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Autore: wilderthanthewind    04/09/2012    1 recensioni
Londra, novembre 1986.
"Una saetta spezzò il cielo grigio, un tuono si udì in lontananza. Ogni giorno provavo ad abituarmi all’idea che Simon non sarebbe tornato. Sfilai la collanina dalla tasca per osservarla con cura. Aveva qualcosa di familiare"
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I WILL ONLY WATCH YOU LEAVE ME FURTHER BEHIND
- LONDRA, NOVEMBRE 1986

Un tonfo evidenziò la mia presenza, tuttavia nessuno ne parve interessato. Lasciai le mie imponenti valigie cadere sul pavimento della stazione ché le mattonelle color panna potessero amplificarne la breve eco, ma i passanti continuavano a correre imperterriti in tutte le direzioni. Preferii convincermi che in realtà il mio unico desiderio era liberarmi della fatiche tratte sollevando i bagagli, piuttosto che attirare l'attenzione di qualcuno. Mi voltai; il treno, ripartendo, acquistò man mano più velocità osando perfino sfrecciare davanti ai miei occhi, e umiliata dall'accaduto afferrai nuovamente le valigie e mi diressi con determinazione verso la mia destinazione: un appartamento situato al terzo piano di una palazzina piuttosto tranquilla. Estrassi dalla tasca dei jeans un pezzo di carta quadrettata con su scritto, con un grosso pennarello nero, "S. Hemsley Street, 84".

Guardandomi intorno nella speranza d'imboccare l'esatta traversa, il profumo della pioggia attirò la mia attenzione in modo particolare; alzai lo sguardo. Al cielo grigio londinese apparteneva un fascino unico, tuttavia il tempo non mi diede la possibilità di ammirarlo a sufficienza. Avevo paura, ho paura del tempo il quale è stato in grado di sottopormi al suo dominio, esso scorre così velocemente che puoi osservare il mondo perdere colore man mano, incupirsi sempre più in fretta, disgregando i legami della società. Schiava del tempo, mi unii alla preponderante folla che correva senza sosta, correva verso la propria meta.

Estrassi nuovamente il biglietto dalla tasca e lo lessi con cura, altrettanto feci con un cartello all'angolo della strada. Ero arrivata. Mi avvicinai al portone al numero 84, un numero inciso in caratteri eleganti su una targa d'argento, posizionata al lato dell'ingresso. In quel quartiere regnava la quiete; regolarmente si udiva un'auto avvicinarsi, e con essa gli pneumatici scivolare sulle pietre nere di origine vulcanica ancora lucide e bagnate a causa del recente acquazzone. Accanto all'ingresso scendeva una grondaia dalla quale colavano ritmicamente le ultime gocce di pioggia, accompagnate dal suono dei miei tacchi a cui oramai ero abituata, per quanto li indossassi. Aprii faticosamente l'antico portone, definito dalle sue decorazioni color argento; trascinai i miei bagagli nel pianerottolo e fui per qualche istante intenta nell'osservare la cura e l'eleganza con cui esso era stato ornato. Voltandomi notai una targa di granito che portava la splendida incisione "Sing Blue Silver": ne ero letteralmente incantata, tant'è che quando m'accorsi che il tempo aveva intenzione di iniziarmi a minacciare nuovamente, mi scossi, lasciando che le porte dell'ascensore si chiudessero alle mie spalle.

Raggiunto il terzo piano, entrai nel mio piccolo appartamento, notando con dispiacere che anch'esso perdeva colore, sempre più rapidamente. Turbata da ciò che stava accadendo, lasciai i miei carichi all'ingresso, e mi avvicinai più in fretta che potevo, a un vaso di rose rosse appoggiato sulla scrivania. Guardavo con tristezza le rose divenire sempre più scure, avvicinarsi sempre di più ad una monotona tonalità di grigio. Guardare, era tutto ciò di cui ero in grado. Continuavo a chiedermi come avrei potuto porvi rimedio, ma pareva impossibile. Mentivo a me stessa. Disfeci le mie valigie e riposi ogni singolo capo in un cassetto diverso, secondo la regola della maniaca dell'ordine, dunque decisi di esplorare la mia area: lasciai nuovamente l'appartamento ed entrai nell'ascensore, vivendo un déjà vu che s'interruppe quando le porte si aprirono al secondo piano.

Un ragazzo del quale mi colpì la sua altezza s'infilò nel tetro montacarichi rallegrandone l'aspetto col suo sorriso, e mi augurò una serena giornata. La sua capigliatura dorata e i suoi occhi azzurri, in cui potei intravedere l'oceano, distolsero la mia attenzione, per cui esitai a rispondergli. In seguito restai stupita dal suo garbo, poiché nella mia vita fino ad allora avvolta in una serrata solitudine nessuno aveva mai osato rivolgermi gentile parola. Giunti al piano terra, mi precedé privandomi degli sforzi che avrei impiegato aprendo l'antico portone, chiedendomi perfino se necessitavo delle indicazioni. Mai mi fui imbattuta in tale disponibilità.

Presi posto al tavolino di un bar che individuai voltando a sinistra; guardandomi intorno scoprii con amarezza che oramai i colori erano quasi scomparsi definitivamente. Ordinai una tazza di caffè, la mia unica speranza in quel momento. In quel luogo regnava l'eleganza, non avrei potuto non amarlo. I tavolini, dal ripiano di vetro, erano rifiniti in ferro battuto, e le seggiole preservavano una comodità mai conosciuta prima. Mi strinsi al cappotto, avvicinandomi la tazza al viso. Tuttavia, non riuscivo a smettere di pensare a quel ragazzo. Riflettendoci mi resi conto di non sapere neanche il suo nome, così, sorseggiando il mio caffè speziato con della cannella, decisi di andarlo a trovare. Lasciai il tavolo e corsi verso il mio palazzo, prima che il tempo decidesse di far scendere la pioggia nuovamente. Raggiunsi il secondo piano. La porta del suo appartamento era aperta, e il ragazzo uscì trascinando dei grossi pacchi. Corsi ad aiutarlo, ma lui mi pregò di non disturbarmi, non ottenendo risultati. «Come mai, tutti questi pacchi?», la domanda fu spontanea, a tal punto che quasi non m'accorsi d'averla pronunciata. La risposta fu breve e concisa, ma precisa. «Parto», mi annunciò, col suo solito sorriso. Con una sola parola fu capace di recare una ferita cronica al mio cuore, non capace di difendersi poiché abituato alla solitudine più totale. Provai a mentire a me stessa; ero solita risolvere i problemi in questo modo, ma ben presto mi resi conto che i miei tentativi erano inutili. Mi ripetevo che non avrebbe influito in nessun modo nella mia vita, ma come avrebbe potuto non farlo? Il suo sorriso, i suoi occhi, il suo animo gentile lasciarono un segno permanente nel mio cuore fin dal primo momento che li vidi.

Le porte dell'ascensore si aprirono. «Aspetta, non conosco il tuo nome», fu tutto ciò che fui in grado di proferirgli. «Davvero non ci eravamo mai presentati? Debbo porgerti le mie scuse, il mio nome è Simon».«Io... io sono Ice».«Piacere di conoscerti Lady Ice». Si allontanò, e io corsi al piano superiore per rifugiarmi tra le coperte del mio caldo e morbido letto. Mai mi capitò di essere così intenzionata a risolvere un problema. Sì, lo definivo un problema, poiché le sue dolci parole fecero in modo che mi affezionassi a lui in poco, pochissimo tempo. Era divenuto padrone dei miei pensieri.

La mattina successiva il suono del campanello mi svegliò. Aprii la porta. «Mi chiedevo se ti avrebbe fatto piacere bere una tazza di caffè insieme». Simon era lì, di fronte a me, alle 7 e mezza del mattino, sorridente come sempre. Mi diede a disposizione del tempo per rinfrescarmi il viso e vestirmi. Ci dirigemmo verso il bar all'angolo della strada, e ordinammo la nostra colazione. «Dimmi, quando parti?», gli chiesi preoccupata. «Fra una settimana. Andrò a Birmingham. Qui sento che mi manca qualcosa», mi rispose, con un po' di malinconia. «Ti prego... n-non andartene», gli sussurrai. Il cuore batteva a mille. Abbassò lo sguardo, accennando un sorriso, il suo splendido sorriso. «Mi dispiace, Lady Ice». Provai a mentire a me stessa, ma non ne fui in grado. "Non m'importa della sua assenza", continuavo a ripetermi. Mi diressi verso un ponte, per osservare lo splendido paesaggio di Londra; mi sporsi, ero sul punto di cadere nelle acque calme, ma gelide, del Tamigi, ma qualcosa di trattenne. Battei le palpebre: le lacrime correvano lungo la mia guancia, probabilmente anch'esse schiave del tempo. Caddero nel fiume, e potei percepire un movimento tra le acque quando le toccarono. "Non se ne andrà, no", provai dunque a dirmi, ma non era vero. Ero una bugiarda. Alzai lo sguardo, mi guardai intorno: ogni singolo colore si era tramutato in una differente tonalità di grigio. Gridai. Mi sentii soffocare, non riuscivo ad emettere alcun suono.

I giorni passarono in poche ore, minuti, secondi. Ero lì, di fronte a lui, alla stazione. Le mattonelle color panna, il treno che si fermava. Lo salutai, gli concessi di andare via. Rivissi ogni singolo momento trascorso soltanto una settimana prima. Le mie menzogne, l'odore della pioggia. Estrassi dalla tasca il biglietto che portava l'indirizzo del mio palazzo. La targa argentata, l'ascensore. Il mio appartamento, le rose, il sorriso di Simon. "Resta, resta", sussurravo ripetutamente, mentre mi chiedevo il motivo per cui gli avessi permesso di partire, finché non notai qualcosa luccicare sul pavimento. Avvicinandomi realizzai si trattasse di una collana; il ciondolo portava l'incisione "Sing Blue Silver". La riposi furtivamente in una tasca interna del mio cappotto e mi diressi verso la mia palazzina, oramai vuota e triste, completamente priva di colori. Mi affacciai alla finestra, probabilmente per la prima volta in quella settimana. Potevo ammirare il fiume scorrere, ed osservare le automobili superare di rado il piccolo e quieto quartiere. Da quando Simon se ne andò Londra parve spegnersi. Rivissi nuovamente quel déjà vu, una vita in bianco e nero. La targa nel pianerottolo, il tetro montacarichi, il suo sorriso.

Perso: in questo modo definivano lo sguardo di Simon, quando osservava il paesaggio attraverso il finestrino del treno, perlato da alcune goccioline di pioggia. Osservava l'inverno procedere, senza propositi: si scosse, si rispecchiò nella fredda stagione che procedeva sempre più rapidamente esattamente quanto quel treno. Si illuse di poter ritrovare la sua anima a Birmingham, almeno fino a quel momento. Si guardò intorno frastornato, poi scostò la manica del suo maglione per poter guardare le lancette dell'orologio avanzare nel quadrante, anch'esse probabilmente schiave del tempo. Si chiese se quest'ultimo avrebbe ucciso la sua anima, se sarebbero esistite alcune possibilità di ritrovarla. Sarebbe stato in grado di affrontare il tempo? La preoccupazione lo affliggeva. Ebbene il tempo era la causa dell'inevitabile decadenza della società; esso era in grado di rovinare anche i legami più stretti, distruggere tutto ciò che si potesse considerare inseparabile e affiatato. Ciascun animo cercava in tutti i modi di liberarsi del potere del tempo, tuttavia ognuno di essi terminava la propria miserabile vita col divenire suo schiavo. Il treno si fermò. "Birmingham 78", egli lesse su un enorme schermo, prima di scendere.

Una saetta spezzò il cielo grigio, un tuono si udì in lontananza. Ogni giorno provavo ad abituarmi all'idea che Simon non sarebbe tornato. Sfilai la collanina dalla tasca per osservarla con cura. Aveva qualcosa di familiare. Con gesti svelti e affrettati riempii la mia valigia, presi il mio ombrello ed uscii di casa.
Di nuovo in viaggio.
Il desiderio di incontrarlo era irrefrenabile; da quel momento avrei imposto la mia spavalderia al tempo, avrei potuto vivere nuovamente il mio déjà vu, oramai divenuto un sogno.
Partii per Birmingham. La mia destinazione era tutto ciò conoscevo.

Partì per trovare la sua anima e avrebbe mantenuto quella promessa.
Giunto a Birmingham, non gli restò che cercare un'accogliente dimora. Si guardò intorno con curiosità. Una ragazza lo notò. «Ha bisogno d'aiuto?», gli chiese gentilmente. «Lei sa dove potrei affittare una stanza?». «Se non le dispiace... posso ospitarla nel mio appartamento», gli rispose. «Le offro un caffè. Mi segua! Mi sembra piuttosto disorientato. Al bar approfondiremo la questione».
«Due caffè, per favore», disse la ragazza una volta giunta al bar, rivolgendosi al proprietario. Poi prestò la sua attenzione a Simon. «Quasi dimenticavo, il mio nome è Amy. Abito a due isolati da qui e da quando mio fratello se n'è andato ho una stanza in cui non c'è il letto da rifare. È triste, non credi?». Simon annuì, scrutando la sua tazzina. «Per quanto tempo hai intenzione di soggiornare?». «Non ne sono sicuro, spero non più di due settimane», Simon si interruppe per sorseggiare il suo caffè. «Spero che per te non sia un problema». La ragazza acconsentì. Lasciarono il bar per dirigersi verso la loro abitazione. Simon osservò l'ascensore dell'antica palazzina: era tanto tetro e cupo quanto quello della sua precedente dimora; esso riuscì a scaturire in lui un po' di nostalgia. «Non conosco ancora il tuo nome», precisò la ragazza. «Oh, scusami. Mi chiamo Simon», le rispose, assorto nei suoi pensieri. Non riusciva a ritrovare il sorriso. «Gran bel nome», ella ribatté. «Ti ringrazio». Inizialmente, quel vuoto incolmabile che Simon sentiva dentro di sé non lo abbandonò.

Amy usava svegliarlo tutte le mattine aprendo con forza le tende della sua stanza priva di colori, ché i due coinquilini potessero trovare le migliori prelibatezze al bar nel quale consumavano i loro pasti di consueto. Ogni giorno che passava, la coppia diveniva sempre più intima, e Simon considerava gli abbracci della sua compagna particolarmente speciali. Si rese conto di essersi invaghito del suo sorriso e delle sue dolci parole che gli permettevano di svegliarsi di buon umore ogni mattino, non appena i primi raggi di sole illuminassero la sua stanza. Quel mattino egli decise di ricambiare il gesto: si alzò prima che la sveglia di Amy suonasse, per disattivarla, e ammirò i grandi occhi castani della ragazza aprirsi dolcemente, in seguito a quel delicato bacio sulla guancia. Le scostò i capelli. «Va' a prepararti, altrimenti qualcuno ci ruberà i croissant», le disse sorridendo.

Ondeggiando a causa del treno in movimento, riflettei sul mio grande obiettivo.
Mi resi conto che Simon era l'unica persona in grado di farmi provare dei sentimenti non chiamati "odio", ad esempio, o "ribrezzo". Il mio cuore batteva sempre più velocemente, sembrava battesse così forte per attirare la mia attenzione per dirmi "Simon, è lui che voglio seguire". In quella breve, brevissima settimana egli fu capace di riempire il mio animo di gioia. Estrassi un fazzoletto di carta dalla mia borsa, per nascondere le lacrime: da quando incrociai il suo sguardo, parve quasi avessi bevuto un cocktail di emozioni mai provate fino ad allora. Non riuscivo ad esprimere quanto lo amassi; sebbene sentissi quasi un malessere dentro di me, adoravo quella sensazione. I suoi occhi, i suoi capelli, il suo sorriso, la sua gentilezza, quel ragazzo racchiudeva la perfezione. Piangevo, sorridevo, in quel momento non sarei stata in grado di descrivere le emozioni che stavo provando.
Il macchinista tirò il freno, e di conseguenza il freno dei miei sogni ad occhi aperti: inizialmente lo odiai, ma una volta realizzato che ero giunta a destinazione, mi sentii pronta più che mai ad affrontare il tempo. Lo avrei raggiunto, senz'altro.


Mi inoltrai nella città di Birmingham: sapere che qui avrei incontrato Simon, la rendeva bella quasi quanto Londra. Con rapidità attraversai la strada e iniziai a cercare un luogo dove potermi concedere un po' di riposo in seguito al viaggio, dunque avvistai un bar dall'aspetto piuttosto accogliente. Sull'edificio regnava l'insegna a neon, che brillava di colori sgargianti. Sorridente più che mai, scelsi un tavolino su cui consumare il mio pasto. Guardandomi intorno, notai una coppia tenersi per mano. Osservai con cura il ragazzo, accorgendomi che si trattasse di Simon. Si baciarono, davanti ai miei occhi, ormai pieni di lacrime. Entrambi socchiusero gli occhi. Mi accomiatai; improvvisamente mi sentii terribilmente confusa, non sapevo cosa fare, né dove andare. Nel portafogli mi era rimasto un altro biglietto per il treno, così decisi di partire nuovamente per Londra, per tornare nel mio appartamento, e cercare di dimenticare quel sorriso così smagliante.

Sentì di amare Amy più che mai. Socchiuse gli occhi e poi li riaprì: intravide Ice congedarsi rapidamente. Una volta terminata la colazione, Amy gli chiese se volesse passeggiare con lei. «No, grazie. Tu va' pure. Io rientro», le rispose, prima di rincasare. Si affacciò alla finestra. Osservò Birmingham in movimento, rammentando il precedente quartiere quieto e silenzioso. Si rese conto di aver commesso l'errore più grande della sua vita. Egli era innamorato di Ice. Realizzò che nulla poteva eguagliare il suo sorriso, la sua riservatezza.
Questa volta non si sarebbe permesso di lasciarla sola nuovamente, così partì per Londra. S. Hemsley Street, 84, sarebbe stata la sua nuova meta. Pensò a quanto potesse essere difficile ricongiungersi, eppure gli parve talmente buffo che non poté fare a meno di sorridere. Udì un passerotto cinguettare.
Aprì un cassetto della scrivania, dal quale estrasse un foglio di carta, dunque scelse una penna dal barattolo di crema alla nocciola terminato, ripulito a dovere e riutilizzato. "Ho commesso un errore. Perdonami", scrisse; piegò il biglietto a metà e lo ripose sotto il cuscino di Amy.
Da quell'attimo in cui poté rimirare la bellissima Ice, Simon capì finalmente cosa fosse il vero amore. Il portamento elegante della ragazza lo incantò soltanto da quel momento. Decise che l'avrebbe raggiunta a tutti i costi.

Avvertii qualcuno bussare: la porta si aprì. Mi voltai.
«S-Simon?», borbottai, prima di scoppiare in un pianto dirotto; singhiozzai. Mi chiesi se la sua immagine non fosse nient'altro che frutto del delirio, incredula di quel che stesse accadendo. Egli guardò il pavimento, poi alzò lo sguardo: i suoi splendidi occhi azzurri erano colmi di lacrime. Mi strinsi a lui, appoggiando la testa sul suo petto. "Sei tornato", gli sussurrai. Una lacrima cadde sul suo maglione che amavo tanto, soprattutto da quel momento; quel maglione che sapeva d'amore, e di cui potei percepirne il calore. "Mi sbagliavo, qui a Londra ho tutto", disse, mostrando il suo sorriso più smagliante, e sfiorò le mie labbra. In quel preciso istante, il suo pullover riprese colore, sfoggiando un rosso sgargiante; le rose sulla scrivania ritornarono in vita, l'intero mondo riebbe nuovamente le sue straordinarie tinte. Mi unii al più dolce bacio che avessi scambiato in tutta la mia vita, potendo assaporare le sue soffici labbra: sentii il mio cuore battere più forte che mai. Estrassi la sua collanina dal ciondolo lucente e gliela allacciai dietro la nuca. "Avevi dimenticato questa", aggiunsi. Il cielo avrebbe potuto invidiare quelle bellissime iridi azzurre in cui mi parve d'affogare quando i nostri sguardi s'incontrarono nuovamente. Mi accarezzò i capelli e cantò "Sing Blue Silver", sulle sue note celestiali, e finalmente capii.

  
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