Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: Writer96    03/09/2012    10 recensioni
-Hai cinque secondi per spiegarmi esattamente cosa ci fa il tuo gelato sulla mia maglietta nuova e bianca di Abercrombie, toglierlo di lì e proclamarti mio schiavo per l’eternità.- sibilo, fissando il proprietario del cono con un certo astio negli occhi. E’ stata una pessima giornata, sto aspettando l’autobus da venti minuti e l’unica cosa buona che mi è successa, finora, è stato l’evitare quel gigantesco mucchio di rifiuti ammassato in mezzo al marciapiede. Tuttavia, riesco a fatica a reprimere un sorriso pensando che ora sembro Jafaar di Aladdin quando ruba la lampada del Genio e lo costringe a servirlo.
-Sono questi i tuoi tre desideri, quindi?-
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Image and video hosting by TinyPic







Mi dondolo sui talloni, come faccio sempre nei momenti di noia più totale.
A dire il vero mi sento un po’ uno di quei personaggi dei cartoni animati, uno di quelli con la grossa pancia con tanto di panciotto a quadri gialli e neri, su cui spunta un orribile cravattino toccato dagli enormi baffi da tricheco.
Ecco. Esattamente così.
Mi ci vuole un attimo e mi ritrovo proiettata in uno dei film di animazione della Disney che mi piacciono tanto: adesso sono il vecchio signore che cammina, piegando le ginocchia e dondolando un po’, in mezzo alla strada, guardando benevolo i bambini intorno a lui che camminano, si rincorrono, giocano e spiaccicano gelati sui panciotti altrui.
Aspetta.

Spiaccicano gelati sui panciotti altrui.

Il mio sguardo torna alla realtà e con orrore guardo verso la mia pancia, che non è più tonda e coperta da un panciotto, ma più o meno piatta (la mia pancetta infantile si rifiuta categoricamente di sparire) e coperta da una maglietta dell’Abercrombie. Una maglietta nuova e bianca dell’Abercrombie.
Reprimo un ringhio ed un urlo esasperato e con l’occhio della mente mi vedo in versione drago di Shreck, che sputo fiamme dappertutto e minaccio il mio nemico di mangiarlo.

-Scusa....- borbotta qualcuno e io mi ritrovo davanti un paio di occhi color nocciola, due labbra piene, dei capelli mezzi ricci e un collo con una voglia (o forse neo gigante) arcuato in modo da potermi guardare. Il mio sguardo si abbassa fino al cono gelato- che è ancora attaccato alla mia maglietta, accidenti!- e noto come la maglietta cada su un fisico niente male.
D’accordo, non è esattamente come il principe azzurro di Biancaneve.
Ma essere figo, è figo lo stesso.

-Hai cinque secondi per spiegarmi esattamente cosa ci fa il tuo gelato sulla mia maglietta nuova e bianca di Abercrombie, toglierlo di lì e proclamarti mio schiavo per l’eternità.- sibilo, fissando il proprietario del cono con un certo astio negli occhi. E’ stata una pessima giornata, sto aspettando l’autobus da venti minuti e l’unica cosa buona che mi è successa, finora, è stato l’evitare quel gigantesco mucchio di rifiuti ammassato in mezzo al marciapiede. Tuttavia, riesco a fatica a reprimere un sorriso pensando che ora sembro Jafaar di Aladdin quando ruba la lampada del Genio e lo costringe a servirlo.
-Sono questi i tuoi tre desideri, quindi?- mormora il ragazzo, probabilmente senza neanche rendersene conto. Normalmente, neanche l’avrei ascoltato, ma non posso fare a meno di cogliere le ultime parole del suo borbottio.
-Come, scusa?- domando, pensando che perlomeno quello era un cono al limone e mi eviterò la macchia permanente. Purtroppo per me, non ho nessuna Fata Madrina a disposizione che faccia apparire per me un vestito nuovo ogni sera e questa maglietta-bianca, nuova, dell’Abercrombie- è semplicemente un regalo di Natale arretrato.
-No, niente...- prova  a difendersi lui, pensando che io voglia insultarlo. In parte è così, ma in parte voglio capire perché diavolo ha detto che quelli erano i miei tre desideri. Va bene, magari sarò una fanatica io e probabilmente, stando tre mattine a settimana con i bambini dell’asilo, la mia mentalità è diventata simile alla loro, ma mi sembra impossibile che sia io che lui abbiamo pensato entrambi alla stessa cosa.
-Voglio sapere. Giuro che non lo faccio per insultarti. Insultarti, ti insulto dopo.- dico, abbassando poi lo sguardo sulla mia pancia e scoprendo che anche se il gelato era al limone, la macchia imbarazzante c’è comunque. Sospiro, pensando che magari la lavanderia a gettoni ha deciso di fare degli improvvisi saldi per la sua cara Fran, cliente più che abituale.
D’accordo, magari è vero che sono troppo pigra per imparare a fare una lavatrice da sola, ma è più facile dire che i soldi del mio stipendio- già pochi, poi, eh!- mi servono per altre cose –tipo cibo e vecchie cassette di Walt Disney- decisamente più urgenti e necessarie.
-Ho chiesto se erano quelli i tuoi tre desideri... sai, tipo il genio di Aladdin.- biascica, con una voce bassa e calda, velata da un leggero accenno di ironia.
Bene. Penso che potrei svenire, anzi, scappare a gambe levate per cercare un esorcista o, in alternativa, una Buffy che ammazzi questa sottospecie di Edward Cullen.
-Tutto bene?- domanda poi, probabilmente accorgendosi del colorito biancastro che devo aver assunto. Scuoto la testa e spalanco un po’ la bocca, rendendomi conto di assomigliare terribilmente ad una rana gigante, ma per qualche strana ragione nemmeno mi metto a cercare di ricordarmi in quale cartone ho già visto questa scena.

E questo dovrebbe provare tutta la gravità della situazione.

In quel momento, tanto per completare questo idillico quadretto, uno schizzo di pietrisco mi colpisce con precisione la schiena e io faccio appena in tempo a girarmi per insultare l’autista di un autobus, il mio autobus, prima che questo fili via, continuando la sua corsa. Una risata mi scuote dal mio stato mentale di commiserazione e quando mi giro di nuovo verso di lui, il ragazzo del gelato è piegato in due dalle risate e io mi ritrovo a sperare che quel gelato gli cada sulle belle scarpe da tennis che si ritrova.
Giusto per non tenere disoccupato il karma, eh!

-Bene...- borbotto, una volta che lui si è ripreso:- Intendi deridermi ancora per molto?-. Lui mi guarda negli occhi e un leggerissimo crampo mi prende alla bocca dello stomaco, mentre penso che quegli occhi sono proprio belli e di una forma decisamente stupenda. Appena formulato questo pensiero, sbuffo e agito una mano, come a scacciare quel pensiero.
-Era il tuo autobus, quello?- mi chiede e io annuisco, sconfitta, senza neanche chiedermi come abbia fatto a capirlo. Probabilmente un qualche sconforto nel mio volto deve averlo ispirato, o forse gli è bastato sentire uno dei miei tanti riottosi borbottii. Lo guardo, e cerco di comunicargli ancora una volta il mio disappunto, imponendomi, allo stesso tempo, di non fargli gli occhi dolci. Lui si mette una mano tra i capelli e arrossisce un po’- è adorabile- e apre la bocca per dirmi qualcosa.

-Allora, siccome anche io devo prendere quello e so che il prossimo passa esattamente tra ventotto minuti, posso offrirti un caffè? Così, per riparare al danno...-

E’ esattamente questo ciò che mi aspettavo di sentire. Succede così nei film, no? Lui le versa addosso qualcosa, si scusa, si innamora dei suoi bellissimi occhi e poi le chiede una sorta di appuntamento. Non capita mai e poi mai che lui, dopo averle versato addosso qualcosa rovinandole definitivamente i vestiti la derida e poi le dica qualcosa come:- Comunque mi dispiace ancora per la maglietta. Io ora, uhm, dovrei andare lì al negozio di dischi, uhm, sì.-
La mia bocca si spalanca senza che io abbia la possibilità di controllarla e mi ritrovo a fissarlo battendo le palpebre in maniera rallentata. Tanto per fare la persona matura, ecco.
-L’hai detto sul serio?- domando e lui mi guarda interrogativo. La mia bocca, fortunatamente, si è richiusa, ma non riesco ad impedire che le mie sopracciglia schizzino fino all’attaccatura dei capelli. Lui continua a fissarmi per un po’ e poi scoppia a ridere, di nuovo, ancora una volta senza il minimo ritegno.
Quant’è che lo conosco? Dieci minuti nemmeno, in cui non solo è riuscito a sporcarmi la maglietta, ma ha anche riso di me come se fossi il clown più divertente che abbia mai visto per ben due volte. Sono caduta proprio in basso.
-Sto scherzando, accidenti. Dovevi vedere la tua faccia... ahh. Ti aspettavi che ti invitassi a bere un caffè, vero?- mi chiede, sorridendo in maniera beffarda eppure allo stesso tempo dolce. Io arrossisco e poi alzo gli occhi al cielo, mentre lui ride di nuovo, ma in maniera meno sfacciata di prima, quasi per consolarmi.
-Ma tu sai solo mettere in imbarazzo le persone?-domando e lui abbassa gli occhi, assumendo un’aria un po’ indifesa e un po’ da cucciolo bastonato. Mi chiedo come faccia la sua ragazza- perché lui deve per forza avere una ragazza- a non stare tutto il giorno ad abbracciarlo e coccolarlo, passandogli una mano tra quei capelli che sembrano voler urlare “Accarezzami”
-No, dai. Per farmi perdonare, ti invito sul serio a prendere un caffè. Se quello era davvero il tuo autobus, ho paura che ti toccherà aspettare almeno un’altra mezzoretta prima che ne passi un altro...- dice alla fine e io sbuffo, infilandomi le mani in tasca e annuendo. Tutta gente assolutamente normale vado a conoscere io, sì.

Camminiamo per un po’ e lui inizia a parlare, prima timidamente e poi arrivando  a raccontarmi addirittura di quella volta che suo zio ha fatto un Safari in Africa e ha perso il cappello per strada. Le parole escono dalla sua bocca apparentemente senza sosta, simili ad una valanga che scivola giù per la montagna e si ingigantisce sempre di più. Stile “L’Era Glaciale”, insomma. Ad un certo punto ci fermiamo di botto, o meglio, lui si ferma e si gira, rischiando di farmi andare a sbattere contro di lui.
-Guarda che abbiamo superato la caffetteria da un po’... dove staresti andando, tu?-
-Verso l’infinito e oltre!- mi esce dalla bocca con una risata prima che io riesca a fermarmi. Ora ho seriamente paura che lui ricominci a ridere come un deficiente, prendendomi in giro come pochi e mi metto istintivamente le mani davanti alla faccia, pregando che almeno riesca a non diventare rossa. Quando però sbircio tra due dita non riesco a credere a ciò che vedo: lui se ne sta lì, a fissarmi, gli occhi spalancati pieni di quella che sembra.... adorazione. Ci manca poco che gli scendano delle lacrime, anzi.
-Aspetta un secondo, perché mi guardi così?- chiedo, abbassando le mani e continuandolo a guardare temendo una sua qualche reazione negativa.
-Hai appena citato.... Buzz Lightyear. Non posso crederci.- fa, avvicinandosi di un passo a me. Sembra che non riesca a controllare il suo viso, tanto è grande il sorriso che ci si sta creando sopra. Un sorriso come il suo si crea immediatamente sul mio viso e mi passo istintivamente una mano tra i capelli, senza smettere di fissarlo.
-Ti piace Toy Story?- chiedo, quasi sussurrando. Mi sento come uno dei membri di una setta super segreta che ha trovato un altro adepto, esaltato al par suo. Ecco, sì. Il sorriso che lui mi sta rivolgendo è decisamente esaltato. E identico al mio.
-Io amo Toy Story, è diverso...- precisa lui, mettendomi le mani sulle spalle. Il sorriso esaltato non si è ancora attenuato e per un attimo continuiamo a guardarci negli occhi, sorridendo come degli idioti. E poi scoppiamo a ridere, piegandoci addirittura in due, spinti non si sa se dall’isterismo o dalla felicità. Una signora ci guarda, passando, e borbotta qualcosa a proposito dei giovanotti incivili e rumorosi, ma nessuno di noi due la sta a sentire e quando finalmente ci calmiamo non fingiamo quando ci passiamo un dito sotto gli occhi per asciugare le lacrime.
-Dopo questa meravigliosa scoperta, ho davvero bisogno di un caffè per riprendermi...- dico, alla fine e lui annuisce, affiancandomi nel ritornare indietro di pochi metri.

Ci sediamo su un tavolino di ferro nero e aspettiamo che qualcuno venga a prenderci le ordinazioni. Nel giro di qualche minuto vengo a sapere che si chiama Liam, che studia legge, che ama la pasta con il pomodoro e il basilico e che tutti i suoi amici lo prendono in giro per via della sua spaventosa collezione di dvd di cartoni animati.
-Ma quanti anni avresti, scusa?- gli chiedo, bevendo un sorso di caffè, che mi scivola bruciando giù per la gola.
-Diciannove, compiuti da poco...-
-Pure io!- esclamo, tutta contenta e vedo che si mette a tossire come un ossesso. Mi alzo e tento di battergli una mano sulla schiena, ma arrivo solo fino alla sua spalla e mi accontento di urlare come faccio quando uno dei bambini si strozza con la saliva “Guarda l’uccellino”, schioccando le dita della mano destra.
Finalmente lui smette di tossire e io mi siedo di nuovo, usando come scusa per ammirarlo l’accertarmi che non sia in punto di morte. Mi colpisce quella bellezza delicata, quasi infantile, che hanno i suoi tratti. L’aria da bravo ragazzo che ha gli dona quel qualcosa in più che lo rende attraente e diverso dagli altri ragazzi: anche se in alcuni momenti può sembrare arrogante o presuntuoso, non lo è mai per davvero, mi rendo conto.
-Sei vivo?- domando, sporgendomi verso di lui.
-Sì...-borbotta, con gli occhi leggermente spalancati e ancora del rossore sugli zigomi. Mi studia, inquisitore e per un attimo mi sembra che mi guardi come attraverso una lente d’ingrandimento, tipo Sherlock Holmes o La Pantera Rosa.
-Come mai questa crisi?- gli chiedo, un angolo della bocca sollevato e i gomiti piantati sul tavolo, checché ne dica il galateo.
-Ti facevo più piccola...- dice e io non perdo nemmeno tempo ad offendermi. Me lo sono sentita dire tante di quelle volte che ormai ci ho fatto l’abitudine. Anche Josh, il mio ex ragazzo, mi ha detto che ero piccola di testa e che mi dimostravo infantile a livelli troppo alti prima di lasciarmi. Caro ragazzo.
-Me lo dicono spesso. Diciamo che la colpa è anche del fatto che lavoro part-time in un asilo e che quindi passo a volte anche intere mattinate a disegnare con i bambini o a insegnare loro come mettere i pantaloni. Sono cose che capitano, quando studi pedagogia all’università...- spiego e lui annuisce.
-Il pomeriggio solitamente lavoro in un negozio di giocattoli, e quindi lì ancora altri bambini. Sono una sorta di Peter Pan, ecco...- termino, facendogli l’occhiolino. Liam mi sorride e per la prima volta sembra essere davvero senza parole. Ha un’aria attenta e seria e non stento a credere che un giorno sarà un ottimo giudice o avvocato: non mi sento messa in soggezione da lui ma ho come la sensazione che qualunque cose io dica sia importante per permettergli di costruirsi un’idea su di me. Mi piace questa cosa, questo suo rendere importante tutto. Non mi stupisco che ami i cartoni animati: ho sempre pensato che solo le persone dotate di una certa sensibilità fossero in grado di apprezzarli sempre, indipendentemente dalla loro età.
-Pensavo ti offendessi, sai? Beh, dai. Agli undici anni mentali ci arrivi...-scherzò e io gli diedi una pacca giocosa sul braccio destro, più vicino a me.

-Quando hai finito di sfottermi, chiamami pure. A quel punto potrò godermi una conversazione con te...- commento, sarcastica e lui mi fa una linguaccia.
-Come faccio a chiamarti se non ho il tuo numero?- domanda ad un certo punto, spiazzandomi e facendomi leggermente gelare. Mi mordo un labbro e guardo in là, verso la strada dove passano macchine e persone come se nulla fosse.
-Uhm, scusa, ti ho messo in imbarazzo di nuovo. Questa volta non volevo... e... sarà la centesima volta che te lo dico, ma mi dispiace per la maglietta. Se vuoi te la lavo e poi te la riporto...- dice e si tappa la bocca con una mano, arrossendo un po’ sotto il mio sguardo scettico.
-Oh, l’ho rifatto di nuovo. Ah, lascia perdere. Adesso io sono imbarazzato..- esclama tutto d’un fiato e io gli sorrido, mormorando un “Tranquillo, non è niente” corredato anche da un magnanimo scuotimento di capo. La tenerezza che mi ispira in questo momento è più o meno infinita, decido.
-A proposito della maglietta... perché prima volevi sapere quella cosa dei tre desideri?- mi chiede e io ci metto qualche attimo a focalizzare di cosa stia parlando. All’improvviso tutta l’intera scena mi ritorna in mente come un flashback e io annuisco, facendo un verso simile ad un “Uhm” un po’ strozzato.
-Se te lo dico non mi credi, ma quello era esattamente come ciò che avevo pensato io un attimo prima...- gli spiego e scoppiamo a ridere. Lancio per caso un occhiata all’orologio e mi dico che, se non voglio perdere un altro autobus, è meglio che io vada via subito.
-Liam, scusami, ma sto per perdere il secondo autobus della giornata e non penso che sia proprio il caso...- spiego, mentre lui annuisce. Sul viso ha un’espressione dispiaciuta e sono certa di essere diventata mogia anche io. Nell’alzarmi, è come se qualcosa mi trattenesse, come una catena che serve ad imprigionare un drago e a confinarlo nella sua torre. E’ la seconda volta che penso a me come un drago, ma se prima ero arrabbiata come pochi, adesso vorrei soltanto congelare il tempo e rimanere così, a ridere con Liam a proposito di cartoni animati, con la maglietta sporca di gelato.
-Uhm, va bene. Allora... ci rivediamo. Magari ti aggiungo su Facebook, che dici?- fa lui e si alza per salutarmi come farebbe con una vecchia amica. Sta per abbracciarmi, quando gli metto una mano sul petto e mi tiro fuori il cellulare dalla tasca.
-Scrivi il tuo numero, va. Che per quel poco che sto a casa, è meglio se mi chiami. Anche perché devo davvero farti vedere quella rarissima edizione di Biancaneve che ho comprato ad un mercatino due settimane fa...- esclamo, facendogli l’occhiolino e passandogli il telefono. Lui scrive velocemente sui tasti dello Smartphone e appena mi passa nuovamente il telefono vedo che si è salvato come “Liam del gelato”. Rido e gli faccio segno di passarmi il suo telefono. Un vecchio Samsung rovinato mi appare sotto gli occhi e con difficoltà riesco a sbloccarlo e a scrivere il mio numero. Non sono più abituata ad usare il T9 e ci metto un po’ per salvarmi come “Fran di Toy Story”
A questo punto gli permetto di abbracciarmi e ci stringiamo qualche istante, come se davvero ci conoscessimo da tutta la vita.
-Beh, allora... buon ritorno a casa...- mormora, staccandosi da me.
Mi allontano salutandolo con la mano e per un pelo non perdo anche questo di autobus.

Seduta in uno dei posti in fondo, con la testa poggiata al finestrino, non riesco a smettere di ripensare a Liam, il dolce Liam, il pazzo Liam. La familiarità che ho con lui è incredibile, mi dico, mentre con affetto guardo la macchia sulla mia maglietta, che in fondo, a ripensarci, è solo una maglietta bianca più costosa delle altre.
Sono altre, le cose alle quali bisogna dare un alto valore.
Come, ad esempio, la capacità di apprezzare un buon cartone animato.
 





Writ's Corner

Eccola qui, la vostra Writ, che torna a infestarvi, piccoli spettacoli.
Una semplice One Shot- tanto perchè la nuova Long che sto scrivendo NON mi stressa abbastanza, noo- con il mio dolciosissimo Liam.
Sembro una BM quando dico così. #killme
Comuqnue sia... niente da dire, se non che mi è venuto in mente il tutto vedendo una foto di Liam da piccolo vestito da Cow-Boy.
Spero di avervi almeno fatto sorridere. Un bacione
Writ


Ps: Ecco qui, Miry. Buooon Compleanno! E tanti abbracci anche alla Pot, all'ACE e alla Siza che sopportano i miei scleri. <3

   
 
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Writer96