo si è sparpagliato e la giovane coppia è davanti a una piccola cappella, ferma nella contemplazione di una pala d’altare che raffigura il martirio di una santa cui tagliano la lingua, ed è in quel momento che l’angelo si volta nella mia direzione. 

Una breve distanza mi separa dall’oggetto delle mie brame.

Fisso il mio sguardo come un magnete su di lui e i nostri occhi si allacciano; ho lanciato l’esca che lo catturerà senza scampo. Mi basta guardarlo con sufficiente insistenza, per esercitare la mia malia. Il ferro non può resistere ad una calamita. So che è solo questione di pochi minuti: il mio angelo perduto lascerà il braccio di quella insignificante mortale, così scialba ai miei occhi, così indegna di tanta avvenenza. Infatti, sorrido compiaciuta, quando lo vedo abbandonare la fanciulla per raggiungermi. I miei occhi l’hanno catturato e gli lancio un ultimo sguardo per invitarlo a seguirmi: non mi servono parole per rapirlo, mentre mi spingo in direzione della navata opposta.

Mi nascondo dietro un grosso pilastro prima di puntare decisamente verso l’uscita. Sento i suoi passi che quasi mi rincorrono. Lascio che mi raggiungano solo all’esterno, fuori dalla chiesa.

Mi si avvicina, non potrebbe fare altro. È già mio.

“Posso sapere il vostro nome, bella signora?”

Sento la sua voce così vicina al mio orecchio e sono sorpresa: non è come mi sarei aspettata. In un aspetto tanto fine e delicato, pensavo potesse accordarsi una voce dal timbro acuto, quasi fastidioso, ma la sua è profonda, calda, molto maschile.

“Haidi… Mi chiamo Haidi. Il tuo nome, straniero?” chiedo, e so che la mia voce può ammaliarlo solo di più.

“Carlos.” E non aggiunge altro, deglutisce quasi incapace di parlare.

 

 Carlos… Carlisle…

 

Basta il suono di un nome a evocare un altro volto, legato ad altrettanti ricordi.

Continuo a guardare Carlos, a contemplare il suo magnifico aspetto e ugualmente avverto il profumo esaltante del suo sangue giovane e fresco, nettare troppo invitante che fa bruciare di tentazione malsana la mia gola bagnata di veleno. La passione che domina il demonio che sono è uguale da secoli, mai sopita e soddisfatta, mai sazia di vita; immagino di dargli il mio bacio mortale mentre lo stringo furiosamente tra le mie braccia, come un’amante gelosa e avida; non lo concederei ad altri, neppure ad Aro in persona. E per fortuna, giunge di nuovo la sua voce a distrarmi dai miei propositi.

“Dove sono custoditi questi arazzi di cui avete parlato? Vi sembrerò ardito e sfacciato, ma vorrei vederli, solo in vostra compagnia.”

Per stare con me, ha dimenticato la sua compagna abbandonata nella quiete in penombra di una navata. Non mi sorprende: conosco il mio potere, irretisce le menti umane, che plagiate, fanno ciò che voglio. Ma per una strana perversione, in questo caso, non mi accontento. Non risponderò alla sua domanda, ma voglio sapere se ha soffocato altri sentimenti per seguire il mio richiamo.

“Chi è la giovane donna cui vi accompagnavate poc’anzi, e che avete lasciato dentro una chiesa, per seguire una sconosciuta?”

“È la mia promessa sposa, signora. Mi sento indegno di lei, ma sono qui a supplicarvi, calpestando il mio orgoglio come mai avrei pensato di fare: mi concedete un’ ora sola con voi? Non so come sia che avete stregato il mio cuore. E vi giuro: non sono solito a simili comportamenti.”

È una supplica accorata e impetuosa come il turbamento che la suggerisce.

Turbamento che dovrebbe essermi indifferente, se non fosse per i suoi occhi freddi, troppo accesi di emozione dolorosa. Si sente in colpa il mio angelo, e questa è forse la cosa che mi sorprende di più. Avverto qualcosa dentro di me che non pensavo di sentire di nuovo, una sensazione forte, un moto convulso, un tremito che corre sulla mia pelle fredda, il fremito di un’ala ferita che sbatte senza poter volare. Lo riconosco immediatamente: era quello che mi faceva sentire lui.

Carlos non può vedere l’orrore che dilata le mie iridi, lo spasimo che mi prende violento, attraversarmi come un fulmine che incenerisce un albero.

Un secondo lungo come la mia eternità.

Forse è la follia che mi fa parlare.

“No, sbagliate: è lei a essere indegna di voi. – Proseguo con decisione, e forse, un pizzico di malizia. -  A pochi isolati da qui, c’è una piccola piazza, poco frequentata. Aspettatemi lì; vi raggiungerò tra poco meno di un’ ora. Non preoccupatevi per i vostri amici, né per la vostra fidanzata. Mi occuperò di loro e giustificherò in maniera adeguata la vostra improvvisa assenza.”

Carlos mi scruta per un istante, forse vorrebbe dire qualcosa, ma si accorge che non può; si allontana velocemente nella direzione da me suggerita, e io mi appresto a tornare dentro Santa Cecilia. Il gruppo elegante di uomini e donne si attarda ancora tra le navate, ignari di cosa li aspetta; mi chiedono del giovane che era con loro, la fanciulla sembra preoccupata, ma bastano poche parole dette con voce suadente a rassicurarla. La osservo; è fragile e delicata, la pelle trasparente venata d’azzurro, il sangue le colora debolmente le guance.

Una vergine, di quelle che Aro preferisce. Non solo per il sangue.

Un’ora è il tempo che ci vuole ad accompagnare le mie ignare vittime al Palazzo dei Priori, fare ciò che va fatto e tornare dal mio angelo. E fremerò nell’attesa.

E gioirò se potrò dissanguare la sua mortale e fragile promessa sposa.

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

* Il nome della chiesa è di pura invenzione.
   
 
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