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Autore: weitwegvonhier    06/09/2012    2 recensioni
Continuava a sfoggiare quel sorrisino a mezze labbra che, per qualche strano, stupido, irragionevole motivo, mi faceva andare fuori di testa, guardandomi divertito, in attesa della mia prossima stupida, imbarazzante mossa.
- In un caldo giorno d'agosto del 1998 una normale ragazza si scontra con uno sconosciuto per strada e....
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: David Desrosiers, Nuovo personaggio, Pierre Bouvier
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A.S. Lo so, lo so, dovete sopportarmi ancora (sempre che lo vogliate, ovvio). In realtà, con tutta questa voglia notturna che mi prende di scrivere (la notte porta ispirazione(?) ) ho pensato che invece di scrivere una decina di One Shot avrei potuto iniziare a scrivere una storia. Si, una di quelle con i capitoli. Haha Niente, questo è solo un capitolo, che, oltretutto, ho appena finito di scrivere (sono le 2:44) e, se mi fate sapere cosa ne pensate, deciderò cosa farne. Voglio dire, se lo leggete e vi piace, mi farà un immenso piacere, e se lo leggete e non vi piace, vi prego ditemelo pure, le critiche sono sempre ben accette! E nel caso eliminerò per sempre la storia da qui. *aria minacciosa con musichina di sottofondo*
Come sono tragica, e quanto ho parlato! Vi sto distraendo (?)
Seriamente, fatemi sapere se sia o meno il caso di continuare, dato che non sono molto brava nelle storie a lungo termine :)
Ora posto davvero il capitolo. Chiedo scusa per questa luuuuuuunga introduzione.


Montreal, August 1998
15.13

Passeggiavo sul marciapiede, immersa nella musica, con lo sguardo sui miei piedi che sembravano muoversi a tempo di batteria.
Pensavo a quanto schifo mi sentissi, a quanto ancora peggio mi sarei sentita, consapevole del fatto che tra poche settimane sarebbe iniziato l’ultimo, doloroso, straziante anno scolastico.
Una persona come me, poi, che non ha amici, che non riesce a legare con le persone neanche con tutta la buona volontà, a scuola è sempre quella strana.
Eppure io ci avevo provato ad essere normale, ad essere come loro. Avevo provato a vestirmi come loro, ad ascoltare la loro musica, a parlare come loro, ma quando mi guardavo allo specchio vedevo semplicemente un’altra ragazza, stupida, uguale al resto del mondo, che prendeva in giro quello che realmente era.
Cercavo di proteggermi con la musica, ma anno dopo anno, diventava sempre più difficile.
Andavo a letto la sera, cercando di convincere me stessa che il giorno dopo sarebbe stato diverso, che io sarei stata diversa.
Ogni giorno chiudevo gli occhi con le lacrime che bagnavano il cuscino.
Domani’ mi dicevo ‘domani andrà meglio’.
Ma domani non arrivava mai, e i domani continuavano a scavalcarsi e inciampare, e poi continuavano a passare, inesorabili. I giorni, dapprima. Poi i mesi, e gli anni.
Era sempre domani, non vivevo più per l’oggi, vivevo per la speranza che domani sarebbe arrivato e sarebbe stato diverso, migliore.
Pensavo, anzi no, era fermamente convinta che gli altri non riuscissero ad accettarmi perché c’era qualcosa in me che non andava. Ma che cosa poi?
Il mio errore era questo:io non riuscivo ad accettarmi, e questo faceva di me una degli altri. Io ero in prima fila ad urlarmi contro che non andavo bene, che ero sbagliata, a ridere di me.
Alzai il volume delle cuffie, cercando di far affogare i miei pensieri nella musica, di sopraffarli, di non sentirli più. Ma loro erano sempre lì, pronti a pungermi al mio primo momento di distrazione.
Arrabbiata, triste, delusa, disillusa, me la stavo prendendo con il mio povero walkman che, avendo ormai una certa quantità di anni sulle spalle, bloccandosi, non mi permetteva di cambiare canzone.
Sbraitando dentro di me e scuotendo quell’affare per aria, con il rischio di colpire qualcuno in pieno viso, andai a sbattere contro qualcosa.
Ahia!
Qualcuno.
Impietrita e imbarazzata non sapevo da dove iniziare per scusarmi e inizia a balbettare parole senza senso, senza neanche alzare il naso, o gli occhi, e vedere contro chi ero andata a sbattere.
-Sta più attenta a dove metti i piedi. E non agitare quel coso così, potresti fare male a qualcuno. Fortunatamente saresti comunque troppo bassa per arrivare alla mia testa.- Sentii un risolino compiaciuto dopo quest’ultima affermazione, così, senza badare a chi fosse, a cosa facesse o semplicemente al fatto che almeno un minimo aveva ragione iniziai ad urlargli contro agitandogli il walkman sotto il naso.
-Come prego? Io dovrei stare attenta a dove metto i piedi? Ti ricordo che anche tu mi sei venuto addosso, se davvero guardavi dove andavi, avresti potuto evitarmi e scansarti! E come ti permetti, poi, di giudicare la mia altezza in questo modo? Ma guarda che sbruffone!-
L’ultima frase avrei voluto pensarla, ma mi uscì fuori dalla bocca prima che potessi fermarla.
Mi guardava dall’alto in basso lui, con lo sguardo serio e un sorrisino stampato sulle labbra.
E che labbra.
-Ma no, che vado mai a pensare? Questo ragazzo è solo un pallone gonfiato, con degl’occhi color nocciola abbrustolitabellissimi, che se ne va in giro a fare il bullo con le persone più deboli di lui per sentirsi bene con se stesso e che infondo, nonostante abbia un corpo da favola e sia maledettamente alto, non è altro che un povero stupido senza cervello!-
Lo avevo pensato tanto intensamente che quasi mi sembrò di aver sentito la mia voce pronunciare quelle stesse parole.
-Color nocciola abbrustolita dici? Io avevo sempre pensato che fossero castani.-
Mi guardò divertito, non aggiungendo altro, sapendo che bastava quella frase a farmi rendere conto di…oddio! Lo avevo detto a voce alta!
Com’è possibile che io non abbia un briciolo di autocontrollo sul mio corpo?
Che cosa ho detto dopo? Ero così arrabbiata che non mi ricordo neanche che cosa ho detto, pensato o espresso.
E, come se non bastasse, mi ero talmente persa nei miei pensieri che non mi ero resa conto di aver iniziato a fissarlo.
Perfetto. Adesso è ufficiale, penserà che sono matta, e non avrebbe torto.
Continuava a sfoggiare quel sorrisino a mezze labbra che, per qualche strano, stupido, irragionevole motivo, mi faceva andare fuori di testa, guardandomi divertito, in attesa della mia prossima stupida, imbarazzante mossa.
Cos’era poi questa storia degl’occhi bellissimi, del sorriso bellissimo e del corpo da paura? Una volta riuscita a liberarmi di questo…essere, avrei dovuto darmi molte spiegazioni. Mai, in quasi diciannove anni di vita, avevo provato attrazione per un ragazzo, e adesso vado a sbattere contro un cretino per la strada, e lo trovo addirittura bellissimo? Ci doveva essere una sorta di pozione magica nell’aria e io dovevo senz’altro smettere di leggere libri di fantascienza.
Fermi, in mezzo al marciapiede, lui che mi guardava divertito e io che, nonostante mi fossi accorta, qualche minuto prima, di fissarlo, mi ero completamente dimenticata di spostare lo sguardo altrove.
-Devo essere davvero bello e interessante per meritare una tanto accurata attenzione.- Se ne uscì poi, notando che non davo segno di movimento.
-Bello forse, ma interessante proprio non direi.- Ed eccomi di nuovo al punto. Vi prego qualcuno mi dica in questo preciso istante che non ho appena ammesso che è bello, che l’ho solo pensato.
-Oh, beh, bello mi basta. Per ora.- Disse poi facendomi l’occhiolino e, finalmente, passandomi accanto e urtandomi una spalla. Cosa che, ci metterei almeno due dita sul fuoco, ha fatto volontariamente.
Respirai l’aria che aveva spostato con il suo corpo, e mi sorpresi a pensare quanto buono fosse il suo odore.
Un attimo però, quel per ora che cosa mai voleva stare a significare?
Per ora? Per ora cosa?
E’ stato semplicemente uno stupido incontro del crudele destino che si diverte a farmi scherzi, non ci saremmo visti mai più.
Rimasi immobile sul marciapiede anche dopo che lui se ne fu andato.
Non so che cosa mi stava prendendo, non riuscivo a capirlo, non mi ero mai sentita così.
Non mi accorsi di essere in mezzo al marciapiede, con lo sguardo perso nel vuoto finché un simpatico vecchietto non mi picchiettò sulla spalla chiedendomi –Hey, va tutto bene signorina?- al che mi risvegliai, e risposi che si, andava tutto bene.
Ripresi a camminare, stando bene attenta a dove mettevo i piedi e addosso a chi inciampavo, senza nascondere però a me stessa, quel piccolo, flebile desiderio, di rivederlo ancora.
Quell’incontro aveva lasciato qualcosa in me, che non sarei in grado di descrivere.
Mi accorsi solo in quel momento, che il cuore stava riprendendo il suo ritmo regolare.
Aveva iniziato a battere più forte prima. Perché?
Chi era quel ragazzo?
Perché nel momento in cui ripensavo a lui, mi nasceva un sorriso sulle labbra?
Che cosa mi stava succedendo?

   
 
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