Disclaimer:
i personaggi sono proprietà di Fujimaki Tadatoshi – almeno finché il rapimento non va a buon fine
(?).
Note: niente di che. Io vedo
fotogrammi di amv/puntate, mi parte lo schizzo e
assecondo la mia mania ossessivo-compulsiva di
scrivere su scene di boh, dieci secondi netti?
Dedica: alla Rota, perché sì, ogni
tanto nei raptus è compresa la voglia di scriverti qualcosina
<3
Fin da bambino lui era
sempre stato uno spirito libero, di quelli che giocavano – com’era giusto che
fosse – senza la minima preoccupazione: non era importante se a fine giornata
non era stata la sua squadra a vincere la partita di “calcio alla lattina”, che
non si chiamava davvero così ma tanto il nome non lo ricordava mai. Né, alla
fine, era rilevante che fosse più bravo a scappare facendo il ladro che non a
rincorrere facendo la guardia. Non era nemmeno importante che tornasse a casa
con graffi e lividi, e sua mamma lo rimproverasse perché si faceva male o
perché i suoi vestiti ne uscivano molto meno indenni di lui – tanto lo sapeva,
che poi dopo cena i biscotti glieli avrebbe dati lo stesso, se si scusava con
lei.
Crescendo, sotto certi punti di vista non era cambiato di una virgola, e per
molte cose ancora non si curava del possibile esito delle sue azioni: non più
del necessario, almeno.
Per questo suo carattere, che molti avrebbero potuto definire superficiale ma
che invece era semplicemente spensierato, nessuno mai si stupiva quando a
domanda sulle questioni sentimentali – che, aveva imparato, interessavano i
maschi quanto le femmine, solo che queste ultime ne parlavano di più e
facendosi molti meno problemi da preservazione dell’orgoglio macho – rispondeva
che, semplicemente, era successo.
Sembrava tipico di lui, quasi ovvio: te lo immaginavi lì, in piedi che bam!, si era preso una cotta; per chi era
un dettaglio trascurabile per il semplice gusto del gossip femminile.
Eppure dicevano che era impossibile, e minimizzavano tutto alla sua voglia di
scherzare e prenderli in giro; ma Takao avrebbe
voluto dirglielo, che era davvero così che era andata. Che non se l’era
aspettato, che c’era rimasto persino lui, lì su quel carretto malefico, le
strade bagnate dal diluvio universale parzialmente preso per colpa della
testardaggine di Shin-chan.
Che se gliel’avessero detto avrebbe riso, eppure era successo proprio lì, il
vento che gli gelava persino le ossa – tanto erano fradicie
pure quelle, ne era certo – e lui che diceva a Shin-chan
che solo per quella volta avrebbe
guidato lui (non che alla fine, nelle altre occasioni, l’avesse mai portato Midorima il carretto), senza bisogno di tirare a sorte.
E l’aveva visto: per un attimo, forse di scherno, forse di bonaria presa in
giro – era così raro vederlo, allora, che ancora non sapeva distinguere l’uno
dall’altro – ma c’era stato, reale, vero, bellissimo.
Il sorriso di Shin-chan.
Takao non lo sapeva com’era che funzionava: non era un
esperto in materia, non ci pensava nemmeno granché; eppure era certo che, se
anche un sorriso non bastava ad innamorarsi, era sufficiente a capire di essere
innamorati.