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Autore: youmoveme    02/09/2012    8 recensioni
Piccola OS incentrata su Seb lievemente autobiografica.
Fece un sospiro e osservò il suo riflesso allo specchio, regalandosi un sorriso di incoraggiamento; ne aveva davvero bisogno. Era un normalissimo sedicenne di una famiglia parigina benestante e stava andando al suo primo appuntamento. Con un ragazzo. E non è che lo avesse proprio detto ai suoi genitori.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Sebastian Smythe
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Avvertimento: questa oscenità è davvero, profondamente, assolutamente OOC.
In quanto Sebastian sarà il pre-Seb a quello che conosciamo noi. Questa simpatica esperienza lo cambierà per sempre e lo farà diventare il nostro Sebastian sono-tanto-figo-quanto-stronzo Smythe, per una sorta di psicologia inversa/perversa.

Blaise non c'entra nulla con Blaine. Prevengo le critiche che giungeranno per il nome, ma c'è una storia dietro, credetemi.

I deserve to be more than a trophy.


Sebastian si guardò per la centesima volta allo specchio.

Controllò tutto: ipotetici rimasugli di cibo fra i denti, l’alito, le sopracciglia, le unghie delle mani, quella sottospecie di peluria che si ostinava a chiamare barba. Diede un’ultima passata di gel nei capelli, tanto per essere sicuro che reggessero.

Fece un sospiro e osservò il suo riflesso allo specchio, regalandosi un sorriso di incoraggiamento; ne aveva davvero bisogno. Era un normalissimo sedicenne di una famiglia parigina benestante e stava andando al suo primo appuntamento. Con un ragazzo. E non è che lo avesse proprio detto ai suoi genitori.

Scese le scale con passo insolitamente allegro, si azzardò addirittura a canticchiare qualcosina. Bina, la domestica della loro grande casa agli Champs Elisées, lo guardò male quando calpestò la zona che aveva appena lavato, ma Sebastian non smise di sorridere e continuò a fischiettare fino alla porta di casa, dove qualcosa, o meglio, qualcuno, lo bloccò.

«Alt, dove vai, Seb?» la sua gemella, Isabelle, lo aveva placcato appena prima che potesse uscire in quella giornata meravigliosa dove il sole splendeva, gli uccellini cantavano, i fiori profumavano più del solito e tutto era così bello.
«Esco, Is»

«Questo lo vedo. Solo perché sei più grande di me di qualche minuto non vuol dire che sei più intelligente, o bello. Ok, d'accordo, basta guardarci insieme per renderci conto che sei più bello tu, ma non significa nulla» borbottò lei «Comunque, dove vai? Con chi vai? Cosa fai? Ma soprattutto, perché?»
Sebastian Smythe aveva bisogno di una balla, e alla svelta. Era sempre stato davvero vicino a lei, le aveva sempre detto tutto, ma da qualche mese, da quando aveva iniziato a capire che provava qualcosa per Blaise, non era più sicuro che fosse la cosa giusta da fare. Sì, certo, rimaneva la sua gemella, e molte persone pensavano che i gemelli condividessero un rapporto speciale, e forse era davvero così, ma non si sentiva pronto. Non che lei avesse mai detto o fatto qualcosa di strano, ma non era il momento giusto.
«Al Cafè Chocolat, con Blanche, beviamo un caffè, perché siamo amici, suppongo...»
«Se non sapessi che siamo legati per sempre, potrei dire che stai cercando di rimpiazzarmi con lei»
«Non essere così paranoica, ecco perché non hai amici oltre me» scherzò l'altro mentre tentava di sottrarsi alla ragazza per uscire e andare al suo fottuto appuntamento.
«E va bene, smettila di scalpitare come un cavallo, mica se ne va» disse infine lei cedendogli la maniglia d'ottone della porta per lasciarlo passare «e dille che la saluto, caramente»
«Se questo era un messaggio in codice per dirmi che le staccheresti volentieri la testa a morsi, grazie, l'ho recepito. Non capirò mai perché vi odiate senza un motivo» sospirò lui e uscì di fuori.

Il profumo dei fiori primaverili nelle aiuole davanti a casa lo investì con prepotenza e lui aspirò a pieni polmoni quell'odore così bello, quasi celestiale che proveniva da cose così effimere. Così effimere che se le toglievi dal loro ambiente naturale, dopo pochi giorni non avevano più valore. Sebastian si meravigliò degli strani pensieri che faceva, ma, dopotutto, era innamorato, e agli innamorati, si sa, tutto è permesso.

Aveva appuntamento con Blaise davanti a Jardin des Plantes, poi avrebbero fatto una passeggiata romantica per tutta la città e alla fine si sarebbero dichiarati amore reciproco e perpetuo. Ok, forse così era un po' troppo, ma aveva alte aspettative comunque.
Non riusciva a trattenersi: calciava le pietre, fischiettava, canticchiava, saltellava, incurante degli sguardi stupiti degli altri passanti; loro non potevano capire. Ad ogni vetrina, finestrino o superficie riflettente si fermava a controllare tutto il controllabile, e non era mai contento di quello che vedeva.


Finalmente arrivò al Jardin des Plantes. Era in fibrillazione. E quando lo vide, dopo due giorni soli, realizzò al momento quanto gli fosse mancato. Tanto, davvero tanto, più di quanto potesse mai immaginare. Ed era così bello, illuminato in una maniera strana e discontinua dal sole. Aveva dei capelli biondo scuro, tendente al castano, che si intonavano alla perfezione con i suoi occhi, un caramello chiaro che ricordava il colore delle caramelle mou. Un naso perfetto, labbra che, appena le vedi, desideri già baciarle, carnose, rosee, e dei lineamenti stranamente affilati che completavano l'insieme bilanciando la dolcezza delle sfumature con un tocco più maschile. Era appoggiato alla ringhiera bianca del bar, del tutto a suo agio con quello che lo circondava. Aveva sempre invidiato la sua sicurezza, il suo saper dire sempre le cose giuste al momento giusto; sembrava sempre così forte, così fiducioso, che averlo accanto era una sfida continua per la sua già bassa autostima. Ma poteva combattere per sempre contro la sensazione di sentirsi una nullità, dopotutto non gli chiedeva poi molto, a confronto di tutto quello che poteva avere.

Aveva incontrato Blaise ad una di quelle noiosissime cene che facevano i suoi per l'alta società, e, almeno per lui, era stato subito un colpo di fulmine. Non se ne era accorto subito, certo, ma con il passare dei giorni si ritrovava sempre a pensare a quegli occhi fantastici, il sorriso pieno e sicuro che gli aveva rivolto appena si erano conosciuti, e si era scoperto ad aspettare con ansia il raduno dei vecchi successivo. Da lì si erano iniziati a conoscere, cautamente, con prudenza. Avevano iniziato a vedersi, come amici, ogni tanto, da qualche volta al mese, fino a quasi ogni giorno. Alla fine aveva dovuto ammettere con se stesso di provare qualcosa per quel ragazzo bellissimo e sicuro di sé, ma aveva continuato ad aspettare che l'altro facesse il primo passo. E così, qualche mese dopo, si erano ritrovati a posto romantico a Parigi. E Sebastian non poteva chiedere di meglio.

«Blaise...»
«Già, a quanto pare mi chiamo così» sorrise l'altro «Sebastian, presumo.»
«Smettila di scherzare, sai benissimo chi sono» arrossì Sebastian coprendosi con la mano le guance in fiamme.
«Su, andiamo» lo incoraggiò Blaise, lo prese per mano e lo condusse attraverso quei labirinti di odori e colori che pareva gridassero al mondo il loro amore.
A Sebastian parve di toccare il cielo con un dito, anzi, di trovarsi in un universo parallelo, tanto era felice. Tenersi per mano in pubblico era forse la cosa più bella cosa che gli fosse capitata negli ultimi mesi.

Man mano le aiuole fiorite e gli spazi verdi scomparivano lasciando il posto ad un groviglio di strade e stradine, sempre più strette. Non era proprio quella la sua idea di passeggiata romantica, ma non era poi così male. Si stava ricredendo; dopo i primi dieci minuti di felicità assoluta non era successo ancora nulla. Non che lui avesse queste grandi esperienze in appuntamenti, ma quella strana sensazione di essere riempito di bolle di sapone che lo permeava completamente da quando Blaise gli aveva preso la mano ormai stava svanendo.

«Ma dove stiamo andando?»
«In un posto speciale» sussurrò Blaise, tranquillizzando l'altro che stava perdendo i proprio punti di riferimento in quella città che conosceva solo da poco tempo, ma che già sentiva sua.
«Allora non devo preoccuparmi...» sorrise Sebastian, di un sorriso appena forzato, ma giusto il tanto da essere notato.
«Certo, penso a tutto io, stai tranquillo.»

Blaise lo guidò attraverso l'ennesimo incrocio, ignorando del tutto il semaforo rosso per i pedoni, fino ad arrivare davanti ad un portone di ferro battuto, bianco. Prese delle chiavi e lo aprì. Appena entrò in contatto con le chiavi, la serratura emise un leggero scricchiolio metallico. A grandi passi si diresse verso la seconda porta, di vetro e ottone, che si aprì senza un suono, mostrando un atrio piccolo e male illuminato. Sebastian lo seguì titubante fino all'ascensore e, dopo averlo aspettato, chiuse le porte, trovandosi a pochi centimetri di distanza da quella meravigliosa creatura dagli occhi dorati.

Blaise lo spinse verso la parete con il suo peso e premette con forza le sue labbra su quelle dell'altro, mentre con le mani esplorava tutto il corpo. Prima le mise attorno alla nuca, scese giù per le spalle, e sempre più giù, per la schiena.
Sebastian spalancò gli occhi, quasi spaventato da quel contatto improvviso, brusco. Si era aspettato, se non i fuochi d'artificio, almeno qualcosa di più. Più sentimentale, dolce, delicato. Ma non c'era nulla di delicato in quello che Blaise stava facendo. Era tutto così selvaggio, primitivo, privo di tatto.
Non sentendo nessuna risposta dal ragazzo, Blaise ripartì alla carica, mordicchiando le labbra di Sebastian con voracità; l'altro si lasciò sfuggire un gemito di dolore, era solo... troppo. Troppo forte, troppo imprevedibile, troppo animalesco. Non era come se lo era immaginato, ma forse le sue aspettative erano sempre state troppo alte, irraggiungibili. A sentire gli altri, era meraviglioso, ma lui riusciva solo a subire.
«Va tutto bene? Sembri agitato» sussurrò Blaise
«No, no, certo che no» mormorò a sua volta l'altro, guardando a terra senza sfiorare quegli occhi color caramello che avrebbero intuito la verità dopo pochi secondi.
Blaise, dopo essersi inumidito le labbra passandoci la punta della lingua, ritornò a baciarlo. Questa volta approfondì il contatto, forzando l'altro con la lingua a lasciarlo passare. Sebastian si stava praticamente strozzando per quella lingua estranea che gli mulinava all'interno della bocca. Per caso voleva controllare cosa avesse mangiato la mattina? O se le sue tonsille fossero troppo grandi? Fece un falso sorriso appena accennato, sperando che Blaise fosse recettivo e smettesse di ispezionargli il palato. Quello era il mestiere del dentista, dell'otorinolaringoiatra, mica il suo. Ma l'altro non desisteva, così gli fece discretamente notare che erano arrivati al piano prescelto, il quarto.
Blaise si staccò di colpo, uscì dall'ascensore e, con un'altra delle chiavi dello stesso mazzo usato in precedenza, aprì la porta di fronte alle scale. Dopo due giri la spalancò, invitando l'altro ad entrare. Non del tutto convinto, Sebastian azzardò comunque i primi passi in quella casa sconosciuta. Si guardò intorno, cercando un segno di chi ci abitava, una foto incorniciata, un post-it, una sciarpa, ma non c'era assolutamente nulla. Era asettico e privo di arredamento come la camera di un ospedale.
«E questo sarebbe il posto speciale?» pensò fra sé Sebastian, mentre Blaise andava in quella che aveva chiamato cucina, solo che non differiva per nulla dal resto della “casa”, ma non glielo avrebbe mai chiesto, per nessuna ragione al mondo.

Pochi minuti dopo, quando Blaise riapparve con due bicchieri d'acqua in mano, lo invitò con un gesto a sedersi sul divano. Lui stesso gli si accomodò accanto, posando di fretta i bicchieri sul tavolino accanto, un po' di acqua fuoriuscì e si creò un piccolo laghetto. Sebastian si accorse di tenersi aggrappato ai dettagli più insignificanti mentre Blaise lo sopraffaceva con le sue carezze insistenti, mordendo e baciando ogni centimetro del suo corpo raggiungibile.
Da seduti che erano, Blaise gli si era fatto addosso, sopra e continuava a baciarlo con foga. Un rumore metallico fece bloccare Sebastian che mormorò all'orecchio dell'altro «Cos'è?», ma il ragazzo non rispondeva, così penso solo di esserselo immaginato. Blaise si riavvicinò, annullando la poca distanza fra loro con un altro bacio, senza toccarlo con le dita. Dopo una manciata infinita di secondi il rumore metallico si fece risentire e Sebastian completò finalmente il puzzle. Era la sua cinta, da cui proveniva il rumore.

Stava sull'orlo di una crisi di panico, non aveva idea di cosa fare. Queste cose succedevano nei film alle ragazzine imprudenti che non si vestivano in modo adatto alla loro età, mica a ragazzi sedicenni che hanno appena scoperto di essere omosessuali e non hanno nessuna esperienza in materia di appuntamenti. Doveva pensare in maniera lucida: fra poco Blaise sarebbe passato al gradino successivo, e questo era chiaro. E lui non voleva. Porco cazzo, era il suo primo appuntamento.
Si tirò su e diede un'occhiata veloce all'orologio da parete, ignorando l'altro che lo guardava stranito.
«Va tutto bene?»
«Certo, perché me lo chiedi?»
«Sembri a disagio.»
«Non me lo aspettavo»
«Ma non hai mai...» e lui? Perché lui era un uomo vissuto di sedici anni?
«Non sono quel genere di persona» e aveva sedici anni, cazzo, ed era il suo primo appuntamento, cazzo, e non stavano neanche insieme, cazzo. Cosa aveva nel cervello, zucchero filato? Segatura? Merda di cane?

Sebastian si alzò dal divanetto e si sistemò i vestiti stropicciati.
«Vai già?» disse l'altro tirandosi su a sua volta, puntellandosi con le braccia.
«Sì, è tardi, mi stanno aspettando. Ma magari ci possiamo vedere un altro giorno, tipo dopodomani» Ma anche no, lo avrebbe mai più rivisto, era fuori discussione.
«Certo, aspetta che ti accompagno alla porta».
Davanti alla porta, Sebastian lo abbracciò l'ultima volta. Era diviso fra due sensazioni contrastanti: non voleva lasciarlo andare perché sapeva benissimo che non si sarebbero più rivisti, ma, allo stesso tempo, era restio a toccarlo perché pretendeva troppo da lui. Voleva troppo senza dare in cambio nulla, e lui non era un cazzo di trofeo che potevi conquistare e poi riporre in una vetrina, alla vista di tutti. Lui voleva di più. Magari era un ragazzo all'antica, di quelli che desideravano una famiglia, dei bambini da veder crescere, una bella casa in campagna e un cane da coccolare. Era un ragazzo che voleva una famiglia alla 'Mulino Bianco', e Blaise non era certamente la persona con cui voleva costruirla.
«Beh, allora a dopodomani. Ti mando un sms per dove e quando» sussurrò Sebastian, sentendosi, suo malgrado, tremendamente in colpa. Il ragazzo mormorò un assenso e chiuse la porta con forza davanti alla faccia dell'altro.

Sebastiano mosse qualche passo verso l'ascensore, ma era stato così orribile sentirsi ingabbiato che ora aveva bisogno d'aria, ora più che mai. Corse a perdifiato giù per le scale, immaginando di ritrovarsi il viso di Blaise davanti ad ogni angolo. Non poteva continuare così, lo stava distruggendo.
Uscì dal cancello e a malapena resistette alla tentazione di guardare su, verso la finestra, per controllare se lo stesse osservando. Con un enorme sforzo di volontà si impose di camminare lentamente fino alla svolta della strada. Ad ogni passo voleva voltarsi per accertarsi che non lo stesse seguendo. L'unica cosa che desiderava era correre via, sentire il vento sulla pelle, non provare più quella orribile sensazione di costrizione, ed era l'unica cosa che non poteva fare.
Quei cento metri fino alla svolta furono i cento metri più lunghi della sua vita. Il muro sembrava allontanarsi piuttosto che avvicinarsi e Sebastian si sentiva svenire. Vedeva tutto il mondo girargli attorno, il cielo vorticava, l'asfalto grigio si faceva pericolosamente vicino. Si appoggiò al muro coperto di edera, scosso da conati di vomito e si costrinse a fare dei respiri profondi, nonostante facesse male sentire tutta quell'aria nei polmoni. Chiuse gli occhi e contò fino a dieci, ma nulla era cambiato. Contò altri dieci, e ancora, fino a centoventi, poi riaprì gli occhi. Doveva andarsene da lì, non era abbastanza lontano da quella casa, da Blaise,dal sentirsi inadeguato, da tutte le illusioni cadute in pezzi.
Iniziò a correre, girando a caso in quelle strade sconosciute, desiderando solo evadere da quel labirinto soffocante. I piedi volarono prima sul marciapiede, poi sulla metro e sull'autobus; aveva dovuto chiedere informazioni per tornare a casa. Ogni secondo che parlava con lo sconosciuto si sentiva sopra il suo sguardo indagatore. Lui sapeva tutta la storia e lo stava giudicando; tutti lo stavano giudicando per quello che aveva fatto: la vecchietta che comprava le carote, il vigile urbano che smaltiva il traffico, i due ragazzi che facevano le acrobazie con lo skateboard, le due bambine che saltavano a corda mentre cantavano una filastrocca per tenere il ritmo.

Dopo un'ora di tortura, arrivò a casa. Lentamente, con gesti stanchi, suonò il campanello e salì le scale che poco tempo prima aveva sceso con tanto entusiasmo. Chiuse dietro di sé la porta in maniera delicata e si buttò sul letto. Rimase a guardare il soffitto per molto, molto tempo, poi prese l'IPod e scelse la playlist adatta al suo umore tetro. Sentire musica strappalacrime era la cosa meno consigliabile da fare, ma era confortante sapere che non sei solo, che anche altre persone hanno una vita merdosa come la tua. E Leona Lewis era perfettamente adatta a questo proposito. Leona Lewis - Better In Time
In qualche strano modo ascoltare quella melodia triste esorcizzava tutte le sue paure; si ritrovava in ogni singola parola della canzone. Sarebbe stato duro, ma il tempo avrebbe guarito tutto, forse. Ma dovunque posasse gli occhi, riusciva solo a vedere migliaia di paia di occhi dorati, dappertutto. Una piccola lacrima trasparente fece capolino dall'occhio. Si sforzò di trattenersi, ma non le note non aiutavano.

«Sebastian? Cos'è questa musica deprimente?» irruppe nella stanza la sua energetica sorella Isabelle.
In fretta il ragazzo si asciugò quella piccola lacrima di debolezza e finse un sorriso, ma uscì solo una smorfia stanca.
«Va tutto bene?» Si avvicinò al fratello e si sedette sulla sponda del letto con lui.
«Se anche dicessi di sì, mi crederesti? Quindi, no.» sussurrò lui
«Era una domanda retorica, si vede che sei distrutto» mormorò lei a sua volta, sistemandogli una ciocca ribelle, «è andato male l'appuntamento con Blanche?»
«No, no...»
«Bene, anche se per amor tuo ero quasi disposta a sopportarla per il resto della mia vita, mi fa piacere non doverlo fare. Allora, immagino che non fosse con Blanche, l'appuntamento intendo» tirò ad indovinare Isabelle.
«Non esattamente» sospirò Sebastian.
Dopo aver dato un'occhiata veloce al viso del fratello, riprese «senti, non sembri molto in vena di parlare, ma sappi solo che io per te ci sono sempre, per qualsiasi cosa»
Il ragazzo rimase in silenzio per qualche secondo, poi si girò a guardarla negli occhi «Hai mai avuto qualcosa da dover dire, ma hai paura che poi nessuno ti guardi più nello stesso modo dopo averla detta?»
«Non credo, ma posso provare ad immaginarlo»
«Beh, io lo so. Ed è arrivato il momento, quel momento in cui quello che provi è più importante di cosa gli altri pensano di te», Isabelle stette zitta, aspettando il resto della frase, ma Sebastian non riusciva a dirla. Si vedeva che ci provava, in ogni modo, ma non riusciva.
«Sto cercando delle parole adatte, più giuste, come se usarle cambiasse la sostanza, ma non ci riesco.»
«Non ho idea di cosa vuoi dirmi, ma, prima che tu parli, volevo dirti che tu rimarrai sempre mio fratello, il mio Sebastian con cui giocavo a palla nel giardino dei nonni, che mi lanciava i pupazzi la notte perché cantavo, che mi faceva assaggiare i suoi gusti di gelato perché avevo troppa paura che non mi piacessero e quindi puntavo sempre su cioccolato e fragola. Il mio Sebastian a cui facevo dispetti ogni giorno, ma con cui non riuscivo a rimanere arrabbiata neanche per un secondo, perché quando ti tenevo il broncio, era come se una parte di me fosse morta e non riuscissi a respirare bene. Sebastian, volevo dirti solo che noi condividiamo così tanto che nulla potrà mai dividerci. Mai. Ora spara pure» sorrise lei.
«Tralasciamo il fatto che sto per piangere per quello che mi hai appena detto, per favore. Beh, è una cosa molto meno poetica, ho esaurito la scorta quotidiana di ispirazione prima, ma va bene...»
«Tu mi stai torturando, dimmi ti prego.»
«Bene. Sono omosessuale.»
«Tutto qui?»
«Preferisci: 'Mi piace il pene'? Cos'altro posso dirti?»
«No, dico e avevi paura di dirmelo? Sono davvero così spaventosa?» scherzò lei.
«Avevo paura della tua reazione»
«Sei certo che non ho fatto nulla di sbagliato per cui non volevi più fidarti di me?»
«Davvero, sei meravigliosa come sempre. Non volevo che le cose fra di noi cambiassero.»
«Cosa potrebbe cambiare? Tu sei Sebastian Smythe, il mio fratellone, il mio gemello, la persona che amo più della mia stessa vita, senza la quale non posso stare» concluse lei con un sorriso.
«Sei senza dubbio la persona più strana che io abbia mai incontrato» disse lui «la più incredibile.»
«Quindi l'appuntamento era con un ragazzo... qualcuno che conosco?» Isabelle riportò il discorso sull'argomento che le interessava.
«L'avrai visto due o tre volte, al massimo»
«Scommetti che indovino chi è?»
«Se ti diverti così, fai pure» le concesse lui.
«Allora, l'abbiamo incontrato alle riunioni di mamma e papà, probabilmente è molto bello e, immagino, più o meno della nostra età... ci sono! Blaise Non-so-il-cognome-e-non-me-ne-frega-poi-molto»
«Sei un mostro. E' inquietante, davvero»
«Sì, ti va di raccontarmi cosa è successo? Niente pressioni, ovvio. Oggi ci sono state già abbastanza confessioni, quindi se non ti senti pronto, non fa nulla, sul serio.»
«Non ti preoccupare. Sei l'unica persona con cui posso parlare liberamente, sarebbe una cazzata lasciarti scappare via senza averti raccontato la mia storia.»

Isabelle si accomodò meglio sul letto e prese la mano del fratello mentre lui si preparava a parlare.



Mezz'ora dopo erano ancora lì, Isabelle che stringeva più forte la mano di Sebastian per fargli sentire la sua presenza, Sebastian perso nei ricordi ancora dolorosi di quel pomeriggio. Ora non provava neanche più a trattenere le lacrime, era una guerra persa in partenza. La ragazza maledisse la sua incapacità di consolare le persone; non aveva la sensibilità magica del fratello. Era sempre stato lui a consolarla; lui riusciva a trovare sempre le parole giuste per ognuno, faceva sentire tutti compresi e accettati, e ora sapeva che ci riusciva nonostante lui stesso non si sentisse così. E questo lo rendeva ancora più speciale ai suoi occhi. Non poteva sopportare di vederlo piangere, era più doloroso di delle pugnalate diritte al cuore.

«Ti direi di smettere perché sennò ti si rovinerebbe il mascara, e gli uomini non valgono un mascara, ma mi pare abbastanza evidente che non lo usi, quindi sono a corto di battute pessime per risollevarti il morale.»
Sul volto del fratello comparve un brandello di sorriso e lei gli si avvicinò per abbracciarlo meglio.
«Sei troppo grande, non riesco ad abbracciarti»
«Posso provare io, se vuoi» e circondò Isabelle con le sue braccia.
«Seb, posso chiederti una cosa?» al cenno d'assenso continuò «quand'è ultima volta che ti sei sentito a casa?»
«Ora». Ed era vero. Con il lavoro dei loro genitori, diplomatici, erano costretti a viaggiare in continuazione. Non appena facevano in tempo ad abituarsi al fuso orario che già dovevano ripartire. Lì a Parigi erano riusciti sorprendentemente ad avere una vita “quasi normale”, a trovare degli amici, ad innamorarsi, ma aspettavano da un momento all'altro che arrivassero nel salotto e annunciassero a gran voce che si trasferivano, di nuovo.
«Non solo sei bellissimo, e non ho problemi ad ammetterlo, dato che non ho ereditato il gene di famiglia, a quanto pare» ignorò il suo sbuffo «ma in più sei così dolce che mi verrebbe voglia di darti un morso. E quel pezzo di merda non ti merita, credimi. Non lasciare che ti faccia scomparire il sorriso.»
Con le mani gli carezzava i capelli finché una lacrima di Sebastian, sfuggita al dorso della mano, rotolò giù dal naso, andandosi ad infrangere per terra. Isabelle sollevò la testa del fratello e arginò quell'oceano verde di desolazione con i polpastrelli delle dita.
«Sebastian, sei una persona splendida, non permettere che quel pervertito condizioni la tua vita. Sai cosa cosa faremo? »
«No, non voglio neanche immaginare cosa passa per la tua mente diabolica» il suo sorriso si faceva sempre meno incerto.
«Cancelleremo il suo numero, tutti i messaggi, e quando dico tutti, intendo tutti, poi lo rimuoverai dagli amici di Facebook, e non guardarmi così, lo faccio solo per il tuo bene. Poi questa lagna la spegniamo» si diresse verso lo stereo da cui provenivano le note malinconiche accompagnate dalla voce di Leona Lewis e abbassò il volume al minimo «Quello che ci vuole è Fighter di Christina Anguilera e del gelato, anche se probabilmente poi mi maledirai perché dovrai fare il triplo degli esercizi in palestra.»

Isabelle lo prese per mano e lo trascinò giù dal letto fino alla cucina, dove aprirono una confezione di gelato ciascuno. Si sedettero sul divano e lei accese la televisione; trasmettevano How I Met Your Mother. Sebastian non pensò più a quel pezzo di merda, almeno per venti minuti, mentre in sottofondo, appena udibile si sentiva “You made me that much stronger, so thank you for making me a fighter





NdA. [che potete tranquillamente risparmiarvi di leggere (tranne Sofia, Isabella e Cristina), tanto sono inconcludenti]

Fondamentalmente questo schifo è autobiografico (per i particolari “pseudo-romantici”, inventato di sana pianta) e l'unico motivo per cui l'ho pubblicato è per smettere di pensarci e passare oltre. Quindi Sebastian nuota nella OOCità più assoluta. Ovviamente io non sono quel gran figone di Seb né la nostra storia è uguale. E la sottospecie di relazione fra Seb e Blaise non è neanche lontanamente paragonabile alla mia con quel gran coglione di ragazzo. Meglio la Seblaise, questo è certo.

Ringrazio Sofia, beh, tu sai perché e questo mi basta. Tu sai benissimo che io penso quello che pensa Isabelle su Sebastian. Magari non sembro così nella “vita reale”, ma lo sono, davvero. Non riesco a dire a voce quello che penso, ma mi stai leggendo dentro. E anche noi condividiamo troppe cose perché qualcosa ci possa separare. With you by my side I'll fight and defend.
Isabelle, sei tu, cara Isabella. Non puoi avere tutto: o bellezza o legami di parentela con Seb. Ma spero di averti reso abbastanza adorabile da essere di tuo gradimento. Per quanto riguarda me, ti adoro (anche se tu mi odi perché pensi che ti possa rubare il gemello).
Ma soprattutto ringrazio Margherita/Cristina per tutto quello che mi scrive ogni giorno. Tutto mi fa sorridere e non hai idea di quanto ne abbia bisogno. Grazie mille, anima gemella

Hey, I haven't met you and this is crazy, but you're my soul sistah, so tweet me maybe.

Non auguro nulla di questo genere a nessuno di voi. E' una merda.
Ecco il ringraziamento più importante: a Biagio, aka Blaise. (no relations with Blaine, aka la cucciolisità più assoluta e completa)
Sei un pezzo di merda, ecco tutto. E io merito, davvero, di essere più che un trofeo. E, tra parentesi, grazie dell'ispirazione. Non mi andava molto di aspettare che un cane cagasse per descrivere alla perfezione un pezzo di merda, mi basti tu. E non sei neanche lontanamente bello, o bravo a baciare (ed è tutto dire), come Blaise, tesoro. Non ti montare la testa.

Detto questo, nient'altro. Se lasciate un commento o qualcosa del genere non mi schifo, assolutamente.
E mi sembrava di scrivere porcate assurde mentre scrivevo, quindi non aspettatevi nulla con rating più vivace (?) di così. E andatevi a vedere alcune foto del Jardin des Plantes, è davvero bellissimo.


If anyone asks, I'd say that we both just moved on.
Is it over yet? Can I open my eyes? Or do I have to keep acting like there's nothing wrong?



What doesn't kill you makes you stronger.
Baby, you don't know me 'cause you're
dead wrong.

  
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