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Autore: bluemary    19/03/2007    6 recensioni
"Gli occhi di Hinata, quando non rimanevano fissi sulle proprie mani, rivelavano mille emozioni e nemmeno quella malinconia che li pervadeva poteva nasconderne la dolcezza sconfinata; non c’era alcun riflesso spietato in essi, nessuna fiamma di rancore o vendetta. Se il bianco contenuto nelle iridi di Neji poteva assimilarsi al ghiaccio, quello della ninja rappresentava la purezza."
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Rock Lee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa fanfiction è nata per il concorso sui pairing assurdi indetto da suzako nel forum. Mi auguro sia di vostro gradimento e spero che, in ogni caso, mi riportiate le vostre opinioni con un commento.
Buona lettura^^
Fiori d’arancio

-Centoquindici, centosedici, centodiciassette…- la voce del giovane ninja scandiva le flessioni con fatica crescente, eppure i suoi occhi, animati da un’incrollabile determinazione, non mostravano alcun segno di cedimento.
-…centodiciotto…-
Un’altra goccia di sudore cadde a terra, il dolore al corpo martoriato si acuì all’improvviso.
-…centodiciannove…-
Con un gemito piegò per l’ennesima volta il braccio sano, contraendo i lineamenti per lo sforzo a cui si stava sottoponendo.
-Ancora una… ancora una.- ripeté, come l’ennesima scommessa con se stesso.
La sofferenza lo avvolse in una bruciante vampata, sconfiggendo la forza di volontà su cui aveva sempre fatto affidamento. Il suo braccio cedette all’improvviso e lui crollò di schianto al suolo, sentendo a stento il grido inorridito dell’infermiera che era appena riuscita a trovarlo. Mentre la vista gli si appannava ed il dolore esploso nel suo corpo cominciava a spegnersi in un caritatevole oblio, gli parve di notare una figura seminascosta dagli alberi che si allontanava silenziosamente.

Rock Lee si risvegliò poche ore più tardi.
Come ogni mattina, i suoi occhi ancora intorpiditi dal sonno si aprirono sui numerosi mazzi di fiori posti sul comodino a fianco al suo letto, regali e simboli di speranza per la sua prossima guarigione, che gli venivano portati ormai quasi quotidianamente dai suoi amici.
Il suo sguardo si soffermò sorpreso su un piccolo vaso mai visto prima, poi diresse la propria attenzione sul suo contenuto: un piccolo rametto di fiori d’arancio, con i boccioli ancora chiusi e tanto bianchi e da confondersi col muro, che pareva quasi fuori posto in mezzo a quella folla di colori sgargianti e petali larghi e vistosi.
Si stiracchiò, chiedendosi silenziosamente chi fosse passato a trovarlo mentre dormiva, quindi lanciò un’occhiata all’orologio appeso al muro e si mise a sedere di scatto.
Sapeva che tra pochi minuti lei sarebbe arrivata, come aveva fatto ogni giorno da quel maledetto combattimento in cui si era ritrovato praticamente menomato.
Sospirò quando l’immagine di Sakura si fece strada tra i suoi pensieri, tormentandolo.
Quando ancora poteva permettersi di difendere qualcuno le aveva fatto una promessa, poteva ricordare alla perfezione l’orgoglio e la fierezza con cui aveva pronunciato quelle poche parole, interpretate in un primo momento come un segno di arroganza, ma che poi aveva dimostrato di voler mantenere a costo della vita.
Lasciare che una volta di più lei lo vedesse in quelle condizioni, incapace di proteggere perfino se stesso, era un dolore semplicemente insostenibile.
Si vestì, accarezzando con un velo di rimpianto l’aderente tuta verde che il suo maestro gli aveva regalato.
Si era impegnato con tutto se stesso per diventare un ninja, sconfiggendo il destino avverso con la sola forza di volontà, che lo aveva spinto giorno e notte ad allenarsi fino allo stremo, oltre ogni limite umano, per potersi semplicemente misurare alla pari con gli altri Genin.
E adesso…
Strinse spasmodicamente le mani che teneva appoggiate inerti sulle gambe, lasciando che le unghie gli incidessero il palmo fino a farlo sanguinare.
…adesso era tutto finito.
Afferrò la stampella, cercando di bandire dalla sua testa quei pensieri e riprendere le vesti del ragazzo scanzonato e fiducioso in cui ormai stentava a riconoscersi.
Facendo attenzione alle implacabili infermiere che pattugliavano i corridoi, pronte a sventare una sua eventuale fuga, riuscì a raggiungere la sala d’attesa ancora sgombra ed infine a sgusciare fuori dall’ospedale.
Respirò con un sorriso l’aria fresca ed incominciò un peregrinare senza meta per le vie meno frequentate della città; quasi subito il dolore alla gamba ferita cominciò a tormentarlo, costringendolo a fermarsi per riprendere fiato, mentre una ragazza in lontananza camminava nella sua direzione.
La riconobbe subito, notando il passo esitante con cui avanzava timidamente nella strada e gli occhi fissi a terra, quasi avesse paura di dover incrociare lo sguardo con qualcuno.
Hinata Hyuga.
La studiò con un certo interesse, indipendente dalla parentela che la legava al suo rivale e compagno di squadra.
Ai suoi occhi era sempre parsa una strana ragazza, troppo timida ed insicura per poter divenire una brava ninja, tuttavia, durante l’esame per diventare Chunin, aveva dovuto ricredersi: la disperata determinazione con cui aveva affrontato Neji, nonostante lui le fosse palesemente superiore, l’aveva impressionato, ricordandogli che il coraggio poteva trovarsi nascosto sotto le spoglie più improbabili.
Contro ogni aspettativa si era augurato la sua vittoria, ritrovando se stesso in quella lotta senza speranza che l’aveva lasciato col fiato sospeso fino alla sua conclusione. Ed alla fine del combattimento, quando lei era rimasta in piedi nonostante le ferite e le intenzioni omicide del suo avversario, aveva dimostrato una fierezza di cui non la credeva capace, svelando al pubblico come, a volte, una sconfitta possa essere più onorevole di una vittoria.
Un leggero sorriso comparve sulle sue labbra, quando si rese che conto che forse non gli sarebbe dispiaciuto incontrarla.
-Ciao, Hinata.- le disse, non appena la ragazza incrociò il suo sguardo.
La giovane Genin sussultò, mormorando poi un saluto a testa china, in modo da non incrociare i suoi occhi.
-Ho sentito quello che ti è successo durante l’esame… mi dispiace.- disse in tutta fretta.
Rock Lee si staccò dal muro a cui era stato appoggiato, ignorando il dolore per il movimento improvviso, e le sorrise.
-Non preoccuparti, Gai-sensei mi ha portato delle medicine che mi faranno guarire sicuramente. Devo solo aspettare un po’.- replicò, rivelando la sua speranza con un tono eccessivamente allegro e sicuro, forse per paura che essa riuscisse ad attecchire troppo in profondità nel suo cuore.
-Piuttosto devo farti i complimenti per lo scontro con Neji. Anche se sei stata sconfitta hai combattuto bene!- esclamò poi, rivolgendole il pugno chiuso con il solo pollice alzato, nell’inconscia imitazione del suo maestro.
Hinata arrossì ulteriormente.
-Gr… grazie.- farfugliò, prima di mostrare un timido sorriso e, con un passo molto simile alla corsa, riprendere il suo cammino.
Lee rimase a fissarla fino a quando la vide scomparire dietro ad un’abitazione, poi il suo sguardo venne catturato da una macchia bianca sulle pietre che lastricavano le strade del villaggio, un oggetto che la ragazza aveva lasciato cadere appena prima di andarsene.
Lo raccolse, rigirandoselo tra le dita con aria sorpresa.
Era un rametto di fiori d’arancio.

Il giorno dopo i due ragazzi si incontrarono ancora, questa volta al limitare del villaggio.
-Stai andando al campo di addestramento?- chiese Rock Lee, dopo che si erano scambiati un saluto.
Hinata arrossì, annuendo dopo un attimo di esitazione.
-Fai bene ad allenarti.- sorrise il Genin, con la voce pervasa dall’entusiasmo -Gai-sensei mi ha svelato che un vero ninja si deve sempre tenere in forma, anche durante i giorni di riposo.-
-Veramente… io stavo solo facendo una passeggiata.- replicò lei in tono contrito.
Lee si zittì momentaneamente.
L’idea di rimanere di nuovo solo con i suoi pensieri gli appariva terribile quasi quanto quella di tornare in ospedale e vedere i suoi amici. Non riusciva più a sostenere gli sguardi carichi di commiserazione degli altri Genin, l’inespressa pietà che trapelava dai loro occhi, o, peggio di ogni altra cosa, quel sorriso stentato con cui la ragazza di cui era stato innamorato cercava di rassicurarlo.
I suoi sentimenti per Sakura parevano essere svaniti, distrutti dallo sconforto e dalla tristezza che tornava a ferirlo una volta dopo l’altra, quando coglieva nei suoi occhi verdi quella triste compassione che era divenuta il suo peggior nemico. Per lui, un ninja da sempre abituato a mettersi alla prova ed accettare qualunque sfida lo spingesse oltre i propri limiti, era un’umiliazione troppo cocente per poterla subire ogni giorno.
Lanciò un’occhiata alla silenziosa ragazza che lo stava fissando come in attesa di un suo congedo per poter proseguire il suo cammino.
Almeno, con chi non lo guardava negli occhi, non doveva sforzarsi di sorridere
-Se non ti disturba ti accompagno per un po’.-

Rock Lee si diresse cautamente verso l’uscita dell’ospedale, le orecchie tese a captare eventuali rumori alle sue spalle.
Dopo quella prima volta in cui aveva incrociato Hinata, aveva preso l’abitudine di passeggiare fino ai limiti del villaggio, sfuggendo ai controlli delle infermiere che cercavano di accudirlo nonostante la sua resistenza, ed ogni mattina, alla stessa ora, lei era lì.
Giorno dopo giorno il loro casuale incontrarsi era divenuto uno dei pochi momenti in cui poteva sentirsi quasi felice, oltre all’allenamento nel pomeriggio ed alle visite serali del suo maestro. Le brevi conversazioni e la tacita compagnia della giovane ninja lo confortavano quasi quanto le parole sincere del Jonin suo mentore, specialmente nei loro ultimi incontri.
La ragazza aveva cominciato a ricambiare il suo sguardo, tranne nei rari momenti in cui timidamente prendeva la parola, e Rock Lee si era sorpreso nel notare quanto i suoi occhi fossero differenti da quelli del cugino, nonostante entrambi possedessero il Byakugan. Gli occhi di Hinata, quando non rimanevano fissi sulle proprie mani, rivelavano mille emozioni e nemmeno quella malinconia che li pervadeva poteva nasconderne la dolcezza sconfinata; non c’era alcun riflesso spietato in essi, nessuna fiamma di rancore o vendetta. Se il bianco contenuto nelle iridi di Neji poteva assimilarsi al ghiaccio, quello della ninja rappresentava la purezza, il candore di una ragazza sempre pronta a preoccuparsi per gli altri.
Il giorno prima gli aveva portato una medicina della sua famiglia contenuta in una piccola scatola di legno e lui l’aveva accettata con lo stesso, rumoroso entusiasmo mostrato dinanzi alle numerose cure offerte da parenti e amici, aspettandosi l’inevitabile frase sulla certezza di una miracolosa guarigione. Si era preparato a confermare quell’illusoria speranza, nascondendo dietro il sorriso la disperazione che piano piano stava corrodendo le sue ultime speranze.
Hinata però non gli aveva promesso nulla, si era limitata a porgergli la scatoletta di legno, mentre le sue guance si tingevano di quel rossore delicato tanto simile alle sfumature più calde del tramonto. Le loro dita si erano quasi sfiorate e, solo per un attimo, gli era parso che quegli occhi a cui nulla sfuggiva fossero riusciti a penetrare nella sua anima e leggervi la profonda sofferenza da cui stava per essere sopraffatto.
Era tornato all’ospedale con la strana e quasi piacevole sensazione di essere stato capito, proprio da una ragazza che aveva imparato a conoscere solo negli ultimi giorni, e adesso la scatoletta vuota faceva timidamente mostra di sé sul comodino, accanto ad un rametto di fiori bianchi, ormai completamente sbocciati.

Il nervoso ticchettare della stampella sulle pietre che lastricavano la strada riecheggiava sempre più distante, mentre Rock Lee oltrepassava con espressione abbattuta il luogo deserto dove, fino a quel giorno, aveva trovato Hinata.
Un’infermiera l’aveva scoperto nell’esatto momento in cui stava cercando di sgattaiolare via e, per un secondo tentativo di fuga, aveva dovuto attendere il pomeriggio, rinunciando così a quell’incontro quotidiano che aveva assunto tanto valore per lui, in quegli ultimi giorni.
Amareggiato per l’imprevisto ed in minima parte anche perché aveva dovuto gettar via i fiori d’arancio ormai appassiti, continuò a camminare senza meta e quasi senza rendersene conto si ritrovò nei pressi del campo d’addestramento.
-Hinata!- esclamò, vedendo l’amica che, nascosta da un tronco d’albero, stava seguendo l’allenamento del Genin più imprevedibile di Konoha -Perché stai spiando Naruto?-
La ragazza arrossì vistosamente ed appoggiò la schiena alla corteccia.
-Lo guardo da sempre.- confessò infine, la voce ridotta ad un sussurro appena percettibile -Lui mi ha insegnato a cambiare. Grazie alle sue parole ed alla sua determinazione ho imparato ad aver fiducia in me stessa, a lottare, a non arrendermi mai.-
Non fu difficile per il ninja percepire la forte ammirazione che trapelava dalle sue parole.
-E perché non vai a salutarlo?-
La giovane Hyuga abbassò lo sguardo e Rock Lee comprese: non era solo ammirazione la sua, ma molto di più.
Una strana emozione lo attraversò a quel pensiero, un misto di rabbia e tristezza, ben diverso dall’invidia che sentiva nei confronti di quel ragazzo che tanto gli somigliava, a cui il destino pareva aver riservato tutte le occasioni a lui negate. Era un magone soffocante alla gola ed al petto, la stessa stretta della gelosia che sentiva quando, infiniti giorni prima, vedeva negli occhi verdi di Sakura l’amore per Sasuke, solo più acuta e dolorosa.
-Credi che riuscirà a vincere il primo incontro?- chiese la timida voce di Hinata, interrompendo le sue riflessioni.
Lee lottò intimamente con se stesso per ricomporre i lineamenti in un’espressione allegra.
-Naruto-kun è davvero un grande un ninja. Non si arrende mai e sa sempre come sorprendere il proprio avversario.- commentò con un sorriso, nonostante la voce velata di amarezza. -Se c’è qualcuno che può battere Neji, quello è lui.-
La ragazza distolse la sguardo dal Genin che si allenava per riportarlo sul ninja al suo fianco, uno dei rari momenti in cui gli permetteva di fissarla direttamente negli occhi.
-Invece sono certa che un giorno riuscirai a sconfiggerlo anche tu.- disse, accostando al debole suono della sua voce una nota stranamente decisa.
Rock Lee non replicò mentre cercava invano una qualche traccia di commiserazione nell’espressione della ragazza, troppo sorpreso per chiederle cosa la rendesse tanto sicura delle sue parole.
-Tu… sei come Naruto.- confessò lei, arrossendo subito dopo, come se solo in quel commento sussurrato a fior di labbra le fosse sfuggito suo malgrado.
Un’improvvisa ondata di felicitò attraversò il petto del Genin più vecchio a quel complimento, ma subito venne aggredita dalla triste consapevolezza di essere comunque secondo nei pensieri dell’amica. Incapace di gestire questo conflitto di emozioni che gli feriva il petto, strinse saldamente la stampella, pronto a congedarsi.
-E’ meglio che vada, adesso.-
Si volse in modo troppo brusco e subito una fitta di dolore gli ricordò la propria inesorabile debolezza.
Barcollò verso il suolo, stringendo i denti nel vano tentativo di recuperare l’equilibrio, poi la ragazza lo sostenne.
-Grazie.- disse con voce appena percettibile.
Hinata sorrise e arrossì nello stesso attimo, senza lasciarlo.
Con una naturalezza che sorprese entrambi, gli passò un braccio attorno alla vita, facendogli appoggiare l’arto sano sulle sue spalle, pronta ad accompagnarlo fino all’ospedale.
Il ninja si irrigidì, umiliato per la situazione.
-Non resti a vedere l’allenamento di Naruto?- le chiese, cercando di non farle notare il proprio disperato desiderio di rifiutare il suo aiuto
Hinata scosse la testa.
-Io… preferirei guardare il tuo.- mormorò, con un filo di voce simile all’eco di parole mai pronunciate.
Rock Lee si immobilizzò all’improvviso. La vergogna per la propria debolezza scomparve, rimpiazzata da un’intensa sensazione di calore nel petto, dove l’unico muscolo che non aveva mai allenato si muoveva con insolita rapidità.
All’improvviso gli sembrò stranamente naturale lasciare che le braccia esili della ragazza gli dessero il sostegno di cui aveva bisogno, ingoiando l’orgoglio e chiudendolo nel più profondo angolo del suo animo, per poter assaporare meglio la gioia leggera di quel contatto.
Con il braccio attorno alle sue spalle la attirò a sé, nel tentativo di gravare il meno possibile su di lei pur non rinunciando ad averla tanto vicino.
Hinata arrossì vistosamente ma non si scostò, rafforzando anzi la presa sulla sua vita.
E, mentre procedevano senza guardarsi, con il silenzio rotto solo dal regolare ticchettare della stampella e dal respiro di entrambi, stranamente affannoso, chiunque fosse passato per il loro stesso sentiero avrebbe visto due ragazzi stretti in un abbraccio.

   
 
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