Bringing Her Happiness
Regina
era preoccupata. Percorreva l’ingresso della sua villa, fermandosi di tanto in
tanto a lanciare uno sguardo truce all’orologio. Si muoveva troppo lentamente e
troppo velocemente al tempo stesso.
La sua mano si mosse inconsapevole verso
l’anello che portava appeso al collo. Il calore di quell’ultima traccia di
magia nella sua vita l’aiutava a lenire le paure e permetteva all’eccitazione e
alla consapevolezza del vantaggio di prevalere di nuovo.
S’incamminò di nuovo verso le scale,
facendo per l’ennesima volta il quadro generale di tutti i preparativi. Tutto era
perfettamente in ordine e non si vedeva un solo granello di polvere. Sedette in
una sedia nuovissima nel centro della stanza che aveva passato mesi a decorare
e ridecorare.
Certo, avrebbe dovuto assumere qualcuno
che lo facesse, ma quell’idea sembrava sbagliata. Tuttavia ben presto, quando s’era
trattato di fare tutto senza l’aiuto
della magia, aveva scoperto quanto fosse fuori esercizio. Smerigliare,
disegnare, dipingere, e dozzine di altre abilità che un tempo erano venute così
naturali tra le sue mani, ora la portavano quasi a piangere dalla frustrazione.
Era una fortuna, per Home Depot, che lei non avesse più maledizioni da scagliare in
cambio del cosiddetto ‘aiuto’ che le avevano dato.
La luce dell’alba filtrava attraverso le
tende impeccabili appese alle finestre che si affacciavano a est, riempiendo la
stanza di un bagliore dorato. Illuminò i dipinti a mano che decoravano le
pareti. Il suo preferito era l’albero di mele. La sua mano corse di nuovo all’anello
e per un istante si trovò di nuovo lì, sotto il loro albero, a scambiare con
lui il primo bacio...
L’orologio nell’ingresso rintoccò e
Regina si svegliò bruscamente. Non aveva avuto l’intenzione di dormire, era
quasi ora...
Aveva avuto appena il tempo di rendersi
presentabile quando suonò il campanello.
A occhi esterni, Regina Mills sembrava forte e fiduciosa in se stessa. Ma dentro aveva lo stomaco annodato, poiché
tutte quelle diverse emozioni che non aveva provato per anni minacciavano di
consumarla. Era principalmente per questo motivo che aveva aspettato tanto a
farlo.
L’aveva pianificato fin dal momento in
cui aveva scelto di sacrificare il suo stesso padre alla maledizione. Rimandare
per così tanto tempo aveva quasi fatto sì che non succedesse mai. Per fortuna
il signor Gold era stato lì a sincerarsi del contrario.
Incapace di stare ferma ancora a lungo,
Regina prese un respiro profondo, indossò il suo sorriso più vincente e aprì la
porta.
Ore dopo era sull’orlo dei singhiozzi. Non
si era aspettata che fosse facile, ma non avrebbe mai neanche immaginato che
fosse così difficile.
Henry aveva appena una settimana di vita
e sembrava aver pianto per tutto il viaggio fino a casa di Regina. L’esausta
assistente sociale le aveva praticamente lanciato il piccolo e se n’era andata
più in fretta che aveva potuto.
Lanciava strilli acuti e nessuno dei
tentativi di Regina riusciva a calmarlo. Era meravigliosamente tranquillo in
quei pochi attimi in cui beveva il suo biberon, ma meno di dieci minuti dopo
ecco che tutto si riversava sulla sua camicetta di seta. E poi ricominciavano
le urla.
Non aveva esperienza di coliche
infantili o di bambini in generale. Tutti i libri che aveva letto e consultato
non le erano di alcun aiuto.
Eppure, il suo orgoglio non le avrebbe
mai permesso di chiedere aiuto a qualcuno. No, era qualcosa di più che
orgoglio. Quando Regina era bambina, sua madre l’aveva affidata alle cure di
una balia e non veniva a ‘visitare’ la figlia che a intervalli di settimane.
Regina stessa non era certo una donna
esemplare. Aveva fatto cose davvero terribili nella sua vita, ma il piccolo
Henry, qui, era ciò che l’avrebbe riscattata. Sarebbe riuscita a guadagnarsi il
suo amore e ne sarebbe stata degna. Non sarebbe stata come sua madre.
Con forza rinnovata, ricominciò la
battaglia per imparare a prendersi cura di Henry. Trascorsero ore di lacrime,
di sonnellini incostanti, di biberon maleodoranti e di cambi di pannolini, e finalmente,
alle prime luci del giorno, suo figlio sprofondò in un sonno pacifico.
Regina si ritrovò di nuovo addormentata
sulla sedia a dondolo. Questa volta non fu lo scampanio dell’orologio a
svegliarla, ma lo spiacevole strillare di Henry.
Eppure questa mattina le sue grida erano
diverse. Ieri erano sembrate risuonare di dolore e paura, oggi erano più come
rabbia e consolazione.
Regina diligentemente lo cambiò e lo
nutrì, felice di scoprire che solo un piccolo rigurgito accompagnò questo nuovo
pasto. Però si agitava e si dimenava, così lo rimise nella sua culla sperando
in qualche altra ora di sonno.
Non appena se ne allontanò gli strilli
ricominciarono a viva voce e Regina cominciò a piangere.
La mano tornò ancora all’anello appeso
al collo, alla disperata ricerca del calore del giorno precedente.
« Non so cosa fare » si concesse di
ammettere, mentre lacrime silenziose ancora scendevano lungo le sue guance.
Riuscì a sentire la risata di Daniel
echeggiarle nella mente.
Sì,
invece.
« No, non è vero. Aiutami! » lo pregò.
Amalo
e basta.
Spalancò gli occhi e li fece scorrere
tutt’intorno nella stanza, stizzita.
« Amarlo? Come potrei non amarlo? L’ho
amato fin dal primo momento in cui ho progettato questa vita! »
Il suo sguardo indugiò sulle pareti, sui
tappeti, sulla culla... Tutte le ore di duro lavoro che aveva impiegato nel
creare la cameretta perfetta per suo figlio erano attestato di quell’amore.
Di nuovo, sentì Daniel ridere.
Devi
solo amarlo, Regina. Ama Henry.
E improvvisamente capì.
Lei non amava Henry. Amava l’idea di lui. Era la sua salvezza e la
sua penitenza, un memoriale vivente per tutti quelli che aveva amato e che
erano passati a qualunque cosa vi sia in attesa oltre questa vita. Era la sua
redenzione, e il prodotto di anni di progetti, speranze e desideri. Ma non
poteva ancora essere tutte queste cose. Oggi, non era altro che un bambino. E non
sarebbe diventato ciò di cui lei aveva bisogno prima che lei stessa diventasse
ciò di cui lui aveva bisogno.
Il bagliore del sole nascente lambì la
stanza mentre Regina tornava accanto alla culla. Abbassò gli occhi sul bimbo
urlante dal faccino rosso e per un istante non fece nient’altro che guardarlo.
Con tenerezza, lo sollevò e lo strinse a
sé, mormorando per tranquillizzarlo.
Le sue grida si attenuarono un po’, ma
non cessarono.
Regina iniziò a canticchiare la Ninnananna di Brahms,
tornando alla sedia a dondolo e sedendosi.
Henry smise di piangere e guardò in su,
come ipnotizzato dalla sua voce.
Lei gli percorse il visetto con un dito
leggero, ridendo piano quando la minuscola manina di lui glielo strinse in una
presa salda.
Dondolò e canticchiò fino a quando Henry
non poté più tenere gli occhi aperti.
Rimase seduta a lungo, stringendolo e
osservando il suo viso, ascoltando il suo respiro, sciogliendosi nel suo
calore.
Le sfuggì una lacrima che cadde sulla
fronte del bambino e che lei si chinò a baciar via.
« Ti voglio bene, Henry » mormorò,
avvertendo nel cuore una fiamma di indescrivibile gioia.
Ebbe un lieve sussulto alla sensazione
di aver sentito Daniel ridere ancora una volta.
Regina sorrise. Di tutte le cose che si
era aspettata che Henry le avrebbe portato, non aveva mai considerato che tra
loro vi fosse anche la felicità.