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Autore: SNeptune84    05/09/2012    15 recensioni
Storia partecipante al contest "L'inaspettato" sul forum di EFP
Da piccolo mi hanno insegnato che ogni persona ha accanto a sé un angelo custode, che la tutela, la protegge e la guida sulla retta via, allontanandola dai peccati.
Crescendo ho iniziato a credere che quelle parole fossero una bella favola per bambini, però mi sono dovuto ricredere, perché ora sono io stesso un angelo custode.
Ancora mi chiedo come sia possibile che io, l’essere più peccaminoso che possa esistere – almeno per quanto dicono i miei genitori – sia diventato un angelo. Ho sempre pensato che, dopo la mia morte, sarei andato a marcire per sempre all’inferno, ho sempre creduto che l’omosessualità fosse uno dei peccati più gravi del mondo, che la punizione divina si sarebbe abbattuta su di me nel momento stesso in cui avessi lasciato la vita terrena. Invece, non so perché, Lui ha voluto darmi una seconda possibilità, mi ha dato il permesso di purificare il mio spirito, diventando l’angelo custode di una persona.
Di quella persona.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario, Sovrannaturale
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L’angelo custode


Se tu sapessi con quanto amore seguo i tuoi passi
Se tu sapessi con quanto amore asciugo le tue lacrime
Se tu sapessi con quanto amore ti prendo per mano affinché tu non cada
Se tu sapessi con quanto amore ti guardo mentre annaspi nel caos della vita
E ogni istante, minuto, ora della giornata ti sono accanto.
[…]
Io sono il tuo angelo,
quello che mai ti abbandonerà
quell'angelo che aspetta solo un tuo... sì....
per rivelarsi al tuo cuore.
Stefania Parolin



Da piccolo mi hanno insegnato che ogni persona ha accanto a sé un angelo custode, che la tutela, la protegge e la guida sulla retta via, allontanandola dai peccati.

Crescendo ho iniziato a credere che quelle parole fossero una bella favola per bambini, però mi sono dovuto ricredere, perché ora sono io stesso un angelo custode.

Ancora mi chiedo come sia possibile che io, l’essere più peccaminoso che possa esistere – almeno per quanto dicono i miei genitori – sia diventato un angelo. Ho sempre pensato che, dopo la mia morte, sarei andato a marcire per sempre all’inferno, ho sempre creduto che l’omosessualità fosse uno dei peccati più gravi del mondo, che la punizione divina si sarebbe abbattuta su di me nel momento stesso in cui avessi lasciato la vita terrena. Invece, non so perché, Lui ha voluto darmi una seconda possibilità, mi ha dato il permesso di purificare il mio spirito, diventando l’angelo custode di una persona.

Di quella persona.

Forse sarebbe stato meglio finire all’Inferno, forse è proprio questa la punizione divina che mi spetta per i miei peccati, perché la persona in questione è Kevin, il mio ragazzo, colui che ho amato con tutto me stesso, che ancora amo, e che ho lasciato solo per colpa di quel terribile incidente.

Non ricordo esattamente l’attimo in cui sono morto, i ricordi di quel momento sono molto confusi, mi ricordo solo che ero sulla mia auto, rientravo a casa dopo il lavoro, per raggiungerlo. Non andavo così veloce, di questo sono sicuro, eppure ad un certo punto c’è stato un colpo, la macchina si è trovata ribaltata ed io ero al Suo cospetto.

Non posso dimenticare il calore che ho sentito quando l’Onnipotente mi ha dato il benvenuto in Paradiso. Ho subito pensato che ci fosse uno sbaglio, però le parole per contraddirlo non uscivano dalla mia bocca, non potevo non dare ragione a un essere così potente, che sa amarti incondizionatamente, come un figlio.

È stato Lui a dirmi che avevo la possibilità di entrare in paradiso, espiando i miei peccati diventando un angelo custode, il suo angelo custode.

All’inizio ero felice di stare ogni singolo istante della mia nuova esistenza con Kevin, ma poi ho capito quanto questa fosse una punizione in piena regola, una continua sofferenza che mette alla prova il mio autocontrollo, dato che non posso toccarlo, non posso parlargli, non può vedermi.

Kevin non sa che sono sempre al suo fianco, non sa che lo proteggo dal male, che salvaguardo la sua anima. Non sa che vorrei confortarlo quando la disperazione per un esame difficile prende il sopravvento, come facevo quando eravamo insieme, che vorrei stringerlo a me con affetto, baciarlo, dimostrargli il mio amore.

Eppure non posso, perché non possiedo un corpo fisico, né ho la possibilità di fargli percepire la mia presenza. Posso solo osservarlo da lontano, sfruttare quei deboli poteri, che ho ottenuto diventando un essere celeste, per proteggerlo dagli spiriti maligni, portandolo a percorrere quella strada che Lui ha scelto per il mio amore.

E questo mi provoca una terribile sofferenza, ogni singola notte mi abbandono alla tristezza, riuscendo a trovare la forza per affrontare un nuovo giorno solo ripensando alla Sua promessa, quella promessa di riaverlo per me, quando morirà.

La mia punizione, perché ormai ho deciso che questa è la definizione più giusta, finirà quando il mio amore accederà al Paradiso, dopodiché potremo vivere l’eternità insieme, amarci nuovamente, come quando ero ancora in vita.




Oggi Kevin si laurea, finalmente riesce a completare quegli studi che tanto lo hanno fatto penare in questi anni, per cui ha sofferto, ha pianto, ha urlato di gioia quando riusciva a registrare un esame difficile. Questa laurea gli aprirà numerose porte, dovrà solo scegliere quale varcare, per entrare nel mondo del lavoro a testa alta, pronto ad avere successo.

O, almeno, dovrebbe aprirgliele. Non posso pensare che Lui, proprio ieri, mi abbia detto che oggi, in realtà, Kevin morirà.

Non so quando, né come succederà; so solo che avverrà oggi.

E questo mi fa star male. Ero contento di sapere di poter rivedere Kevin alla sua morte, ma mai avrei pensato che sarebbe avvenuta così presto.

Dopo soli due anni dalla mia.

Però non posso oppormi alla Sua scelta, devo continuare a proteggerlo, per tutto il giorno, in modo da accompagnarlo da me, senza farlo cadere nel peccato in queste ultime sue ore di vita.

Sta facendo colazione, come tutti gli altri giorni, sempre nello stesso posto, sempre con la stessa tazza.

Ora tira fuori solo una tazza alla mattina, mi ricordo che i primi giorni tirava fuori due tazze, come quando io ero in vita. Apparecchiava per due, ma la mia tazza restava vuota, inutilizzata. Io mi sedevo sulla mia sedia, rimanevo di fronte a lui ad ascoltarlo, sembrava parlasse con me, raccontava quello che avrebbe fatto durante la giornata.

Avrei tanto voluto rispondergli, dargli il bacio del buongiorno, aiutarlo ad affrontare quei giorni difficili.

Quando riponeva la tazza, molte volte si faceva prendere dalla malinconia, le sue lacrime cadevano sul mio nome scritto con il pennarello indelebile su quella stoviglia.

Ha smesso di apparecchiare per due solo dopo qualche mese, quando ha anche smesso di parlare di me. Era come se avesse voluto sigillare i ricordi di noi due insieme, da un giorno all’altro Kevin era tornato a sorridere, ma aveva eliminato tutto ciò che mi riguardasse dalla sua vita. Ci sono rimasto un po’ male, ma sarebbe stato egoistico pensare di vederlo continuamente sofferente per la mia mancanza.

Però so che non l’ha gettata via, quella tazza. L’ha solo riposta più in fondo, dove non può vederla, dove non può essere tentato di tirarla fuori ed apparecchiare per due.

Si vede quanto è nervoso questa mattina, ha mangiato meno del solito, continuava a ripassare la discussione, con le slide stampate su dei fogli già sfogliati più e più volte, si nota per quanto sono stropicciati e in parte strappati. È addirittura arrivato a buttarli in terra per quanto li conosca a memoria, eppure subito dopo li ha raccolti, per rileggerseli ancora una volta.

Finita la colazione è andato a vestirsi, il suo completo grigio lo attende appeso all’armadio, pronto per essere indossato dal suo proprietario. Ha scelto un abito veramente elegante, forse più elegante di quello che aveva indossato al matrimonio di sua sorella. Non ha voluto trascurare nemmeno questo particolare di questa giornata, scegliendo accuratamente anche la camicia, la cravatta e addirittura i calzini che si intonassero con tale veste. Solo le scarpe ha evitato di ricomprarle, voleva avere qualcosa di comodo, almeno ai piedi.

Tale accostamento di colori, addosso a lui, è qualcosa di spettacolare. Credo di essermi innamorato di nuovo di lui, come la prima volta che l’ho visto, è un colpo di fulmine continuo il mio per lui.

Ha quasi finito di prepararsi, ormai gli manca solo la cravatta.

La cravatta.

In tutti questi anni non ha mai imparato ad allacciarsela. Ricordo che, quando ero ancora vivo, veniva sempre da me a farsela annodare. Ogni volta tentavo di spiegargli quale fosse la tecnica giusta per fare il nodo perfetto… tutto fiato sprecato. La volta dopo, puntualmente, tornava da me, con la cravatta in mano e quegli occhi da cucciolo ai quali non sapevo dire di no.

Credo non abbia imparato ancora adesso, infatti sta imprecando davanti allo specchio, si sta disperando per quel nodo che non ha intenzione di venire corretto.

Se solo potessi aiutarlo.

In questi due anni ho imparato a muovere gli oggetti, nonostante non abbia un corpo fisico. Ma non posso fargli capire che sono qui, non posso far muovere la cravatta da sola.

È sempre più nervoso, ha appena lanciato la cravatta sul letto, con prepotenza, come se tutto dipendesse da essa.

— Josh… — gli sento dire, e in quel momento mi sciolgo.

A sentirgli pronunciare il mio nome non riesco più a trattenere le lacrime. Come possa un angelo piangere ancora non l’ho capito, non sono fisiche le gocce, eppure so che sto piangendo.

Non resisto, mi avvicino a lui e allungo la mia mano verso la sua guancia, sfiorandolo. So che non può sentire la mia presenza, ma non m’importa. È il mio modo per sostenerlo, non servirà a nulla, ma è un gesto istintivo.

Le sue lacrime passano attraverso le mie dita, eppure lui alza la testa di scatto, porta la sua mano sulla guancia, la stessa che stavo toccando io e inizia a guardarsi intorno.

— Josh! Joshua, sei qui? — urla, e io scatto all’indietro, spaventato.

Come può aver sentito il mio tocco? No, è impossibile, non è mai accaduto nulla del genere in passato.

Eppure lui continua a guardarsi intorno, ha smesso di piangere e continua a chiamare il mio nome. Non so che fare, non si calma, continua a girare per casa chiamando il mio nome, si è completamente dimenticato dell’impegno che ha oggi.

È arrivata anche sua sorella, Ashley, ma ormai sembra sia impossibile riportarlo alla realtà.

— Kevin, che stai facendo? Dobbiamo andare — dice lei, sperando di farsi ascoltare.

— Ashley, non capisci? Lui è qui, Josh è qui, l’ho sentito. L’ho chiamato perché non riuscivo ad annodare la cravatta ed è come se mi avesse risposto, è qui! — continua a ripeterle, in preda all’euforia.

— Kevin, calmati! Non so se è la tensione per la tesi, ma Josh non è qui! Ragiona, torna in te — gli dice, cercando di regolarizzare il suo respiro. Vorrei potergli urlare che invece ci sono, che sono sempre stato con lui, che non è pazzo. Kevin, però, sembra essersi ripreso, infatti torna in camera a prendere la cravatta, per farsi aiutare dalla sorella.

— Lo sai che, da quando Josh ha avuto l’incidente, io non ho più messo una cravatta? Era sempre lui ad allacciarmela, di solito, ed era una cosa che lui faceva solo per me — sta dicendo, con le lacrime agli occhi.

Povera Ashley, sta facendo di tutto per risollevare il morale di Kevin, ma ogni istante che passa è sempre più distrutto.

— Fratellino, non piangere, ti prego. Josh non sarebbe contento di vederti così — gli dice, e io ricomincio a versare lacrime angeliche.

Ora capisco perché in questi due anni ha evitato di parlare di me, mi sento così egoista nell’averlo giudicato male per questo, ed ora mi sento pure in colpa per le sue lacrime. Mi chiedo come possa Ashley avere la forza di volontà per sostenerlo, senza perdere il controllo ed urlargli contro di smetterla. Lei sì che ha un’anima pura, lei sì che è un angelo. Non io, che ancora non ho capito come sono arrivato ad essere un angelo custode, dato il mio animo egoista ed impuro.

Finalmente riusciamo ad uscire di casa, in macchina li aspettano i genitori, anche loro vestiti molto bene, dato il giorno tanto importante: credo che aspettassero questo giorno da sempre, Kevin è l’unico dei loro figli ad aver ottenuto un traguardo tanto importante.




Il traffico per le strade è intenso, e questo ingorgo proprio non ci voleva. Kevin sembra fremere per questo, ormai manca poco alla discussione della tesi, ha paura di far tardi.

— Papà, svolta a destra alla prossima via, dovremmo riuscire ad evitare il blocco, anche se allunghiamo un po’ il percorso — dice Ashley, e io, improvvisamente, vengo catapultato in una visione.

La vedo, l’auto su cui viaggia Kevin passa da un incrocio. Il semaforo è verde, hanno la precedenza. Però un’altra macchina arriva da destra, sembra che abbia un problema ai freni. La signora al volante è terrorizzata, più tenta di fermare la macchina e più questa va veloce, lo schianto è inevitabile. Il bilancio è di cinque morti, non si salva nessuno dei coinvolti nello scontro.

Mi risveglio all’improvviso, Ashley sta ancora formulando quella frase, è come se il tempo si fosse fermato solo per me, è stato orribile. Devo riuscire a non far cambiare loro strada, ne va della loro vita e di quella di un’altra persona.

Devo comunicare questo a Kevin, devo fare in modo che lo capisca senza accorgersi di me.

E ho solo un modo.

I miei poteri mi permettono di provocargli dei brividi di freddo, devo solo sperare che Kevin riesca a collegarli a quella decisione che li porterebbe alla morte.

Lo vedo tremare, sto cercando di fare in modo che riceva una scarica gelata ogni volta che qualcuno pronunci le parole “cambiare strada” o, comunque, accenni a tale fatto. Ora non mi resta che sperare nell’intuito di Kevin, non posso fare altro.

— No, papà, non cambiare strada — dice, finalmente, e io tiro un sospiro di sollievo. È agitato, non c’è dubbio, però sembra aver capito le mie intenzioni.

— Ma, Kevin, arriverai tardi così — risponde suo padre, stupito dalla reazione del figlio.

— Non importa, continua su questa strada, per favore — ribatte, sudando freddo, ed io mi accorgo che forse ho esagerato con i segnali. Sarà stata la paura che si avverasse la visione a farmi lanciare brividi così pesanti, infatti trema come se avesse la febbre, adesso. Speriamo che suo padre non decida comunque di fare di testa sua.

— Almeno mi vuoi spiegare perché? — chiede l’autista, e Kevin lo vedo sbiancare. Probabilmente non sa come rispondere, effettivamente la sua richiesta non ha molto senso.

— Non lo so, ho una brutta sensazione. E poi in tutti questi anni ho sempre fatto la stessa strada e gli esami sono sempre andati bene, non vorrai che cambi proprio ora? — riesce a dire, convincendo suo padre che quella sia la decisione giusta da prendere.

In quello stesso momento, riecco la visione di prima, ma stavolta il finale è totalmente diverso. La macchina che passa con il rosso riesce ad evitare ogni ostacolo, fermandosi qualche metro più in là, contro un idrante. Nessuno si è fatto male, per fortuna, solo un grosso spavento da parte di quella povera donna che ha perso il controllo della sua auto.

Mi chiedo se sarà sempre così.

Se tutte le volte che Kevin sta per morire, io vedrò così nitidamente in anticipo quello che accadrebbe, in modo da scegliere se lasciar scorrere gli eventi oppure no.

Già, lasciarli scorrere.

Come se fosse semplice.

Io non voglio che muoia, ogni istante che passa mi rendo sempre più conto che non sono disposto a vederlo perdere la vita pur di riaverlo per me, voglio che resti vivo.

No, non gli permetterò di morire, fosse anche l’ultima cosa che faccio.

Una fitta lancinante alla testa mi colpisce, un dolore atroce. Mi sta punendo per aver pensato una cosa simile, non posso mettermi contro la sua volontà, l’ultimo mio pensiero era egoistico quanto il desiderio che arrivi presto il momento in cui io e Kevin saremo di nuovo insieme, ora l’ho capito.

Immagini si sovrappongono nella mia mente, mentre l’emicrania non accenna a diminuire. Non sono come prima, risultano confuse. Tutto intorno a me è come offuscato, l’unica cosa che vedo è il viso di Kevin: sembra dolorante, affaticato, e mi guarda. Mi vede, ne sono sicuro, sta guardando proprio me. Tenta di parlare, ma non lo sento, o forse non posso sentirlo. Ma vedo che chiama il mio nome, ripetutamente, e poi dice anche qualcos’altro.

— Josh, io ti…

Le immagini svaniscono in quell’istante, così come il mal di testa. Non ho potuto vedere il seguito di quella frase, né capire quando avverrà tale evento. So solo che mi sento agitato, è come se sapessi che quel momento avverrà a breve, però non posso stabilire né in che luogo, né tra quanto tempo.

Ho paura, paura di sbagliare qualcosa, che non sia quella la morte giusta, di non poter evitare quel fatto, anche se dovesse rivelarsi sbagliato. Pensavo fosse facile il mio ruolo, ma la visione di prima era solo un esempio. Questa è la vera prova, l’ho capito solo adesso, e non so se sarò all’altezza del mio compito.




Finalmente siamo arrivati all’università. Nonostante il traffico, siamo in orario, infatti Kevin scatta fuori dalla macchina per non perdere tempo prezioso e raggiungere l’aula in cui discuterà la tesi: vuole essere sicuro che sia tutto a posto.

Dopo aver verificato il tutto ed aver salutato i suoi compagni, torna dalla sua famiglia, sempre più teso per l’importante avvenimento che si sta avvicinando.

Quando lo vedo staccarsi da loro per andare in bagno, lo seguo come al solito, ignaro di quanto avrebbe fatto una volta rimasto solo.

Di fronte allo specchio, con aria seria, Kevin inizia a parlare da solo, e rimango di stucco quando mi accorgo che quelle parole sono rivolte a me.

— Josh, ormai ci siamo. Finalmente sono arrivato a questo giorno, e devo ringraziare te. Il tuo sostegno mi ha sempre aiutato, ed ora sono pronto. Me l’ero ripromesso, se fossi riuscito ad arrivare a questo punto, sarei tornato da te, in ogni caso, smettendo di obbedire agli ordini di coloro che mi hanno impedito di farlo fino a questo momento. Quindi, fai il tifo per me, aiutami a scaricare la tensione come facevi quando ancora eravamo insieme, prima di ogni mio esame, canta quella filastrocca che mi rilassava, fallo per me — dice, con un sorriso malinconico appena accennato. Poi si mette a canticchiare, e io, quasi senza pensarci, gli vado dietro, esattamente come quando ero con lui.

Un respiro profondo e la tensione scende giù
Ne faccio un altro e la paura non c’è più
Con un terzo mi ritorna l’allegria
Ed il quarto mi completa la magia.

Solo successivamente ho cominciato a pensare al significato intrinseco che avevano le parole dette da Kevin, e il terrore puro mi avvolge all’improvviso.

Che voglia suicidarsi?

Non posso permettergli di farlo, assolutamente no, è sbagliato. Il suicidio è considerato uno dei peccati più gravi, maledizione.

Spero veramente di aver capito male, ma quale altro significato possono avere quelle parole? Dice che gli hanno sempre impedito di farlo, ma non mi ricordo di questo fatto, quando ci avrebbe provato? Forse prima che mi venisse affidato; d’altronde, dopo la mia morte, non sono diventato subito il suo angelo custode, era già passato qualche mese.

Ah, se solo sapessi cos’è successo in quel periodo, se potessi chiedere a qualcuno di quegli avvenimenti. Eppure devo cavarmela da solo, tenere gli occhi ben aperti ed evitare ad ogni costo che possa compiere il suo intento.




La discussione della tesi per fortuna è andata bene, si è impacciato giusto all’inizio, temevo che non ce l’avrebbe fatta, ma alla fine si è ripreso, arrivando in fondo senza problemi. Poi è uscito, abbracciando la sua famiglia, i suoi amici, felice di essersi finalmente laureato.

Però pensavo che andasse a festeggiare con loro, invece li sta salutando, in maniera strana. Le loro parole non le capisco, è come se mi mancasse qualche passaggio.

— Josh, hai proprio deciso? — dice sua madre, estremamente preoccupata.

— Sì, mamma, devo farlo. Ho già aspettato troppo — risponde Josh, e io ci capisco sempre meno. Cosa deve fare? Se volesse suicidarsi, non glielo lascerebbero fare così facilmente. Allora cos’è?

— Lo sai che te lo impediranno, vero? Non ti faranno mai entrare — replica Ashley, sinceramente addolorata per il fratello.

— Devono farlo, Josh è il mio fidanzato, vivevamo insieme, non possono negarlo. Ora vado, ci sentiamo più tardi — conclude, per poi dirigersi a piedi verso la sua meta.

Non ho capito dove stia andando, non posso far altro che seguirlo per capirlo. Mi chiedo cosa c’entri tutto questo con me, se il fatto che si è allontanato dai suoi genitori sia legato a quella strana frase pronunciata da lui prima della discussione della tesi, che, a quanto pare, ho frainteso, o almeno spero.

Cammina velocemente in una zona della città che non mi sembra di ricordare, eppure qualcosa di familiare c’è, anche se non so cosa.

Poi all’improvviso il paesaggio cambia, un’altra visione prende il sopravvento sui miei sensi. È confusa, sento una signora gridare spaventata, un bambino è in mezzo alla strada, dev’essere il figlio. Un camion sta arrivando, non si è accorto di quel bambino. Kevin è lì, si butta per salvarlo, il bambino è vivo, ma lui è in terra, immobile.

La visione finisce lì, quando torno alla realtà mi accorgo che non posso evitare che accada. La donna sta già urlando, il bambino è già in mezzo alla strada e Kevin gli sta già correndo incontro per salvarlo.

È stato troppo veloce, non posso far altro che fiondarmi verso di lui, anche se non posso far nulla per evitare l’impatto con il camion. Lo vedo cadere a terra come nella visione, mentre la madre abbraccia il figlio e i passanti chiamano i soccorsi, fermando il traffico.

Kevin non si muove, però sembra essere sveglio.

E mi guarda.

Mi sta fissando, come se mi vedesse, forse è legato al fatto che tra pochi istanti morirà.

— Josh… — sussurra appena.

— Josh… — ripete, un po’ più forte, come se mi stesse chiamando. Mi avvicino a lui, cerco di abbracciarlo, cosa impossibile nelle mie condizioni, ma lui sembra percepire il mio contatto. Mi sorride, e cerca di dirmi qualcos’altro.

— Josh, io ti…

La frase si interrompe a metà, è identica alla visione che avevo avuto in macchina. Ha perso i sensi mentre cercava di dirmi qualcosa, non riapre più gli occhi.

No!

No! Non voglio!

Non voglio che muoia, non mi interessa se questo comporta che non ci rincontreremo più, non voglio che muoia, ti prego.

All’improvviso il corpo di Kevin sparisce dalla mia vista, anzi no, sono io che mi sono trasferito al Suo cospetto. Mi avrà trasferito qui perché ormai il mio compito è finito.

Dovrei essere felice, Kevin è morto per salvare una persona, tra poco ci riuniremo.

Eppure sto malissimo, Kevin non merita di morire, non in quel modo.

Non mi interessa più riaverlo con me, sono disposto a rinunciare a lui perché sopravviva, perché sia felice. Ti prego, Tu che puoi farlo, salvalo.

“La tua ultima prova è stata brillantemente superata, Joshua. Ora tu e Kevin potrete tornare insieme.”

La Sua voce rimbomba nella mia testa, calda e possente come al solito.

— Quindi è morto veramente — esalo, rassegnato. — Non è possibile cambiare le cose.

Non mi resta che aspettare che la sua anima raggiunga il paradiso, a questo punto, anche se l’idea ancora non mi entusiasma.

Quando Lui riprende a parlare, improvvisamente sento un calore nel cuore, la tristezza che stavo provando svanisce nel nulla, mi sento stranamente felice.

“Non ho mai detto che Kevin è morto, solo che vi incontrerete di nuovo oggi. È arrivato il momento di svelarti qualcosa che ti farà comprendere meglio le mie parole, Joshua.”

Di fronte a me appare una specie di schermo invisibile, che mostra immagini provenienti dalla mia città.

È tutto buio, poche luci illuminano la strada che compare nel riquadro. Mi sembra di conoscere quel luogo.

“È il punto in cui hai avuto l’incidente due anni fa, voglio mostrarti cos’è successo dopo lo scontro.”

Un attimo dopo sullo schermo appare la mia automobile, che viaggia tranquilla su quella strada di periferia. Non appena superato l’incrocio, risento il colpo che avevo sentito quel giorno. Scopro che era una gomma esplosa, che mi ha fatto perdere il controllo della macchina, provocando l’incidente.

Da lì in poi non mi ricordo più nulla, devo essere morto pochi istanti dopo. Continuo a guardare, curioso di sapere quale sia questo fantomatico segreto cui si riferisce. Un’automobile si ferma poco dopo, chiamando i soccorsi, che arrivano dopo qualche minuto.

— È vivo! — sento dire.

Come vivo? Io pensavo di essere morto sul colpo, com’è possibile?

L’ambulanza mi trasporta a sirene spiegate in ospedale, dove vengo subito portato in sala operatoria. Quella stanza resta chiusa per ore, i medici si danno il cambio per operarmi in più punti, per salvarmi ad ogni costo. Nel frattempo, i miei genitori, coloro che mi avevano cacciato di casa quando avevano saputo di Kevin, sono lì fuori, in attesa di sapere quali siano le mie condizioni.

Arriva anche Kevin, il mio Kevin dev’essere venuto a conoscenza dell’incidente in qualche modo, dubito che siano stati mamma e papà a dirglielo.

Nel momento stesso in cui arriva lui, la sala operatoria si apre e il medico esce con il referto: coma irreversibile. Gli sento dire che sono vivo grazie a delle macchine, che la probabilità di un mio risveglio è pressoché nulla e che spetta a loro decidere se lasciarmi vivere o meno.

Kevin interviene in quel discorso, disperato, chiedendo al medico di potermi vedere.

— Chi sei? — gli dice il medico, ignaro.

— Sono il suo fidanzato, la prego, mi faccia entrare — risponde Kevin, convinto che basti quello per convincerlo.

— Solo i parenti posso vederlo, a meno che non siano loro stessi a darti il permesso di entrare. Signori? —dice, rivolgendosi ai miei genitori, che prontamente negano ogni forma di contatto tra di noi.

— Ma perché? — urla Kevin, in lacrime, mentre mio padre lo intima ad andarsene e a non ripresentarsi lì.

Le immagini si susseguono una dopo l’altra, i giorni passano e Kevin continua a tentare di avere un contatto con me, ma gli viene sempre rifiutato, finché sembra rinunciare del tutto.

“Ciò che è successo dopo lo hai vissuto con lui, non c’è altro che devi sapere” sento nella mia testa, e improvvisamente tutto mi è più chiaro.

— Sono ancora vivo, non è così? In ospedale, in coma, ma vivo — dico, quasi incredulo.

“Sì, Joshua, e oggi avverrà un piccolo miracolo, ti risveglierai. Kevin è in quello stesso ospedale, stava venendo lì quando è stato investito” mi dice, e io non posso fare a meno di chiedere come sta.

— È vivo? Sta bene? L’incidente ha avuto ripercussioni su di lui? — chiedo, sperando di ottenere risposta.

“È vivo, ma non ti dico altro. Il resto lo vedrai con i tuoi occhi. Hai superato la prova, questi due anni da angelo servivano per farmi decidere se farti risvegliare o meno, e tu hai superato ogni difficoltà, arrivando a pensare con il cuore, non con la testa, abbandonando l’egoismo di rivolere con te Kevin ad ogni costo, pronto a rinunciare a lui pur di vederlo felice. Ora preparati, tra pochi istanti ti ritroverai nella tua stanza d’ospedale, con le persone che ti vogliono bene.”

Non faccio in tempo a rispondere che, lentamente, ciò che mi circonda svanisce, come se tutto fosse stato un sogno. Però credo che Lui abbia ricevuto il mio ringraziamento per la seconda opportunità ricevuta, non devo buttare all’aria la fatica che ho fatto negli ultimi due anni, devo continuare ad aiutare Kevin a vivere una vita serena, amandolo con tutto me stesso.




Il suono delle macchine presenti nella mia stanza inizia a farsi più chiaro, le voci degli infermieri diventano sempre più distinte e, lentamente, le mie palpebre iniziano ad aprirsi.

La luce accecante mi colpisce, portandomi a richiudere velocemente gli occhi, che dopo due anni non sono più abituati al chiarore dato dalle lampade. Le macchine iniziano a produrre suoni più rapidi, penso che sia tutto dovuto al mio risveglio. Sento i medici avvicinarsi di corsa, per loro è un vero miracolo.

Tento di nuovo di aprire gli occhi, stavolta sembra che riesca a tenerli aperti, però non riesco a fare altro. Il corpo non mi risponde, vorrei riuscire ad alzarmi, ma l’unica cosa che riesco a fare è guardarmi intorno e muovere appena le dita di una mano, con grande sforzo.

Faccio fatica a respirare, sono ancora intubato e mi dà fastidio questa situazione. Il medico se ne accorge e mi libera dal respiratore, ora sono in grado di respirare da solo. Tento di parlare, ma non ci riesco, dopo due anni le mie corde vocali sono come atrofizzate.

Non vedo Kevin, c’è tanta gente che non conosco, ma lui non c’è.

Ecco la mamma, è in lacrime, credo per la felicità, si avvicina a me e mi stringe una mano.

Posso sentire il suo contatto, il calore della sua mano, la sua voce rotta dal pianto. Io mi volto verso di lei, lentamente, e cerco di stringere la sua mano, attirando la sua attenzione.

Muovo le labbra, ma non esce alcun suono da esse. Spero che riesca a capire che sto chiamando Kevin, che voglio vedere lui, che deve cercarlo nell’ospedale.

Non capisce, continua a ripetermi di stare calmo, che sono in un ospedale e che sono stato privo di sensi per più di due anni. I medici intanto iniziano a visitarmi, penso che vogliano capire come abbia fatto a risvegliarmi tanto all’improvviso, mentre io cerco disperatamente di dire quel nome, cercare di farmi sentire in qualche modo.

All’ennesimo tentativo, finalmente un sibilo esce dalle mie labbra, riesco in qualche modo a farmi sentire, l’infermiera più vicina a me ripete quel nome che io non riesco a pronunciare.

— Dottore, sta chiamando un certo Kevin. Sa chi è? — dice, e io spero che mia madre dica qualcosa.

— Dev’essere quel ragazzo che era qui il giorno dell’incidente — dice all’infermiera, mentre continua a visitarmi. Poi si rivolge verso di me, domandandomi se volessi incontrare Kevin.

Io annuisco, guardandolo con gli occhi spalancati e cercando di rispondere un “Sì” che resta in gola, ma che in qualche modo capisce.

— Andate a cercarlo, avvertitelo che il signor Joshua ha ripreso conoscenza — chiede all’infermiera che, nel frattempo, aveva finito il suo lavoro.

— Signora, può aiutarci anche lei? — continua, riferendosi a mia madre, che sembra nascondere qualcosa.

— È qui fuori — dice. — È stato ricoverato poche ore fa per un incidente stradale, appena si è ripreso si è fatto accompagnare qua per vedere Josh, ma io gli ho impedito di farlo. E anche adesso non voglio che si avvicini a mio figlio, non avrà mai da me il permesso di entrare.

L’incapacità di muovermi mi impedisce di reagire a quelle parole che sono costretto a sentire, lei non può impedirmi di vederlo, non può farlo. Continuo a guardare il medico, iniziando a piangere per la disperazione.

— Non è più lei a decidere. Suo figlio è maggiorenne ed è perfettamente in grado di intendere e di volere. Lui vuole vedere Kevin, perciò ora Kevin entrerà. Portatelo qui — replica, facendomi sorridere. Sono riuscito a sorridere, nonostante pensassi di non poter muovere nemmeno un muscolo, invece inizio a sentire le braccia e il viso, anche se ancora è difficile controllarne i movimenti.

Quando l’infermiera ha accompagnato Kevin nella mia stanza, seduto su una sedia a rotelle, mi sono sentito subito sollevato. Sta bene, non ha niente di rotto. Ha la testa fasciata, probabilmente per la botta che ha preso, però sta bene.

— Josh, ti sei svegliato — dice, con le lacrime agli occhi, prima di avvicinarsi ancora di più a me, per abbracciarmi come può.

Inizia ad accarezzarmi e a parlarmi a raffica, continuando a dire quanto mi ama ancora, baciandomi di tanto in tanto. Io rispondo come riesco, ma credo che non serva, gli basta vedermi cosciente per renderlo felice.




Sono passati sei mesi da quel giorno, finalmente ho ripreso a parlare e ogni tanto riesco pure a fare qualche passo. Kevin si è completamente ristabilito e mi aiuta in casa, la nostra casa, quella in cui sono tornato dopo che mi hanno dimesso dall’ospedale. Ci vorrà ancora del tempo prima che mi riprenda completamente, ma con lui al mio fianco sono sicuro di farcela.

Quando succederà, gli racconterò di quando ero il suo angelo custode, voglio che sappia che gli sono sempre stato vicino in questi anni. Probabilmente mi prenderà per pazzo, ma voglio che lo sappia.

E dopo questo, gli chiederò di sposarmi. Voglio che lui diventi a tutti gli effetti la mia famiglia, nessuno dovrà più impedirgli di farmi visita in ospedale, perché sarà mio marito a tutti gli effetti.

Due anni fa non credevo agli angeli, ora so che esistono e che ci proteggono.



Questa storia nasce con un significato preciso, per dimostrare, in qualche modo, cosa ne penso del legame tra religione e omosessualità, che viene tanto denigrato ultimamente. Ho voluto creare un angelo gay, o meglio ho fatto in modo che un ragazzo gay, accusato di peccati capitali nel mondo terreno, diventasse un angelo custode non appena passato a miglior vita, per far capire che Dio ci ama incondizionatamente, che non siamo noi a dover giudicare, ma che spetta solo a lui l’ultima parola su tutto. Spero di non aver offeso nessuno con questa mia idea, da cattolica praticante penso di aver rappresentato bene la parte religiosa della storia, semplicemente ho dato una mia opinione su una cosa che mi sta molto a cuore, ovvero le accuse cristiane nei confronti degli omosessuali. Spero che la pensiate almeno in parte come me, o che almeno accettiate le mie idee.
Prima di salutarvi, vi consiglio di cliccare sul link in alto, quello sul nome dell'autrice della poesia, e di leggerla tutta, perché è veramente stupenda. L'ho trovata per caso, e devo dire che è perfetta per questa storia, perché rispecchia perfettamente l'amore di Josh nei confronti di Kevin.
Spero che mi lasciate delle belle recensioni riguardo questa storia.
Alla prossima.
Baci.
SNeppy.
   
 
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