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Autore: Nihal 98    02/09/2012    0 recensioni
Dio non esisteva. Era solo un'invenzione degli uomini deboli che si volevano affidare a qualcuno.
Era frutto della codardia degli uomini, che preferivano affidara la propria vita al "Nulla", piuttosto che alle proprie braccia.
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Lei voleva cambiare il mondo. Era sicura che solo qualcuno freddo, calcolatore e forte, sarebbe riuscito a cambiare il sistema. Per i deboli che credevano in Dio non c'era nessuna possibilità.
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Credeva in Dio, e questo era irritante.
Doveva parlare con lui, sentiva questo bisogno.
Voleva chiedergli perché.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Alla mia mamma, Maria.
John Lennon- Imagine (traduzione). 

Selena, durante il funerale dei suoi genitori, non guardò la lapide con i nomi dei suoi, non posò nessun fiore accanto ad essa, e non pregò per loro.
Si limitò ad annuire alle parole di condoglianze dei suoi parenti. Si limitò a stringere la mano della zia, e a guardarsi le scarpe di lacca nera che le avevano comprato in occasione del rito funebre.
Non le piacevano. Le odiava.
Lei aveva insistito per mettersi le scarpe colorate, gialle e verdi, quelle che le piacevano tanto, ma la zia non si era lasciata dissuadere. Così, alla fine, si era dovuta vestire come avevano voluto gli zii;  indossava un vestitino nero, lungo fino alle caviglie, con un pizzo intorno al collo, una collanina con la croce e le scarpe nere.
Selena non aveva capito il motivo di quello spreco di soldi. Erano vestiti che avrebbe indossato solo una volta, che senso aveva sprecare soldi?
La morte non la si può rendere migliore vestendosi bene.
O ti vesti di nero, o ti vesti di rosa, sempre quella persona muore.
Non capiva nemmeno perché i suoi genitori erano stati ricoperti di gioielli, e gli avevano fatto indossare i loro migliori abiti.
Non aveva senso.
A quale scopo, poi?
Non stavano andando ad una festa. Erano morti, sotto terra e dentro una bara. Nessuno li avrebbe più visti.
-Selena vuoi aggiungere qualcosa alle parole del prete?- le domandò dolcemente lo zio, chinandosi alla sua altezza.
Lei scosse la testa.
Non voleva aggiungere nulla alle parole del prete. Nemmeno le aveva ascoltate quelle parole.
Lei aveva scelto di non credere più in Dio.
Dio non esisteva. Era solo un’invenzione degli uomini deboli che si volevano affidare a qualcuno. Era frutto della codardia degli uomini, che preferivano affidare la propria vita al “Nulla”, piuttosto che alle proprie braccia.
Lei non sarebbe stata debole, come lo erano stati i suoi genitori. Non avrebbe mai, lasciato il proprio destino, nella mani di Dio. Lei si sarebbe costruita una strada propria, e l’avrebbe costruita con la sola forza delle braccia e della sua anima.
Si ricordava ancora le parole di sua madre, prima di andare in guerra, e di non ritornare più. Odiava quelle parole, non riusciva a capire il senso di quella frase:
Amore mio devi stare tranquilla, perché Dio combatte di fianco a noi.
Non era vero. Se mai fosse esistito un Dio, non faceva un tubo. Stava solo seduto nel proprio trono, ad accendere e spegnere le stelle. Forse, Dio, sapeva fare solo questo: accendere e spegnere le stelle.
Selena avrebbe creduto a Dio, solo quando Lui sarebbe sceso sulla terra a sventolare una bandiera bianca. Solo allora avrebbe creduto veramente in Lui.
Suo padre, prima di partire per la guerra, le diceva sempre la stessa cosa:
Bambina mia, devi ascoltare le parole di Dio. Sono sempre intorno a te. Lui ti parla e ti ascolta.
Anche queste erano solo parole. Dio non era lì. Non era accanto a lei. Non l’aveva aiutata nel vestirsi. Non le stringeva la mano e non la consolava.
Odiava Dio, e odiava gli uomini deboli come i suoi genitori e i suoi parenti.
Selena strinse i pugni; non poteva odiare i suoi genitori.
Lei aveva sempre amato stare con loro. Amava i rimproveri del padre e le parole sagge della mamma. Amava i loro buffi giochi, che usavano per farla divertire. Aveva sempre ascoltato le loro storie. Ammirava il loro coraggio di scendere in guerra, e di battersi per i propri ideali, ma non riusciva a comprenderli.
Non riusciva a comprendere il “perché” loro si erano affidati a Dio. Non capiva perché loro credevano in Dio.
La loro debolezza e ingenuità gli erano costate care. Ora non c’erano più. L’avevano abbandonata per sempre, lasciandola sola.
-Andate in pace- concluse il prete, facendosi il segno della croce.
Tutti imitarono l’uomo, e se ne andarono.
Selena non lo fece. Non fece il segno della croce, anzi prese la catenella che portava al collo, e, senza farsi notare, la posò ai piedi della lipide, fasciata dal tricolore italiano.
Poi seguì i suoi zii, le persone alla quale era stata affidata. Zio Antonio, e zia Clara, la sorella di mamma.

Immagina che non ci sia il paradiso,
prova è facile.
Nessun inferno sotto i piedi.
Sopra di noi, solo il Cielo.
Immagina che la gente,
viva al presente…
 

Per Selena, vivere con gli zii, non era una cosa negativa, anzi le era andata abbastanza bene. I suoi zii non avevano figli, e questa era un’ottima cosa.
Lei non aveva voglia di stare con le persone, non voleva giocare o divertirsi, i tempi per tutto ciò erano finiti. Desiderava solo essere lasciata in pace e sola, così da poter pensare tranquillamente, senza essere infastidita.
I suoi zii, però, per i primi tempi, non la lasciarono affatto in pace, anzi la trattavano in modo insopportabile. Le facevano sempre troppe domande sulla scuola, sugli amici che non aveva, e sui suoi passatempi. Addirittura, un paio di volte, la costrinsero ad uscire con qualche compagna della prima media, ma lei trovò sempre il modo di sviare quegli inviti.
La situazione divenne di gran lunga peggiore, quando decisero di portarla un giorno intero al parco divertimenti. Selena detestava l’idea di stare una giornata intera fuori, in mezzo a tutta quella gente felice. Non sopportava l’idea di sprecare il suo tempo.
Inizialmente decise di stare al gioco degli zii: avrebbe finto di divertirsi, così, quando sarebbe tornata a casa l’avrebbero lasciata in pace. Il piano, però, non funzionò; più fingeva di divertirsi, più loro parlavano di andarci ogni fine settimana.
Sarebbe stato un incubo.
Alla fine, Selena, con una freddezza che non si aspettava d’avere, disse ai suoi zii che non le piaceva andare al parco divertimenti. Gli disse anche che la dovevano lasciare in pace, che non aveva bisogno di tutte quelle attenzioni. Loro ci rimasero male, per i primi giorni, ma, allo scopo di proteggere la loro amata nipote, non fecero più discussioni e si adeguarono.
Così Selena cresceva. Sola, come voleva lei. Senza credere in nulla.
Niente preghiera la sera. Niente segno della croce. Non ringraziava nessuno della fortuna avuta in salute.
Andò al catechismo, per volere degli zii, ma si rifiutò categoricamente di fare la prima comunione. Preferì strappare il vestito, e chiudersi per interi giorni dentro la sua stanza, piuttosto che entrare in chiesa.
Cominciò a cancellare ogni minimo sentimento. L’odio, l’amore, la felicità, la gelosia, la gentilezza e il dolore, erano sentimenti per i deboli. Lei non doveva essere debole.

 
Immagina che non esistano frontiere,
non è difficile da fare.
Nessuno per cui uccidere o morire.
E nessuna religione.
Immagina tutta la gente,
vivere una vita in pace.

 Selena, quando raggiunse l’età di diciassette anni, aveva smesso di provare sentimenti. Tutti erano stati repressi. Non sorrideva, non rideva, non piangeva.
Attorno a lei si era alzato un castello fatto di ferro, difficile da scalfire. Un castello perfetto.
Ovviamente, Selena, era arrivata a tanto perché voleva raggiungere un obbiettivo, non per altro.
Lei voleva cambiare il mondo. Era sicura che solo qualcuno freddo, calcolatore e forte, sarebbe riuscito a cambiare il sistema. Per i deboli che credevano in Dio, non c’era alcuna possibilità. Erano tutti una mandria di incapaci. Solo persone come lei, potevano cambiare il mondo. Solo gente competente, avrebbe potuto bloccare le guerre.
Certo, era ben consapevole che non era un compito facile. Sapeva benissimo che lei, da sola, non sarebbe mai riuscita in quest’impresa. Ci voleva del tempo, e lei aveva imparato ad aspettare.
Decise che, una volta raggiunta la maggiore età, avrebbe cominciato a predicare il suo pensiero, scrivendo un libro, oppure attraverso persone famose che la pensavano come lei. Così sarebbe riuscita ad interessare gli altri, e magari, in un futuro, qualcuno sotto i suoi insegnamenti avrebbe cambiato il mondo.
Era questa la sua idea, e nessuno era mai riuscito a dissuaderla.
I suoi zii ci avevano provato, ma lei non aveva ceduto.
Quando l’avevano mandata dal psicologo, nemmeno allora, lei aveva ceduto.
Quella era la sua idea, la sua convinzione, il suo castello di ferro si basava su quelle idee.
Il suo castello perfetto.
Però, si sa, il tempo cambia le cose, e, quando non è il tempo, sono le persone stesse che cambiano le carte in tavola.
A scombinare il perfetto equilibro di Selena, ci pensò Michele, un suo coetaneo.
Michele non era né troppo bello, né troppo brutto. Era un normale ragazzo di diciassette anni.
Aveva lunghi capelli color cenere, legati in una coda bassa, la carnagione era scura e gli occhi erano chiari, di un bel colore azzurro. Su metà volto, la sua pelle, era liscia come quella di un bambino, sull’altra metà, invece, c’era una grande bruciatura. Lì, la pelle era morta, sembrava che non respirasse mai.
Inizialmente, Selena, non fece molto caso a Michele. Per lei era uno come tutti gli altri. Un ragazzo burlone, che riusciva a far ridere anche i professori, con le sue battute divertenti.
Poi, le cose cominciarono a prendere una piega diversa.
Durante la lezione di storia, due sue compagne, bisbigliavano, e per pura casualità, Selena si ritrovò ad origliare la conversazione. Parlavano di Michele e della sua triste storia.
Figlio di due soldati, era rimasto orfano a otto anni. I suoi zii l’avevano adottato, e lui aveva vissuto con loro fino a tredici anni, poi la zia era rimasta incinta e aveva perso il bambino. Tutto era precipitato. La donna era caduta in depressione, e un giorno aveva deciso di dare fuoco alla casa. Lo face, nonostante ci fossero suo marito e Michele. Il marito e la moglie persero la vita, Michele si ustionò il viso e il braccio. Dopo questa tragedia fu adottato dai nonni, e ora viveva con loro.
Selena, dopo aver ascoltato la storia del suo compagno, aveva spostato lo sguardo su di lui, soffermandosi su ogni cosa.
Aveva una storia simile alla sua, anche peggiore della sua, eppure non sembrava per niente simile a lei, al contrario era molto diverso.
Stringeva il rosario che portava al collo. Era un gesto che faceva sempre, almeno una volta ogni ora.
Selena non lo sopportava.
Credeva in Dio, e questo era irritante.
Doveva parlare con lui, sentiva questo bisogno.
Voleva chiedergli perché.
Lo invitò ad uscire, e lui accettò subito, con grande sorpresa di Selena.

Puoi dire che sono un sognatore,
ma non sono il solo.
Spero che ti unirai anche tu un giorno
e che il mondo diventi solo uno.

Si incontrarono al parco, quello davanti scuola.
Selena arrivò in perfetto orario, e anche Michele si fece trovare lì.
Dopo essersi salutati, cominciarono a camminare silenziosamente, pestando le foglie morte di fine autunno.
-Allora come stai?- la voce calda di Michele, ruppe il silenzio.
Selena ebbe la sensazione che quella voce avesse sciolto il gelo che li circondava.
-Bene- rispose Selena freddamente, continuando a camminare.
Michele percepì, nella voce della ragazza, due lastre di ghiaccio che si sfregavano.
Selena non amava molto girare attorno alle questioni, preferiva andare al nocciolo subito. Non le importava molto di ciò che la gente diceva, o pensava, e non le importava ferire le persone.
Per lei ferire una persona era una cosa normale, una cosa che andava fatta, per raggiungere uno scopo. Non le gravava sulla coscienza.
-Ti devo fare una domanda- cominciò Selena, Michele annuì per incitarla a continuare –Tu credi in Dio?
Sentì il ragazzo esitare qualche secondo, ma non ebbe il coraggio di guardarlo in faccia.
-Si, certo. Secondo te porto il rosario per bellezza?!- nella voce di Michele si poteva sentire una nota ironica, che mandò su tutte le furie Selena.
-Perché? Perché credi in Lui? Lui non ha difeso i tuoi genitori, non li ha salvati dalla morte. Lui non difende nessuno. Che motivo hai di perdere tempo, credendo in lui?- quelle parole le erano uscite di getto, come mai le era successo. Selena sentì di essersi svuotata; era da tempo che voleva fare quelle domande.
Michele si fermò per qualche istante, posò i suoi occhi azzurri sulla testa riccioluta della compagna.
Si accese una sigaretta con la massima calma, e riprese a camminare.
-Dio esiste e mi ha aiutato tantissimo. Credimi, ha aiutato anche te, o almeno ci ha provato. Anche i tuoi genitori sono morti, Selena. Così mi hanno detto- ispirò il fumo, per poi buttarlo fuori, formando una nuvoletta che si dissolse. Continuò –Il problema è che tu hai perso Dio- concluse, portandosi la sigaretta alle labbra.
Selena sentì la rabbia invaderla, e con essa anche un senso di vergogna, mai provato fin ad ora.
Cosa significava che “lei aveva perso Dio”?
Lei non credeva in Dio.
-Io non ho perso niente. Piuttosto tu che ti credi tanto esperto, perché non mi dici cos’è Dio?- domandò Selena.
Michele sorrise beffardo, come se si aspettasse quella domanda.
Anche lei sorrise. Quella domanda l’aveva posta a milioni di persone, e la risposta era sempre stata la stessa: Dio è l’amore.
Una risposta scontata che l’avrebbe fatta vincere. Michele era fregato.
-Io so cosa è Dio, però ho bisogno di qualche ora per farlo capire anche a te. Puoi sprecare qualche ora del tuo tempo, con un credente misero come me?
Selena annuì.
Non fece in tempo a dire altro, che Michele la prese per la mano trascinandola per tutta la città.
Immagina che non ci siano ricchezze.

Mi meraviglierei se tu ci riuscissi.
Né avidità, né cupidigia.
Una fratellanza di uomini.
           Immagina che tutta la gente,
si divida il mondo.

Camminarono per circa un’ora, in religioso silenzio. Nessuno dei due osava interrompere il rumore frenetico e incessante della città, dicendo solo una parola. Si limitavano a camminare, Michele guidava Selena, tenendola per la mano, e lei si lasciava guidare.
Salirono sopra un autobus poco affollato, che li avrebbe portati al santuario, posizionato sulla sommità della collina, immersa nella città.
Cosa ci dovevano fare lì?
Selena, poco prima di scendere dal bus, scosse la testa: forse si stava fidando troppo di un ragazzo che non conosceva.
Una volta scesi dall’autobus, l’aria fresca li punse in viso, e il buio cominciò a calare, coprendo con un mantello la luce.
Michele portò Selena in un punto della strada, dove si vedeva tutta la città.
Era stupenda la vista; sopra il cielo infinito, sotto la città illuminata.
-Guarda in alto- le disse Michele, spezzando il silenzio.
Selena eseguì, alzando la testa verso il cielo.
-Cosa vedi?- le chiese.
-Vedo il cielo dipinto di rosso, il sole che sta calando, e la luna- rispose Selena confusa.
-Questo è Dio.
Selena si voltò verso Michele. Aveva dato una risposta tanto semplice a una domanda tanto complessa?
-Ora chiudi gli occhi e ascolta- continuò Michele.
-Ascoltare cosa?- domandò la ragazza, ancora più confusa.
-Tu ascolta e basta.
Selena eseguì.
Chiuse gli occhi e ascoltò.
Per i primi secondi non udì niente, poi cominciò a sentire il rumore del vento tra le foglie, il respiro di Michele e quello suo. I suoni della città, le voci lontane dei pellegrini, fermi davanti al santuario. Si concentrò un po’ di più, fin quando sentì un lento pulsare sotto i suoi piedi: era la Terra che respirava.
-Quello che stai ascoltando è Dio.
Il cuore di Selena sussultò.
Amore mio, devi stare tranquilla, perché Dio combatte di fianco a noi.
Era vero. Dio era lì, in ogni cosa. Nel cielo, nel sole, nella luna, nelle piante. Era sempre con loro, Dio.
Bambina mia, devi ascoltare le parole di Dio. Sono sempre intorno a te. Dio parla e ti ascolta.
Era vero anche questo. Il rumore del vento, il respiro di Michele, e il cinguettio degli uccellini, erano le parole di Dio. Ed erano dolci, profonde e calde. Riempivano tutto e donavano vita.
-Ora chiudi gli occhi. Non esistono le guerre, non esiste la ricchezza e la povertà. Gli uomini vivono in un grande mondo che non è diviso da frontiere. Non esiste paese, non esiste colore della pelle. Il mondo è pulito e le persone sono felici- disse Michele.
Selena chiuse gli occhi, e sentì il castello che lei aveva creduto fosse di ferro, crollare, come un comunissimo castello di carta.
Non era mai stata forte.
-Questa è apatia- Selena lo disse quasi a se stessa.
Aveva paura che il suo castello crollasse per sempre. Non voleva che quella barriera svanisse.
-No, ti sbagli. Questa si chiama Speranza.
Selena sorrise e lasciò che una lacrima, dopo tanto tempo, le solcasse il viso.
-Ti sbagli tu, Michele. Questa non è la Speranza; questa è Dio- lo corresse Selena.
Finalmente aveva ritrovato la sua strada. Finalmente aveva capito che il castello di cui si era vantata fino a quel giorno, non era altro che una prigione.
Ora aveva ritrovato Dio, le parole di Dio, e l’essenza di Dio.
Ora aveva ritrovato il Cielo, il Vento, e la Speranza.

Puoi darmi del sognatore,
ma non sono l’unico.
Spero che un giorno ti unirai a noi,
e il mondo vivrà unito.
 

Selena guardava il cielo; il nero era ricoperto di stelle.
No, non era il firmamento che copriva il nero, era il mantello nero che copriva le stelle.
Il luccichio delle stelle era ricoperto del velo nero.
Spostò lo sguardo su Michele, che, davanti a lei, le sorrideva, appoggiato con le spalle alla finestra.
Il volto di lui era segnato dalla bruciatura, il terribile segno nero, ma c’era anche quel sorriso splendente.
Selena sorrise.
Nonostante il nero copriva le stelle, il male copriva la bontà, niente riusciva a coprire il sorriso di Michele, nemmeno quella tremenda bruciatura.
-Maria- annunciò Michele.
-Perché?- chiese Selena.
-Era il nome di mia madre- rispose lui, addolcendo il suo sorriso.
-Mi piace. Allora è deciso, la chiameremo così.
Selena si posò una mano sopra la pancia, lì nel punto esatto dove stava per nascere una nuova vita, la loro Maria.
Michele si avvicinò e le strinse la mano.
Si distesero nel letto, e lasciarono che il candore della luna li proteggesse, il rumore del vento li cullasse, e la speranza li accompagnasse nel mondo dei sogni. 
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Buon giorno, o buona sera a tutti.
E' la prima volta che pubblico qualcosa che ho creato io, dove i personaggi sono miei, e quindi sono molto, molto indecisa sul contenuto della storia.
Il tema che ho affrontato è poco originale, ne sono consapevole, ma proprio questa mia certezza mi ha spinto a pubblicarla.
Ho bisogno di un parere, mi piacerebbe sapere cosa pensate di questa storia, con la massima oggetività possibile.
Detto questo rigrazio nuovamente tutti per aver dedicato qualche minuto alla mia storia :-)
Se avete qualcosa da dire, da chiedere o da criticare (soprattutto quest'ultima) fate pure; io sono aperta alle recensioni sia positive che negative.
Grazie ancora.
Nihal 98.

  
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