Avvertimento:
questa oscenità è davvero, profondamente,
assolutamente OOC.
In
quanto Sebastian sarà il pre-Seb a quello che conosciamo
noi. Questa
simpatica
esperienza lo
cambierà per sempre e lo farà diventare il nostro
Sebastian
sono-tanto-figo-quanto-stronzo Smythe, per una sorta di psicologia
inversa/perversa.
Blaise
non c'entra nulla
con Blaine.
Prevengo le critiche che giungeranno per il nome, ma c'è una
storia
dietro, credetemi.
I deserve to be more than a trophy.
Sebastian si guardò per la centesima volta allo specchio.
Controllò tutto: ipotetici rimasugli di cibo fra i denti, l’alito, le sopracciglia, le unghie delle mani, quella sottospecie di peluria che si ostinava a chiamare barba. Diede un’ultima passata di gel nei capelli, tanto per essere sicuro che reggessero.
Fece un sospiro e osservò il suo riflesso allo specchio, regalandosi un sorriso di incoraggiamento; ne aveva davvero bisogno. Era un normalissimo sedicenne di una famiglia parigina benestante e stava andando al suo primo appuntamento. Con un ragazzo. E non è che lo avesse proprio detto ai suoi genitori.
Scese le scale con passo insolitamente allegro, si azzardò addirittura a canticchiare qualcosina. Bina, la domestica della loro grande casa agli Champs Elisées, lo guardò male quando calpestò la zona che aveva appena lavato, ma Sebastian non smise di sorridere e continuò a fischiettare fino alla porta di casa, dove qualcosa, o meglio, qualcuno, lo bloccò.
«Alt,
dove vai, Seb?»
la sua
gemella, Isabelle, lo aveva placcato appena prima che potesse uscire
in quella giornata meravigliosa dove il sole splendeva, gli uccellini
cantavano, i fiori profumavano più del solito e tutto era
così
bello.
«Esco, Is»
«Questo
lo vedo. Solo perché sei più grande di me di
qualche minuto non
vuol dire che sei più intelligente, o bello. Ok, d'accordo,
basta
guardarci insieme per renderci conto che sei più bello tu,
ma non
significa nulla»
borbottò lei
«Comunque, dove vai? Con chi vai? Cosa fai? Ma soprattutto,
perché?»
Sebastian Smythe aveva bisogno di una balla, e alla
svelta. Era sempre stato davvero vicino a lei, le aveva sempre detto
tutto, ma da qualche mese, da quando aveva iniziato a capire che
provava qualcosa per Blaise, non era più sicuro che fosse la
cosa
giusta da fare. Sì, certo, rimaneva la sua gemella, e molte
persone
pensavano che i gemelli condividessero un rapporto speciale, e forse
era davvero così, ma non si sentiva pronto. Non che lei
avesse mai
detto o fatto qualcosa di strano, ma non era il momento giusto.
«Al
Cafè Chocolat, con Blanche, beviamo un caffè,
perché siamo amici,
suppongo...»
«Se non sapessi che siamo legati per sempre,
potrei dire che stai cercando di rimpiazzarmi con lei»
«Non
essere così paranoica, ecco perché non hai amici
oltre me» scherzò
l'altro mentre tentava di sottrarsi alla ragazza per uscire e andare
al suo fottuto appuntamento.
«E va bene, smettila di scalpitare
come un cavallo, mica se ne va» disse infine lei cedendogli
la
maniglia d'ottone della porta per lasciarlo passare «e dille
che la
saluto, caramente»
«Se questo era un messaggio in codice per
dirmi che le staccheresti volentieri la testa a morsi, grazie, l'ho
recepito. Non capirò mai perché vi odiate senza
un motivo» sospirò
lui e uscì di fuori.
Il profumo dei fiori primaverili nelle aiuole davanti a casa lo investì con prepotenza e lui aspirò a pieni polmoni quell'odore così bello, quasi celestiale che proveniva da cose così effimere. Così effimere che se le toglievi dal loro ambiente naturale, dopo pochi giorni non avevano più valore. Sebastian si meravigliò degli strani pensieri che faceva, ma, dopotutto, era innamorato, e agli innamorati, si sa, tutto è permesso.
Aveva
appuntamento con Blaise davanti a Jardin des Plantes,
poi avrebbero fatto una passeggiata romantica per tutta la
città e
alla fine si sarebbero dichiarati amore reciproco e perpetuo. Ok,
forse così era un po' troppo, ma aveva alte aspettative
comunque.
Non riusciva a trattenersi: calciava le pietre, fischiettava,
canticchiava, saltellava, incurante degli sguardi stupiti degli altri
passanti; loro non potevano capire. Ad ogni vetrina, finestrino o
superficie riflettente si fermava a controllare tutto il
controllabile, e non era mai contento di quello che vedeva.
Finalmente arrivò al Jardin des Plantes. Era in fibrillazione. E quando lo vide, dopo due giorni soli, realizzò al momento quanto gli fosse mancato. Tanto, davvero tanto, più di quanto potesse mai immaginare. Ed era così bello, illuminato in una maniera strana e discontinua dal sole. Aveva dei capelli biondo scuro, tendente al castano, che si intonavano alla perfezione con i suoi occhi, un caramello chiaro che ricordava il colore delle caramelle mou. Un naso perfetto, labbra che, appena le vedi, desideri già baciarle, carnose, rosee, e dei lineamenti stranamente affilati che completavano l'insieme bilanciando la dolcezza delle sfumature con un tocco più maschile. Era appoggiato alla ringhiera bianca del bar, del tutto a suo agio con quello che lo circondava. Aveva sempre invidiato la sua sicurezza, il suo saper dire sempre le cose giuste al momento giusto; sembrava sempre così forte, così fiducioso, che averlo accanto era una sfida continua per la sua già bassa autostima. Ma poteva combattere per sempre contro la sensazione di sentirsi una nullità, dopotutto non gli chiedeva poi molto, a confronto di tutto quello che poteva avere.
Aveva incontrato Blaise ad una di quelle noiosissime cene che facevano i suoi per l'alta società, e, almeno per lui, era stato subito un colpo di fulmine. Non se ne era accorto subito, certo, ma con il passare dei giorni si ritrovava sempre a pensare a quegli occhi fantastici, il sorriso pieno e sicuro che gli aveva rivolto appena si erano conosciuti, e si era scoperto ad aspettare con ansia il raduno dei vecchi successivo. Da lì si erano iniziati a conoscere, cautamente, con prudenza. Avevano iniziato a vedersi, come amici, ogni tanto, da qualche volta al mese, fino a quasi ogni giorno. Alla fine aveva dovuto ammettere con se stesso di provare qualcosa per quel ragazzo bellissimo e sicuro di sé, ma aveva continuato ad aspettare che l'altro facesse il primo passo. E così, qualche mese dopo, si erano ritrovati a posto romantico a Parigi. E Sebastian non poteva chiedere di meglio.
«Blaise...»
«Già,
a quanto pare mi chiamo così» sorrise l'altro
«Sebastian,
presumo.»
«Smettila di scherzare, sai benissimo chi sono»
arrossì Sebastian coprendosi con la mano le guance in fiamme.
«Su,
andiamo» lo incoraggiò Blaise, lo prese per mano e
lo condusse
attraverso quei labirinti di odori e colori che pareva gridassero al
mondo il loro amore.
A Sebastian parve di toccare il cielo con un
dito, anzi, di trovarsi in un universo parallelo, tanto era felice.
Tenersi per mano in pubblico era forse la cosa più bella
cosa che
gli fosse capitata negli ultimi mesi.
Man mano le aiuole fiorite e gli spazi verdi scomparivano lasciando il posto ad un groviglio di strade e stradine, sempre più strette. Non era proprio quella la sua idea di passeggiata romantica, ma non era poi così male. Si stava ricredendo; dopo i primi dieci minuti di felicità assoluta non era successo ancora nulla. Non che lui avesse queste grandi esperienze in appuntamenti, ma quella strana sensazione di essere riempito di bolle di sapone che lo permeava completamente da quando Blaise gli aveva preso la mano ormai stava svanendo.
«Ma
dove stiamo andando?»
«In un posto speciale» sussurrò Blaise,
tranquillizzando l'altro che stava perdendo i proprio punti di
riferimento in quella città che conosceva solo da poco
tempo, ma che
già sentiva sua.
«Allora non devo preoccuparmi...» sorrise
Sebastian, di un sorriso appena forzato, ma giusto il tanto da essere
notato.
«Certo, penso a tutto io, stai tranquillo.»
Blaise lo guidò attraverso l'ennesimo incrocio, ignorando del tutto il semaforo rosso per i pedoni, fino ad arrivare davanti ad un portone di ferro battuto, bianco. Prese delle chiavi e lo aprì. Appena entrò in contatto con le chiavi, la serratura emise un leggero scricchiolio metallico. A grandi passi si diresse verso la seconda porta, di vetro e ottone, che si aprì senza un suono, mostrando un atrio piccolo e male illuminato. Sebastian lo seguì titubante fino all'ascensore e, dopo averlo aspettato, chiuse le porte, trovandosi a pochi centimetri di distanza da quella meravigliosa creatura dagli occhi dorati.
Blaise
lo spinse verso la parete con il suo peso e premette con forza le sue
labbra su quelle dell'altro, mentre con le mani esplorava tutto il
corpo. Prima le mise attorno alla nuca, scese giù per le
spalle, e
sempre più giù, per la schiena.
Sebastian spalancò gli occhi,
quasi spaventato da quel contatto improvviso, brusco. Si era
aspettato, se non i fuochi d'artificio, almeno qualcosa di
più. Più
sentimentale, dolce, delicato. Ma non c'era nulla di delicato in
quello che Blaise stava facendo. Era tutto così selvaggio,
primitivo, privo di tatto.
Non sentendo nessuna risposta dal
ragazzo, Blaise ripartì alla carica, mordicchiando le labbra
di
Sebastian con voracità; l'altro si lasciò
sfuggire un gemito di
dolore, era solo... troppo. Troppo forte, troppo imprevedibile,
troppo animalesco. Non era come se lo era immaginato, ma forse le sue
aspettative erano sempre state troppo alte, irraggiungibili. A
sentire gli altri, era meraviglioso, ma lui riusciva solo a
subire.
«Va
tutto
bene? Sembri agitato» sussurrò Blaise
«No,
no, certo che no» mormorò a sua volta
l'altro, guardando a
terra senza sfiorare quegli occhi color caramello che avrebbero
intuito la verità dopo pochi secondi.
Blaise, dopo essersi
inumidito le labbra passandoci la punta della lingua,
ritornò a
baciarlo. Questa volta approfondì il contatto, forzando
l'altro con
la lingua a lasciarlo passare. Sebastian si stava praticamente
strozzando per quella lingua estranea che gli mulinava all'interno
della bocca. Per caso voleva controllare cosa avesse mangiato la
mattina? O se le sue tonsille fossero troppo grandi? Fece un falso
sorriso appena accennato, sperando che Blaise fosse recettivo e
smettesse di ispezionargli il palato. Quello era il mestiere del
dentista, dell'otorinolaringoiatra, mica il suo. Ma l'altro non
desisteva, così gli fece discretamente notare che erano
arrivati al
piano prescelto, il quarto.
Blaise si staccò di colpo, uscì
dall'ascensore e, con un'altra delle chiavi dello stesso mazzo usato
in precedenza, aprì la porta di fronte alle scale. Dopo due
giri la
spalancò, invitando l'altro ad entrare. Non del tutto
convinto,
Sebastian azzardò comunque i primi passi in quella casa
sconosciuta.
Si guardò intorno, cercando un segno di chi ci abitava, una
foto
incorniciata, un post-it, una sciarpa, ma non c'era assolutamente
nulla. Era asettico e privo di arredamento come la camera di un
ospedale.
«E
questo
sarebbe il posto speciale?» pensò fra
sé Sebastian, mentre Blaise
andava in quella che aveva chiamato cucina, solo che non differiva
per nulla dal resto della “casa”, ma non glielo
avrebbe mai
chiesto, per nessuna ragione al mondo.
Pochi
minuti dopo, quando Blaise riapparve con due bicchieri d'acqua in
mano, lo invitò con un gesto a sedersi sul divano. Lui
stesso gli si
accomodò accanto, posando di fretta i bicchieri sul tavolino
accanto, un po' di acqua fuoriuscì e si creò un
piccolo laghetto.
Sebastian si accorse di tenersi aggrappato ai dettagli più
insignificanti mentre Blaise lo sopraffaceva con le sue carezze
insistenti, mordendo e baciando ogni centimetro del suo corpo
raggiungibile.
Da seduti che erano, Blaise gli si era fatto
addosso, sopra e continuava a baciarlo con foga. Un rumore metallico
fece bloccare Sebastian che mormorò all'orecchio dell'altro
«Cos'è?»,
ma il ragazzo non
rispondeva, così penso solo di esserselo immaginato. Blaise
si
riavvicinò, annullando la poca distanza fra loro con un
altro bacio,
senza toccarlo con le dita. Dopo una manciata infinita di secondi il
rumore metallico si fece risentire e Sebastian completò
finalmente
il puzzle. Era la sua cinta, da cui proveniva il rumore.
Stava
sull'orlo di una crisi di panico, non aveva idea di cosa fare. Queste
cose succedevano nei film alle ragazzine imprudenti che non si
vestivano in modo adatto alla loro età, mica a ragazzi
sedicenni che
hanno appena scoperto di essere omosessuali e non hanno nessuna
esperienza in materia di appuntamenti. Doveva pensare in maniera
lucida: fra poco Blaise sarebbe passato al gradino successivo, e
questo era chiaro. E lui non voleva. Porco cazzo, era il suo primo
appuntamento.
Si tirò su e diede un'occhiata veloce all'orologio
da parete, ignorando l'altro che lo guardava stranito.
«Va tutto
bene?»
«Certo, perché me lo chiedi?»
«Sembri a
disagio.»
«Non me lo aspettavo»
«Ma non hai mai...» e lui?
Perché lui era un uomo vissuto di sedici anni?
«Non sono quel
genere di persona» e aveva sedici anni, cazzo, ed era il suo
primo
appuntamento, cazzo, e non stavano neanche insieme, cazzo. Cosa aveva
nel cervello, zucchero filato? Segatura? Merda di cane?
Sebastian
si alzò dal divanetto e si sistemò i vestiti
stropicciati.
«Vai
già?» disse l'altro tirandosi su a sua volta,
puntellandosi con le
braccia.
«Sì, è tardi, mi stanno aspettando. Ma
magari ci
possiamo vedere un altro giorno, tipo dopodomani» Ma anche
no, lo
avrebbe mai più rivisto, era fuori discussione.
«Certo, aspetta
che ti accompagno alla porta».
Davanti alla porta, Sebastian lo
abbracciò l'ultima volta. Era diviso fra due sensazioni
contrastanti: non voleva lasciarlo andare perché sapeva
benissimo
che non si sarebbero più rivisti, ma, allo stesso tempo, era
restio
a toccarlo perché pretendeva troppo da lui. Voleva troppo
senza dare
in cambio nulla, e lui non era un cazzo di trofeo che potevi
conquistare e poi riporre in una vetrina, alla vista di tutti. Lui
voleva di più. Magari era un ragazzo all'antica, di quelli
che
desideravano una famiglia, dei bambini da veder crescere, una bella
casa in campagna e un cane da coccolare. Era un ragazzo che voleva
una famiglia alla 'Mulino Bianco', e Blaise non era certamente la
persona con cui voleva costruirla.
«Beh, allora a dopodomani. Ti
mando un sms per dove e quando» sussurrò
Sebastian, sentendosi, suo
malgrado, tremendamente in colpa. Il ragazzo mormorò un
assenso e
chiuse la porta con forza davanti alla faccia dell'altro.
Sebastiano
mosse qualche passo verso l'ascensore, ma era stato così
orribile
sentirsi ingabbiato che ora aveva bisogno d'aria, ora più
che mai.
Corse a perdifiato giù per le scale, immaginando di
ritrovarsi il
viso di Blaise davanti ad ogni angolo. Non poteva continuare
così,
lo stava distruggendo.
Uscì dal cancello e a malapena resistette
alla tentazione di guardare su, verso la finestra, per controllare se
lo stesse osservando. Con un enorme sforzo di volontà si
impose di
camminare lentamente fino alla svolta della strada. Ad ogni passo
voleva voltarsi per accertarsi che non lo stesse seguendo. L'unica
cosa che desiderava era correre via, sentire il vento sulla pelle,
non provare più quella orribile sensazione di costrizione,
ed era
l'unica cosa che non poteva fare.
Quei cento metri fino alla
svolta furono i cento metri più lunghi della sua vita. Il
muro
sembrava allontanarsi piuttosto che avvicinarsi e Sebastian si
sentiva svenire. Vedeva tutto il mondo girargli attorno, il cielo
vorticava, l'asfalto grigio si faceva pericolosamente vicino. Si
appoggiò al muro coperto di edera, scosso da conati di
vomito e si
costrinse a fare dei respiri profondi, nonostante facesse male
sentire tutta quell'aria nei polmoni. Chiuse gli occhi e
contò fino
a dieci, ma nulla era cambiato. Contò altri dieci, e ancora,
fino a
centoventi, poi riaprì gli occhi. Doveva andarsene da
lì, non era
abbastanza lontano da quella casa, da Blaise,dal sentirsi inadeguato,
da tutte le illusioni cadute in pezzi.
Iniziò a correre, girando
a caso in quelle strade sconosciute, desiderando solo evadere da quel
labirinto soffocante. I piedi volarono prima sul marciapiede, poi
sulla metro e sull'autobus; aveva dovuto chiedere informazioni per
tornare a casa. Ogni secondo che parlava con lo sconosciuto si
sentiva sopra il suo sguardo indagatore. Lui sapeva tutta la storia e
lo stava giudicando; tutti lo stavano giudicando per quello che aveva
fatto: la vecchietta che comprava le carote, il vigile urbano che
smaltiva il traffico, i due ragazzi che facevano le acrobazie con lo
skateboard, le due bambine che saltavano a corda mentre cantavano una
filastrocca per tenere il ritmo.
Dopo
un'ora di tortura, arrivò a casa. Lentamente, con gesti
stanchi,
suonò il campanello e salì le scale che poco
tempo prima aveva
sceso con tanto entusiasmo. Chiuse dietro di sé la porta in
maniera
delicata e si buttò sul letto. Rimase a guardare il soffitto
per
molto, molto tempo, poi prese l'IPod e scelse la playlist adatta al
suo umore tetro. Sentire musica strappalacrime era la cosa meno
consigliabile da fare, ma era confortante sapere che non sei solo,
che anche altre persone hanno una vita merdosa come la tua. E Leona
Lewis era perfettamente adatta a questo proposito. Leona
Lewis -
Better In Time
In
qualche strano modo ascoltare quella melodia triste esorcizzava tutte
le sue paure; si ritrovava in ogni singola parola della canzone.
Sarebbe stato duro, ma il tempo avrebbe guarito tutto, forse. Ma
dovunque posasse gli occhi, riusciva solo a vedere migliaia di paia
di occhi dorati, dappertutto. Una piccola lacrima trasparente fece
capolino dall'occhio. Si sforzò di trattenersi, ma non le
note non
aiutavano.
«Sebastian?
Cos'è questa musica deprimente?» irruppe nella
stanza la sua
energetica sorella Isabelle.
In fretta il ragazzo si asciugò
quella piccola lacrima di debolezza e finse un sorriso, ma
uscì solo
una smorfia stanca.
«Va tutto bene?» Si avvicinò al fratello
e
si sedette sulla sponda del letto con lui.
«Se anche dicessi di
sì, mi crederesti? Quindi, no.»
sussurrò lui
«Era una domanda
retorica, si vede che sei distrutto» mormorò lei a
sua volta,
sistemandogli una ciocca ribelle, «è andato male
l'appuntamento con
Blanche?»
«No, no...»
«Bene, anche se per amor tuo ero
quasi disposta a sopportarla per il resto della mia vita, mi fa
piacere non doverlo fare. Allora, immagino che non fosse con Blanche,
l'appuntamento intendo» tirò ad indovinare
Isabelle.
«Non
esattamente» sospirò Sebastian.
Dopo aver dato un'occhiata
veloce al viso del fratello, riprese «senti, non sembri molto
in
vena di parlare, ma sappi solo che io per te ci sono sempre, per
qualsiasi cosa»
Il ragazzo rimase in silenzio per qualche
secondo, poi si girò a guardarla negli occhi «Hai
mai avuto
qualcosa da dover dire, ma hai paura che poi nessuno ti guardi
più
nello stesso modo dopo averla detta?»
«Non credo, ma posso
provare ad immaginarlo»
«Beh, io lo so. Ed è arrivato il
momento, quel momento in cui quello che provi è
più importante di
cosa gli altri pensano di te», Isabelle stette zitta,
aspettando il
resto della frase, ma Sebastian non riusciva a dirla. Si vedeva che
ci provava, in ogni modo, ma non riusciva.
«Sto cercando delle
parole adatte, più giuste, come se usarle cambiasse la
sostanza, ma
non ci riesco.»
«Non ho idea di cosa vuoi dirmi, ma, prima che
tu parli, volevo dirti che tu rimarrai sempre mio fratello, il mio
Sebastian con cui giocavo a palla nel giardino dei nonni, che mi
lanciava i pupazzi la notte perché cantavo, che mi faceva
assaggiare
i suoi gusti di gelato perché avevo troppa paura che non mi
piacessero e quindi puntavo sempre su cioccolato e fragola. Il mio
Sebastian a cui facevo dispetti ogni giorno, ma con cui non riuscivo
a rimanere arrabbiata neanche per un secondo, perché quando
ti
tenevo il broncio, era come se una parte di me fosse morta e non
riuscissi a respirare bene. Sebastian, volevo dirti solo che noi
condividiamo così tanto che nulla potrà mai
dividerci. Mai. Ora
spara pure» sorrise lei.
«Tralasciamo il fatto che sto per
piangere per quello che mi hai appena detto, per favore. Beh,
è una
cosa molto meno poetica, ho esaurito la scorta quotidiana di
ispirazione prima, ma va bene...»
«Tu mi stai torturando, dimmi
ti prego.»
«Bene. Sono omosessuale.»
«Tutto
qui?»
«Preferisci: 'Mi piace il pene'? Cos'altro posso
dirti?»
«No, dico e avevi paura di dirmelo? Sono davvero
così
spaventosa?» scherzò lei.
«Avevo paura della tua reazione»
«Sei
certo che non ho fatto nulla di sbagliato per cui non volevi
più
fidarti di me?»
«Davvero, sei meravigliosa come sempre. Non
volevo che le cose fra di noi cambiassero.»
«Cosa potrebbe
cambiare? Tu sei Sebastian Smythe, il mio fratellone, il mio gemello,
la persona che amo più della mia stessa vita, senza la quale
non
posso stare» concluse lei con un sorriso.
«Sei senza dubbio la
persona più strana che io abbia mai incontrato»
disse lui «la più
incredibile.»
«Quindi l'appuntamento era con un ragazzo...
qualcuno che conosco?» Isabelle riportò il
discorso sull'argomento
che le interessava.
«L'avrai visto due o tre volte, al
massimo»
«Scommetti che indovino chi è?»
«Se ti diverti
così, fai pure» le concesse lui.
«Allora, l'abbiamo incontrato
alle riunioni di mamma e papà, probabilmente è
molto bello e,
immagino, più o meno della nostra età... ci sono!
Blaise
Non-so-il-cognome-e-non-me-ne-frega-poi-molto»
«Sei un mostro.
E' inquietante, davvero»
«Sì, ti va di raccontarmi cosa è
successo? Niente pressioni, ovvio. Oggi ci sono state già
abbastanza
confessioni, quindi se non ti senti pronto, non fa nulla, sul
serio.»
«Non ti preoccupare. Sei l'unica persona con cui posso
parlare
liberamente, sarebbe una cazzata lasciarti scappare via senza averti
raccontato la mia storia.»
Isabelle si accomodò meglio sul letto e prese la mano del fratello mentre lui si preparava a parlare.
Mezz'ora dopo erano ancora lì, Isabelle che stringeva più forte la mano di Sebastian per fargli sentire la sua presenza, Sebastian perso nei ricordi ancora dolorosi di quel pomeriggio. Ora non provava neanche più a trattenere le lacrime, era una guerra persa in partenza. La ragazza maledisse la sua incapacità di consolare le persone; non aveva la sensibilità magica del fratello. Era sempre stato lui a consolarla; lui riusciva a trovare sempre le parole giuste per ognuno, faceva sentire tutti compresi e accettati, e ora sapeva che ci riusciva nonostante lui stesso non si sentisse così. E questo lo rendeva ancora più speciale ai suoi occhi. Non poteva sopportare di vederlo piangere, era più doloroso di delle pugnalate diritte al cuore.
«Ti direi di
smettere perché sennò ti si rovinerebbe il
mascara, e gli uomini
non valgono un mascara, ma mi pare abbastanza evidente che non lo
usi, quindi sono a corto di battute pessime per risollevarti il
morale.»
Sul volto del fratello comparve un brandello di sorriso
e lei gli si avvicinò per abbracciarlo meglio.
«Sei troppo
grande, non riesco ad abbracciarti»
«Posso provare io, se vuoi»
e circondò Isabelle con le sue braccia.
«Seb, posso chiederti
una cosa?» al cenno d'assenso continuò
«quand'è ultima volta che
ti sei sentito a casa?»
«Ora». Ed era vero. Con il lavoro dei
loro genitori, diplomatici, erano costretti a viaggiare in
continuazione. Non appena facevano in tempo ad abituarsi al fuso
orario che già dovevano ripartire. Lì a Parigi
erano riusciti
sorprendentemente ad avere una vita “quasi
normale”, a trovare
degli amici, ad innamorarsi, ma aspettavano da un momento all'altro
che arrivassero nel salotto e annunciassero a gran voce che si
trasferivano, di nuovo.
«Non solo sei bellissimo, e non ho
problemi ad ammetterlo, dato che non ho ereditato il gene di
famiglia, a quanto pare» ignorò il suo sbuffo
«ma in più sei così
dolce che mi verrebbe voglia di darti un morso. E quel pezzo di merda
non ti merita, credimi. Non lasciare che ti faccia scomparire il
sorriso.»
Con le mani gli carezzava i capelli finché una lacrima
di Sebastian, sfuggita al dorso della mano, rotolò
giù dal naso,
andandosi ad infrangere per terra. Isabelle sollevò la testa
del
fratello e arginò quell'oceano verde di desolazione con i
polpastrelli delle dita.
«Sebastian, sei una persona splendida,
non permettere che quel pervertito condizioni la tua vita. Sai cosa
cosa faremo? »
«No, non voglio neanche immaginare cosa passa per
la tua mente diabolica» il suo sorriso si faceva sempre meno
incerto.
«Cancelleremo il suo numero, tutti i messaggi, e quando
dico tutti, intendo tutti, poi lo rimuoverai dagli amici di Facebook,
e non guardarmi così, lo faccio solo per il tuo bene. Poi
questa
lagna la spegniamo» si diresse verso lo stereo da cui
provenivano le
note malinconiche accompagnate dalla voce di Leona Lewis e
abbassò
il volume al minimo «Quello che ci vuole è Fighter
di Christina
Anguilera e del gelato, anche se probabilmente poi mi maledirai
perché dovrai fare il triplo degli esercizi in
palestra.»
Isabelle lo prese per mano e lo trascinò giù dal letto fino alla cucina, dove aprirono una confezione di gelato ciascuno. Si sedettero sul divano e lei accese la televisione; trasmettevano How I Met Your Mother. Sebastian non pensò più a quel pezzo di merda, almeno per venti minuti, mentre in sottofondo, appena udibile si sentiva “You made me that much stronger, so thank you for making me a fighter”
NdA. [che potete tranquillamente risparmiarvi di leggere (tranne Sofia, Isabella e Cristina), tanto sono inconcludenti]
Fondamentalmente questo schifo è autobiografico (per i particolari “pseudo-romantici”, inventato di sana pianta) e l'unico motivo per cui l'ho pubblicato è per smettere di pensarci e passare oltre. Quindi Sebastian nuota nella OOCità più assoluta. Ovviamente io non sono quel gran figone di Seb né la nostra storia è uguale. E la sottospecie di relazione fra Seb e Blaise non è neanche lontanamente paragonabile alla mia con quel gran coglione di ragazzo. Meglio la Seblaise, questo è certo.
Ringrazio
Sofia, beh, tu sai perché e questo mi basta. Tu sai
benissimo che io
penso quello che pensa Isabelle su Sebastian. Magari non sembro
così
nella “vita reale”, ma lo sono, davvero. Non riesco
a dire a voce
quello che penso, ma mi stai leggendo dentro. E
anche noi condividiamo troppe cose perché qualcosa ci possa
separare.
With you by my side I'll fight and defend.
Isabelle,
sei tu, cara Isabella. Non puoi avere tutto: o bellezza o legami di
parentela con Seb. Ma spero di averti reso abbastanza adorabile da
essere di tuo gradimento. Per quanto riguarda me, ti adoro (anche se
tu mi odi perché pensi che ti possa rubare il gemello).
Ma
soprattutto ringrazio Margherita/Cristina per tutto quello che mi
scrive ogni giorno. Tutto mi fa sorridere e non hai idea di quanto ne
abbia bisogno. Grazie mille, anima gemella ♥
Hey,
I haven't met you and this is crazy, but you're my soul sistah, so
tweet me maybe.
Non
auguro nulla di questo genere a nessuno di voi. E' una merda.
Ecco
il ringraziamento più importante: a Biagio, aka Blaise. (no
relations with Blaine, aka la cucciolisità più
assoluta e
completa)
Sei un pezzo di merda, ecco tutto. E io merito, davvero,
di essere più che un trofeo. E, tra parentesi, grazie
dell'ispirazione. Non mi andava molto di aspettare che un cane
cagasse per descrivere alla perfezione un pezzo di merda, mi basti
tu. E non sei neanche lontanamente bello, o bravo a baciare (ed
è
tutto dire), come Blaise, tesoro. Non ti montare la testa.
Detto
questo, nient'altro. Se lasciate un commento o qualcosa del genere
non mi schifo, assolutamente.
E mi sembrava di scrivere porcate
assurde mentre scrivevo, quindi non aspettatevi nulla con rating
più
vivace (?) di così. E andatevi a vedere alcune foto del
Jardin des
Plantes, è davvero bellissimo.
If
anyone asks, I'd say that we both just moved on.
Is it over yet?
Can I open my eyes? Or do I have to keep acting like there's nothing
wrong?
What
doesn't kill you makes you stronger.
Baby, you don't know me
'cause you're dead
wrong.