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Autore: Back To Vegas Skies    04/09/2012    3 recensioni
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brendon Urie , Quasi tutti, Ryan Ross
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

 [Music: Blackbird - Beatles, cover by Brendon Urie]
 

“Avevo quattordici anni, la prima volta che vidi Brendon. Non fu niente di spettacolare o di poetico, ma una semplice casualità, un colpo di fortuna per entrambi. Fu durante la prima settimana di liceo ed io ero solo come non mai, senza amici e spaventato dall’ambiente nuovo ed ostile che stavo affrontando, quando lo vidi. Era in bagno, rannicchiato in un angolo, la maglietta completamente sporca di sangue e il naso gonfio. Non piangeva o si lamentava, era semplicemente lì, fermo, con una mano sulla bocca. Non fece nemmeno caso a me quando mi piegai accanto a lui, per guardarlo più da vicino.
- Hey, stai bene? - gli chiesi, spaventato.
- Hey? - continuai, quando vidi che non accennava a rispondermi. Allungai una mano e gliela poggiai sulla spalla e lui sobbalzò così forte che mi fece indietreggiare di qualche passo.
- Stai bene? - ripetei - Hai bisogno di aiuto?
Lui mi guardò, prima di annuire. Lo aiutai ad alzarsi e mi fece uno strano effetto il fatto che fosse così piccolo per davvero e non era stata solo un’impressione datami dal fatto che fosse rannicchiato sul pavimento.
- Cosa ti è successo? - gli domandai, mentre si tamponava il naso guardandosi allo specchio. Notai che aveva anche il labbro inferiore che sanguinava.
- Uno stronzo - rispose, la voce stranamente ferma.
Ero troppo timido per chiedere chi fosse e perché lo avesse fatto, così non dissi nulla, ma fui lui a dirmi tutto senza che io glielo chiedessi.
- Mi ha chiamato ‘frocio’ - mi spiegò, sciacquandosi le ferite - e mi ha preso a calci.
Questa cosa mi fece rabbrividire. Al suo posto, io sarei stato in lacrime, o già tra le braccia di mia madre.
- Devi dirlo a qualcuno. Al preside o ai tuoi genitori - fu l’unica cosa che riuscì a dire.
Lui sorrise lievemente.
- A chi importerebbe? Sono solo un frocio - mi disse, continuando a sorridere amaramente. Mi sembrò così ‘adulto’ in quel momento, così un uomo rispetto a me, che mi sentì veramente uno stupido. Era quell’espressione che aveva o quegli occhi così profondi, ma mi sembrò di almeno dieci anni più vecchio e almeno dieci volte più maturo del ragazzino di quattordici anni che ero io.
- A me importerebbe - risposi, cercando di essere alla sua altezza, facendolo sorridere, questa volta per davvero.
 
Ci rincontrammo qualche giorno dopo, ad una lezione di non ricordo bene cosa.
- Ti dispiace se mi siedo? - mi aveva chiesto, indicando il posto vuoto accanto a me. Ricordo che molti ragazzi della classe lo guardavano ridacchiando, non so se per il volto ancora illividito o se per la reputazione che aveva. A me, semplicemente, non interessava. Mi sembrava un ragazzo a posto e se voleva sedersi vicino a me di certo non glielo avrei impedito.
- Mi chiamo Brendon, comunque, l’altro giorno non ci siamo presentati - mi disse, porgendomi la mano.
- Io sono Ryan - risposi.
Mi piaceva il modo in cui mi sorrideva, mi faceva sentire… speciale. So che suona stupido, ma per un ragazzo di quattordici anni che non aveva avuto sorrisi se non da sua madre per tutta la vita, era qualcosa di estremamente nuovo. Ero abbastanza maturo per capire che non eravamo amici, almeno non ancora, ma mi piaceva immaginare che a lui sarebbe piaciuto diventarlo, che aveva visto in me qualcosa di particolare, e non che avesse deciso di parlarmi solo perché ero stato l’unico ad aiutarlo quando era tutto sanguinante nel bagno sporco del secondo piano. Tra l’altro, non sapevo perché tutti lo accusassero di essere gay. Da come me li aveva sempre descritti la mia famiglia, erano esseri luccicanti, con abiti attillati e capelli strani, niente a che vedere con il ragazzo in felpa e jeans che mi sedeva accanto.
Passammo la maggior parte della lezione a parlare sottovoce di cose di cui ora non ricordo, ma mi sentì bene quando uscì dall’aula, camminando accanto a lui.
Da quel giorno, io e Brendon passammo molto tempo insieme. Stare con lui mi aiutava a non essere solo e aiutava lui a non essere picchiato dagli altri ragazzi. Non che io fossi un tipo intimidatorio, semplicemente evitavamo i luoghi più affollati. Dopo una sola settimana, sapevo di avere un amico. Non mi ero mai sentito importante per qualcuno ed era per questo che stare con lui mi piaceva così tanto: mi faceva sentire indispensabile. Non so se lo fossi davvero per lui, ma questo mi faceva sentire davvero bene. Così bene, che non notavo le risatine e le occhiate maligne che gli altri ci rivolgevano ogni volta che eravamo insieme.
- Non so se ti fa bene essere visto in giro con me - mi disse una volta, mentre eravamo seduti sul prato per il pranzo.
- In che senso? - risposi io, in tutta la mia ingenuità.
- Potrebbero darti nomi che non meriti, o accusarti di essere… cose che non sei.
- Nessuno penserebbe che io sia gay, Brendon - dissi, ridendo.
- Sei sempre insieme a me.
- Sei mio amico!
Mi guardò per un po’, prima di fissare lo sguardo sull’erba.
- Grazie - disse poi, con un mezzo sorriso.
Io non riuscivo a capire perché per lui fosse un problema così grande. Le persone prima o poi lo avrebbero dimenticato e avrebbero preso di mira qualcun altro. Era solo uno stupido nomignolo che qualcuno aveva preso troppo sul serio, perché gli dava così tanta importanza?
 
Avevamo solo quattordici anni, eppure, alcuni ricordi mi sembrano così nitidi nella mia mente da far paura. Dopo più di trent’anni, ho ancora impresso nella memoria il suo sorriso da ragazzino, le sue scarpe consumate e il naso ancora un po’ gonfio per i pugni.
Dopo solo un mese, eravamo inseparabili. Brendon mi insegnava un sacco di cose, cose che io, da figlio unico e iperprotetto, non avrei mai potuto imparare da solo.
Un pomeriggio eravamo dietro casa sua, avevamo rubato due sigarette dal pacchetto di suo fratello e avevamo aspettato ore prima di avere la casa completamente libera. Tossimmo un sacco e quasi soffocammo per il cattivo odore, ma ci sentimmo dei veri uomini, mentre il fumo ci faceva bruciare il naso e la gola. Ricordo che avevamo messo un disco dei Beatles di suo padre e avevamo alzato il volume in modo che la musica arrivasse fin lì. Oh, era un gran bel pezzo, non c’è che dire, anche se non mi è mai più sembrato bello quanto quel pomeriggio, nel suo giardino sul retro.
Brendon mi guardò con un sorrisetto e cominciò a cantare insieme al disco. Non mi aspettavo che sapesse farlo, e la sua voce mi lasciò completamente incredulo.
- Blackbird singing in the dead of night - iniziò, con un sorriso.
Sorrisi anche io, lui prese un’altra boccata e poi continuò a cantare.
- Take these broken wings and learn to fly. All your life you were only waiting for this moment to arise - distolse lo sguardo da me e la sua voce divenne più seria. Era bellissima. Non so se fosse la grande ammirazione che provavo per lui in quel momento a farmi parlare, ma mi sembrò magnifica, e forse lo era sul serio.
Cantò tutta la canzone, mentre io continuavo a fumare e ad ascoltarlo rapito. Fu quella la prima volta in cui mi resi davvero conto dell’effetto che aveva su di me, anche se non potevo ancora sapere fino a che punto. Mi aveva fatto dimenticare tutto. Per qualche minuto c’erano solo stati lui e la sua voce, nient’altro.
Gli feci dei complimenti, lui mi sorrise tantissimo e mi disse che gli sarebbe piaciuto diventare un musicista, un giorno. Io gli dissi che ci sarebbe riuscito sicuramente, che sarebbe diventato famoso e mi avrebbe dimenticato. Lo dissi scherzando, ovviamente ma lui mi guardò, mi sorrise e mi disse: “No, Ryan, non potrei mai dimenticarmi di te”, provocandomi una strana fitta nella pancia.
Avrei tanto voluto sentirlo cantare ancora. E, con una punta di imbarazzo, riuscì ad ammettere a me stesso che avrei voluto sentirlo cantare ancora per me.
 
Come ho già detto, ero molto ingenuo, per essere un ragazzo di quattordici anni compiuti. Brendon era decisamente più sveglio di me e la cosa non smetteva mai di farmi sentire in imbarazzo. Sapevo le cose basilari su sesso e cose del genere, ma non mi ero mai posto domande sulla mia sessualità, le avevo sempre viste come cose astratte, qualcosa che sarebbe potuto accadere in futuro lontano anni luce, popolato da ragazze formose e dormitori di college. Ma ovviamente non avevo fatto i conti con le tempeste ormonali che naturalmente stavano avendo luogo dentro di me.
Era una fredda sera di novembre e Brendon era a casa mia, eravamo in camera mia a leggere fumetti, stesi l’uno accanto all’altro sul mio letto. La lampada accesa sul mio comodino diffondeva una luce arancione che lasciava metà della stanza in penombra, mentre fuori dalla finestra chiusa i rami degli alberi si agitavano rumorosamente.
Ricordo ancora il momento preciso in cui mi girai e mi misi a guardare Brendon. Non c’era un motivo preciso, ero solo contento che lui fosse lì con me durante il temporale, ma certi particolari del suo viso catturarono la mia attenzione e io rimasi a guardarlo per quelle che sembrarono ore. La luce della lampada gli scorreva sulla pelle ed era strana e spaventosa la voglia che avevo di scostargli i capelli dalla fronte. Seguì con gli occhi la curva del suo naso e delle sue labbra decine di volte, guardando come aggrottava la fronte quando arrivava ad una pagina in particolare o come sorrideva leggermente mentre leggeva. Notai i puntini della prima barba e le ciglia lunghe che si alzavano e abbassavano leggermente mentre seguiva i dialoghi. Mi tornò in mente quando aveva cantato in giardino e a come la sua espressione fosse stata diversa. Ripensai al modo in cui rideva o a come si mordicchiava le unghie. Non sapevo perché lo stavo facendo, ma quello che stavo guardando mi piaceva e non ero lì a chiedermi se fosse giusto o sbagliato.
Sapevo che gli volevo bene, ma ad un certo punto mi resi conto che c’era qualcosa di diverso in me, rispetto a tutti gli altri ragazzi che volevano bene ad altri ragazzi. Ma non sapevo esattamente cosa.   
Poi lui si girò e mi beccò a guardarlo, e io ripresi in fretta a leggere il mio numero di Superman, anche se ormai avevo completamente perso il filo. Mi sentivo in imbarazzo ad essermi fatto beccare così, ma mi sentivo ancora più in imbarazzo mentre mi rendevo conto di quello che stava succedendo nella mia testa.
Non era lui che dovevo reputare ‘bello’. Bello era un tramonto o un libro, bella era una ragazza con i capelli lunghi e gli occhi azzurri, bella era una canzone. ‘Bello’ non era il tuo migliore amico, eppure, era il primo aggettivo che mi veniva in mente quando pensavo a lui. Una volta, in bagno, un ragazzo più grande aveva fatto girare una rivista con delle ragazze in costume che aveva rubato al suo patrigno. Io non ci avevo trovato niente di attraente, guardandole, eppure adesso trovavo attraente Brendon, che era completamente vestito, semplicemente steso accanto a me. Ero confuso e spaventato da me stesso.
- Hey, Bren… Ti è mai capitato di… di trovare sexy... un altro ragazzo? - chiesi, in un impeto di coraggio mal riuscito. Ma lui sarebbe sicuramente riuscito a trovare una soluzione.
- Ogni volta che leggo i fumetti - mi rispose sottovoce, con un sorrisetto.
- La cosa più sexy sono i costumi, non trovi? - continuò, sussurrandomelo all’orecchio e accennando alla figura di Superman sulla pagina che tenevo aperta davanti a me. Deglutì, cominciando a sentire una strana sensazione di calore. Mi resi conto improvvisamente della sua mano sul mio petto e della sua bocca vicino al mio orecchio e del fatto che mi stesse parlando di uomini sexy in costumi attillati.
- Guarda… guarda come gli fascia tutti i muscoli… riesci a immaginare di vedere una cosa del genere dal vivo?
Mi sentì avvampare, mentre sentì qualcosa l’ormai quasi evidente erezione di Brendon sfiorarmi la gamba. La cosa che più mi spaventò, fu che mi sentivo anche io terribilmente eccitato, senza sapere se era per l’accurata descrizione del muscoloso corpo del supereroe o per la vicinanza di Brendon. non mi era mai successo prima. O almeno, sempre mentre dormivo, senza che ci pensassi. Invece adesso ci pensavo. Pensavo a Brendon e mi sentivo accaldato ed eccitato, con strani pensieri che mi correvano per la testa.
Ed ero troppo sconvolto da quello che mi stava accadendo per rendermi conto di quello che lui mi aveva dichiarato tra le righe. Mi alzai di scatto e corsi in bagno, lasciandolo seduto sul mio letto, con la sua copia di Superman ancora tra le mani.” 

   
 
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