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Autore: suni    06/09/2012    7 recensioni
[...] E sorrideva anche il fratellino – sorrideva moltissimo, quand’era proprio piccolo, quando ancora non parlava e non camminava e non leggeva, sorrideva quasi senza smettere mai e Thor vorrebbe sapere, veramente, vorrebbe sapere se anche quella fosse una magia e se ci sia un modo, uno in tutto l’universo per farla rivivere e rivedere quel sorriso che non sa perché se lo ricordi così bene, un sorriso totale, assoluto, e se quel modo ci fosse lui lo vorrebbe sapere per trovarlo, anche a costo di metterci mille anni e altri mille, lo troverebbe per riavere indietro quel sorriso che gli manca col dolore di cento pugnalate.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Thor
Note: Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
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Questa psicosi mi è venuta fuori così. Non vuol dire nulla, un ipotetico momento post-Avengers senza grandi pretese.
Il titolo sta a significare letteralmente “non nel sangue, ma nel legame”. Davanti, originariamente, ci sarebbe la parola “fratelli”
 
 
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Una culla, una culla di legno, cento anni e una culla di legno, era piccolo, lui, non arrivava a vederci dentro e sua madre lo doveva sollevare, a malapena si reggeva sulle gambe da solo e traballava ma doveva guardare, doveva vederlo, era incredibile, era proprio una cosa che non c’era niente da pensare, era un bambino e quindi non se lo ricorda bene, come si sentiva, soltanto ricorda che lo doveva guardare con tutta la meraviglia che ci può essere negli occhi e nel cuore di un bimbo, tutta lì, e quelle due parole sulle labbra e nella gola, due paroline piccole, “mio fratello”, soltanto due, e un corpo così piccino e manine strette a pugno e pochi capelli scuri e occhi che si aprivano con curiosità, quasi stupiti – verdi, verdissimi – e non si poteva quasi respirare, a guardarlo, “mio fratello”, nemmeno si poteva capire bene cosa volesse dire ma era una cosa enorme, una cosa come nessun’altra, avere un fratello, lo sapeva anche se era così piccolo, e sua madre sorrideva sempre e sorrideva tanto e il Re era felice, questo se lo ricorda, e sorrideva anche il fratellino – sorrideva moltissimo, quand’era proprio piccolo, quando ancora non parlava e non camminava e non leggeva, sorrideva quasi senza smettere mai e Thor vorrebbe sapere, veramente, vorrebbe sapere se anche quella fosse una magia e se ci sia un modo, uno in tutto l’universo per farla rivivere e rivedere quel sorriso che non sa perché se lo ricordi così bene, un sorriso totale, assoluto, e se quel modo ci fosse lui lo vorrebbe sapere per trovarlo, anche a costo di metterci mille anni e altri mille, lo troverebbe per riavere indietro quel sorriso che gli manca col dolore di cento pugnalate.
Una culla di legno, e dentro la culla, un universo intero.

 

Not in blood but in bond

 

“Fammi entrare.”
La guardia non parla, ma lo osserva con incertezza per qualche secondo prima di farsi da parte all’incresparsi rabbioso della sua fronte. Ci sono chiavistelli e serrature che scattano e prima che si spalanchi la porta massiccia e pesante ci vanno almeno due minuti, due minuti e tutta quella magia per tenere rinchiuso il prigioniero che Odin non ha ancora voluto vedere.
Risponderà alla giustizia di Asgard, è stato deciso, una giustizia che non è mai di mano leggera. C’è una parte di Thor che si appella alla clemenza del Re, e l’altra che vorrebbe appigliarsi ad un cuore di padre ma non osa – c’è un solo peso e una sola misura per giudicare un traditore e un assassino, anche quand’è un principe, un figlio, un fratello.
Un fratello seduto contro il muro, in un angolo, nella penombra. Ha la schiena dritta e la testa alta anche mentre è immobile e incatenato, anche con la bocca sigillata, e Thor sa senza bisogno di averlo visto che non si è raddrizzato nel sentire l’uscio che si spalancava, ma che è rimasto lì seduto così per tutto il tempo, a spalle larghe di fronte all’universo. Lo sa. È sempre stato così, Loki, una volta ne era molto fiero: il suo fratello minore, che non si piegava di fronte a niente e nessuno – e ne rideva, e lo faceva apposta a provocarlo e umiliarlo per gioco, per sghignazzare del modo in cui le sue labbra si assottigliavano e la testa scattava verso l’alto, una scintilla di rabbia negli occhi prima che la compostezza ne facesse due specchi piani e immobili, ogni ferita nascosta, e ne rideva, ma era un gioco, era solo un gioco, scherzi stupidi, i bambini sono crudeli e i ragazzi incoscienti e Thor sa perfettamente che non significavano nulla, quei dispetti, perché lo amava, lo amava nel modo infinito non solo di chi è nato dallo stesso sangue ma di chi si sente fatto della stessa carne e dello stesso spirito, e di tutte le volte in cui ha approfittato della sua condizione di fratello maggiore e della sua superiorità fisica per avere la meglio e mettere da parte suo fratello, Thor non ne ricorda una, una soltanto in cui stesse realmente pensando che Loki gli fosse inferiore, perché era strano ed era troppo rigido e incerto ma era il suo fratellino e lui avrebbe cavato gli occhi e la lingua con le unghie a chiunque gli avesse torto un solo capello, a chiunque avesse osato l’ardire di pronunciare una sola parola contro di lui.
È pallido, ora, e sottile. Scavato in viso, gli occhi infossati, mani che sembrano sole ossa, è consunto e sfinito ma ha ancora la testa alta. Thor lo sa, che l’abbasserebbe solo davanti a un boia, e solo se lo costringessero a forza.
“Dovresti dormire.”
La prima cosa che gli viene da dire è la più sciocca, ma la più sentita. Forse dovrebbe continuare la frase, una frase che suonerebbe come “dovresti dormire, fratello, perché sei troppo debole, cadaverico, e mi si ghiaccia il cuore a guardarti, tanto che nemmeno nella tua vera forma potresti congelarlo altrettanto”; ma non lo dice, si ferma a quelle due parole che rimbombano tra i muri spessi e scuri. Vorrebbe aggiungere qualcosa, qualcosa di importante e significativo che possa scalfire la barriera del rancore, ma non è bravo con le parole e comunque non gli viene in mente nulla.
Gli occhi di Loki non si spostano su di lui, né il suo capo si volta. Rimane immobile, come se non avesse nemmeno percepito la sua presenza.
Thor non lo sa, da dove gli venga di fare un sorriso. Forse dal ricordo di una notte, secoli fa, durante la veglia funebre della Regina Madre, quando lui piangeva e piangeva e piangeva per la nonna, e anche sua madre piangeva, e forse persino suo padre, ma non Loki. Qualcuno poi avrebbe mormorato che quel bambino era crudele e non aveva un cuore ma Thor si ricorda che, in una pausa tra i singhiozzi dovuta allo sfinimento, si è soffermato a guardare suo fratello – la testa alta, lo sguardo fisso sul muro, uno sguardo limpido, immoto, ghiaccio sulla pietra - e ha provato un’angoscia ancor più devastante soltanto a vederlo, Loki, che conservava accuratamente le emozioni in pieghe remote di se stesso fino ad esserne invisibilmente sommerso. Forse sorride perché gli sembra la stessa cosa, adesso, vederlo fissare il muro, come quella notte, e forse sorride perché quel pensiero gli fa sentire forte sulla pelle tutto il peso dei secoli, fianco a fianco, giorni, notti, mattine, battaglie, gioie, sconfitte, urla, risate, tutti lì, uno sopra l’altro. Una torre infinita di attimi, emozioni, segreti, tutta la vita.
“Sei molto stanco,” aggiunge allora, senza badare a come gli s’inceppa la voce. Anche adesso vorrebbe dire qualcosa di migliore, qualcosa di straordinario, ma non ha parole.
Vorrebbe che gli occhi si voltassero verso di lui. Almeno loro, solo quelli, poterli guardare dritti, dentro, e cercarlo. Lo ha cercato davanti al Bifrost appena prima che crollasse nel vuoto, lo ha cercato su Midgard quando l’ha portato via durante la prima cattura, l’ha cercato quando l’ha incarcerato definitivamente, e non importa quanto tutto sembri negarlo: Thor lo sa, che suo fratello è lì, da qualche parte, lo sente nel sangue e no, non importa che quel sangue non sia lo stesso che scorre nelle vene del principe ramingo di Jötunheim: Loki è suo fratello in infiniti modi che significano molto di più.
Loki è suo fratello perché Thor era lì, la volta che quel bambino bruno e pallido ha letto ad alta voce la sua prima parola, e lo sguardo gli brillava di un entusiasmo infantile e feroce che Thor non condivideva, ma che lo ha riempito di riflesso. E quando lui ha sollevato Mjölnir, il giorno in cui quell’arma è diventata sua, quando lui l’ha alzata da terra con il cuore in gola, per prima cosa, prima ancora di guardare suo padre, si è voltato istintivamente a cercare gli occhi e il sorriso di Loki. È suo fratello per le lacrime versate, per il sangue lavato dalle ferite dell’uno e dell’altro, per gli infiniti bisbigli notturni condivisi negli immensi corridoi del palazzo di Válaskjálf, quando invece di dormire nei loro letti vagavano ridacchiando da una sala all’altra finché il sonno li sorprendeva, sotto un tavolo trasformato in roccaforte dalla loro fantasia. È suo fratello perché Loki e Loki soltanto l’ha visto piangere da che è entrato nell’età adulta e Thor, e Thor soltanto, ha avuto nella vita il privilegio di assistere all’istante misterioso e spaventoso in cui Loki si è svegliato alla magia e per la prima volta è riuscito ad usarla – un attimo, una fiammella infuocata sulla punta delle dita e una risata, un’infinita risata di gioia e trionfo.
È suo fratello perché è a Loki che va la sua mente quando vorrebbe confidare a qualcuno le cose che prova quando pensa a Jane, e allora immagina che forse, un giorno, se in fortunato futuro troppo improbabile suo fratello concederà a se stesso di tornare a essere Loki, se s’innamorerà davvero, forse quel giorno penserà a Thor, in qualche reame lontano, e anche lui si sentirà incompleto a non poter condividere nemmeno un soffio di quelle emozioni. Perché non osa più sperare di riportarlo a casa – ed è un pensiero che sanguina. Perché Loki ora è ad Asgard, ma non è casa. Non lo sarà mai più.                                                                 
Loki è suo fratello perché lì, in quella stanza in cui sono soli, e nessuno li sta guardando, in cui non c’è niente tranne loro due e Thor avrebbe così tante cose da dire, così tante cose, dentro, soltanto a guardare Loki, così tanto da spiegare, da chiedere, da chiarire, gli viene in mente che l’unica cosa che conta è il silenzio. Perché lui e Loki hanno condiviso tante imprese e tanti mormorii, ma hanno trascorso anche infinito tempo senza l’esigenza di doversi dire nulla.
Allora fa l’unica cosa che per lui abbia un senso, adesso, al di là di tutto il risentimento reciproco, ed è avanzare di qualche passo nella cella e fermarsi per qualche secondo proprio accanto a dov’è seduto Loki, il ginocchio contro il bordo del suo giaciglio, pietra tutt’intorno, e poi senza dir nulla, senza neanche guardarlo, si siede proprio lì di fianco, il braccio che quasi sfiora quello di Loki al punto che neanche si capisce se quel contatto infimo sia reale o immaginario, e rimane lì. Guarda anche lui il muro e l’idea lo coglie che se suo fratello da tanto tempo fissa le pareti forse è arrivato il momento che le osservi anche lui, per cercare di capire cosa ci vede. Per condividere anche quelle.
Loki non si muove, ovviamente. Non si allontana, non si volta, non fa nulla. Ma a Thor non importa e rimane immobile ad ascoltare il silenzio, e ci sono dentro tutti i secoli della loro esistenza comune, è splendido e terribile, e dopo molti lunghi minuti azzarda il gesto di allungare il braccio, tendendo la mano con un’incertezza insolita per poggiarla a metà tra il suo stesso ginocchio e quello di Loki – il pollice appoggiato sul proprio, il mignolo su quello del fratello – e Loki continua a non muoversi, ma anche a non ritrarsi. Però forse Thor lo sente respirare più forte, forse, per un istante.
Pensa che va bene così, e se lo farà bastare, perché dentro quella carcassa silenziosa c’è suo fratello e lui se lo riprenderà, anche se fosse un mignolo alla volta.

 

 

 

 

   
 
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