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Autore: candycotton    05/09/2012    1 recensioni
Canada. Anni 90. Una donna sta partorendo. Un bambino nasce, inconsapevole di ciò che il destino ha scritto per lui. Una madre che non lo vuole, un mondo che lo giudica, una sorella maggiore che cerca di aiutarlo... Incontri con persone sbagliate, vite che si intrecciano, che si scontrano. Ma il passato è un peso che si porta sempre sulle spalle, e la vita è la sfida più dura da affrontare.
Genere: Dark, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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|| Gabriel ||




 

 

 

don’t lean on me

 

 

 

 

Gabriel aveva diciassette anni e non riusciva a spiegarsi come mai non riuscisse a staccare gli occhi di dosso a quel tipo.

«Scusa, non era libero?» fece il ragazzo, indicando la sedia accanto alla sua, dietro al banco.

Erano forse i suoi capelli tinti ad attirarlo? Oppure il suo sguardo color dell’oceano? Quel viso gli piaceva già da morire.

Gabriel scrollò il capo. Il ragazzo capì male e fece per alzarsi. «Ehi, è libero» intervenne Gabriel, bloccandolo prima che se ne andasse.

Lui si rimise a sedere, rivolgendogli uno sguardo confuso.

«Chi… come ti chiami?» mugugnò Gabriel, incerto sulle parole da usare.

Il ragazzo si voltò di nuovo verso di lui, dopo essersi messo a sedere. «Rei»

Gabriel lo guardò, lo fissò intensamente. Fin troppo.

«Ehi?» sentì Rei dire.

Gabriel si destò, e gli rivolse uno sguardo perso. «Come?»

«Tu chi sei?» ripeté Rei, che gli aveva fatto la stessa domanda poco prima, ma che lui non aveva capito.

«Ah, sono Gabriel»

Rei annuì, incrociando le braccia sul banco.

«Il banco delle checche» un ragazzo passò loro accanto, borbottando ai suoi compagni in tono perfettamente udibile.

Rei roteò gli occhi, con un’espressione dura. Gabriel, quando si rese conto di quello che aveva appena sentito, sgranò gli occhi, ed ebbe un terribile flashback.

«Lascia perdere» mormorò Rei, vedendo la sua faccia.

Gabriel lo guardò, con l’intenzione di dire qualcosa, ma non gli uscì niente.

«Sono solo dei coglioni» la voce di Rei gli risuonò ancora lontana. Cercò di tornare pienamente alla realtà.

Aprì la cerniera del suo zaino e ne estrasse una bottiglietta di plastica. Bevve un’abbondante sorso di quella che avrebbe dovuto essere acqua, ma che non lo era. Ingoiò con una smorfia e sentì la trachea infiammarsi dalla vodka pungente. Si voltò verso Rei; senza esitazione si avvicinò a lui, facendo incontrare le loro labbra. Gli mise una mano tra i capelli, tenendolo stretto.

Rei non si ritrasse, anzi parve piacergli. Si lasciò trasportare, baciando quel ragazzo che non aveva mai visto prima, che non conosceva, di cui non sapeva un cazzo di niente.

 

Gabriel uscì dal bagno ridendo, la musica alle sue spalle proveniva a tutto volume.

Si diresse in camera e prese a spalmarsi il gel sui capelli, sui suoi nuovi capelli bianchissimi. E dritti, se li stava facendo con le dita.

Sorrideva senza alcun preciso motivo, semplicemente per aver fatto finalmente qualcosa che voleva da tempo: cambiare la sua immagine, poter essere finalmente sé stesso. Canticchiò la canzone che proveniva dal bagno, muovendo il capo a tempo.

Uscì di casa di fretta, con una sigaretta già pronta tra le dita.

Svoltò oltre l’angolo; Rei lo stava aspettando nella semi-oscurità. Si scambiarono un bacio, e si toccarono sotto la maglia strappata. Gabriel gli sorrise spontaneamente.

«Che figo che sei», esclamò Rei.

Gabriel tirò dalla sigaretta, senza smetter di fissare Rei.

«Le hai portate per me?», gli chiese.

Gabriel annuì, mostrando di sbieco un pacchetto che gli pendeva dalle tasche.

«Muoviamoci allora», concluse Rei. Appoggiò il braccio sulle spalle di Gabriel e insieme si avviarono lungo il marciapiedi, canticchiando Suffraggete City.

 

Era un pomeriggio come gli altri. Gabriel stava tornando a casa dopo una lunga giornata di scuola. Per fortuna che c’era Rei, ad alleggerirla. Si chiudevano in bagno durante la ricreazione e si baciavano, sopra il gabinetto. Ormai lo facevano quasi tutti i giorni.

Solo al pensiero, Gabriel sentiva ancora il calore di Rei sulla sua pelle, il suo buon profumo, il suo respiro…

Alzò lo sguardo varcando il cancelletto e avviandosi su per il viale ghiaioso fino alla porta d’ingresso.

«Lia» esclamò, soffocando un grido di spavento. Sua sorella era immobile, le braccia intrecciate sul petto, i capelli castani piatti ai lati del viso, gli occhi colmi di lacrime. Si guardarono per un lungo istante, ma prima che Gabriel potesse formulare una frase, qualcuno apparve sulla soglia della cucina.

 

Non poteva essere vero.

 

Eppure era proprio lei.

 

Marion.

 

 

Gabriel la fissò a bocca aperta. In un baleno, un fiume di pensieri gli inondò la testa. C’erano tutto e niente. Tanti bei ricordi, concentrati in un lasso di tempo troppo breve.

Marion era rimasta in città per meno di un anno, da quando si erano conosciuti. Ciò significava che era lontana da Vancouver da più di due anni.

Era più bella che mai. Con gli stessi capelli rosso fuoco e gli occhi azzurri come il cielo senza nuvole. Era come la ricordava, a quindici anni.

Oh, Marion.

La sua Marion era proprio lì, davanti a lui.

«Ciao, Gabriel» disse in un soffio.

«Ciao» rispose Gabriel.

«Se te lo stessi chiedendo, l’ho chiamata io, Gabriel. Ho pensato che fosse l’unica in grado di farti ragionare» fu Lia a parlare, in tono secco, arrabbiato.

Gabriel le lanciò un’occhiata.

«Io non ci sono riuscita» concluse sua sorella, abbassando il capo.

«Ti va di parlare?» chiese Marion. Allungò una mano verso di lui, accogliendo la sua in una stretta calda e morbida.

Uscirono di casa e raggiunsero un fazzoletto di erba con qualche panchina. Marion prese posto e lasciò che Gabriel le si sedesse accanto.

«I tuoi capelli…» sussurrò lei.

«Li ho appena ossigenati»

«I tuoi capelli dorati» ricordò lei, con un moto di malinconia.

«Marion, lascia perdere»

Si guardarono a lungo negli occhi, fissandoli uno in quelli dell’altra.

«Che ci fai qui?» ripeté lui, sottovoce.

«Mi ha telefonato Lia, ha detto che era una cosa urgente che ti riguardava»

Gabriel abbassò il capo.

«Mi ha spaventata, e sono subito corsa qui, lo sai che ti voglio bene»

Gabriel alzò lo sguardo su di lei, cercando le sue labbra, per baciarla. Ma Marion non si fece trovare, muovendo il capo dall’altra parte.

«Perché te ne sei andata, allora?»

«Ti ho già spiegato che tu non c’entravi niente. Dovevo trasferirmi con i miei genitori, ma lo sapevi che non sarei andata troppo lontano, sapevi che ero laggiù, a pochi passi… E non sei mai venuto a trovarmi»

Gabriel non rispose.

«Non sono mai riuscita a capire veramente se fossi interessato a me o meno. Gabriel» lo chiamò, attirando la sua attenzione. Si guardarono negli occhi. «Sei sicuro che non ti piacciano più… le femmine?»

Lo sguardo di Gabriel si indurì.

«Sai che non lo dico per offenderti, ma vorrei solo che mi dicessi la verità, tutto qui, niente di più, solo la verità»

«Io non lo so, Marion. Non riesco a capirmi neppure io, figuriamoci se possono farlo gli altri. Mi dispiace, Marion, mi dispiace fottutamente da morire»

Marion annuì appena. «Ma io ti son mai piaciuta?»

«Marion, lo sai che ti ho sempre amata, questo lo sai» Gabriel si avvicinò a lei e la baciò. Questa volta lei non si tirò indietro.

«Promettimi che non ti rovinerai» mormorò Marion, ad un soffio dalle sue labbra amare.

Ma quel dannato silenzio che seguì, non era per nulla rassicurante.





Scusate per il ritardo della pubblicazione, quasi due mesi.. spero che il capitolo sia di vostro gradimento!
  
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