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Autore: ermete    01/09/2012    28 recensioni
Prima che John possa stupirsi del gesto del micino, si sente gravare addosso un peso ben diverso: abbassa lo sguardo e si ritrova sdraiato su di sè un nudissimo Sherlock con tanto di orecchie feline ed una lunga coda nera ciondolante per aria.
“Sh-Sh-Sherlock?” indietreggia John, quasi sdraiato, facente perno sui gomiti “Cosa... diavolo...?”
“E’ un sogno, Jawn.” risponde Sherlock, gattonando verso John.
“Perchè diavolo dovrei sognarti nudo?” balbetta John, toccando con la schiena un muro bianco che gli impedisce di allontanarsi ulteriormente dall’uomo-gatto.
“Perchè è così che mi vuoi. Ovviamente.” Sherlock posa le mani sulle ginocchia di John, aprendole per riuscire a strusciarsi sopra di lui, per raggiungergli nuovamente il viso “Tu mi vuoi.”

Note: dream!catlock
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Agli occhi dei gatti, tutto appartiene ai gatti

Quando Tom uscì dal portone del caseggiato in cui abitava, fu subito fermato da una donna sulla trentina vestita elegantemente di nero.
“Signor Stone.” lo chiamò Anthea, senza neanche alzare lo sguardo dal blackberry.
Tom si fermò, rispondendo istintivamente “Sì?”
“La prego di salire in macchina.” disse, alzando finalmente lo sguardo dal telefono: con un cenno del capo gli mostrò la lussuosa macchina di servizio accostata al marciapiede.
Tom inarcò un sopracciglio, alternando uno sguardo stranito tra Anthea e l’automobile. Schioccò quindi la lingua sul palato, alzando le spalle per evidenziare una certa noncuranza “No, grazie.”
Anthea sorrise divertita “Non era una domanda.”
Tom ricambiò il sorriso, ancor più giocondo “La mia risposta invece era definitiva.”
In quel momento si abbassò il finestrino posteriore del lato destro della vettura: si palesò agli occhi di Tom il mezzobusto di Mycroft, che gli rivolse un sorriso molto tirato, di quelli diplomatici, freddi e meno che mai sinceri “Signor Stone, salga in macchina.”
Tom allargò le braccia verso l’esterno, improvvisando una finta condiscendenza “Oh, beh, se è lei a chiedermelo allora...” scrollò il capo, dunque, diventando improvvisamente serio “No.”
“Non è neanche un po’ curioso di sapere chi sono?” tentò Mycroft, sistemandosi il nodo della cravatta “I Filosofi non sono sempre pieni di domande?”
“Di tipo esistenziale.” risposte Tom, quasi automaticamente, iniziando in realtà a chiedersi chi fosse quell’uomo e come facesse a conoscere il suo nome e la sua professione. Tentò tuttavia di mantenere una falsariga sarcastica, onde non scoprirsi più di quanto già fosse “Anche se effettivamente mi domando... perchè me? Perchè lei si è svegliato questa mattina e ha deciso di importunare proprio me?” recitò, iniziando a muovere qualche passo verso il lato sud della via “Ci rifletterò sù, grazie mille per il suggerimento. Se pubblicherò un articolo a riguardo la citerò nei ringraziamenti.”
Mycroft stette al gioco “Dovrebbe conoscere il mio nome per poterlo fare.” fece poi un quasi irriconoscibile cenno all’autista che iniziò a muovere la macchina, seguendo i passi di Tom “Io sono Mycroft Holmes.”
“Un nome eccentrico, senza dubbio. Ma non mi dice nulla.” osservò di sottecchi la macchina che lo seguiva ed iniziò a seriamente a chiedersi che cosa volesse quell’uomo che, per quanto lo riguardava, poteva benissimo essere un malavitoso che l’aveva confuso con qualcuno che gli doveva grosse somme di denaro.
“Fratello di Sherlock Holmes.” aggiunse Mycroft.
“Ritenti.” ribattè ironicamente.
“Sherlock Holmes è il coinquilino di John Watson.” chiarì infine Mycroft, non troppo stupito, in verità, che John fosse stato così discreto da non rivelare chi fosse suo fratello. Solo in quel momento Tom capì, collegando nella propria mente il nome di John a quello di Sherlock, che il dottore aveva rischiato più volte di pronunciare almeno per metà “Lei ha a che fare con John?” capire che l’uomo che lo stava seguendo era collegato a John e al suo coinquilino, tuttavia, lo confuse maggiormente.
Mycroft sorrise quando vide Tom fermarsi una volta udito il nome del dottore “Sono lieto di avere finalmente la sua attenzione.” sospirò con aria grave: odiava le perdite di tempo “Salga in macchina.”
Tom iniziò ad innervosirsi e certamente la presunzione che Mycroft trasudava non lo aiutava a sopportare meglio la situazione “Perchè non scende lei?”
“Preferirei parlarle in privato.” sibilò Mycroft, la cui pazienza stava iniziando a vacillare “Salga.”
“No. Scenda lei.” offrì Tom: non gli avrebbe parlato a meno che non si fosse almeno scomodato a scendere dalla macchina “La aspetto in quel bar se ha bisogno di me.”
Mycroft sbuffò: era un uomo decisamente pigro e abituato ad essere circondato da persone che lo compiacevano in tutto, quindi non apprezzò l’iniziativa di Tom che, tuttavia, si ritrovò a dover assecondare.

Quando Mycroft raggiunse il tavolo a cui Tom era seduto, l’altro aveva già ordinato solo un caffè per sè. Lo studiò a fondo, soffermandosi sul suo bel volto “Gli somiglia molto, sa?” Mycroft gli si sedette di fronte, appoggiando il manico dell’ombrello sul bordo del tavolino. Si stupì quando non trovò alcuna reazione di sorpresa a quella sua osservazione, intuendo quindi che Tom fosse a conoscenza dell’esistenza di Sherlock, eccezion fatta per il suo nome “Oh, dalla faccia che ha fatto deduco che lo sa bene. Non le dà fastidio fare da sostituto?”
“Cosa vuole da me il fratello del coinquilino dell’uomo col quale sto uscendo?” marcò col tono di voce il ruolo di Mycroft in quella particolare situazione, sottolineando implicitamente quando dovrebbe in realtà essere molto lontano dall’occuparsi della sua situazione sentimentale.
A Mycroft, tuttavia, importava ben poco di essere inopportuno “Non lo intuisce?”
“Mi è venuta in mente una sola idea.” Tom rise nervosamente, ma non perchè temesse Mycroft, bensì per la sua intrusione nella sua vita privata “Ed è veramente stupida.”
Mycroft controllò l’orologio da taschino: aveva già sprecato fin troppo tempo quindi decise di tagliare corto “Non deve più frequentare John Watson.”
Tom fece schioccare le dita della mano destra “Visto? Avevo ragione.” indicò Mycroft con la stessa mano che aveva ancora a mezz’aria “Molto stupida.”
Mycroft roteò gli occhi per aria, quindi aggiunse “Posso pagarla.”
A quell’affermazione, Tom perse anche la benchè minima voglia di scherzare “Ecco. Questo oltre ad essere stupido è anche molto offensivo.”
“Non le ho detto la cifra.” infierì Mycroft col suo miglior sorrisetto fetente.
“Sia nei miei riguardi, che nei confronti di John.” sibilò Tom, senza smuovere la propria postura che si era fatta rigida, seppur composta.
“Non avete futuro insieme.” spiegò Mycroft, un po’ perchè lo pensava davvero, un po’ perchè aveva fretta di risolvere la situazione “Smettete di frequentarvi ora, prima che qualcuno ci rimanga troppo male.”
Tom inarcò gli angoli della bocca in un sorriso di circostanza “John ed io sappiamo quello che facciamo.”
“Sto parlando di mio fratello.” sospirò Mycroft, senza staccare lo sguardo da Tom che continuava a studiare. Avrebbe potuto descriverlo in tre parole: perfezionista, artista, combattivo. Non pensava che quelle tre parole potessero combinarsi nella stessa persona, eppure eccolo lì: perfezionismo intuito grazie alla profonda precisione riservata al vestiario e alla cura generale della propria persona; artista perchè non insegna semplicemente Filosofia, non si limitava a conoscere tutti i più grandi pensatori, le date, le correnti di pensiero, lui aveva la sua filosofia, lui era un filosofo; combattivo, per la grinta con cui difende se stesso e la persona attualmente più vicina a lui.
Tom, dal canto suo, iniziò a capire il motivo della richiesta di Mycroft: se quell’uomo era arrivato ad offrirgli dei soldi pur di non frequentare John perchè questo avrebbe fatto soffrire suo fratello, allora poter dire una sola cosa. Scrollò il capo una volta raggiunta quella consapevolezza “Suo fratello è un idiota.”
Mycroft rise, questa volta sinceramente “Non me la sento di dissentire del tutto in effetti.”
“Se davvero suo fratello tiene così tanto a John, allora che glielo dimostri.” Tom bevve in fretta il suo caffè intiepidito e si alzò in piedi “Ma se lui non farà nulla, allora John me lo terrò io.”
“Un consiglio per le sue future relazioni, signor Stone.” Mycroft prese in mano l’ombrello e lo alzò a mo’ di asta, per bloccare i passi di Tom “Le conviene sempre controllare che non ci siano delle telecamere a circuito chiuso pronte a riprenderla mentre tenta un approccio spinto nei confronti del suo partner.”
Tom spalancò la bocca esterrefatto “Ci ha spiati?” scrollò il capo, indignato più che imbarazzato “Lei è senza morale!”
Mycroft sbuffò con un’alzata di spalle “Ferisce più la spada.”(1)
Tom scansò l’ombrello di Mycroft con un gesto brusco per riuscire a superarlo “Se il potere fosse assegnato in base alla superbia, suppongo che lei sarebbe padrone del mondo.”
“Oh, non si preoccupi.” Mycroft si alzò a sua volta, avvicinandolo nuovamente “Mi accontento dell’Inghilterra.” sussurrò, trasudando tutta la presunzione di cui era dotato.
Tom non riuscì a replicare: non gli mancavano certamente le parole, ma di fronte a quel mostro di amoralità mista a superbia non riuscì a trovare nulla con cui batterlo in retorica. Un altro motivo per essere furioso con quel damerino, pensò.
Uscì di fretta dal bar e si avviò verso il parcheggio riservato ai motocicli, iniziando a digitare un sms.

Sei in ospedale? Tom

Sono a casa. Che succede? JW

Dobbiamo parlare subito. Tom
Regent’s Park. Tra dieci minuti. Tom

Devo preoccuparmi? JW

Spero di no. Tom


°oOo°


Non appena John lesse l’ultimo sms inviatogli da Tom, si affrettò a recuperare la giaccia e le scarpe dalla propria camera da letto. Poi, non appena tornò nel soggiorno, sentì Sherlock piagnucolare “John? Mi fai il the?”
“No, sto uscendo.” si sedette sul divano per infilarsi le scarpe, quando sentì Sherlock sdraiarsi e poggiargli la testa sulle cosce “Che fai? Non hai sentito quello che ti ho detto?”
“Dove devi andare?” Sherlock, preso da un particolare slancio affettivo, gli cinse il torso con entrambe le esili braccia.
“Sherl...” borbottò John, sentendosi avvampare per quel contatto così ricercato e così paurosamente vicino al suo inguine “Dai, lasciami. Ho una certa fretta.”
Sherlock ringhiò di rabbia, ma alla fine lo lasciò andare, stringendosi in posizione fetale sul divano, con le spalle rivolte a John “Non ti sei ancora stufato dopo due mesi?”
“Sei adorabile quando fai il geloso.” ridacchiò John, per poi lanciare il cellulare di Sherlock sul divano “Hai un messaggio da leggere.”
“Io? Geloso?” si strinse ancor più nelle spalle, affondando il viso nel cuscino del divano “Non potresti essere più in errore di così.” mentì, ovviamente, per poi recuperare il cellulare che John gli aveva lanciato.
“Ciao, tesoro.” scherzò John, memore del soprannome che era solito affibbiare al gatto-Sherlock dei suoi sogni e che in quel momento era così simile a quello reale. Orecchie e coda a parte.
“Come diavolo mi hai chiamato?” urlò Sherlock, ma John era già sulle scale e pochi istanti dopo aveva chiuso il portone del 221B dietro di sè. Sbuffò abbattuto, quindi, arrabbiato per quella stessa frustrazione provata, sbloccò in malo modo la tastiera del blackberry “Se non è Lestrade con un nuovo caso...”

Sto arrivando. Devo parlarti di una cosa importante. MH

“Mycroft, sei peggio di una zecca!” sbuffò Sherlock, deluso dalla mancata convocazione a Scotland Yard per una consulenza investigativa.

Allora è un buon momento per uscire di casa. SH

Sono serio. Riguarda John. MH

Le pupille di Sherlock si assottigliarono finchè non diventarono piccole come due spilli. Che Mycroft sapesse qualcosa di più sulla donna di John? Se Mycroft aveva delle informazioni, visto che lui non era riuscito ad intuire poi molto, allora, almeno per quella volta, lo avrebbe ascoltato.

Va bene. SH


°oOo°


John impiegò pochi minuti per arrivare a Regent’s Park a piedi: il passo era affrettato, preoccupato dal contenuto degli sms inviatigli da Tom. Non riusciva ad immaginarsi il motivo di tanta urgenza e l’assenza di qualsivoglia accenno scherzoso da parte sua lo allarmava ulteriormente. Quando riconobbe la sua figura seduta su una delle panchine più vicine all’ingresso del parco, notò che Tom stava torturando nervosamente le cuffie del suo i-pod, con lo sguardo fisso nel quadrato d’erba di fronte a sè e la mascella serrata rigidamente. Era così assorto nei suoi pensieri che non si accorse di John neanche quando gli si sedette accanto.
“Tom?” provò a chiamarlo a bassa voce, cingendogli le spalle col braccio destro che andò a poggiare sullo schienale della panchina.
Tom scrollò il capo, uscendo finalmente dal proprio mondo “John.” si voltò e lo strinse forte, per molti motivi. Perchè capì che sarebbe finita, perchè era sicuro che il suo avversario si sarebbe fatto avanti. Perchè, nonostante fosse felice per John, sapeva che avrebbe sentito la sua mancanza. E semplicemente perchè voleva farlo, perchè abbracciare quell’uomo così dolce e gentile era una delle cose più belle che avesse mai fatto in vita sua.
John ricambiò la stretta, a sua volta per molte ragioni: perchè l’idea di riuscire a rassicurarlo lo faceva sentire bene, per proteggerlo in quella che era la prima volta che lo percepiva vulnerabile e perchè sapeva di provare per lui un grande affetto “Cosa succede?”
Tom si staccò e lasciò che la tristezza lasciasse posto ad una piccola vena rabbiosa “Ho avuto il piacere di conoscere Mycroft Holmes.”
“Oh...” John allungò di molto quell’unica vocale, scuotendo più volte il capo “Mi dispiace così tanto, Tom.” ed era veramente mortificato, perchè se un uomo calmo e allegro come Tom era ridotto ad un groviglio di nervi non poteva che essere per colpa di quel disgraziato di Mycroft.
“John, tu hai a che fare con gente così?” domandò incredulo, con un tono che, nonostante l’entità della domanda, non era accusatorio “Con gente che offre soldi in cambio di...”
“Ti ha offerto dei soldi per fare cosa?” lo interruppe John digrignando i denti: odiava quando Mycroft usava il suo potere in quel modo, lo riteneva un insulto verso coloro che sono costretti a centellinare il proprio stipendio per riuscire ad arrivare alla fine del mese.
Tom inspirò a lungo, quindi confessò con la voce incrinata dal fastidio di quel ricordo “Per smettere di uscire con te.”
“Figlio di...” John strinse entrambi i pugni finchè le nocche non diventarono bianche “Questa volta lo uccido.”
Tom sospirò, quindi appoggiò le labbra sulla tempia di John per cercare di calmarlo “John.”
“Mi spiace Tom. Mi spiace che tu abbia dovuto subire quest’offesa.” abbassò lo sguardo, cercando la mano dell’altro che iniziò a stringere, mortificato “Scusa.”
Tom decise che era arrivato il momento di sorridere, anche se in quel momento era turbato e a sua volta arrabbiato. Voleva sorridere per John, perchè vederlo in quello stato era anche peggio che farsi offendere dal primo sconosciuto che ti ferma per strada “Perchè ti scusi tu?”
“Perchè è colpa mia se ti è successo tutto questo.” John rialzò lo sguardo, lasciandosi curare dal sorriso di Tom “Tu hai conosciuto me. Io ho a che fare con Sherlock. Sherlock è fratello di Mycroft che è il maledetto Governo Inglese e quindi crede di poter fare tutto quello che vuole!”
“Il Governo Inglese?” ripetè Tom, che a quel punto capì tutta l’esagerata presentazione inscenata da Mycroft e la sua giustificata, ma comunque eccessiva, sicurezza in se stesso “Ah ecco spiegata la questione delle telecamere.”
John ebbe paura a chiederlo, ma non potè farne a meno “Cosa?”
Tom alzò lo sguardo per aria, facendo roteare gli occhi a destra e a sinistra “A quanto ho capito ha visto la nostra performance di ieri sera.”
“Oddio.” imprecò John, che non si sfogò lanciando pugni per aria solo perchè sentì Tom cingerlo in un abbraccio morbido e confortante “Lo uccido. Questa volta lo uccido. Anzi, prima te lo lascio torturare un po’ e poi lo uccido.”
Tom rise e lo strinse maggiormente “John.” lo richiamò con un bacio a fior di labbra, approfittando di quelli che sapeva sarebbero stati i loro ultimi momenti insieme “Non vuoi sapere perchè mi ha chiesto di non uscire più con te?”
“Perchè vuole che io stia sempre appiccicato a suo fratello.” John si staccò un poco, sedendosi composto, ma pur sempre a contatto con Tom, la cui mano continuava a stringere istintivamente “Lui non può proteggerlo come vorrebbe perchè non vanno d’accordo, mentre io sono l’unico al mondo che lo sopporti.”
“Io credo che lui sia convinto del fatto che Sherlock sia innamorato di te.” lasciò la propria mano alle cure di John, permettendogli di sfogare quel bisogno di contatto con tranquillità “A proposito, Sherlock Holmes? L’investigatore privato di cui parlano tutti i quotidiani?”
John lo corresse quasi senza accorgersene “Consulente investigativo. E sì, è lui.” scrollò poi il capo, negando per l’ennesima volta, come se ormai fosse diventato un riflesso spontaneo “Ma la cosa che pensi tu non esiste. Lo credono tutti perchè ci vedono sempre insieme, ma non è vero.”
A Tom sfuggì una breve risata “Ok, siete idioti in due allora.”
John tirò la mano di Tom “Cosa?”
“Siete due idioti.” ripetè Tom, per poi tirare a sua volta la mano di John, giocosamente.
“No, quello l’ho capito.” borbottò John “Ma perchè? Almeno tu non credere a quello che dice la gente.”
Tom assottigliò lo sguardo su John, studiando tutte le sue reazioni “Anche suo fratello, Mister Simpatia, ne è convinto.”
John fece spallucce “Te l’ho detto, a Mycroft fa comodo che io prenda cura di suo fratello.”
Tom scrollò il capo “John, ma perchè fai così?” sussurrò, accarezzandolo con un tono di voce confidenziale e rassicurante.
John indietreggiò un poco con le spalle, ponendosi subito sulla difensiva “Così come?”
“Sei innamorato perso di lui e appena ti si presenta la possibilità che lui possa provare qualcosa per te, ti tiri indietro, scappi.” rinvigorì la stretta sulla sua mano, ma non si avvicinò oltre, notando la sua piccola fuga preventiva “Perchè? Di cosa hai paura?”
“Perchè c’è la nostra amicizia di mezzo.” John alzò lo sguardo, osservando istintivamente in direzione della vicina Baker Street “Se poi non dovesse finire bene, lui sarebbe di nuovo da solo.”
Tom gli sorrise pazientemente “Perchè non dovrebbe finire bene?”
“Perchè è probabile che succeda tra due persone che decidono di stare insieme. Litigare e lasciarsi.” John scrollò il capo: la sola prospettiva di non vivere più assieme a Sherlock lo terrorizzava. Ne era dipendente ormai: dalla sua follia, dalla pigrizia, dalle stranezze, dagli esperimenti che fanno puzzare l’appartamento per giorni e dal violino suonato a tutte le ore. Così come dalle serate Doctor Who, dai suoi piccoli grandi gesti che nascondevano le sue scuse sincere perchè chiedere semplicemente ‘scusa’ era troppo noioso, dal sapere che, a modo suo, era importante per lui. Non poteva rischiare di perdere tutto quello, non poteva rischiare di perdere Sherlock “E se ciò accadesse non potremmo più tornare indietro.”
“John, tu non sei una persona pessimista. Perchè ora parli così?” incalzò Tom: voleva andare a fondo in quella situazione, doveva capire tutto per riuscire ad aiutare come meglio poteva.
“Perchè ho visto come sono andate le mie ultime relazioni!” esplose John, spaventando una signora sulla cinquantina che passeggiava a pochi passi da loro assieme al suo chihuahua color beige “La mia media, e me l’ha detta proprio Sherlock, è di cinque settimane e due giorni!”
Anche Tom sbottò, facendo definitvamente cambiar strada alla signora con annesso cane da borsetta “Le tue storie non funzionavano perchè avevi Sherlock in testa!”
John aprì la bocca per ribattere, ma finì col richiuderla. Aveva torto, quindi perchè cercare di mentire con l’unica persona che lo stava aiutando? “Sono uno stupido.” sospirò, appoggiando la fronte sulla spalla di Tom “Sono stato in guerra, ho affrontato terroristi a mani nude e corso in mezzo ad un campo minato per fuggire dai colpi di mortaio, ma quando si tratta dei miei sentimenti per Sherlock divento un codardo.”
“Non sei un codardo.” Tom gli avvolse le braccia attorno al collo e lo strinse dolcemente prima di fargli alzare il volto “Sei innamorato. E quanto ci scommetti che lo è anche Sherlock?”
Tom abbassò il volto il tanto che bastava che raggiungere le labbra di John: non c’era passione in quel bacio, non c’era gioia e non c’era nemmeno l’anima scherzosa con cui Tom riusciva a colorare la sua vita e quella delle persone che lo circondavano. Era un bacio debole, asciutto, che sapeva solo di congedo, di separazione, di commiato. Perchè dire che sapeva di addio era troppo triste da affrontare in quel momento. L’aveva capito Tom, così come l’aveva compreso John.
Tuttavia, a poche decine di metri di distanza, qualcun’altro assistette a quel bacio e travisò completamente il suo significato intrinseco. Qualcuno che John notò subito dopo essersi allontanato dal viso di Tom, verso il quale alzò uno sguardo terrorizzato e allarmato.
John si drizzò in piedi “Tom, scappa.”
“Scappare?” si alzò a sua volta, fiancheggiandolo e osservando nella stessa direzione di John.
John annuì, senza staccare gli occhi dal ciclone che li stava per investire “Sì. Non l’ho mai visto così.”
Tom non sapeva se preoccuparsi sul serio o se pensare che John stesse impazzendo “Chi?”
John inspirò profondamente, pronto ad affrontare la tempesta “Sherlock.”


°oOo°


Venti minuti prima...

Cinque minuti dopo che John ebbe lasciato il 221B, Mycroft entrò in quello stesso appartamento con la calma che lo contraddistingueva, ansioso tanto di svelare il mistero quanto di assistere alla reazione di Sherlock. Non si preoccupò di quella sua vena sadica: Mycroft Holmes era senza vergogna e sapere che di lì a poco avrebbe assistito ad una scenata di gelosia di Sherlock, lo eccitava a livello nevralgico.
“Fratello caro!” Mycroft si rese conto di stare gongolando un po’ troppo quando udì il suo stesso tono di voce alterato rispetto alla sua solita caratteristica incolore e atona.
“Mycroft. Che cosa hai da sghignazzare in quel modo?” lo freddò Sherlock, alzandosi dal divano a favore della propria poltrona, offrendo implicitamente a Mycroft quella di John, concedendogli udienza in modo fintamente svogliato “E’ uscita la nuova collezione autunno-inverno della Perletti(2)?”
“Spiritoso.” ribattè Mycroft per poi guadagnare la seduta offertagli dal fratello: dentro di sè fremeva di impazienza tanto quanto Sherlock, seppur per un motivo diverso. Decise di prenderla alla larga, godendosi la scena “Allora, dov’è John?”
Sherlock assottigliò lo sguardo su Mycroft e tamburellò le dita sul bracciolo della poltrona nera “Sai benissimo che non c’è, altrimenti non saresti venuto a parlarmi di qualcosa che lo riguarda con tutta questa urgenza.”
“Già.” gongolò nuovamente, lasciandosi scappare una piccola risata “Suppongo sia fuori per un appuntamento.”
Sherlock si sentì ribollire: non succedeva quasi mai che Mycroft si crogiolasse in maniera così evidente, quindi intuì che la portata dell’informazione in suo possesso era davvero imponente. E questo lo faceva fremere ulteriormente “Arriva al punto.”
Mycroft, nel frattempo, giocherellava con l’ombrello “Non ti dà fastidio?”
“E’ l’ennesima, noiosa, problematica donna, Mycroft.” sospirò Sherlock, sforzandosi di apparire calmo: in realtà era ben conscio del fatto che suo fratello avesse già riconosciuto in lui segni di agitazione e nervosismo “Gli passerà presto.”
“Come immaginavo.” Mycroft si lasciò andare nell’ennesima risata divertita “Non lo sai.”
Sherlock digrignò i denti “Cosa?”
Mycroft dovette tossicchiare per recupare almeno parte del proprio aplomb “Questa è diversa.”
Sherlock conficcò le unghie sui braccioli della poltrona: era stufo di sentirsi dire quanto fosse diversa l’attuale donna di John. Voleva sapere perchè era diversa e perchè fosse così speciale “Se vuoi dirmi qualcosa, fallo.” il tono di voce andava via via alterandosi “Altrimenti vattene!”
“Oh, sei già abbondantemente arrabbiato, Sherly.” dire che Mycroft stesse godendo di quella situazione era certamente un eufemismo: poteva vedere la rabbia di Sherlock crescere e non doveva neanche usare le sue abilità deduttive per riuscire a farlo “Immagino come esploderai dopo questa rivelazione.”
Sherlock spostò lo sguardo altrove, sperando di trovare un po’ di calma allontanando la propria vista dall’espressione compiaciuta del fratello “Mycroft...”
“Ti punterò addosso tutte le telecamere di Londra.” infierì ulteriormente, senza ritegno “Non voglio proprio perdermela.”
“Mycroft!” Sherlock scattò in piedi e scalciò una pila di fogli che iniziarono a rimpire la stanza di rombi bianchicci e irregolari che via via cadevano a terra.
Mycroft alzò lo sguardo e afferò uno dei fogli che stava per cadergli addosso: finse di leggerlo mentre tornava a parlargli “Sai perchè è diversa?”
Sherlock gli strappò il foglio dalle mani “Dimmelo.”
“Oh, come vorrei essere lì quando lo vedrai coi tuoi occhi.” bisbigliò Mycroft, sibillino.
“Dimmelo, Mycroft!” urlò Sherlock, strappandogli l’ombrello dalle mani e lanciandolo, casualmente, verso il divano.
Mycroft arricciò il naso vedendosi espropriato del proprio prezioso ombrello: decise dunque di averlo fatto soffrire anche troppo, quindi rivelò l’arcano a Sherlock “E’ un uomo.”
Sherlock fece due passi indietro, come se quella semplice parola avesse avuto la forza fisica di annichilire la sua ragione, il suo respiro e il suo battito cardiaco. Cadde seduto sulla propria poltrona e sentì le orecchie fischiare, perchè quella parola, seppur sussurrata, aveva esercitato la potenza di un potente fragore che lo stordì per quale secondo. Come se non bastasse, quella parola era riuscita a disseppellire una piccola botola in un angolo remoto del suo Palazzo Mentale: una piccola porticina rovinata dal tempo e dall’incuria. Quando il tremendo fischio svanì, Sherlock ebbe nuovamente la forza di parlare “Non è possibile.”
“Ti somiglia pure.” Mycroft fece spallucce: il divertimento era finito, la bomba era stata sganciata, quindi iniziò a studiare le reazioni di Sherlock in modo più serio “Chissà cosa vuol dire.” rise, ironico.
Sherlock balzò nuovamente in piedi, camminando nervosamente avanti e indietro, iniziando a spogliarsi della vestaglia e del pigiama “Perchè me l’hai detto solo ora, bastardo, sadico, sanguisuga che non sei altro!”
“Oh, perchè l’ho scoperto ieri sera.” si giustificò Mycroft “Non sono così sadico, in fondo.”
Sherlock, intanto, iniziò a vestirsi col suo bell’abito nero e la camicia viola “Come ha potuto...”
“Colpa tua, Sherly.” lo interruppe Mycroft che cambiò espressione: non voleva più scherzare, ora voleva aiutare davvero suo fratello.
“Colpa mia?” Sherlock era così sconvolto che tralasciò il fatto che Mycroft avesse usato con lui quell’odioso soprannome che detestava fin da quando era bambino.
Mycroft si alzò, diretto verso il divano in cerca del proprio ombrello: nel frattempo lanciò a Sherlock il cellulare che aveva iniziato a squillare “Si vedeva che John provava qualcosa per te. Probabilmente lo sa anche lui, o non avrebbe ripiegato su un uomo che ti somiglia così tanto.”
“E perchè sarebbe colpa mia?” rispose poi rapidamente alla chiamata, imprecando contro il mittente della telefonata “Fanculo, Lestrade! Ero libero cinque minuti fa’!” lanciò il cellulare sul tavolino prima di tornare su Mycroft.
“Chi è lo stupido che non fa altro che dire che l’amore è per i perdenti?” domandò Mycroft pazientemente, felice di essere tornato in possesso del proprio ombrello “Che i sentimenti indeboliscono le persone?”
“Lo dici anche tu stesso!” urlò Sherlock.
“Io non ho nessuno da perdere!” alzò a sua volta la voce, sperando in cuor suo di non innamorarsi mai: non voleva diventare stupido come sembrava Sherlock in quel momento, pensò.
Finalmente Sherlock sembrò capire “Devo andare.”
“E anche di corsa.” suggerì Mycroft con un lungo sospiro “Sono a Regent’s Park.” lo informò, dunque, seguendo i suoi passi per tutto l’appartamento “Metti giù quella pistola.” lo redarguì scuotendo il capo “Sì, metti giù anche quella sciabola.”
Sherlock ringhiò, ma dovette ammettere che una sciabola poteva essere un po’ troppo vistosa da portare in giro: scartò di conseguenza anche l’arpione. Sbuffò, quindi si avviò giù per le scale portando con sè nient’altro che se stesso.
“Bravo, vai là e fa a pugni come un vero uomo.” gli urlò dietro un divertitissimo Mycroft.
“Fanculo, Mycroft.” Sherlock sbattè il portone del 221B, quindi si avviò di corsa verso il vicino Regent’s Park.

Sherlock aveva la mappa di tutta Londra in testa, quindi corse lungo tutte le vie secondarie per raggiungere il parco il più presto possibile: John era uscito da poco meno di venti minuti, quindi si erano sicuramente già incontratii e lui avrebbe solo dovuto fermare qualsiasi cosa stessero facendo. Baciarsi, ridere, scherzare, baciarsi, parlare, tenersi per mano, baciarsi.
Il pensiero del suo John con un altro uomo era peggio di qualsiasi altra eventualità: voleva dire perdere contro uno alla sua, potenziale, altezza. Significava che tra lui ed un’altro uomo, aveva scelto l’altro. Era forse più uomo di lui? Più bello? Più forte? Più amabile? Non poteva esistere quell’eventualità. No. Loro si appartenevano ed era giunto il momento di dirglielo in faccia e di strapparlo dalle braccia di quell’altro uomo.
Sentiva il sangue ribollire già ampiamente, ma appena si fermò per riprendere fiato all’ingresso del parco, si bloccò: riconobbe la figura di John, seduto su una panchina assieme all’altro uomo. E quell’uomo stava baciando John. Non capì più nulla.
Riprese a correre e non smise neanche quando vide John alzarsi e pararsi istintivamente davanti all’altro uomo. Non smise di correre, continuò a ringhiare e più di ogni altra cosa, iniziò a mostrare al mondo che aveva dei sentimenti.

John riuscì ad intercettare i passi di Sherlock con non poca difficoltà: aveva prima spinto Tom qualche passo indietro facendolo cadere sulla panchina e poi aveva puntato i piedi a terra e allargato le braccia per placcare, letteralmente, la furia cieca che avrebbe voluto scatenarsi sull’esile professore di Filosofia.
John gli strinse le braccia all’altezza del torace, riuscendo a bloccarlo e a farlo indietreggiare di almeno due passi: ringraziò mentalmente l’addestramento militare alla lotta, al corpo libero e qualsiasi altra abilità avesse imparato nella vita e che in quel momento gli tornò particolarmente utile “Sherlock! Calmati!”
Sherlock ringhiò, spingendo in direzione opposta a quella di John, agitando le braccia in avanti, verso Tom “Lasciami andare!”
“Non ci penso nemmeno!” John alzò velocemente un braccio, provando ad imprigionarne uno di Sherlock nella stretta dei loro corpi.
“Lasciami!” protestò ancora, muovendo il braccio in tempo in tempo per non farselo prendere “John!” tuonò ancora, con lo sguardo di ghiaccio sempre rivolto a Tom, che osservò con rabbia e una neanche tanto velata minaccia di vendetta.
Tom rimase spiazzato da tutto: dalla sfuriata, da come John riusciva a gestire la situazione e da Sherlock. Lo osservò a fondo e capì molte cose: la somiglianza, il motivo per cui John ne era innamorato e la conferma che anche quel pazzo urlante fosse completamente coinvolto nei riguardi del suo coinquilino. Notò la particolare bellezza di Sherlock che aveva attratto John così come la somiglianza tra loro: il colpo d’occhio di cui aveva parlato il dottore, così come notò le abissali differenze tra loro, soprattutto dal punto di vista temperamentale. E poi guardò, perchè erano così tangibili da poter essere osservate, la rabbia, la gelosia e la paura negli occhi di Sherlock. Tom rimase immobile, sommerso da tutte quelle informazioni e dall’energia di consulente investigativo, ancora troppo agitato per poter essere avvicinato.
“Sherlock, stai facendo una scenata!” John iniziò a rendersi conto solo in quel momento del motivo della reazione di Sherlock: quella non era la solita sbruffonata, il suo solito desiderio di possessione fine a se stesso. Sherlock era furioso di gelosia nei suoi confronti: come aveva preventivato, l’idea di uscire con un uomo lo turbò più rispetto alle sue precedenti relazioni ed era quello il motivo per cui glielo aveva nascosto, ma non immaginava certamente un reazione così esagerata.
“Oh no, John, la scenata non è ancora iniziata.” minacciò Sherlock per poi stringere John a sua volta e sbilanciarsi con tutto il corpo di lato in modo che entrambi cadessero.
John, che fortunatamente era caduto sulla spalla sana, ringhiò nuovamente, ma non dette cenno di volerlo lasciare andare “Sei ridicolo, piantala!”
“E tu sei un traditore!” rinfacciò Sherlock, abbaiandogli direttamente in faccia.
John allentò la presa perchè quanto dettogli da Sherlock lo lasciò di stucco “Cosa?”
Sherlock si staccò da John, indicandolo con fare accusatore “Traditore! Non hai capito? Vuoi dei sinonimi?” sbottò, per poi iniziare un lungo elenco di alternative alla famigerata parola “Adultero, doppiogiochista, fedifrago, infedele! Lo vuoi in altre lingue? Traidor, traitrè, verrater, tradator, hain, arulo, bradwr...”
“Sherlock, può bastare, ho capito la parola, ma...” si alzò in piedi a sua volta, rimanendo tra la panchina dove sedeva Tom e Sherlock, pronto a sedare un suo eventuale scatto d’ira “Ti sfugge il fatto che per tradire una persona bisogna prima starci insieme.”
“Oh per favore! Lo dicono tutti che stiamo insieme!” Sherlock rise sarcasticamente, alzando le braccia in aria “Gli unici due che non se ne sono accorti siamo...” si interruppe, stupendosi da solo per la gloriosa deduzione che era arrivato ad intuire dopo ben due anni di convivenza con John “...noi due.”
John rimase in silenzio, cadendo dal pero tanto quanto Sherlock, ma a differenza di molte altre cadute, quella offriva quanto meno un morbido cuscino per attutire il colpo. John era shockato: rimase a guardare Sherlock fisso negli occhi senza riuscire ad aprire bocca. Dunque era vero? C’era veramente speranza per loro? E Sherlock cosa intendeva veramente? John sapeva solo di volere una relazione seria, non un’amicizia possessiva e coccole da divano come magra consolazione.
Tom si alzò dalla panchina e, non curante della possibilità di subire la vendetta di Sherlock, si avvicinò al dottore “John, io te l’avevo detto!” esultò per poi alzare una mano verso la sua spalla destra “Non sei felice?”
“Tu non osare aprire bocca!” gli ringhiò contro Sherlock, interponendosi tra Tom e John affinchè non si toccassero più: lo spintonò per farlo allontanare di qualche passo, quindi iniziò ad osservarlo “Occhi azzurri, capelli neri, alto, longilineo, ben vestito.” sbuffò e si voltò verso John “Praticamente sei uscito con la mia brutta copia.”
Tom trasalì, toccato in uno dei suoi punti deboli: la vanità “Brutta copia lo vai a dire a quello stronzo di tuo fratello.” tossicchiò, volendo quasi rimangiarsi l’epiteto affibbiato a Mycroft, ma finì con l’alzare l’indice destro verso Sherlock “E comunque è tutta colpa tua, sappilo.”
Sherlock gli si avvicinò tanto da sfiorarlo con la propria fronte: le mani erano stese lungo i fianchi ma chiuse a pungo, pronte ad infierire “Colpa mia?!” sibilò con la voce resa roca dalla collera: non solo Mycroft, ma anche Tom osava incolparlo di tutto? Era furente.
John si smosse dal suo stato di immobilità, rompendo anche il silenzio mentre si apprestava a dividerli “Tom, ti prego, non gettare benzina sul fuoco.”
“Non gli hai mai detto quello che provi per lui!” Tom ignorò il consiglio di John, sorridendo intimamente perchè il dottore non aveva capito che lo stava facendo proprio per far confessare a Sherlock i suoi sentimenti “Secondo te avrebbe dovuto passare il resto della sua vita a correrti affianco rinunciando all’amore e al sesso solo perchè tu sei troppo codardo per dichiararti?”
Sherlock alzò la sua bellissima voce profonda di due ottave, inviperito dalle parole di Tom “Voi due avete fatto cosa?!”
“Noi due non abbiamo fatto niente!” John si affrettò a chiarire quel particolare, evitando abilmente di raccontare i particolari della loro prestazione nel vicolo.
A quel punto Sherlock decise di ignorare Tom e di sfogare la propria frustrazione su John, che afferrò per le spalle ed iniziò a scuotere con forza “Ho aspettato due maledetti anni che tu la finissi con la storia del ‘Non sono gay’, ‘Non siamo una coppia’ e tutte le tue altre paranoie.” così come lo aveva afferrato, lo lasciò andare spingendolo, offeso e ferito dal comportamento di John. In realtà era arrabbiato anche con se stesso: come aveva potuto non accorgersi di niente? Cosa avrebbe fatto se fosse intervenuto troppo tardi e ora fosse già innamorato dell’altro uomo? Era un turbinio di sentimenti, ma per la prima volta non gli importava che il mondo se ne accorgesse, quindi lasciò che la rabbia uscisse da lui senza filtro, incurante di esibirsi in quella scenata sicuramente esagerata “E quando finalmente ti accorgi che ti piacciono gli uomini vai col primo che incontri?”
“Siete due idioti entrambi, infatti. L’ho detto.” commentò Tom, in tralice.
“E io da cosa avrei dovuto capire che tu eri interessato ad una vera relazione?” John allargò le braccia verso l’esterno, incredulo: ‘sta a vedere che è colpa mia’, pensò “Eh? Mister ‘I sentimenti fanno schifo’?”
Sherlock si impettì “Sei tu l’esperto di sentimenti.” spostò lo sguardo altrove, intuendo bene dove John volesse andare a parare “L’avresti dovuto capire da solo.”
“Sherlock, che idiozia! Tu le pensavi veramente quelle cose, non le dicevi tanto per dire.” studiò la reazione di Sherlock, che per la prima volta dall’inizio di quella discussione insisteva nel guardare ovunque tranne che verso di lui “Perchè le dicevi?”
Perchè il gatto che si è scottato con l’acqua calda ha paura anche di quella fredda.” intuì Tom, dando una mano a John che, evidentemente, perdeva tutte le sue capacità intellettive di fronte all’uomo di cui era innamorato “Ops, la metafora felina calza particolarmente a pennello.” commentò poi, tra sè e sè.
John si bloccò nuovamente, domandandosi come fosse possibile che in due anni di convivenza non avesse avuto la sensibilità e la creatività di partorire un ragionamento simile, un’eventualità così plausibile. Uno scenario così banalmente intuibile da giustificare il rifiuto di Sherlock verso i sentimenti. Si voltò, dunque, cercando una conferma nel suo sguardo oltre che nelle sue parole “E’ vero?”
“Non ho voglia di parlarne davanti a questo inutile essere umano.” bisbigliò Sherlock, per poi interporsi tra John e Tom, proteggendo il primo con un braccio alzato e rivolgendosi al secondo “Non puoi averlo, lui è mio.”
Tom annuì con un piccolo sorriso “Tranquillo. Il nostro patto era che se tu ti fossi fatto avanti, noi avremmo smesso di vederci.” alzò poi l’indice destro, dandogli un ultimo avvertimento: una piccola minaccia per rafforzare il legame tra i due uomini che aveva di fronte. La psicologia, anche se la più spicciola, funziona spesso, d’altronde “Ma se non lo amerai come merita, te lo porterò via.”
Sherlock schiaffeggiò l’indice che Tom gli stava puntando contro “Devi solo provarci, damerino.” indietreggiò di un passo, poi, sfiorando il braccio di John con la mano “John, andiamo a casa.”
“Lascia che saluti Tom.” John lo scansò ricambiando il tocco, sfiorandogli a sua volta la mano con la propria. Non gli importava se si sarebbe arrabbiato, non se ne sarebbe certamente andato senza prima aver salutato Tom “Anticipami pure, se vuoi.”
“Te lo scordi che ti lascio solo con questo qui.”  Sherlock si impettì e non diede segno di volersi allontanare da loro: geloso, possessivo e diffidente fino al midollo. Dal suo punto di vista, gli stava concedendo un favore enorme, ma quando John gli sorrise, si sciolse e dovette ammettere, almeno e solo a se stesso, che quella concessione era il minimo che potesse accordargli “Ti aspetto qui.”
John percorse i pochi passi che lo dividevano da Tom, davanti al quale si fermò: era imbarazzato e ancora confuso da tutta la situazione. Probabilmente tutto ciò che avrebbe desiderato in quel momento era che il professore gli spiegasse la situazione con calma e flemma prima di affrontare Sherlock “Tom.”
“John.” sussurrò Tom, che frenò l’istinto di accarezzargli il volto, sentendosi addosso i due occhi freddi e indagatori di Sherlock. Sorrise a John e, nonostante avesse cercato di aiutarlo fino a pochi istanti prima, sentì un alone di tristezza coprirlo da testa a piedi. Cercò di nasconderlo continuando a regalargli il suo sorriso “Sono tanto contento per te.”
John era confuso: era felice per i sentimenti che Sherlock aveva dimostrato di provare nei suoi confronti, ma salutare Tom si rivelò più difficile del previsto “Io... sono... “ biascicò insicuro, osservando Sherlock qualche istante prima di tornare su di lui “Lui è...”
“John.” Tom colse l’incertezza negli occhi dell’altro, quindi, in barba alle lamentele che Sherlock avrebbe potuto presentare, lo afferrò per le spalle e tirò a sè in un lungo abbraccio “Come fai a non accorgerti che quell’uomo sta urlando i suoi sentimenti per te?” gli bisbigliò nell’orecchio, stando attendo a non farsi sentire da Sherlock, dopo l’occhiataccia del quale, liberò John con uno sbuffò “A modo suo, certo, ma li sta urlando. Letteralmente.”
John si voltò nuovamente verso Sherlock, il cui muso lungo riuscì a sciogliere con un tipo di sorriso che non gli aveva mai donato e che finalmente poteva elargirgli: un sorriso sognante, intenso e innamorato. Tornò poi su Tom, al quale mormorò “Tu sei una persona stupenda.” abbassò poi lo sguardo, colto da imbarazzo “Non volevo crearti problemi.”
“Problemi?” Tom sorrise, sperando di contagiare anche John “Ma se mi sono divertito un mondo in questi due mesi!”
John, però, riusciva a vedere chiaramente il luccichio negli occhi di Tom “Mi dispiace.”
Tom si morse il labbro inferiore, per poi riportare le mani sulle spalle di John “Non fare quella faccia. Pensa ad essere felice per il tuo amore possibile.” prese una piccola pausa, durante la quale tirò un lungo sospiro “Sorridimi, ti prego.” ci teneva: voleva vedere il sorriso di John, voleva sentire la sua risata ancora una volta prima di salutarlo.
John sentì Sherlock tossicchiare, ma dopo avergli lanciato un’occhiataccia, riportò la propria attenzione su Tom “Tu cosa farai ora? Starai bene?”
Tom sorrise “Certo! La prenderò con filosofia!”
John finalmente riuscì a ridere e dopo aver visto Tom sorridergli con affetto gustandosi la sua risata, alzò le braccia e lo strinse per pochi secondi: non voleva svegliare lo Sherlock dormiente, d’altronde “Mi mancherai.” confessò, perchè era vero, perchè Tom era stato un ottimo amico in quei due mesi “Possiamo restare amici?”
“Non credo che lui sarebbe d’accordo.” Tom deglutì un po’ di tristezza mentre indicava Sherlock con un cenno del capo “Magari facciamo passare un po’ di tempo, ok?”
John annuì: certamente Sherlock avrebbe fatto storie, ma intuì che probabilmente anche a Tom serviva del tempo per assorbire quella batosta. In fondo stavano bene insieme e non solo come amici “Grazie di tutto.”
“Grazie a te.” ammiccò per poi abbracciarlo un’ultima volta, ma solo per fare un dispetto a Sherlock che vide avvicinarsi spazientito “Ci vediamo alla prossima serata a tema felino.” gli sussurrò nell’orecchio, per poi baciargli velocemente la guancia.
“Basta così.” dichiarò Sherlock, perentorio, infilando l’esile braccio tra i due per attirare il proprio coinquilino a sè, ma soprattutto per staccarlo da Tom “John, andiamo.”
Prima di voltarsi definitivamente verso due direzioni opposte, John e Tom si salutarono agitando debolmente la mano, come farebbero due compagni di asilo che sanno di non potersi vedere per tutto il periodo estivo e che sanno già che sentiranno la mancanza del proprio migliore amico: in quel saluto c’erano la stessa delicatezza dell’infanzia e la matura consapevolezza di aver preso la decisione più giusta. Camminavano ormai lungo strade diverse, ma sapevano che si sarebbero ritrovati, da amici, perchè due veri amici non si perdono mai e perchè sebbene non avessero fatto in tempo a dirselo, entrambi avevano silenziosamente giurato di rivedersi.


°oOo°


John e Sherlock rimasero in silenzio lungo tutto il tragitto da Regent’s Park fino a casa. Sherlock gli aveva tenuto la mano per tutto il tempo in una stretta appena appena tremolante, ma John non seppe dire se quel tremore fosse riconducibile alla rabbia nei confronti della sua relazione con Tom o all’emozione di quell’intimo contatto manifestato in pubblico. John, d’altro canto, alzava di tanto in tanto lo sguardo verso il volto di Sherlock che, tuttavia, continuava a guardare dritto di fronte a sè, apparentemente agitato per chissà quale motivo.
Una volta tornati nel loro appartamento, Sherlock lasciò la mano di John e sprofondò nella propria poltrona, celando la fronte e le tempie sotto i propri palmi che premette forte attorno al proprio cranio.
John si tolse la giacca e rimase a fissarlo: si accorse facilmente che qualcosa lo stava turbando, ma non sapeva se fosse il momento giusto per parlarne “Sherlock? Tutto bene?”
“Mal di testa.” biascicò Sherlock, continuando a premere le mani contro tempie e fronte nel vano tentativo di farsi passare la martellante cefalea che l’aveva colpito.
“Ti sei agitato parecchio prima, non ci sei abituato.” John parlò a bassa voce per non peggiorare il dolore dell’altro: continuava ad osservarlo a tre metri di distanza, imbarazzato e senza dubbio desolato per la situazione che era andata a crearsi “Mi spiace che...” si fermò, chiedendosi se fosse veramente giusto che si scusasse: lui non sapeva nulla e loro non stavano insieme, ma il fatto che Sherlock lo avesse accusato di tradimento l’aveva sconvolto. Così come lo mortificava vederlo rannicchiato con il volto nascosto dalle mani, in preda ad un mal di testa di natura chiaramente psicosomatica. Sospirò, quindi si incamminò verso la cucina “Vado a farti un the.”
“John.” lo richiamò Sherlock: il viso era ancora nascosto e la voce era poco più di un sussurro “Per favore, vieni qui.”
John si avvicinò, ma vedendo che Sherlock non accennava a muoversi, si sedette di fronte a lui e si sporse un poco in avanti “Sherlock.” mormorò, un po’ per chiamarlo, un po’ perchè nella sua mente così come nella sua vita, quel nome occupava tutto lo spazio di cui poteva impossessarsi. Volontariamente, così come inconsapevolmente.
Sherlock rispose al richiamo di John, verso il quale alzò finalmente uno sguardo febbricitante e stralunato: scese dalla propria poltrona e coprì gattonando l’unico passo che lo divideva da quella di John sul quale si arrampicò con la stessa grazia di un gatto. Era tutto braccia e gambe, Sherlock, ma riuscì a rannicchiarsi perfettamente in braccio a John che lo aiutò a sistemarsi e gli allacciò un braccio attorno alla spalla, mentre appoggiò l’altro a metà schiena, tenendolo al sicuro in quell’equilibrio precario. Sherlock, invece, tenne la braccia piegate e appoggiate nella conca formatasi tra il proprio corpo e quello dell’altro: non parlò, ancora, occupato a premere la fronte sulla spalla di John, il viso era contratto in un’espressione seria e dolorante e i mugolii che cercava di trattenere suggerivano a loro volta una certa dose di angoscia e tribolazione.
John non si stupì troppo di quell’iniziativa poichè dal momento in cui aveva scoperto che anche Sherlock era interessato a lui, iniziò a ricordare tutti i suoi recenti tentativi di avvicinamento e di contatto fisico e nuovamente si dette dello stupido per non essersi accorto di niente “Ti fa così male?” chiese poi, quando si accorse delle smorfie di dolore che contraevano il viso di Sherlock “Ti vado a prendere un’aspirina?” mormorò, avvicinando con cautela il naso e le labbra sui riccioli neri, inalando il profumo di shampoo e acqua di colonia.
Sherlock ignorò le domande di John al quale si aggrappò con forza, in maniera possessiva e frenetica “Tu sei mio.” le mani con cui si teneva a lui con esasperazione tremarono appena “E’ il tuo dovere. Non hai scampo. Ormai ti sei preso questo impegno.” deglutì, sforzandosi per riuscire a tenere lo sguardo lontano da quello di John “Rimarrai per tutta la vita con me. Nessuna donna è riuscita a portarti via da me, figuriamoci un uomo.” chiuse gli occhi più forte che potè, ma il mal di testa non voleva sparire “Non te ne andrai mai. Non mi lascerai mai.”
John non solo udì con attenzione tutte le parole di Sherlock, ma le ascoltò veramente, percependo il messaggio nascosto nel sottotesto di quelle frasi che potevano sembrare così egoistiche e avare, ma che lui riuscì ad interpretare come la confessione d’amore di un uomo che non era mai stato abituato a lasciarsi andare e che, a quanto aveva capito, l’unica volta in cui l’aveva fatto aveva finito col soffrire. John lo capì perchè era vero, lui era suo, si era preso l’impegno di prendersi cura di lui e non l’avrebbe mai lasciato: si appartenevano più quanto credessero e sapeva abilmente tradurre il linguaggio di Sherlock.
“Mai, Sherlock. Non me ne andrò mai, te l’ho promesso. Non potrei mai lasciarti, non sopravviveresti un giorno senza di me. E io senza di te.” John provò a rassicurarlo a parole, mentre con la mano sinistra gli accarezzava la nuca e lo spingeva verso di sè, per un leggero bacio sulla porzione di fronte che non era nascosta dalla sua stessa spalla “Quindi perchè ora non provi a calmarti? Così ti passa anche il mal di testa.” riappoggiò le labbra sulla sua fronte e lo strinse con forza, allentando la presa man mano che sentiva il tremore di Sherlock diminuire.
Sherlock riuscì a calmarsi, come se le parole e le labbra di John avessero avuto il potere tangibile di assorbire tutta l’agitazione che lo stava scuotendo. Rimase in silenzio per qualche istante, sciogliendo la presa costrittiva dalla spalla di John solo per riuscire a farla risalire sul suo viso: il suo palmo prese la forma della guancia del dottore, sul viso del quale esercitò una leggera pressione affinchè le sue labbra gli rimanessero appoggiate sulla fronte. Trovava quel contatto rilassante, oltre che emozionante: non era mai stato così vicino a John, non in quel modo. Tuttavia, l’idea che John avesse avuto quel tipo di intimità con un altro uomo lo indispettiva parecchio “Come hai potuto farlo, John? Uscire con un uomo alle mie spalle.” sospirò Sherlock, che finalmente alzò lo sguardo su di lui “E non dire che pensavi fosse irrilevante che fosse un uomo. Hai fatto di tutto per nascondermelo. Sapevi che avrei avuto una reazione diversa rispetto alle altre volte.”
John sospirò ed arrossì leggermente ritrovandosi gli occhi di Sherlock così vicino al proprio viso “Beh, non è che l’abbia fatto apposta. Anzi, Tom è stato l’unico uomo, oltre a te, a piacermi. E probabilmente è successo perchè ti somiglia molto.” lasciò vagare la mano che teneva appoggiata sulla schiena dell’altro sul suo torace, in un tocco timido, atto ad esplorare il corpo dell’altro senza apparente malizia, bensì con una pura curiosità atta ad esplorare la fisicità che si erano sempre negati “E’ successo per caso, all’inizio. Poi, beh, ci siamo trovati bene. Lui è molto simpatico, intelligente e...”
“Era una domanda retorica, John!” Sherlock lo interruppe bruscamente, sbuffando scocciato “Ho visto che eravate in sintonia.” ringhiò, spingendo la propria fronte contro quella di John “Non me ne frega niente di quanto stavate bene insieme.” ripetè, circodandogli il collo con le dita affusolate in una leggerissima stretta che non voleva essere nociva, bensì un curioso studio delle reazioni di John agli stimoli tattili.
“E tu come hai potuto fingere che non te ne fregasse niente di me? In quel senso, intendo.” deglutì sotto le solleticanti dita di Sherlock, sentendo i propri stessi muscoli irrigidirsi e la pelle incresparsi dai brividi “Sai perchè sei così arrabbiato? Perchè sai di aver rischiato seriamente che io trovassi la persona giusta, questa volta.”
Sherlock non rispose, limitandosi a generare qualche lungo e basso lamento gutturale che accompagnò nascondendo il volto tra il collo e la spalla di John.
“Sherlock, la mia non è una domanda retorica.” probabilmente in un’occasione diversa avrebbe protestato maggiormente e avrebbe sfogato la frustrazione muovendosi freneticamente per tutto l’appartamento, ma come poteva pensare di muoversi, in quel momento, con Sherlock che gli si avvinghiava addosso? Sentiva il suo respiro sfiorargli il collo e le mani allacciate all’attaccatura dei capelli che sembravano voler disegnare il confine netto tra la cute e la chioma color cenere: spostarsi era decisamente fuori discussione “Non darmi per scontato, non farlo mai più.”
“Non lo farò mai più.” promise Sherlock seppur ammettere di essersi sbagliato gli desse un gran fastidio, quindi gli venne spontaneo aggiungere parole sciocche e non necessarie “Vista la facilità con cui vai a cercarti i surrogati.” bisbigliò acido.
John sospirò: era già tanto aver avuto un’ammissione di colpa da parte di Sherlock, quindi non poteva pretendere che diventasse docile da un giorno all’altro. D’altro canto, aveva imparato dai suoi sogni che non lo avrebbe voluto arrendevole solo perchè lo assecondasse, quindi, in fondo, andava bene così “Sherlock.” John lo vide alzare appena appena lo sguardo al suo richiamo in modo quasi infantile e per un attimo si addolcì particolarmente, memore del gatto-Sherlock che gli si palesava in sogno “Senti, è vera la cosa... sai, che ti sei scottato?”
Sherlock in un primo momento si limitò ad annuire con un piccolo movimento del capo, impegnato com’era ad osservare la mano di John che lo esplorava lentamente, poi si decise ad aprir bocca, sebbene fosse sicuro che l’altro non l’avrebbe mai forzato a parlare “All’università. Si chiamava Victor.”
John decise di usare la stessa strategia che Tom usava con lui quando non sapeva come raccontare qualcosa di doloroso o ostico: provava a buttarla sul ridere “Ti ha fatto soffrire il bastardo?” disse in un tono che voleva essere minaccioso, ma che in realtà finì col farlo sentire più imbranato del solito “Scusa, volevo provare ad alleggerire la questione, ma evidentemente bisogna avere un talento specifico per riuscire a farlo.”
Sherlock sorrise di nascosto al tentativo di John, ma finì con l’accigliarsi per la spiegazione che ne derivò “Lo stesso talento che ha il tuo ex?” lo punzecchiò, dunque, per poi derubarlo della mano che lo stava accarezzando ed iniziare a giocarci “Ero curioso di provare il sesso. Sai, anche per capire le dinamiche psicologiche che possono intervenire prima, dopo e durante l’amplesso. Poteva sempre venirmi utile per i casi. A quel tempo ero agli inizi del mio lavoro da consulente investigativo.” continuava a fuggire dallo sguardo di John, preferendo studiare nei minimi dettagli la sua mano: i piccoli calli, le minuscole cicatrici, una recente scottatura che non avrebbe comunque lasciato il segno “Lui era il mio unico amico. E si è offerto volontario.”
“Chiamalo scemo.” si lasciò sfuggire John, alternando lo sguardo tra ciò che riusciva ad intravedere del volto di Sherlock e le sue mani “Scusa, vai avanti.”
“Suppongo che ad un certo punto avessimo una sorta di relazione, perchè facevamo sesso anche al di fuori del mio interesse scientifico. Solo che lui...” inspirò a lungo, prendendosi una lunga pausa che interruppe quando sentì la mano di John stringere le proprie: lo prese come un piccolo incoraggiamento “Lui voleva una relazione normale: uscire allo scoperto, appuntamenti, paroline dolci...” Sherlock fece una smorfia a quel punto “E più di tutto, detestava il mio lavoro da consulente. Così alla fine si è stufato di me e ha trovato qualcuno più adatto a lui.” fece spallucce, riprendendo fiato “E quindi, se già prima non ero avvezzo ai sentimenti, dopo quella volta mi sono definitivamente chiuso.”
John rimase in silenzio, riflettendo sulle parole di Sherlock: non avrebbe certo voluto sentirgli pronunciare delle paroline dolci e sicuramente non avrebbe interferito col suo mestiere da consulente investigativo. Per quanto riguardava gli appuntamenti, beh, passavano già molto tempo insieme e circa l’uscire allo scoperto forse era giusto che passasse un po’ di tempo, ma per quanto riguardava il resto? Una normale relazione, cosa intendeva Sherlock per ‘normale relazione’ a quel punto?
Sherlock dovette intercettare la natura dei pensieri di John, perchè si affrettò a lasciargli la mano e a prendergli il viso tra le proprie “Sì, ma John, questa volta mi impegnerò. Insomma, si tratta di te, mica di uno qualunque.” finalmente affrontò anche il suo sguardo al quale sorrise leggermente imbarazzato “Cioè, siamo chiari, non ti dirò mai paroline dolci. E no, non ti porterò al cinema, sono noiosi. E non farò cose come urlare al mondo il nostro amore. Per non parlare di conoscere la tua famiglia, scortelo, odio la mia, quindi figuriamoci...” arricciò le labbra, rendendosi conto di aver già scartato molte delle cose che avevano contribuito al termine della sua relazione con Victor “Ma per il resto, si può dire che stiamo già insieme, no? Andiamo a cena assieme, passiamo assieme la maggiorparte del tempo, conviviamo, ci divertiamo, tutti pensano già che stiamo insieme... Cosa manca?”
John rise di fronte ai due elenchi stilati da Sherlock e dovette ammettere che era vero: erano una coppia nata dalle solide basi di un’amicizia che aveva già evidenziato ad entrambi pregi e difetti. E si erano accettati l’un l’altro e tutto ciò era magnifico, ma a John premeva chiarire una questione fondamentale “Beh, qualcosa manca.” si sforzò di rimanere serio, ma gli angoli della bocca erano già inarcati in un piccolo sorriso.
Sherlock assottigliò lo sguardo sul volto di John, cercando lì la risposta che in realtà gli fu suggerita dal basso ventre “Oh!” rise appena, per poi annuire “Il sesso! Certo che lo faremo!” gli tolse le mani dal viso ed iniziò ad aprirle e chiuderle a mezz’aria come se non sapesse da dove iniziare a toccare, tanto lo desiderava “Iniziamo ora?”
John tirò un sospiro di sollievo, fremendo in anticipazione per ciò che sarebbe successo: osservò le lunghe dita di Sherlock iniziare a sbottonargli la camicia e quasi non credette che quella fosse davvero la realtà “Due mesi, Sherlock... due mesi...” deglutì per poi rimanere senza fiato quando l’altro avvicinò le labbra al suo collo “Sei vero, qui, davanti a me.”
“Due mesi?” chiese Sherlock, tra un bacio e l’altro, mentre con le mani continuava a sbottonargli la camicia e scendere con lo sguardo via via su ogni centimetro di pelle che svelava “Mi sognavi.” intuì, poi, dalle ultime parole pronunciate da John “Dimmi cosa sognavi.” sussurrò con la voce resa ancor più bassa e seducente dal desiderio represso per troppo tempo.
“Eri bellissimo.” rise, dunque, per ciò che stava per confessargli “Eri nudo e avevi due orecchie e una coda felina.” vide Sherlock fermarsi e guardarlo curiosamente, quindi spiegò “Questa fantasia è iniziata dalla sera che abbiamo visto la puntata del Doctor Who con l’uomo-gatto.” ridacchiò poi, nel vedere l’altro annuire come se tutto ciò fosse plausibile “E ti giuro, Sherlock, mi facevi di tutto... tranne una cosa.”
“Farti cose strane con la coda?” ipotizzò Sherlock e il tono non sembrava neanche troppo scherzoso, esultando interiormente quando finalmente sentì le mani di John armeggiare sui propri vestiti “Oh, John, pensavo non l’avresti mai fatto.”
“Baciarti.” confessò John, cercando di allontanare con delicatezza il volto di Sherlock dal proprio corpo per avvicinarlo al proprio viso “Ogni volta che ci provavo mi svegliavo.”
Sherlock sorrise e si avvicinò fino a scontrargli la fronte con la propria “Perchè lo desideravi tanto.”
John si avvicinò fino a sfiorargli le labbra, gustandosi l’attesa, oltre che la vicinanza così prossima al volto dell’unico uomo che avesse mai amato “L’ha detto anche gatto-Sherlock.”
Sherlock riscoprì un’anima giocosa grazie alla quale riuscì a torturare John ancora per un po’, prolungando l’attesa: si dovette arrendere, però, quando sentì le mani dell’altro farsi strada sotto il tessuto della sua camicia. Si morse il labbro inferiore iniziando a catturare il suo respiro “Comunque, a questo possiamo rimediare subito.” premette le labbra contro quelle di John con una foga inaspettata, non riuscendo ad aspettare neanche un istante per farsi strada nella sua bocca: i suoi baci con Victor non erano mai stati così ardenti, così desiderati e, semplicemente, Victor non era John.
Anche John si stupì per quella foga, ma non voleva saperne di fermarlo o provare a calmarlo: si abbandonò a quel bacio che desiderava da tanto tempo e che, soprattutto negli due mesi, era nei suoi pensieri più profondi. E finalmente capì perchè il suo subconscio non gli aveva mai concesso quella fantasia: non era umanamente possibile immaginare, sognare, concepire quanto sarebbe stato meraviglioso e oltremodo fantastico baciare Sherlock. Era un qualcosa che trascendeva addirittura la dimensione onirica, era molto di più, era un impasto tra sensualità, bellezza, desiderio elevati esponenzialmente dalla lunga attesa che si erano scioccamente autoimposti.
Sherlock intuì di aver finalmente rimosso il sigillo che lo teneva a freno, che aveva castigato la sua libido rinchiudendola in una prigione di ghiaccio che aveva iniziato a sciogliersi dal momento in cui aveva capito di volere John: finì col morderlo nella foga di quel bacio, accompagnando quell’istinto a molteplici graffi coi quali si stava aggrappando alla sua schiena. Avrebbe voluto studiare il corpo di John pezzo per pezzo, scoprire quali punti lo eccitavano e quali gli portavano il solletico, scoprire tutti i suoi nei e baciargli la cicatrice sulla spalla, ma non ce la faceva, non in quel momento in cui non voleva fare altro che divorarlo e urlargli silenziosamente che apparteneva solo a lui, in quanto uomo, in quanto persona, in quanto parte del mondo.
John percepì la foga di Sherlock e non potè che condividerla: incurante del dolore che avrebbe potuto causargli la spalla, si alzò prendendolo in braccio, senza staccarsi di dosso colui che lo stava privando dell’ossigeno e che glielo restituiva purificato, caldo e umido: stentò i primi passi, ma era così che voleva che andasse. Lo tenne in braccio finchè non arrivarono nella camera di Sherlock, sul letto del quale si assalirono: non sarebbe stato dolce e romantico quella volta, ma di tempo per imparare a fare l’amore ne avrebbero avuto a bizzeffe.

La loro prima volta era stata confusionaria, totalmente spontanea e istintiva: un miscuglio di corpi e umori che sapevano di urgenza, di fame, della fretta di recuperare tutto il tempo perso e condensarlo in quell’esperienza di stampo primitivo e quasi selvaggio.
Non c’era stata la voglia di scoprirsi lentamente, il gioco erotico del vedo e non vedo, lo stuzzicarsi, la recita in cui entrambi sapevano che avrebbero concluso ma in cui fingevano di non concedersi solo per alzare il livello di eccitazione e prolungare il piacere. Perchè fingere? E di tempo ne avevano atteso fin troppo: due lunghi anni di preliminari erano sfociati in quella aggressione consensuale ai limiti della decenza.
Si divorarono con le bocche avide che riuscivano a staccarsi dal corpo dell’altro solo per piccole, brevi e ripetitive confessioni.
Sherlock offrì il proprio corpo mentre invocava il nome di John come una preghiera pagana, una formula magica che lo dichiarava di sua proprietà e vaticinava la prospettiva dell’imperitura unione che andavano perpetrando: un’infinita sequenza di ‘John, sei mio, sarai sempre mio.’ alternata altri incatesimi più semplici ma ugualmente efficaci come ‘Mi appartieni’ e ‘Il mio John’.
Anche John recitava un rosario di dichiarazioni d’amore, mentre tra un movimento e l’altro faceva suo il corpo di Sherlock con una naturalezza quasi irreale, come se lo facesse da tutta una vita: ansimava il suo nome e aggiungeva parole come ‘Ti amo’ e poi ancora ‘Ti amerò sempre’ e sempre più roco, ma ugualmente convincente ‘Ti amo più della mia vita’.
I loro corpi erano cosparsi di morsi, graffi e piccoli lividi: usavano ogni parte di sè per aggrapparsi l’uno all’altro e gli occhi erano sempre aperti, come se non volessero rischiare di veder sparire l’altro dietro lo scuro sipario delle palpebre. Ma non era un sogno, John ne era sicuro, così come Sherlock si convinse empiricamente di averlo davvero tra le braccia, di essere l’unico uomo per lui. Ogni problema sembrò sparire mentre, a modo loro, definivano i termini del tacito contratto che stipularono modificando lo status della loro relazione: esclusività, appartenenza, legame fisico ed emotivo.
Quando raggiunsero l’orgasmo, il tremore che li scosse decretò la fine della frenesia incontrollabile che li aveva contagiati, facendoli crollare uno sopra l’altro ansimanti di un piacere già conosciuto, ma che sembrava essere nuovo per entrambi. Ebbero finalmente la calma necessaria per guardarsi negli occhi e per realizzare quanto appena accaduto e tutto ciò che si erano detti: il sorriso che si donarono a vicenda era il segnale, la conferma che quanto avevano appena realizzato non era stato contagiato dalla passione del momento, ma li coinvolgeva a livello profondo.
Fu lì che intervennero la lentezza, il gioco e l’erotismo: dal momento che ebbero scaricato il desiderio represso in quei due anni e la frustrazione così grande da risultare dolorosa e fastidiosa, poterono iniziare ad accarezzarsi con delicatezza, a baciarsi dolcemente, a studiare ogni millimetro di pelle e stuzzicarlo nel modo più eccitante possibile.
Squillarono telefoni, trillò il citono, bussarono alla porta, ma nulla poteva esimerli da dedicare il resto della giornata solo alla cura reciproca di loro stessi: erano nel loro sogno e non avevano intenzione di svegliarsi così presto.


°oOo°


Erano passate due settimane da quella mattina a Regent’s Park e Tom stava facendo lezione ad uno sfoltito gruppo di studenti svogliati quanto lui, in quel preciso momento, in quei particolari giorni: recitò pressochè a memoria il pensiero sul pragmatismo kantiano dal punto di vista antropologico, alternando lo sguardo tra il libro da cui traeva alcune citazioni e i volti dei ragazzi ai quali stava spiegando. Gli studenti non lo interruppero con delle domande e lui non li incoraggiò in quel senso: non aveva voglia di fare più del necessario, soprattutto se l’occhio gli cadeva nell’ultima fila, nel posto in cui John soleva sedersi le volte in cui era passato a prenderlo prima di un appuntamento.
Era indubbiamente triste: uscivano solo da due mesi, quindi non poteva dirsi innamorato di John, ma stava bene con lui. Lo trovava simpatico, dolce e leale, inoltre la qualità del tempo che passavano assieme era veramente eccezionale, sia che andassero al cinema, o a cena, o sul tetto dell’università, sdraiati a parlare di tutto alternando sonore risate a baci silenziosi.
Tuttavia, non si riproverò per non aver lottato per lui poichè sapeva quanto John fosse innamorato di Sherlock e quando capì che l’amore che provava non era a senso unico bensì ricambiato, non potè fare altro che fare un passo indietro e lasciare che quella coppia bizzarra si unisse così com’era giusto che fosse. Scrollò leggermente la testa al pensiero di quanto fossero stati ciechi l’uno nei riguardi dell’altro e non dimenticherà mai la furia di Sherlock: lo trovò senza dubbio molto egoistico ed infantile, nonchè esagerato e arrogante, ma vide anche come osservava John e capì che non avrebbe potuto competere con lui. E non lo avrebbe neanche voluto: sembravano assolutamente mal assortiti, così a prima vista, eppure i loro sguardi si riempivano di sentimento quando si incontravano. Come avrebbe potuto interferire? Anzi, li aveva pure aiutati e non se ne pentì neanche un istante.
Era felice per John, anche se ne sentiva la mancanza: lo voleva come amico, gli sarebbe bastato, se lo sarebbe fatto bastare, certamente, ma sarebbe dovuto passare del tempo prima che quel desiderio potesse realizzarsi. Sia per il temperamento possessivo di Sherlock, che per le sue stesse ferite interiori che necessitavano di tempo per rimarginarsi.
Tom concluse la lezione rimuginando sul proprio umore: era arrabbiato perchè non riusciva a sorridere da quel giorno. Sentiva la mancanza di pensieri positivi, ma era altrettanto consapevole che presto il malumore sarebbe passato: occorreva solo che accadesse qualcosa di bello, tipo la pubblicazione di un suo articolo su una rivista di Filosofia, o una conferenza come relatore all’esterno, oppure pimpare la Vespa, magari poteva prendersi un gatto.
“Professor Stone?” lo chiamò un ragazzo entrato subito dopo che l’ultimo studente fu uscito dall’aula.
Tom, che in quel momento stava cancellando alcuni appunti dalla lavagna, si bloccò nel riconoscere quella voce: ecco che l’universo aveva deciso di mandargli qualcosa di bello grazie al quale poteva sorridere nuovamente. O meglio, qualcuno. Sorrise, voltandosi lentamente “Signor Worth.”
Il ragazzo, che chiuse la porta dell’aula dietro di sè, era alto, biondo e aveva due vivaci occhi azzurri di una tonalità diversa rispetto a quelli di Tom: si avvicinò al professore finchè non gli si trovò di fronte “Non sono più uno studente, potrei anche non chiamarti in maniera così formale. Giusto, Tom?”
Tom sorrise lievemente, provando dei brividi lungo la schiena per essere riuscito a farlo e per l’emozione di trovarsi di fronte a quel ragazzo “Giusto, Chris.”
Chris riconobbe subito quel particolare sorriso: non era un’espressione di gioia, tutt’altro, somigliava molto al modo in cui Tom increspò le labbra quando si salutarono prima della sua partenza per l’America. Non che si stesse forzando, nè stava simulando la gioia di vederlo, ma c’era qualcosa sotto “Che cos’hai?” domandò e senza chiedere il permesso di cui non avrebbe comunque avuto bisogno, alzò la mano destra sul viso di Tom, carezzando le leggera occhiaia sotto il suo occhio sinistro.
Tom deglutì e si strofinò in fretta gli occhi, per poi catturare la mano di Chris nella mancina: non voleva mentirgli e, anzi, era già molto felice e grato che in quel momento fosse lì “Sono ferito, Chris. Sono giorni un po’ tristi.” sospirò, prendendosi una piccola pausa “Ma sono molto felice che sei passato a trovarmi. Sapevo che eri tornato e visto che sono passati già diversi giorni pensavo che non avresti voluto rivedermi.”
“Io sarei passato anche subito, ma poi ti ho visto in giro con un altro uomo.” gli strinse la mano, avvicinandosi di un altro passo “Pensavo che ti fossi sistemato.” ammise Chris, con semplicità, arrossendo un poco “Sei ferito per causa sua?”
Tom sorrise, questa volta con un po’ più di convinzione, intenerito dal rossore che colorava le giovani guance di Chris “Hai voglia di andare a parlare un po’ da qualche parte? Così mi racconterai anche dell’America.”
“Andiamo sul tetto?” propose Chris accettando la sua proposta, lasciando la mano di Tom solo per recuperare i suoi libri dalla cattedra.
Tom annuì, felice nella consapevolezza che il tempo di sorridere è nuovamente arrivato.


°oOo°


John apre gli occhi e scopre di avere il viso sorridente di gatto-Sherlock praticamente attaccato al proprio: sono entrambi vestiti, lui di bianco, l’uomo-gatto di nero.
“Tesoro mio. Era da un po’ che non ti sognavo.” sussurra John, felice di potersi beare ancora una volta di quella visione “Mi sei mancato.” si corresse poi “Beh, oddio, non poi così tanto, in realtà.” gli cinge la schiena con le braccia e lo stringe forte, affettuosamente “Tanto non ti arrabbi se te lo dico, vero?”
“Naturamente no, Jawn.” si avvicina alla guancia di John ed inizia a strusciarsi con la fronte, emanando il suono gutturale delle fusa feline “Anche se sono un po’ geloso, Jawn. Passi più tempo con lui che con me.”
“Ma io ti amerò sempre, lo sai.” dice con sincerità, per poi avvicinare la mancina alle orecchie feline, accarezzandogliele com’è solito fare “Senza di te sarei impazzito.”
Sherlock annuisce e miagola compiaciuto sotto le sue carezze “Jawn.”
John sorride, baciandogli il collo tremolante per le fusa “Ecco, mi mancano i tuoi ‘Jawn’. Sono così teneri.”
L’uomo-gatto inarca un po’ la schiena e abbassa le orecchie in un’espressione che ricorda la tristezza “Jawn.”
John posa la mancina dietro la nuca di Sherlock, spingendogli il viso verso il proprio petto “Sei triste, tesoro mio?”
“Smetterai di sognarmi, perchè ora puoi avermi nella vita reale.” mugola l’uomo-gatto, aprendo e chiudendo le mani sul petto di John, impastando l’aria con i vestiti bianchi dell’altro “Jawn.”
John posa un bacio delicato sulla fronte dell’uomo-gatto “Scommetto che quando lo Sherlock reale mi farà arrabbiare, di notte poi riuscirò a sognarti.”
“Ma tu non vuoi litigare con me. Cioè, con il vero me.” osserva Sherlock, ben conoscendo i desideri del padrone del sogno.
“In realtà no, non vorrei litigarci mai.” ammette John, continuando a coccolarlo “Però succederà, lo conosciamo, no?” aggiunge poi, posando la mancina sulla guancia dell’uomo-gatto, pizzicandola appena “Perchè sei testardo.”
“Jawn!” protesta l’uomo-gatto, liberando una risata argentina il cui eco riverbera nella perla del sogno. Sorride poi con un’espressione nuova, dolce, un’espressione che la memoria di John ha potuto catalogare solo dopo averla vista sul viso del reale Sherlock “Ci sarò sempre quando avrai bisogno di me.”
“Grazie, tesoro mio.” sussurra John, accarezzandogli le labbra col pollice.
Lo sguardo dell’uomo-gatto cambia, divenendo più languido, assecondando all’istante i desideri del subconscio di John “Jawn, baciami.”
John nega con un cenno del capo “Non voglio svegliarmi, voglio stare ancora un po’ con te.”
“Non ti sveglierai questa volta.” assicura l’uomo-gatto, iniziando a far giocare i nasi tra loro.
John inizia a sfiorargli le labbra col respiro, pregustando un sapore che già conosce “Promesso?”
L’uomo-gatto annuisce e annulla le distanze tra le loro labbra, mugolando e miagolando nella dolcezza del bacio che John ha anelato per molte settimane. E’ un bacio lungo, paradossalmente asciutto seppur condito dall’ossigeno che, condensandosi, dovrebbe inumidire il tutto. Ma quello è un sogno, non esistono leggi fisiche, non esiste l’ossigeno: domina il nonsenso deciso inconsciamente dal padrone del sogno.
Quando John si stacca da quel bacio, non ha più gatto-Sherlock sopra di sè: pensava che si sarebbe svegliato alla fine del bacio e invece si ritrova ancora nella perla. Perchè? Un miagolio affianco a sè risponde ai suoi pensieri: è il gatto nero le cui sembianze nascondono quelle di gatto-Sherlock. Miagola e chiede le attenzioni che John gli dà. Lo appoggia sul suo torace e dopo qualche coccola, chiudono gli occhi all’unisono, addormentandosi pacificamente.

“John?” il richiamo di Sherlock era poco più che un sussurro, delicato come la leggera carezza che andò a posargli tra i corti capelli color cenere.
John aprì lentamente gli occhi, ritrovandosi il volto di Sherlock a pochi centimetri dal proprio viso: sorrise nell’apprezzare la fortuna di avere il proprio sogno materializzato nel proprio letto, accanto a sè, nudo e, fortunatamente, senza coda e orecchie feline “Sherlock? E’ successo qualcosa?” biascicò prima di nascondere il volto tra il cuscino e il collo dell’altro, dal quale inspirò il dolce profumo del suo shampoo contraffatto dall’odore del sesso che li aveva fatti addormentare poche ore prima.
“Mugolavi qualcosa...” si giustificò Sherlock, che in quel rapporto di coppia si rivelò molto più dolce e premuroso di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare “Non era un incubo, vero?”
“No.” mormorò John, spostando di poco il viso per riuscire a posare alcuni piccoli baci sul collo di Sherlock, fino a risalire sulla sua guancia “Ho sognato gatto-Sherlock dopo tanto tempo. Sono anche riuscito a baciarlo questa volta.” sussurrò con la voce ancora impastata dal sonno.
“Mmh...” mugolò Sherlock, non riuscendo proprio a nascondere la piccola vena di gelosia che stava provando “Puoi baciare solo me, Jawn.”
“Come mi hai chiamato?” John aprì gli occhi di scatto e controllò con entrambe le mani che Sherlock non avesse nè le orecchie, nè tantomeno la coda.
“Ti ho chiamato per nome...” replicò Sherlock, un po’ dubbioso “Cosa stai facendo?”
“Controllo che tu non abbia coda e orecchie.” rispose John che, una volta confermato di non trovarsi in un altro sogno, lasciò le proprie mani esattamente dove stavano.
Sherlock sospirò, fingendo un’aria greve “E io che pensavo fosse una scusa per palparmi il sedere.”
John ridacchiò, seguendo con la mano la linea del bicipite femorale di Sherlock alzandogli la gamba fino ad appoggiarla sul proprio fianco “Non ho bisogno di una scusa per palparti il sedere.”
“Allora forse il sesso di prima ti ha causato un embolo e ora non ragioni più correttamente?” ipotizzò Sherlock, ora in maniera più scherzosa, strusciando sul fianco di John la gamba che lui stesso gli aveva appena alzato.
“E’ che mi hai chiamato come fai in sogno.” spiegò John, continuando ad accarezzargli la gamba strizzandola nei punti dove trovava più muscolo, a mo’ di massaggio “Non hai detto proprio ‘John’. Hai detto qualcosa di simile a ‘Jawn’.”
Jawn?” ripetè Sherlock.
“Sì!” annuì John, entusiasta, baciandolo al volo sulle labbra, quasi come una ricompensa.
Sherlock mugolò, arricciando il naso in un’espressione leggermente imbronciata “Sono sempre più geloso del tuo sogno.”
“Ti svelerò un segreto.” bisbigliò John, avvicinandosi sempre più anche col resto del corpo “Sai quando si dice a volte i sogni sono meglio della realtà?”
Sherlock inarcò un sopracciglio “Stai per dirmi che io sono meglio di qualsiasi sogno?”
John non se la prese: era fin troppo abituato ad avere a che fare con Sherlock per potersi offendere per così poco “Troppo scontato per l’unico e inimitabile Sherlock Holmes?”
“Ovvio che è scontato.” sospirò Sherlock, rendendosi conto sempre in ritardo di parlare troppo, a volte. Così decise di provare a rimediare a modo suo. “Ma ho scoperto la fastidiosissima verità che anche le più semplici banalità, se dette da te, non sono per niente noiose.”
E così come John non se la prendeva mai per le uscite poco romantiche di Sherlock, sapeva anche apprezzare tutti i suoi sforzi per provare ad essere adorabile. Sforzi che, tra l’altro, erano quasi sempre ben riusciti “Beh, è un complimentone, detto da te.”
“Certo, tesoro mio.” Sherlock gli fece il verso, ma il tono che uscì voleva essere provocatorio nel senso più erotico del termine: annullò la già minima distanza tra di loro, premendogli la propria eccitazione all’altezza del bacino.
“Stalker.” lo accusò John, incurante, in realtà, che Sherlock avesse spiato il suo sogno. Cercò le sue labbra, un po’ per zittirlo, molto più per baciarlo e strappargli via i primi gemiti in un gioco che lo vedeva sempre vincitore.
“Gattofilo.” fece in tempo a dire prima di perdere la loro personalissima gara e abbandonarsi per primo alla prova vocale dell’eccitazione che era riuscito a provocargli.
John gli sorrise sulle labbra, lasciando scendere la mano tra i loro bacini, impossessandosi avidamente dei trofei di cui iniziò a prendersi cura “Ti amo.”
Sherlock ansimò in balia delle piacevoli attenzioni che stava ricevendo, ma prima di perdere definitivamente il controllo, decise di dare un ulteriore trofeo a John. Un premio con cui non lo aveva ancora omaggiato, non chiaramente, non che ce ne fosse veramente bisogno. Ma Sherlock aveva capito l’importanza delle parole, soprattutto di quelle non dette, quindi lo fece: prese il volto di John tra le mani e dopo aver posato un leggero bacio sulle sue labbra, confessò “Ti amo anche io.”

D’altronde, a John era stato predetto ‘Nella casa dove vive un gatto nero, non mancherà mai l’amore.’



___________

(1) Citazione presa da "Pirati dei Caraibi - La maledizione della prima luna"
(2) Nota marca di ombrelli XD

***Vi ringrazio per avermi seguita in questa pazza pazza pazza idea (di faaar l'amoooore con luuuuuuuui... ok, stop u.u), che spero vi abbia divertito perchè, davvero, era quello lo scopo uahahah *___* spero che questo finale vi piaccia nonostante la prolissità (più di 12mila parole... vabbè °_° <3), ho cercato di metterci un po' di tutto! Bamf!Mycroft che non fa mai male <3 (I love Mycr, you know!), Evil!Mycroft uahahah stronzone che è stato! Johnlock a manetta e a proposito, spero di non essere andata troppo ooc con Sherlock... cioè lo sapete, se si scrive johnlock è praticamente assicurato andare fuori dal personaggio, ma spero di aver comunque tenuto lo stampo (la scenata a regent's park... c'è mycr che ci si pippa sù guardandola, bastardo *_* <3) e poi, come promesso, ho sistemato anche Tom perchè mi sembrava giusto, perchè avere la lacrimuccia quando scrivevo che si stava lasciando con John è stata devastante XD Ah! E sì, l'altra volta ho dimenticato di scrivere il riferimento a Chris Hemsworth, ma vedo che tanto l'avevate capito tutte ahahah *____* vi adoro! *_______* Uh e scusate per il ritardo nella risposta alle rece, rispondo ora dopo aver pubblicato :D e ovviamente ora mi metto sotto con gli ultimi 2 capitoli del Trifoglio! Mi perdonerete se vi ho fatto aspettare vero? Ma non pensavo che la catlock venisse così lunga... doveva essere una oneshot... VABBE'! Direi che ho detto tutto o.o e, di nuovo, grazie mille per i vostri bellissimi commenti, vi adoro! Ah e ringrazio la mia adorata Mrs Teller e la mia pucciosa Jessie per il betaggio e gli aiuti umanitari durante i miei scleri!!! E anche Nat, senza la quale non avrei avrei avuto l'ispirazione per questa fanfiction malatissima! *-* BACIO!!!***
   
 
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