5.
Giugno 1980.
Regulus girò velocemente la pagina
del tomo che stava leggendo. Era passato un mese dalla missione, e in quei
giorni aveva scoperto più di quanto avesse mai potuto immaginare. Era successo
tutto una sera, dopo un discorso ambiguo da parte del Signore Oscuro.
“Forse, un giorno, anche voi scoprirete
i segreti della morte,” stava dicendo Voldemort, la bacchetta di tasso stretta
fra le dita bianche. “Anche se, ad essere sincero, non credo riuscirete ad
ingannarla come me.”
Ci aveva riflettuto a lungo,
Regulus, ed era andato a parlare con l’unico che potesse dire di conoscere
almeno in parte chi era prima Lord Voldemort, Tom Riddle: Horace Lumacorno.
“Imperio,” sussurrò Regulus, la bacchetta puntata di
nascosto verso il vecchio insegnante, il cui sguardo divenne improvvisamente
vacuo. “Cosa sa di Tom Riddle?”
Horace parve impaurirsi, nonostante
la maledizione, ma fu obbligato a rispondere: “Era… Tom Riddle era uno studente
brillante ed incredibilmente dotato, non c’è che dire… Era anche molto bravo
a…”
“No,” lo interruppe Regulus, rapido,
guardandosi attorno con aria guardinga. “Intendo sul suo rapporto con la Magia
Oscura.”
“Io… All’inizio pensavo fosse solo
un interesse scolastico. Ricerche e cose del genere… Qualche volta mi chiese
anche alcune cose.”
“Ad esempio?” insisté Regulus. “C’è
qualcosa di… di molto pericoloso che le chiese?”
Regulus sentiva l’adrenalina
scorrergli nelle vene, mentre una goccia di sudore gli scivolava lungo la
tempia. Si sentiva euforico: era in procinto di scoprire il segreto del Signore
Oscuro. Ma nonostante ciò, era anche preoccupato: ormai aveva capito che il
Signore Oscuro era in grado di fare qualunque cosa gli potesse garantire
maggior potere o più forza.
“Lui… lui mi chiese qualcosa
riguardo una magia tanto potente quanto oscura…”
Regulus lo incitò a continuare,
mentre iniziava a tremare appena.
“Gli Horcrux,” rispose il vecchio, e
non appena lo disse Regulus spezzò l’incantesimo per cambiargli la memoria.
All’inizio si era scoraggiato,
perché non aveva mai sentito parlare di Horcrux. Aveva provato a cercare
qualcosa su di loro nei libri che aveva a casa, ma, nonostante essi fossero
piene di magie oscure, non aveva mai incrociato la parola Horcrux. Era anche
andato da Magie Sinister con
l’intento di trovare qualcosa, ma non aveva avuto fortuna.
Alla fine, aveva preso il coraggio a
due mani ed era andato a casa di Lucius Malfoy. Villa Malfoy era grande, e
sapeva bene quanti libri contenesse la sua biblioteca privata.
Lucius l’aveva guardato un attimo,
colpito dalla richiesta di fare una ricerca, ma alla fine aveva acconsentito e
l’aveva accompagnato alla biblioteca. Lì gli aveva chiesto se avesse bisogno di
una mano e gli aveva indicato gli scaffali riguardanti il tempo, l’amore, il
buio, la morte e tanti altri. Regulus, dopo che Lucius se ne fu andato, corse
immediatamente a quello sulla morte.
Dopo svariate ricerche, aveva
trovato qualche accenno a ciò che stava cercando. Fu un pezzo in particolare a
fargli capire fin dove si era spinto il Signore Oscuro: Con la parola Horcrux si definisce un oggetto in cui qualcuno ha
riposto parte della propria anima. Un Horcrux, quindi, impedisce la morte del
mago che lo ha creato: il frammento d’anima che risiede al suo interno,
infatti, resterà illeso e permetterà al mago di sopravvivere. La via per la
creazione di un Horcrux è crudele e dolorosa, e per questo motivo non ne
parleremo in questo libro.
Questo era stato tutto ciò che era
riuscito a trovare in un intero pomeriggio, e nonostante avesse controllato
anche in altri volumi – tra cui quello che teneva aperto sul tavolo – non era
stato in grado di ricavare altre notizie su gli Horcrux. Ma erano bastate
quelle frasi a fargli capire quanto si fosse spinto in là Lord Voldemort.
Mentre chiudeva il libro che aveva
letto fino a quel momento, un pensiero gli balenò per la mente: Non vincerai.
Non avrebbe permesso che Voldemort
vincesse la guerra, avrebbe fatto di tutto per impedirlo. Stava cambiando
rotta, se ne rendeva conto, ed era impaurito da ciò; un poco alla volta si
stava distaccando dagli insegnamenti dei suoi genitori.
“Io non sono come loro, e se lo vuoi non lo sei neanche tu,” gli aveva detto
Sirius, un giorno, e in quel momento si rese conto di volerlo. Afferrò il libro
dove aveva trovato l’accenno agli Horcrux e, dopo aver ritrovato la pagina, la
strappò e se la ficcò in tasca.
Nessuno doveva sapere cosa aveva
scoperto.
*
Giugno 1980.
Le labbra di Marlene erano morbide e piene, e quando si piegavano verso
l’alto le donavano un’aria tanto bella quanto fuggente.
Regulus si rigirò nel letto,
cercando di addormentarsi – cosa che ormai tentava di fare da quasi un’ora.
Negli occhi di Marlene c’era il cielo, ed ogni emozione era come una
nuvola bianca: ballerina, e di tanto in tanto le velava gli occhi di una
malinconia che se ne andava quasi subito.
Regulus si tirò le coperte fin sopra
la testa, quasi sperasse che così tutti i ricordi lo lasciassero in pace.
Le pallide lentiggini sul viso di Marlene erano tante quanto i dubbi e le
incertezze di Regulus, solo che le ultime due erano molto più marcate.
Regulus sentì qualcosa stringergli
appena lo stomaco – e forse anche qualcosa un po’ più in alto, verso sinistra.
Marlene aveva contribuito ad accentuare le sue paure.
Regulus si rannicchiò sotto le
coperte, mentre sentiva Morfeo prenderlo finalmente con sé.
Ma la morte di Marlene le aveva sollevate tutte completamente.
*
Luglio 1980.
Era strano non dover più andare una
volta alla settimana alla Testa di Porco, nonostante fossero passati quasi due
mesi dalla morte di Marlene. A volte – ma non lo avrebbe mai detto a nessuno,
come non avrebbe mai detto niente di loro a nessuno – gli sembrava anche di
rivederla, magari sull’altro ciglio della strada; e quando si girava e una
macchina passava, lì non c’era che la polvere sollevata dalle ruote che
correvano.
Stava ancora cercando il modo per
tenersi impegnato tutti i giorni. Cercava di limitare, per quanto possibile, la
sua presenza a Villa Lestrange, e quando aveva del tempo – se ne aveva – e Marlene gli tornava in mente lui si chiudeva nella
biblioteca di casa Black per fare qualche altra ricerca sul medaglione.
“Com’era fatto il medaglione,
Kreacher?” gli chiese un giorno, mentre sua madre dormiva e l’elfo rimetteva in
ordine le stoviglie. Kreacher si era irrigidito ed aveva preso a tremare,
perciò Regulus gli posò una mano sulla spalla gracile.
“D’oro,” gracchiò dopo un po’. “Con
delle porticine davanti, come quelle del ciondolo della Padrona. E c’era una
‘S’ di smeraldi. Kreacher… Kreacher non ricorda altro.”
Ancora non sapeva bene cosa fare
delle informazioni in suo possesso, ma ogni giorno si diceva che ci avrebbe
pensato il giorno seguente. La verità è che proprio non ne aveva idea. Non
sapeva cosa fosse quel medaglione – se non che era l’Horcrux di Lord Voldemort
– o come arrivare alla caverna.
Ogni giorno, però, diventava sempre
più difficile fare finta di nulla davanti all’Oscuro. Se n’era accorto,
Regulus, degli sguardi indagatori che alcuni Mangiamorte gli lanciavano. Barty,
poi, che era stato un suo caro amico ad Hogwarts, lo aveva quasi minacciato,
dicendo che se avesse tradito l’Oscuro avrebbe tradito anche lui. A Regulus era
dispiaciuto tantissimo, ma lui non poteva farci niente, ormai lo sapeva.
Lo sapeva, e sapeva anche che presto
sarebbe morto, perché Voldemort, prima o poi, avrebbe scoperto tutto. Ma aveva
già deciso che non si sarebbe fatto rincorrere e poi uccidere, no, se avesse
dovuto sarebbe andato incontro alla morte.
Mentre pensava ciò, l’occhio gli
cadde su uno dei tomi che ancora doveva leggere, Oggetti magici preziosi. Lo afferrò al volo, iniziando a sfogliarlo
con impazienza, finché non trovò l’immagine di un grosso medaglione d’oro come
quello che gli aveva descritto l’elfo.
Con il cuore che batteva forte,
Regulus chiamò: “Kreacher!”
“Il padrone ha chiamato?” chiese
l’elfo, una volta apparso di fronte a lui.
“Io – sì, ti ho chiamato,” rispose,
annuendo, prima di fargli segno di avvicinarsi. “È questo?”
L’elfo sgranò gli occhi, iniziando
ad annuire freneticamente. A Regulus dispiacque molto provocargli tanto dolore,
ma doveva farlo.
“Sì, è questo, Kreacher lo ricorda
bene.”
Il Medaglione di Serpeverde…
*
Luglio 1980.
Alla fine aveva preso la sua
decisione.
O meglio, aveva capito cosa doveva
fare.
Era accaduto durante la riunione dei
Mangiamorte, mentre Benjy Fenwick veniva trucidato e tagliato a pezzi da alcuni
seguaci dell’Oscuro, che li guardava, vagamente compiaciuto, accarezzando la
testa del suo serpente Nagini.
Regulus era rimasto fermo, paralizzato
da quella visione tanto oscena e ributtante. Non solo avevano ucciso
quell’uomo, ma poi avevano anche infierito su quel corpo già martoriato e ormai
ridotto allo stremo.
Era tornato a casa stremato, ma
deciso a dare un contributo per finire quella guerra sanguinolenta che
imperversava già da troppo tempo, annegando il mondo magico nel terrore più
puro. Aveva chiamato Kreacher, la voce alta ma tremante, e quando l’elfo si
Materializzò davanti a lui, Regulus vide nei suoi occhi un’orrenda
consapevolezza.
E qualcosa scattò in lui.
“Portami alla caverna,” ordinò,
perentorio, cercando di tenere ferma la voce e di non far trapelare alcuna
emozione da quelle parole. Regulus guardò Kreacher cercare di ribellarsi e alla
fine cedere, non prima di chiedergli se fosse sicuro. “Lo sono.”
Le onde si infrangevano sugli
scogli, l’acqua schizzava ovunque e l’odore salmastro entrava nei polmoni. La
rientranza era in ombra, e Regulus – che tremava sia per il freddo che per la
paura – era sicuro che in pochissimi l’avessero mai vista, nascosta tra le
rocce com’era.
Regulus osservò le pareti rocciose,
cercando con gli occhi l’entrata alla caverna, ma dopo molti ed inutili
tentativi si girò verso l’elfo. Kreacher tremava forte, molto più di lui, e si
guardava attorno con aria terrorizzata; gli occhi scuri erano lucidi e
brillanti, e mai a Regulus erano parsi più grandi di allora.
“Fammi strada,” gli disse,
dispiaciuto per il dolore che stava provocandogli.
Seppur riluttante, Kreacher annuì e
gli indicò un punto preciso nella parete. Regulus annuì ed estrasse la
bacchetta, sapendo già quel che aveva da fare poiché era una delle cose che
Kreacher gli aveva riferito prima di cadere in preda ai singhiozzi.
“No!” gracchiò l’elfo, tirandolo per
una manica. “Non lo faccia, padron Regulus! Non entri là dentro, la prego.
Kreacher non vuole che padron Regulus entri lì, è pieno di cose bruttissime!
Kreacher non vuole!”
Regulus sorrise appena, mentre
l’aria insolitamente fredda per il mese in cui si trovavano gli scompigliava i
capelli che si era lasciato crescere negli ultimi tre mesi. Sapeva quel che lo
aspettava, una volta varcata la soglia, sapeva cosa lo aspettava alla fine.
“Kreacher, devo farlo.”
Non posso permettere che altra gente muoia per colpa sua.
“Allora lasci che lo faccia
Kreacher, lasci che lo faccia Kreacher,” singhiozzò forte l’elfo.
“No, Kreacher,” Regulus scosse la
testa, mentre con la bacchetta si apriva una ferita nel palmo della mano
destra. Quella si aprì davanti ai loro occhi, permettendo ai due di vedere il
buio che dominava all’interno. “Sai tu la strada,” gli disse poi, facendogli
segno di precederlo.
Kreacher annuì, nolente, ed entrò.
Regulus lo seguì subito dopo, e, quando la parete si fu richiusa alle loro
spalle e l’unica luce all’interno della caverna era verde e proveniva dal
centro di un lago, alzò la bacchetta e mormorò: “Lumos.”
Seguì Kreacher vicino al Lago, dove
l’elfo gli indicò una catena che usciva dall’acqua. Regulus si piegò sulle
gambe e iniziò a tirare la catena, che sbatté più e più volte a terra,
provocando un sinistro clangore, finché una piccola imbarcazione non uscì
dall’acqua scura. Tirando, Regulus la fece avvicinare a loro.
“Saliamo,” mormorò, e per la caverna
rimbombarono quelle quattro sillabe miste ai singhiozzi di Kreacher – che salì
sulla barca come gli era stato detto, il piccolo corpicino che tremava
violentemente, sussurrando frasi sconnesse.
La barca si mosse da sola non appena
furono saliti entrambi, conducendoli sempre più vicini al centro del lago,
proprio verso l’origine di quella pallida luce. Nel breve tragitto, Regulus
ebbe il tempo di pensare davvero a ciò a cui stava andando incontro: nessuno
avrebbe mai saputo quel che avrebbe compiuto di lì a poco, alcuni lo avrebbero
considerato un codardo, altri un traditore, suo fratello uno stupido che non si
era reso conto di star sbagliando sin dall’inizio.
E gli dispiacque, perché sapeva che
avrebbe recato disonore alla sua Casata, che avrebbe posto fine ai Black, che
sarebbe stato l’ennesima delusione dei suoi genitori. E anche di Sirius, perché
nonostante cercasse di nasconderlo anche a se stesso lui non voleva che suo
fratello lo ritenesse un idiota senza spina dorsale.
Sarebbe stato ancora in tempo per
tornare indietro, uscire e andare a dire tutto a Sirius, a qualcuno, ma ormai
aveva preso la sua decisione. E doveva continuare, nonostante quel che la gente
avrebbe pensato di lui.
Una volta giungi nell’isolotto al
centro del lago, Kreacher precedette ancora Regulus, scendendo dall’imbarcazione
ed aspettandolo, cercando di tenersi il tenersi il più lontano possibile
dall’acqua, purtroppo memore di quel che era successo l’ultima volta.
“Padrone…” tentò debolmente l’elfo,
quando Regulus l’ebbe raggiunto. “Non c’è bisogno che lo faccia… La prego…”
“Ce n’è bisogno, invece,” ribatté
lui, avvicinandosi al bacile di pietra che si stagliava, netto e chiaro, in
mezzo all’isolotto. Al suo interno, un liquido verdastro brillava, ed in fondo
si intravedeva un medaglione identico a quello che aveva tenuto in tasca e che
stava tirando fuori in quel momento. “Kreacher, fa’ attenzione,” disse ancora,
attirando così l’attenzione dell’elfo. “Adesso io berrò tutta la pozione – e anche se mi dimenerò, tu dovrai
farmela bere, sono stato chiaro? – e, una volta che l’avrò finita, tu dovrai
scambiare il medaglione con questo qui,” – gli porse il falso Horcrux – “Poi
porterai quello qui dentro a casa e dovrai distruggerlo. Okay?”
“S-sì, padron Regulus.”
Regulus gli mise in mano il
medaglione finto – che Kreacher infilò in una delle pieghe del suo straccio –
e, prendendo in mano il calice sul bordo del bacile, disse infine: “Una volta
scambiati i medaglioni, torna a casa. Dovrai lasciarmi qui.”
Kreacher annuì, senza riuscire a
parlare, iniziando a singhiozzare ancora più forte mentre le lacrime iniziavano
a scendergli da quegli occhi enormi.
Mi dispiace – pensò, ed era vero. Gli dispiaceva
per Sirius e quel che gli aveva detto l’ultima volta che si erano visti, per i
suoi genitori ed il dolore che gli avrebbe portato, gli dispiaceva per Marlene e
il dolore che lui non aveva potuto alleviarle, per Kreacher e per la tortura
che consapevole e nolente gli stava costringendo a subire.
Mi dispiace.
Il primo sorso bruciava, scottava le
pareti della gola e a Regulus si annebbiò la vista per un attimo. Ma non poteva
fermarsi: perché se anche lo avesse fatto, Kreacher avrebbe dovuto obbedire
agli ordini e fargli bere la pozione fino all’ultima goccia. Perciò Regulus
immerse per la seconda volta il calice nel liquido verdastro, riempiendolo il
più possibile e portandoselo poi alle labbra.
Svuotò il calice per la seconda
volta, la gola che ardeva come se delle lingue infuocate la stessero lambendo
dall’interno. Gli occhi avevano iniziato a bruciare, e nella sua testa si
accavallavano voci e parole, che andavano a superare ciò che diceva Kreacher.
Regulus poggiò una mano sul bacile
di pietra fredda appena in tempo, impedendosi di scivolare a terra. Non si era
nemmeno accorto che i suoi sensi avevano iniziato ad intorpidirsi, tanto era
preso ad ascoltare le voci nella sua testa.
Il terzo sorso fu l’ennesimo fiume
di lava lungo la sua gola secca e bruciante. Non riusciva già quasi più a
reggersi in piedi, ma tentò di farsi forza appoggiando una mano al bordo mentre
l’altra corse verso il liquido, riempiendone ancora il calice.
Regulus iniziò a perdere coscienza
al quarto bicchiere, mentre delle urla – le sue – echeggiavano nell’ombra della
caverna; il raschiare del calice contro il fondo del bacile gli provocava,
però, uno strano senso di soddisfazione, eppure ogni volta che alzava lo
sguardo il liquido nel bacile gli sembrava sempre troppo.
“Come ti ho già detto, penso che lo farà prima qualcun altro.”
“Acqua…” mormorò, crollando a terra.
Avrebbe voluto solo dell’acqua fresca, dell’acqua con cui dissetarsi. E intanto
le voci continuavano a riempirgli la testa, più concitate di prima, e si
susseguivano l’una dopo l’altra, veloci, rapide. E facevano male.
“Erano anni che aspettavo che tu lo dicessi!”
“Beva questo, padrone,” gracchiò
Kreacher. “La farà stare bene…”
Regulus lasciò che Kreacher gli
avvicinasse il calice alla bocca semiaperta e ne lasciasse scorrere il
contenuto in bocca e lungo la gola. Ma fu ancora fuoco: fuoco che divorava, che
massacrava e che non lasciava pace.
E tremava, Regulus, continuando ad
urlare.
Avrebbe solo voluto farle smettere.
Avrebbe solo voluto dimenticare per non soffrire ancor di più, perché ogni
volta che sentiva qualcosa il vuoto che avvertiva all’altezza del petto sembrava
ampliarsi maggiormente.
Il viso di Marlene gli apparve un
attimo, e poi comparve quello di sua madre, contratto, arcigno, che gli urlava
di essere stato l’ennesimo disonore dei Black.
Non ce la faceva più, ad ogni
sorsata – ormai non ricordava neppure quando avevano iniziato – gli sembrava di
perdere parte di se stesso. E la cosa non gli piaceva per niente, e poi fu il
caos, nella sua testa.
“Regghy!”
“Non devi avere paura, fratellino, ci sono io con te. Noi siamo più forti, insieme.”
“Tu hai fatto una scelta, tutti devono scegliere.”
“Se dovessi cambiare idea… vai da Silente.”
Le urla continuavano, mentre
Kreacher gli metteva fra le mani il calice – per l’ultima volta.
“È tutto… è tutto finito, padrone,”
singhiozzò, e Regulus neanche avvertì il tintinnio del falso medaglione che
andava a cozzare con il fondo del bacile. Kreacher si mise in tasca l’Horcrux,
come gli era stato detto di fare.
La pozione scese per l’ultima volta
lungo la sua gola, mentre l’unica cosa che desiderava era poter bere acqua. Per
terra, si trascinò fino al bordo dell’isolotto, nonostante la resistenza di
Kreacher, che cercava di trattenerlo tirandolo per le vesti scure. Allungò le
braccia verso l’acqua salmastra e, le mani congiunte a calice, prese più acqua
che poté; si portò le mani alla bocca, ma quando bevve l’acqua presa non
avvertì alcun sollievo impossessarsi di lui.
Riprovò e riprovò, mentre Kreacher
urlava, disperato, finché delle mani bianche e morte lo afferrarono per le
spalle e iniziarono a tirare. Cercò di opporre resistenza, di non farsi
trascinare giù, nel baratro, perché aveva ancora troppe cose da dire, ma ormai
aveva fatto la sua scelta e doveva andare avanti – nonostante quel che sarebbe
successo e nonostante sapesse che non avrebbe più fatto ritorno.
Le mani lo tirarono con forza verso
di loro, e alla fine lui cadde. L’acqua era fredda, gelida, e le mani che
avevano infranto la superficie si erano come triplicate, una volta dentro. Le
caviglie, i polsi, le spalle – sentiva le loro mani ovunque, sul suo corpo
ormai stremato e freddo quanto loro.
Non sentiva più Kreacher – le sue
urla erano ormai del tutto attutite dall’acqua sopra di lui.
Gli dispiaceva, per il dolore che
avrebbe procurato a qualcuno – Regulus non sapeva dire a chi, con precisione, ma
sperava, sebbene potesse sembrare crudele, che Sirius facesse parte di loro.
E mentre l’acqua gli riempiva
i polmoni e l’aria finiva del tutto, a Regulus parve di udire la risata di suo
fratello e di vedere gli occhi di Marlene.
Già, è finita. E' proprio finita. Ancora non ci credo. E' finita. Mi fa strano dirlo, ma andiamo avanti.
Ringrazio Hayley Black, la mia SvergognataH, che mi è stata sempre accanto durante la stesura di questa storia.
Ringrazio Daphne Kerouac, per le belle parole che ha speso per questa storia.
Ringrazio Tefnut, che anche prima di leggerla credeva in questa storia.
Ho amato Dietro La Pelle con tutta me stessa, ci ho messo tutto l'impegno possibile e immaginabile, e credo di aver fatto un buon lavoro.
Qui
trovate un altro banner, stavolta creato da me. (E sì, quella è la mia
pagina, se vi interessa il gruppo basta chiedere in bacheca)
Baci,
Eralery.