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Autore: LucyFire    06/09/2012    1 recensioni
Buongiorno. Sono Veronica.
Non vi scrivo perché ho voglia di sbandierare la mia vita ai quattro venti, né per raccontare di un amore adolescenziale con la sfigata della scuola che si innamora del figo di turno e che questo (bibbi bobbidi bù!) ricambia dopo neanche mezzo dialogo.
No, miei cari lettori.
Qui non centra la scuola, la popolarità o altre robe simili. Anche perché adesso siamo in estate, a giugno, in un paesino sperduto lungo la costa del nord Italia, con una casa sulla spiaggia.
Non si incontreranno due anime gemelle, in quel caso sarebbe troppo scontato.
Due vite stanno per incrociarsi e cambiarsi reciprocamente.
Siete pronti per l’avventura?
[INCOMPLETA]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO 3:

 

NOMIGNOLI ORRIBILI

 

 

Paura.

Paura ad aprire l’armadio. Non la solita tipo film horror “mi ritrovo un assassino dentro” alla Scream 4. No, paura a scoprire quello che mia mamma ci poteva aver ficcato dentro: una paura più che legittima, visto la persona che era mia mamma.

Seguendo un suo pensiero superficiale, sapevo che aveva battuto a tutto spiano il nostro nuovo paese per cercare qualcosa che “aiutasse la sua bambina a fare amicizie”, ma quanto avesse trasformato il mio guardaroba non lo sapevo.

Avevo paura di non trovare più la mia bellissima felpa grigia e verde comprata l’anno prima, di non poter mettere più quella maglietta blu che mi avevano regalato Anna e Claudia lo scorso compleanno.

Avevo paura perché aprendolo rendevo tutto reale.

Avevo paura perché aprirlo sarebbe voluto dire piombare nella realtà, iniziando a capire quanto veramente mi ero estraniata dal mondo nell’ultimo mese, quando avevo tagliato i ponti con le ormai vecchie amicizie, facendo finta che non fossero mai esistite.

Ma non potevo mentire a me stessa. Il passato è il passato e pian piano finisce nel dimenticatoio.

Forse, se mi concentravo a sufficienza, poteva anche aiutarmi l’apertura dell’armadio, che sarebbe coinciso con l’apertura della mente.

Ero lì davanti a fissare quelle ante di legno scuro, quando con un sospiro le aprii di scatto, chiudendo gli occhi.

 

Ho paura di vedere dei vestiti.

 

Se me lo avesse chiesto chiunque neanche tre mesi prima, gli avrei riso in faccia.

Strano come cambiava la vita.

 

Ma cosa vuoi che siano? Sono pezzi di stoffa, non sono i tuoi ricordi. Quelli ti rimarranno, non li potrai buttare via, qualunque cosa fai.

 

Già. Li riaprii e lo spettacolo che mi ritrovai davanti fu devastante per i miei occhi. Cera luccicante in ogni angolo e magliette che avrebbero fatto invidia a un catarifrangente. T-shirt di voga quellanno e pantaloni attillati.

Almeno in quello ci aveva fatto centro.

Raccattai il meno peggio e, dopo una veloce vista allo specchio, mi ritenni sufficientemente presentabile.

Maglietta nera abbastanza carina, con una scritta di quelle sceme che vanno tanto di moda: Sono simpatica, non posso essere anche figa!

Giuro, non capisco cosa ci sia di bello.

Pantaloncini bianchi come la frase e capelli sciolti e dritti di natura. Lunghi un popiù giù delle spalle e di un bel castano scuro.

Quanto mi avevano invidiato le mie amiche al liceo, per averceli sempre così come appena piastrati, ma soprattutto quanto mi vantavo io!

Quasi li rimpiangevo quei tempi, quando ancora mi interessavano quelle cose, quando ancora ero una ragazza normale con problemi normali.

Ultimo momento di panico per limminente festa, scarpe e via.

Non dovevo fermarmi tanto lì. Laccordo con Sara era che ci andassi, non che ci rimanessi.

Avrei fatto trascorrere una mezz’oretta leggendo un libro e sarei ritornata a casa di corsa.

Semplice e indolore.

 

 

 

 

Appena arrivata vidi dove si concentrava maggiormente la folla. Un bel gruppo di ragazzidi sesso prevalentemente maschileera davanti a un piccolo palco dove una band stava cercando di cantare musica rock, fallendo penosamente.

Quello più grande però, era davanti al campo da beach volley. Ovviamente era tutto al femminile, quindi si poteva benissimo capire chi stesse giocando.

Fustacchioni sudati e bellissimi che facevano morire di crepacuore una di quelle ragazze solo facendole l’occhiolino.

Che schifezza. Tutta quella smielosità gratuita non faceva per me.

Mi rifugiai in un angolino, lontana da tutti e a due passi dal mare, con i piedi in acqua. nessuno mi avrebbe disturbata e avrei potuto trascorrere la mia mezzoretta in santa pace.

Tirato fuori il libro dalla borsa mi fiondai sulla lettura di un libro di Nicholas Sparks, il mio autore preferito, mentre con il dito facevo disegni distratti sulla sabbia.

La cosa più bella dei suoi romanzi era l’amore infinito che ragazzi di ogni tipo finivano per provare. Qualsiasi cosa facessero, qualunque destino avrebbero avuto, non avrebbero mai smesso di amare l’altro.

Guerra, perdita della memoria, genitori contro, malattie. Niente.

Tutto ciò aveva un che di fiabesco, innaturale.

Era quasi impossibile credere che una cosa così possa succedere nella realtà.

Coppie che si amano? Un’infinità.

Coppie che si amano in quel modo? Potrei rispondere solo in un modo:Ahahah.

Eppure, una parte di me non faceva che sperare di poter avere una fortuna simile.

Il solo pensare che potesse davvero esistere un affetto tale mi faceva rabbrividire. Forse ero ancora alla ricerca del mio principe azzurro, che miracolosamente mi sarebbe piombato davanti quando meno me lo sarei aspettato.

Ed eccola lì, l’altra parte di me, quella pessimista.

Ero combattuta con due miei caratteri.

L’ottimista, quella che ha ancora speranza, quella che ci crede, quella che ancora sogna ad occhi aperti.

L’altra era totalmente il contrario. E non è difficile capire quale prendeva il controllo ultimamente.

Girai pagina.

 

[]

«Oh, Noah», dice con le lacrime agli occhi, «anchio ti amo.»

Se solo potesse finire così, sarei un uomo felice.

Ma non accadrà, ne sono sicuro, poiché mentre i minuti scivolano via comincio a leggere segni di angoscia sul suo viso.

«Qualcosa non va?» chiedo, e la sua risposta giunge in un sussurro.

«Ho tanta paura. Ho paura di dimenticarti di nuovo. Non è giusto… Non posso sopportare di rinunciare a questo.»

E’ qui che fallisco. Cerco di rassicurarla.

«Non ti lascerò mai. Siamo insieme per sempre.»

[]

 

«Ehi, ragazza senza nome!» ero così presa dalla lettura del libro che sobbalzai quando mi parlò da dietro le spalle.

«Ehi, il ragazzo cecchino!» risposi sarcastica.

Era la mia miglior tattica: io rispondevo male, loro se ne andavano, io avrei continuato a fare le mie cose indisturbata.

Ridacchiò piano.

«Ho già chiesto scusa, se non sbaglio» ironico al punto giusto.

«Ne sono consapevole. Peccato che quella parola non faccia tornare indietro nel tempo e cancellare le azioni»

Per me il discorso era già chiuso. Riaprii il libro e ripresi a leggere.

Per tutta risposta lui si mise più comodo: si distese supino, affiancandomi, e mise le mani dietro la testa. Sentivo ancora il suo sguardo addosso, che non accennava a togliersi, pungermi le spalle dall'intensità.

Sospirai. Già, quei meravigliosi occhi verdi.

«Se non ti era chiaro il concetto – cosa di cui dubito –, non ti voglio qui»

Ero troppo cattiva, ne ero consapevole, ma non potevo evitare di comportarmi così: volevo che se ne andasse in fretta.

Forse, si, mi faceva un po' paura parlare con qualcuno che non conoscevo. «L'avevo capito» rispose sarcastico «Non mi sembra che il tuo atteggiamento tradisca per me un amore smisurato»

Sorrisi. In fondo il tipo ci sapeva fare con il sarcasmo. Era bravo quasi quanto me, lo dovevo ammettere.

«Allora perché non ti alzi e mi lasci in pace?»

«Perché non mi va»

«La mia era una domanda retorica» rispondo acida.

«L'avevo capito»

Persona più propensa a un dialogo non l'avevo mai vista.

 

Bene. E perché caz...

 

Presi un bel respiro. Non ero mai stata una ragazza sboccata, sempre pronta a parole pesanti e non avrei dovuto neanche iniziare ad esserlo.

Magari se iniziavo a ignorarlo se ne andava...

 

[]

Il sole è tramontato da un pezzo e il ladro sta per insinuarsi tra noi e

io non riuscirò a fermarlo. Così la fisso e aspetto in

quegli ultimi secondi che sembrano un'eternità.

Nulla.

Il ticchettio dell'orologio.

Nulla.

La prendo tra le braccia e si stringe a me.

Nulla.

La sento tremare e sussurro al suo orecchio.

Nulla.

Per l'ultima volta quella sera le dico che l'amo.

E il ladro arriva.

[]

 

Avevo sbagliato libro. Non dovevo portare “Le pagine della nostra vita”, perché per me era il più triste fra tutti i romanzi di Sparks, nella sua bellezza.

L'avrò letto un centinaio di volte, fino a sapere a memoria alcune battute dei personaggi e ogni volta nel finale mi sortiva sempre lo stesso effetto.

Sentivo gli occhi arrossarsi e inumidirsi. Con un enorme sforzo di volontà ricacciai indietro le lacrime, ma non riuscii ad evitare un singhiozzo.

«Che fai? Piangi?» mi chiese. Non riuscivo a capire se nella sua voce quello che sento è disprezzo o preoccupazione.

«Ho il raffreddore, idiota!» ma la mia voce mi tradì.

Leggere quel libro in sua presenza: allora era vero che ero masochista!

Una lacrima sfuggì al mio controllo, ma con un gesto di stizza la ripresi subito.

Mi toccò la spalla.

«Che vuoi?» praticamente gli ruggii contro.

«Vorrei scusarmi per l'altro giorno»

Ecco, ci risiamo.

«L'hai già detto e io ti ho già risposto» ma mi ignorò completamente.

«Posso offrirti un gelato, qualcosa da bere... Un fazzoletto?»

Ok, adesso mi stava prendendo in giro. Mi girai, pronta a rispondergli a suon di sberle.

«Senti, lo capisco, veramente!: tu vuoi farmi un favore dopo l'altro giorno. Non ho niente da ridire, apprezzo il pensiero, ma rifiuto. Non mi serve niente! Chiaro?»

Speravo di essere stata il più convincente possibile; ero stata anche diplomatica: niente contatti fisici tra la mia mano e la sua faccia.

Non mi sembrava così difficile, non volevo ricevere favori da nessuno. Tutto nel mio comportamento urlava “solitaria”.

Diavolo!, ero io che a una festa si era messa a leggere!

Fece un sorrisino arrogante, che stonava con la dolcezza che era nei suoi occhi, la stessa che avevo visto appena mi ero risvegliata fra le sue braccia due giorni prima.

Indossava una canottiera leggera bianca, con un paio di pantaloncini jeans. Capelli di un biondo chiaro – sembravano quasi gialli – e quegli occhi tanto teneri e di un verde fuori dal comune. Tutto in lui urlava “sono figo, saltami addosso”, persino quell'espressione che aveva indossato.

Un secondo di mancata lucidità a causa dei miei ormoni impazziti e ripresi fiato.

Ero rimasta troppo fuori da il giro nell'ultimo periodo: non mi si poteva presentare così davanti un bel ragazzo senza pensare che sono una... Ragazza.

Mi ignorò totalmente per la seconda volta.

«Magari ti faccio conoscere qualcuno...» mi chiese indirettamente, ovviamente pensando che non avessi uno straccio di vita sociale.

In effetti però era vero... Ops.

«E chi ti dice che non abbia amici?» rimbeccai.

Alzò un sopracciglio «Se per amici intendi il club del libro, non ho nulla da ridire»

Si stampò in faccia un bel ghigno, sicuro di avermi distrutta l'autostima.

Chiusi gli occhi per calmarmi respirando l'odore del mare.

«Grazie» perché anche a me sembrava che non fossi minimamente convincente? «Ma preferisco trovarmeli da sola gli amici» calcai l'ultima parola, facendogli capire indirettamente che lui non ci avrebbe mai fatto parte.

Mugugnò un “uh-uh” come risposta.

Guardai l'orologio, accorgendomi che avevo ritardato di un po' sulla tabella di marcia.

Raccolsi le mie cose nel giro di due secondi e lo salutai velocemente borbottando un “ciao”, ma Luca richiamò la mia attenzione.

«Ehi, dove credi di andare?»

«A drogarmi in qualche vicolo buio, così poi posso essere assalita da qualche serial killer»

Sarcasmo, l'ancora di salvezza nella mia vita.

«E io che non ti facevo ragazza da cose da bad girl»

«Infatti stavo scherzando, idiota» gli rimbeccai, infastidita dalle sue continue frecciatine.

«Ehi, frena i complimenti tigre. Io ti sto solo proponendo una serata alternativa alla tua routine!» si difese, usando odiosi nomignoli.

Socchiusi appena gli occhi, infastidita.

Cavoli, avrei potuto farci una lista con le cose che mi infastidivano al momento e avrebbe fato invidia ai Promessi Sposi.

«E dimmi, quale sarebbe la mia routine, secondo te?» finse di pensare, mettendo la mano sotto il mento.

«Direi... Leggere, libri, niente alcol, casa, chiesa direi...»

«Ma come ti permetti? Ho amici anche io, e se voglio posso bere quanto te!»

Con i miei urli avevo raggiunto l'ottava dei pipistrelli, ma non si scompose minimamente, neanche davanti alla vista della mano che avevo agitato in preda al nervosismo agitandogliela contro.

Quanto mi prudevano le mani dalla voglia che avevo di fargli male. Non mi era mai capitato così tanto, prima. Io, che ero sempre stata una ragazza tranquilla e diplomatica.

«Allora facciamo che domani ti sfido...» sorrise malizioso.

«Sfido?» gli feci eco. Mi aveva lasciata basita, totalmente.

Solitamente quando si urla davanti a una persona come avevo fatto io, quella si alza e risponde. Ma lui non lo aveva fatto, anzi la sua calma aveva un che di impressionante.

Era ancora là disteso che mi fissava, nella piena tranquillità, mentre io avevo perso la pazienza al minimo accenno di insulto.

«Bevute. Tu hai detto che riusciresti a bere quanto me, e io ti sfido» un ghigno gli tagliò quel viso che fino a pochi attimi mi era sembrato tanto dolce.

In effetti a dire quelle cose avevo fatto un salto nel vuoto, ma cosa potevo dire? Che stavo scherzando? Ci avrei rimesso la faccia.

No, dovevo accettare.

«Ok, quando?» per un attimo restò lui lo spiazzato.

Dentro di me stavo ridendo: finalmente avevo scalfito quell'indifferente calma che si sforzava di provare!

«Come siamo impaziente, tigre» ancora quel maledetto nomignolo «Che ne dici se facciamo subito?»

L'aria mi mancò all'improvviso e impallidii. No, subito no. Non potevo mettermi a ubriacarmi come se niente fosse in una cittadina in cui mi perdevo anche da sobria!

«Oppure» ghignò di fronte alla mia espressione terrorizzata «puoi già darmi la vittoria e te ne vai a casa a finire il tuo bel libro»

 

Ma che brutto pezzo di me...

 

«No, va benissimo. Dove?» sorrisi io, anche se era più una smorfia a dirla tutta. Magari avrei potuto chiedere al barista di versarmi acqua o coca cola al posto di alcolici.

 

Si, Veronica. E io sono Monna Lisa.

 

Ma taci coscienza pessimista. Non mi aiuti per niente!

 

Si tirò su, e dopo avermi riservato una lunga occhiata penetrante, sorrise tristemente, passandosi una mano sul viso. Forse era stanco, doveva aver giocato molto prima, a sentire l'intensità degli schiamazzi delle ragazze dal campo di beach volley.

«Ok, va bene. Hai vinto tu... Ti ho trattato male, ma sei stata tu a istigarmi!»

Eh? Avete un dizionario Luchese – italiano?

Prima mi dava delle ragazza casa-famiglia-chiesa, poi mi sfidava a gara di bevute, poi quando avevo finalmente acconsentito, si ritirava e mi chiedeva scusa? Se si potevano chiamare scuse, poi. Alla fine mi aveva dato tutta la colpa.

«Cosa avrei fatto io?» gli ringhiai contro. Non poteva chiedermi di rimanere buona in silenzio, no.

«Appena mi hai visto hai iniziato a fare la stronzetta verginella, scusa se mi sono incazzato!»

No, veramente. Non riuscivo a capire cosa intendesse.

«Scusa?» gli richiesi, magari così poteva darmi una risposta quantomeno decente.

«Io ho cercato di scusarmi per l'altro giorno, ma tu ti metti a fare la verginella di ferro, che appena le dici qualcosa si mette a fare casini e dire cose assurde!»

Ma che cosa aveva per la testa quel ragazzo? Davvero, non riuscivo a capirlo.

Alla fine sbottai anche io, di fronte alla sua arroganza.

«Ma lasciami in pace! Le tue scuse le ho già accettate e non mi sembra di essere così smaniosa di parlarti! Ma vattene da qualche ragazza che non sia una verginella di ferro! Dico sul serio, lasciami in pace!»

«Cosa? No no, scusa. Scusa scusa scusa...» cercò di fermarmi mentre camminavo verso casa.

«Mi offendi e poi mi chiedi scusa? Ma che hai in testa?»

Mentre gli avrei voluto dire: “vattene via brutto st...”. Stavo diventando piena di brutte parole negli ultimi giorni.

«Ok, lo so. Cerco di essere più carino adesso. Tu lascia che ti offra qualcosa, così non mi sento più in colpa. Va bene?»

Che senso aveva che gli rispondessi “apprezzo il gesto, ma no”? Glielo avevo detto troppe volte e lui aveva continuato a chiedermelo, ignorandomi totalmente.

Tanto valeva che accettassi e mi facessi regalare un oggetto inutile per poi tornarmene a casa.

Sospirai.

Se seguendolo contro la mia volontà lo potevo far stare zitto, lo avrei rincorso in capo al mondo, di questo ero certa.

Finalmente mi decisi, facendo evaporare tutta la mia aria da incazzata, almeno teoricamente.

«Ok. Vediamo cosa puoi fare per scusarti»

Mi rivolse un sorriso di cui non potevo negare l'autenticità, facendo brillare gli occhi che se possibile divennero ancora più belli.

«Un bacio?» ma si può essere più scemi?

«Una sberla?» gli risposi in modo da farlo sentire un idiota.

Ci pensò su qualche secondo.

«Va bene, tigre. Vedrò cosa posso fare»

 

 

 

 

 

Che lungooooo :)

Ho scritto veramente tanto oggi, mi faccio i complimenti da sola!

Clap clap per Annaaa!

Oook.

Non sapevo più come far finire la storia della “sfida”, perciò ho fatto dire qualcosa ai nostri protagonisti di un po' stupido (?).

Se pensate male, o che i loro discorsi non siano corretti, avvertitemi che proverò a cambiare qualcosa :)

 

Come al solito grazie di aver letto, ci vediamo al prossimo capitolo!

Baci,

 

Anna

  
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