Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: The bet_    06/09/2012    0 recensioni
‘’Ti amo.’’ Mi ripeteva sempre, ogni volta che le nostre labbra si staccavano per una breve pausa.
Dio se l’amavo, l’amavo più della mia vita, avrei dato tutto per lui.
‘’Non smettere mai di farlo Jason, promettimelo.’’
‘’Promesso.’’ Mi baciò con tutta la forza che aveva. ‘’Promesso Abbey, promesso.’’
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ero una ragazza normale, vivevo in una casa normale, in una città normale, con persone più che normali e avevo una vita straordinariamente normale, ma tanta normalità alla fine porta monotonia. Non mi ero mai riuscita ad adattare perfettamente alla vita che avevo, non mi sembrava adatta per me, non che io fossi speciale per qualcosa in particolare, ma sentivo di dover vivere in modo diverso, di dover cambiare, perché a quindici anni vivere in un contesto così tranquillo non fa bene, reprime i sogni, uccide lentamente la fantasia e massacra le ambizioni. Avevo sempre avuto tanti progetti, volevo diventare una giornalista di successo, essere famosa per qualcosa, sognavo che il mio nome un giorno fosse importante, anche se solo per poche persone, volevo lasciare la mia impronta, tutto qui. Continuavo a ripetermi che non appena avrei compiuto diciott’anni avrei cambiato città, mi sarei trasferita in una grande metropoli, caotica, dove ogni giorno vedi volti diversi e quasi ti sembra di respirare più aria, come se il cielo sulla tua testa improvvisamente fosse cresciuto. Amavo viaggiare, amavo vedere posti diversi, conoscere gente nuova, ma i miei genitori esseri estremamente sedentari per natura e non mi consentivano tali opportunità, ma le opportunità bisogna cercarsela.
Non mi arrendevo facilmente, tutt’ora sono molto caparbia, quando voglio qualcosa con tutta me stessa la devo ottenere a qualunque costo. Qualunque. Così, cercavo di eccellere nel mio piccolo, studiavo in modo frenetico, non dormivo la notte, sentivo che l’unico modo per coronare davvero i miei sogni era quello, sentivo che mi sarei dovuta distinguere dalla massa così, anche se solo nella piccola scuola che frequentavo, il mio nome sarebbe stato ricordato. Mi fu dato in svariate occasioni della secchiona, ma alla ‘secchiona’ in terzo superiore finalmente furono riconosciuti tutti i suoi sforzi. La notizia arrivò all’improvviso, era luglio e come ogni luglio della mia vita ero costretta a lavorare per il piccolo bar di famiglia, niente di eclatante, niente che fosse all’altezza della mie aspettative. Un giorno però, mentre frugavo nella posta, trovai una lettera con su scritto il mio nome, nessuno mi aveva mai scritto, così anche il semplice fatto che per la prima volta ci fosse della posta per me, era terribilmente eccitante. Aprii e lessi tutto d’un fiato, era la scuola che mi diceva che avrei potuto partecipare ad un viaggio organizzato solo per i più meritevoli, la destinazione era Londra ed io ero al primo posto nella graduatoria. Era la notizia che aspettavo da una vita, la svolta, il cambiamento, era la mia occasione. Londra, un sogno praticamente, le mani mi tremavano, l’adrenalina che nasceva dalla punta delle unghie dei piedi mi salì fino alle corde vocali e lanciai un urlo, un urlo di felicità. E sì, ero felice, per la prima volta dopo tanto tempo, ero felice.
 
 
L’aereo decollò e con lui decollarono tutti i miei pensieri, sognavo letteralmente ad occhi aperti, era come se mentalmente fossi già a Londra da quando avevo ricevuto quella lettera, era come se la mia vita improvvisamente fosse diventata entusiasmante. Mi resi conto di quanto avessi bisogno di quel viaggio quando mio padre andò a ritirare i biglietti per il volo, li presi in mano, quasi per accertarmi che fossero veri, sentivo le farfalle nello stomaco. Avrei visto Londra, io sarei stata a Londra.
Appoggiai la testa sullo schienale, volevo svuotarmi la testa da tutto, con la coda degli occhi guardai fuori dal finestrino, ero nel cielo, in aria, era una sensazione strepitosa, guardare le nuvole da così vicino era elettrizzante. La mia testa come sempre partì con una sfilza di fantasie, di pensieri che io non avevo deciso razionalmente di pensare, la mia testa faceva tutto da sola, neanche fossi pazza. Improvvisamente riaffiorò un’immagine, un ricordo, c’ero io, c’era il mio ex ragazzo, eravamo solo noi, stesi sul prato. Ricordavo perfettamente quel giorno, ogni volta che si faceva strada nella mia testa sentivo come un dolore, quasi mi facesse male il cuore e sentivo un vuoto, non nello stomaco, ma nella mia vita.
 
 
Flash back
‘’Dov’è che andiamo Jason?’ chiesi con voce eccitata. Avevo una benda sugli occhi e non avevo idea di dove ci trovassimo, sentivo odore di umido, così supposi fossimo in un bosco o qualcosa di simile. Quella mattina Jason mi aveva buttato giù dal letto all’alba e dopo aver guidato per ore, io ovviamente sempre bendata, eravamo finalmente giunti a destinazione, ma la curiosità mi stava mangiando viva.
‘’Ora posso togliere la benda?’’ insistetti, ma non mi rispose, era così paziente. Aveva sempre avuto pazienza con me, avevo un caratteraccio, ma lui era riuscito a sopportarlo per quasi un anno. Era il mio ragazzo da nove mesi precisamente, l’avevo conosciuto al bar dei miei genitori, era venuto a prendere un caffè e poi non si sa come eravamo finiti a ridere e a scherzare, come se ci conoscessimo da una vita. Non dimenticherò mai la sua espressione, aveva un sorriso così dolce, i suoi occhi azzurri mi fissavano ed io mi ci perdevo dentro, era come se riuscissi a vedere la sua anima, come se davvero mi potessi tuffare in quei frammenti d’oceano. Tra una risata e l’altra ci eravamo scambiati i numeri di telefono, poi eravamo usciti insieme e da lì non c’eravamo più divisi. Mai più. Jason era quattro anni più grande di me, ma non sembrava importargli troppo, era un ragazzo straordinariamente bello e la mia mente era costantemente attanagliata da complessi d’inferiorità dei quali mi dimenticavo solo quando le sue labbra e le mie si incontravano. Erano quelli gli attimi più belli, l’istante in cui stava per scattare il bacio, era in quel momento che capivo che ci appartenevamo, che in qualche modo, per quanto non credessi nel fato, eravamo destinati a stare insieme. A quell’epoca la parola per sempre non sembrava così grande, era perfino riduttiva per il tipo d’amore che stavamo vivendo, doveva esistere una parola più grande no? Qualcosa che esprimesse l’autenticità del nostro sentimento.
‘’Ora la puoi togliere.’’ Mi sussurrò all’orecchio con voce terribilmente sensuale mentre scioglieva il nodo della benda. Non appena sentii che quest’ultima cadde per terra, attesi un secondo e poi spalancai gli occhi. Quasi scoppiai in lacrime, eravamo in una radura, era primavera perciò c’erano fiori di ogni colore ovunque, il sole illuminava l’erba che era ancora umida e le gocce di pioggia rimaste scintillavano come minuscole pietre preziose, per terra la chitarra di Jason, mi girai per baciarlo, ma lui non era più dietro di me. Era andato a recuperare la sua chitarra e mi aveva invitato a sedermi vicino a lui. Iniziò a suonare, cantava parole bellissime, aveva scritto una canzone per me, per noi, ‘Oltre’, perché era un po’ il riassunto della nostra storia quella parola, racchiudeva un po’ quel che eravamo. ‘Oltre il per sempre io ti porterò, con la tua mano paura non avrò, questo cielo non è un confine, noi andremo oltre, fino alla fine’. Non gli lasciai terminare la canzone, non riuscivo più a resistere, dovevo baciarlo, così mi gettai letteralmente tra le sue braccia e finalmente ci baciammo, ci baciammo per istanti che parevano eternità, avrei voluto fermare il tempo a quel momento, perché mai nessuno mi avrebbe resa più felice di così.
‘’Ti amo.’’ Mi ripeteva sempre, ogni volta che le nostre labbra si staccavano per una breve pausa.
Dio se l’amavo, l’amavo più della mia vita, avrei dato tutto per lui.
‘’Non smettere mai di farlo Jason, promettimelo.’’
‘’Promesso.’’ Mi baciò con tutta la forza che aveva. ‘’Promesso Abbey, promesso.’’
 
 
 
Aprii gli occhi, una lacrima mi rigò la guancia, l’asciugai immediatamente, non volevo che nessuno mi vedesse piangere, odiavo mostrarmi debole, dovevo essere forte, almeno agli occhi degli altri.
Accanto a me sedeva una ragazza timida e silenziosa che non aveva spiaccicato parola per tutto il viaggio, anche lei era rientrata in graduatoria e aveva vinto il viaggio, ma non sembrava essere entusiasta come me.
‘’Piacere, io sono Abbey.’’ Dissi prendendo l’iniziativa, il viaggio era ancora lungo e se non avessi trovato una buona distrazione, la mia testa sarebbe andata a racimolare chissà quale altro doloroso ricordo.
La ragazza mi guardò spalancando gli occhioni verdi, come se fosse sorpresa che qualcuno le rivolgesse la parola. Tentennò qualche secondo, ma alla fine rispose.
‘’Piacere Abbey, mi chiamo Clara.’’ Aveva una voce sottile, era quasi difficile udirla.
‘’Sei già stata a Londra Clara?’’ tentai di instaurare un discorso, anche se dovevo alzare un po’ il tono di voce dal momento che dietro di noi due vocine acute non facevano altro che parlare e ridere come cornacchie da quando l’aereo era decollato.
‘’Sì, una volta quando ero piccola. Tu invece?’’
Io invece?
‘’Mai, né a Londra né in nessun altro luogo.’’ Risposi in tono sarcastico facendo una smorfia.
La ragazza accennò un sorriso, ma poi ritornò a guardare dritta davanti a sé facendomi intuire che il discorso era concluso, quasi avesse paura di parlare. Ma io non mi diedi per vinta.
‘’Hai già una compagna di stanza?’’ non appena formulai la domanda mi resi conto di che terribile errore avessi commesso, se mi avesse detto di no, sarebbe toccato a me beccarmela, e una ragazza così silenziosa non era assolutamente compatibile con il mio carattere esuberante.
‘’No!’’
Okay, le possibilità erano due, ritornare a chiudere gli occhi e farmi massacrare dai ricordi o prendere la dolce Clara come compagna di letto e, per quanto terribile potesse sembrare la seconda opzione la prima era assolutamente inaccettabile.
‘’Ti andrebbe di stare in stanza con me?’’ chiesi fingendo entusiasmo e aprendo la bocca in un sorriso a trentadue denti.
‘’Tu… Sì, va bene!’’ rispose quasi sollevata e anche un tantino sorpresa, probabilmente le sue aspettative erano quelle di rimanere in una camera singola. Pensai a cosa diavolo le potesse essere successo, una ragazza così carina come lei non aveva motivo di essere così bloccata nel relazionarsi con le altre persone.
‘’Sei molto timida, vero?’’ tentai di far prendere al discorso un’altra piega, magari in questo modo si sarebbe aperta un po’. Ma il volto di Clare divenne all’improvviso paonazzo e il suo sguardo si allontanò dal mio.
‘’Sì, sono abbastanza introversa.’’ Chiarì lei.
Ci doveva essere qualche argomento che la facesse smuovere un po’, che le rendesse almeno un minimo partecipe al discorso.
‘’Che musica ascolti?’’ tentai, in genere quel tipo di ragazze si rifugiava nella musica, l’unica alla quale non bisognava necessariamente dare una risposta.
Domanda azzeccata, Clare si voltò di scatto e i suoi occhi s’illuminarono.
‘’Oh, io amo letteralmente un gruppo americano, i Green Day!’’ rispose lei, per la prima volta riuscii a sentire le sfumature della sua voce che fino al momento prima sembrava un leggero sussurro.
Anch’io amavo i Green Day, non ero una loro fan sfegatata, ma apprezzavo la musica che facevano, così insistetti con l’argomento certa che fosse l’unico nel quale Clara si sarebbe aperta completamente.
‘’Davvero? Anch’io li trovo fantastici. La canzone che amo di più è Boulevard of broken dreams, la ascolterei tutti i giorni!’’
‘’Oh, io quella l’ho sentita dal vivo e ti garantisco che è ancora meglio!’’
‘’TU SEI ANDATA A UN CONCERTO DEI GREEN DAY?’’ la mia voce era sovente all’urlo.
‘’Certo, quando sono andata a Los Angeles!’’
E così la dolce ed innocente Clara era stata a Los Angeles ad un concerto rock. Sì, ma perché proprio a Los Angel? Repressi le voci nella mia testa che urlavano ‘Jason,jason,jason’ e ogni volta che veniva ripetuto in suo nome era come se una piccola lama tagliente mi trafiggesse il corpo.
‘’ Com’è stato? Voglio i dettagli.’’ Esclamai.
‘’Beh, ad aprire il concerto è stato un cantante emergente che ha ricevuto tantissimi applausi, mi pare si chiamasse Jason, sì, Jason qualcosa…’’
Mi persi in questa sua prima frase. Avevo sentito bene? Lei aveva visto Jason, il mio Jason. Avevamo rotto perché lui aveva inviato le sue tracce ad un’agenzia discografica di Los Angeles e l’avevano subito contattato per andarsi a trasferire lì, incidere il disco e partecipare ad una serie di eventi. Ovviamente io all’epoca fui entusiasta per lui, non potevo far altrimenti, ma il fatto che lui ed io fossimo divisi da un intero oceano mi distruggeva letteralmente. Avevamo deciso di rimanere insieme, lui continuava a ripetere che se stava coronando il suo sogno era solo grazie a me, perché ero io la sua musa ispiratrice, solo grazie a me era riuscito a scrivere un intero cd. Poi però passavano i mesi e le telefonate erano sempre più brevi, sempre più fredde e distaccate, così finii con il non rispondere neanche più, sentire la sua voce così distante, non solo fisicamente, mi faceva piangere ogni volta e così decisi che era ora di darci un taglio, di voltare pagina anche se dopo di lui sembrava attendermi nient’altro che il nulla più totale. Perché c’era Jason ovunque, era lui la costante del mio libro e per quanto potessi continuare a voltare pagina ogni volta il suo nome si ripresentava, come se non ci fosse altra alternativa, nella mia vita ci doveva essere lui, lui e basta. Tuttavia dopo centinaia di telefonate alle quali non ricevette mai risposta, centinaia di sms cancellati senza neanche essere letti, addirittura lettere e cartoline che furono cestinate anche Jason sembrò essersi messo l’anima in pace. E questo fu anche peggio, l’avevo perso, l’avevo perso per sempre, ora sì che la parola per sempre sembrava incredibilmente gigante.
‘’… Così Billy Joe Armstrong aveva iniziato un interminabile discorso su quanto fosse grandioso il suo pubblico, tra cui c’ero io e…’’ si voltò per cercare il mio sguardo, ma i miei occhi erano molto lontani, erano oltre oceano.
‘’Ehi Abbie mi stai ascoltando?’’ domandò con voce petulante.
Sbattei le palpebre cercando di concentrarmi sulla strana ragazza che avevo di fronte, ma proprio mi sembrava impossibile darle retta.
‘’Abbie?’’ insistette. Diamine, era la stessa ragazzina alla quale un secondo prima dovevi estorcere la parola dalla bocca?
‘’Sì Clara, davvero emozionante!’’ accennai un sorriso, nonostante non fossi mai stata brava a fingere.
‘’Tu invece? Che musica ascolti?’’
Proprio non voleva stare zitta. La sua voce divenne persino irritante.
‘’Un po’ di tutto, mi piace la musica in generale.’’ Risposi in tono glaciale.
‘’Oh sì, la musica è l’unica cosa che riesce a rendermi felice.’’ Disse trasognante, probabilmente anche lei pensava a qualcosa in particolare, ma al momento non ero disposta a chiederle nient’altro né a rispondere a nessun’altra domanda, così lasciai cadere il discorso. Infilai le cuffie alle orecchie chiaro segnale che dichiarava terminato il momento delle chiacchere, chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare da quella dolce melodia.
‘’Oltre il per sempre io ti porterò, con la tua mano paura non avrò, questo cielo non è un confine, noi andremo oltre fino alla fine’’.
La calda voce di Jason l’unica cura per tutte le mie ferite.
 
 
 Londra era caotica, proprio come la immaginavo, c’era gente ovunque, volti diversi da tutte le parti, persone di cui ignoravo tutto, nome, lavoro, età, e questa cosa era terribilmente eccitante.
Clare era accanto a me che correva da un negozio all’altro, in mano aveva già dieci buste, ma a quanto pareva oltre alla musica, amava anche lo shopping, anzi io direi che ne era malata. Era tutta la mattina che mi sballottolava avanti e indietro per Londra, io volevo vedere i monumenti, il Big Bang, la casa reale e tutto ciò che c’era da visitare, ma lei si ostinava a trascinarmi in tutti i negozi che si presentavano sulla nostra strada e usciva da ogni maledetto negozio con almeno due buste in mano.
‘’Oh Abbie, guarda quel negozio! Lì ci devo entrare per forza, vieni a consigliarmi!’’ era la frase che aveva usato centinaia di volte per tutto il giorno, come se ogni vetrina contenesse qualcosa di indispensabile per la sua esistenza. Della Clara che avevo conosciuto in aereo non era rimasta neanche l’ombra.
‘’E no eh! Qui ci entri da sola, tanto qualunque cosa io ti dica compri comunque tutto ciò che provi’’ sbottai.
Clara non sembrò essere troppo turbata e si diresse verso l’ingresso del negozio con la stessa felicità di una bambina che vede una caramella.
Io invece mi sedetti su una panchina, mi guardai intorno, tutti quei negozi, tutto quel caos, quei clacson, persone che camminavano freneticamente, quello era il posto per me, ero fatta per vivere nella magica Londra, possedeva tutto ciò che io avevo sempre sognato. Il mio sguardo si posò su un volantino a terra, riconobbi un volto fin troppo familiare, lo raccolsi e strinsi quel foglio di carta tra le mie mani tremanti. Il cuore cessò di battere per una frazione di secondo. Era Jason. Non esitai e lessi tutto d’un fiato, Jason avrebbe fatto un concerto a Londra il… il GIORNO SEGUENTE. Era davvero un segno del destino o semplicemente una fortuita coincidenza? Tuttavia io dovevo approfittare di quell’opportunità, avevo bisogno di vederlo, anche solo di guardarlo da lontano, di sentire la sua voce, di incrociare il suo sguardo. Dio, desideravo stringerlo a me e non lasciarlo mai più, lo volevo piò di qualunque cosa altra al mondo. Per sempre, l’aveva promesso.
 
 
C’erano migliaia di ragazzine che urlavano il suo nome, lo acclamavano come se fosse una famosa star di Hollywood. Io, ovviamente ero rimasta in silenzio, in disparte, sentire il suo nome non era salutare da momento che già mi tremavano le gambe dall’emozione. L’avrei rivisto, dopo un fottutissimo anno avrei rivisto l’unica persona che desideravo di vedere. Il punto era: lui avrebbe visto me? Lui, avrebbe desiderato rivedermi quanto lo desideravo io?
L’avrei scoperto presto. Jason uscì finalmente sul palco, tremavo tutta, non riuscivo neanche a parlare, io che tanto amavo stare in mezzo alla gente desideravo stare sola, sola con lui. Solo noi, il resto non contava. Ero determinata a riprendermelo, dopo aver superato lo shock iniziale sentivo il desiderio di salire su quel maledetto palco, stringere Jason e non lasciarlo andare via mai più. E quando io volevo qualcosa la ottenevo, costi quel che costi. Dovevo andare dietro le quinte, era una questione di vita o di morte. Clara conosceva il bodyguard, che alla fine dopo un po’ di storie aveva detto che avrebbe lasciato passare solo una di noi ed ovviamente ero io. Entrai nel backstage e mi sedetti su un divanetto, non sapevo cosa aspettarmi, non riuscivo ad immaginare neanche lontanamente la reazione che Jason avrebbe avuto, sarebbe stato contento, senza dubbio anche lui non aspettava altro che vedermi. Qualche metro davanti a me c’erano tre ragazze, probabilmente tre fortunate fan di Jason che erano riuscite ad ottenere il pass, erano tutte e tre molto alte, una era bionda e le altre due castane, parlavano incessantemente tra di loro. Avrei voluto origliare, ma la mia attenzione era troppo scarsa in quel momento per poter concentrarsi su qualcosa. Sentii la voce di Jason che salutava le sue fan, eccoci, c’eravamo, era arrivato il fatidico momento, avrebbe varcato quella soglia, mi avrebbe visto e finalmente dopo trecentosessantacinque giorni avrei potuto sentire nuovamente le sue labbra sulle mie, la sua pelle contro la mia, il suo profumo mischiato al mio.
La porta si aprì, il profumo di Jason invase la stanza, il suo sguardo era diretto alle tre fan che sorridevano eccitate. Lo guardai, aspettavo che anche lui si accorgesse della mia presenza, volevo urlargli contro quanto lo amavo ancora. Ma proprio davanti ai mei occhi la biondina dalle gambe lunghe corse tra le braccia di Jason e lui la baciò, si scambiarono un interminabile bacio, durante il quale ogni secondo era una lama che trafiggeva il mio cuore. Le lacrime scesero irrefrenabilmente, non sentivo più nulla, tutti i rumori, le sensazioni, sembravano distanti, come se non mi riguardassero. Guardavo dritto verso Jason, la sua espressione era la stessa di quando baciava me, questa cosa era la più terribile da accettare. Lui mi aveva sostituita, io ero diventata roba vecchia, lui era riuscito a voltare pagina e non aveva più trovato il mio nome, era andato avanti. Era andato avanti senza di me. Aveva infranto la sua promessa, onesta, ma troppo grossa per essere mantenuta. In quel momento capii cosa significasse piangere davvero, come ci si sentisse vuoti quando si perde qualcuno di veramente importante, sentivo che la mia vita non aveva più un senso. Davanti a me il ragazzo della mia vita, l’unica certezza che avevo sempre avuto, stava baciando una perfetta sconosciuta proprio sotto i miei occhi. Era come se mi trovassi in uno di quei stupidi film sentimentali, e io fossi la protagonista imbecille che si ostina a credere nell’amore rimanendo ogni volta fregato. Ma la verità è che l’amore fa schifo, e sì, l’amore fa schifo.


LA VERITA' E' CHE L'AMORE FA MALE, FA SOFFRIRE, LA VERITA' E' CHE L'AMORE FA SCHIFO .






Ragazze questa è la mia prima OS, perciò recensite, criticate, fate tutto ciò che volete, così almeno potrò migliorare :')

Tank you all.

 
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: The bet_