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Autore: Silvar tales    07/09/2012    3 recensioni
CAPITOLO 10 pronto al 25 %
[Thor/Loki] [Contesto: post Avengers]
Era sempre andata così, fin dall'inizio. A lui spettava l'umiliazione, la sconfitta, a Thor la gloria e il trono. Non c'era modo di cambiare le cose. D'altronde, se ci fosse stato un modo, Loki avrebbe smesso di lottare già da tempo.
Invece continuava a tramare, ad inventare, a usare il cervello. Proprio perché in cuor suo non vedeva margini di vittoria.
La sua era la natura di un titano. Avrebbe perso, qualunque cosa tentasse di fare, ma vincere non era il suo obiettivo reale. Quello che veramente voleva Loki, arrivato a questo punto e sbolliti gli spiriti caldi dell'adolescenza, era finire la sua storia a testa alta.
Ma prima aveva un altro compito da svolgere.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Loki, Thor
Note: Lime | Avvertimenti: Incest, Mpreg, Violenza
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Le Porte di Niflheimr


La folla era astante, la tensione e l'aspettativa erano tali da elettrizzare l'aria. Decine di occhi seguivano minuziosamente ogni più piccolo movimento di Thor, decine di cuori palpitanti attendevano.
Non aspettavano altro che la devastante forza di Mjöllnir si abbattesse sul condannato.
Quell'arma letale e temuta da tutti i Nove Mondi era ora puntata contro il petto inerme di Loki; stavolta l'astuto dio degli inganni sarebbe morto per davvero. Non aveva alcuna via di scampo, non aveva alcuna possibilità di redimersi. Di lì a poco avrebbe ascoltato i terrificanti latrati di Garmr e avrebbe vagato tra le acque putride del Gjöll, per poi giungere ai piedi della sua nuova padrona: Hela.
Bastava l'eco del suo nome a far inchinare al suo cospetto bestie, uomini e dei, a far tremare di paura anche il più valoroso dei guerrieri come fosse un bambino alle sue prime armi.
La sua dimora era terribile e bellissima come la sua regnante.
«Ora Thor, fallo ora...» bisbigliò Frigga con labbra livide e occhi rossi, vedendo che il figlio prediletto tentennava. Ma la volontà di Thor era ormai compromessa.
Mjöllnir divenne d'un tratto pesante e scivolò senza alcuna fatica dalle sue dita, cadendo sull'erba sottostante.
Dal pubblico si levarono bisbigli di stupore e d'impazienza. Lady Sif strinse con forza la mano della regina; ormai le due donne avevano capito che Thor non avrebbe avuto il coraggio di uccidere il tanto amato fratellastro, ma non si aspettavano certo che gli eventi si capovolgessero come invece successe di lì a poco.
Il neo re di Asgard si voltò verso i suoi cittadini, prendendo definitivamente il coraggio a due mani e affrontando le proprie responsabilità a viso aperto. Proprio come tempo prima riacquistò la fiducia del padre, ora si riappropriava della sua identità. Gli pareva di risvegliarsi da un incubo.
«No madre, non lo farò. Non ho un cuore così crudele».
Le lacrime secche che gli rigavano il viso ripresero a scorrere, ma le sue intenzioni e le sue parole stavolta erano ferme e decise.
No, non l'avrebbe data vinta a Loki. Non era il vigliacco che lui pensava.
Frigga trattenne il respiro mentre Thor si denudava il capo dell'elmo e s'inginocchiava al suo cospetto, al cospetto di tutta quanta Asgard.
«Sono io che merito questa pena. Il padre degli dei è caduto per mano mia».
Fu come se per un momento i rumori della natura, lo scroscio dell'acqua, i respiri, i movimenti dei pianeti, l'eco cosmico si quietassero, creando un silenzio innaturale e pressante. Poi, come uno sciame di cavallette affamate, i brusii della folla accrebbero fino a diventare strepiti, e i pianeti ripresero a compiere le loro orbite.
Frigga si protese verso il proprio figlio chino sull'erba, come se volesse dire qualcosa, ma non ci riuscì e si ritrasse, in silenzio. Pareva che dovesse avere un mancamento da un attimo all'altro.
«Ma che cosa stai dicendo figlio mio?»
Loki riaprì cauto gli occhi e rincontrò la luce del sole. Era ancora vivo.
Sorrise malizioso: come pensava, Thor era stato vinto dai ripensamenti e dai sensi di colpa. Un'anima fragile e onesta come la sua non avrebbe potuto sostenere l'ombra della menzogna, era una cosa che solo il dio degli inganni in persona sarebbe riuscito a fare brillantemente.
«N-no Thor, io non posso crederci... perché l'avresti fatto? Cos'è accaduto?» balbettò la regina sollevando il viso del ragazzo e circondandolo con braccia febbrili. Ma Thor si costrinse con tutte le sue forze di guardare a terra.
«Cos'è accaduto?» ripeté Frigga lasciandosi sfuggire un acuto isterico nella voce. Afferrò con più veemenza le spalle del figlio, come volesse risvegliarlo da un oblio tenace.
Loki inclinò il collo all'indietro e osservò la scena con cipiglio altezzoso e trionfante; vedere il fratello nei guai gli donava un impagabile brivido di soddisfazione.
Thor, non potendo più evitare lo sguardo della madre, non potendo più tirarsi indietro dopo aver compiuto un passo simile, si alzò in piedi davanti a lei e davanti tutta quanta Asgard. Riusciva a malapena a scorgere il mare di teste che aveva di fronte, tanto era forte la luce solare che gli feriva le palpebre.
La folla, che prima nutriva benevolenza, si tramutò ora in un branco di lupi affamati.
Buffo, di come il carnefice si trasformasse con tale facilità nella vittima, da un momento all'altro, con la velocità di un lampo.
Thor, il più amato tra gli dei, il più amato tra i figli di Odino, venne condannato dalla stessa gente di cui aveva appena avuto il plauso.
Cercò di ignorare le suppliche di Frigga, gli sguardi attoniti e rancorosi delle persone che lo circondavano, quelli stupiti e confusi dei suoi amici, e si lasciò condurre dalle guardie in una cella che ben conosceva, senza opporre resistenza. Subito dopo anche Loki lo raggiunse, scortato da un manipolo di carcerieri armati fino ai denti. Frigga venne allontanata, così che in un primo momento non potesse parlare con i suoi due figli, intrappolati nuovamente in quella cella buia sotto le cascate.
Thor sedette in silenzio, riluttante ad incontrare anche solo per un momento lo sguardo trionfante del fratello che gli perforava la nuca.
Le porte vennero chiuse e la stanza sprofondò nella penombra. Dall'esterno si udivano provenire passi affrettati e schiamazzi, tra i quali spiccava un'acuta voce di donna.
Thor abbassò la testa e strinse i denti, cercando di sigillare la rabbia e la frustrazione dentro di sé, il dolore per aver deluso e sconvolto la propria madre, il proprio regno, per aver perduto in eterno la loro fiducia.
Una risata sommessa interruppe bruscamente il suo raccoglimento.
«Oh, immagino che madre non l'abbia presa bene, ti aspettavi diversamente?»
Loki circondò la figura china di Thor con larghi passi, come un avvoltoio vola intorno alla propria preda; il suo tono era cauto e suadente.
«Zitto fratello».
Ma il dio degli inganni non si lasciò zittire; si piegò elegantemente verso il fratellastro con il chiaro intento di provocarlo, avvicinandosi in modo che la sua voce bassa fosse alla portata del suo orecchio.
«Così hai ceduto», sibilò con la stessa maestria di un serpente, «per chi l'hai fatto? Per me, per Vald... o forse per te?»
Le sue parole ferivano più del veleno, i suoi occhi verdi e maliziosi scrutavano con perizia ogni più piccolo spasmo, ogni minima sfumatura nel viso dell'asgardiano.
E videro benissimo che da sofferente, il suo sguardo divenne furioso. Loki aveva il dannato talento di saper scrutare dentro l'anima altrui, di indovinare i sentimenti delle persone che aveva di fronte, di mettere a nudo le loro debolezze, i loro scheletri nell'armadio. Thor sapeva benissimo che il fratellastro aveva la chiara intenzione di stuzzicare la sua ira, ed era un gesto che non poteva più tollerare, non dopo quanto era successo.
«Ora basta!»
In un momento si voltò e afferrò con ben poca grazia il suo viso tra le mani, non curandosi di fargli male, di graffiargli le guance.
Benché la ragione gli ordinasse tutt'altro, lo baciò con irruenza, un bacio che non assomigliava in nessun modo ai precedenti. Le loro labbra si incontravano riluttanti e desiderose allo stesso tempo, si cercavano e si respingevano.
Loki subì, com'era abituato a fare. Non si stupì di quel gesto, Thor era un uomo così impulsivo e prevedibile che era uno scherzo intuire le sue reazioni. Sogghignò piuttosto, pensando dentro di sé a come sarebbero cambiate le cose, ora.
«Maledetto, mi porterai all'inferno! Mi guarderesti bruciare e agonizzare tra le tenebre di Hel con il sorriso sulla faccia!»
Le mani tremanti del dio del tuono scuotevano le vesti del fratello con forza, avanti e indietro, come fossero combattute tra il volerlo avvicinare o il volerlo allontanare.
Loki lo guardò attonito, spiazzato da quel comportamento in solito. Non l'aveva mai visto così fuori di sé.
«Thor... fermo! Che fai?»
Tramortito dalla sua forza, il dio degli inganni venne sbalzato all'indietro sul pavimento, un urto che in condizioni normali avrebbe benissimo ingoiato senza conseguenze, ma ora le piaghe e le ferite ancora aperte, reduci dalle tremende torture, pulsarono e tirarono più che mai.
Gemette, tramortito da quell'inaspettata quanto involontaria violenza, e si rannicchiò su se stesso portandosi le mani alla pancia, costringendosi con tutte le sue forze a non urlare dal dolore.
Ancora quella sensazione, pensò stringendo i denti e grondando sudore freddo, paia che lo stomaco mi venga preso a morsi!
Thor si rese immediatamente conto dell'azzardo commesso. Pentito, osservò le innumerevoli ferite che intravedeva sulle braccia e sul collo di Loki, nei lembi di pelle scoperta, e si lasciò mangiare dai sensi di colpa.
Immaginava come doveva essere dilaniato il bel corpo del fratello, sotto quella veste nera e lucida. Immaginava le cicatrici e i buchi lasciati da quegli stessi strumenti arrugginiti che ora ingombravano il pavimento. Tutto questo si sarebbe potuto evitare se solo lui avesse avuto un briciolo di coraggio in più, se solo avesse detto la verità fin dall'inizio.
Forse molte delle maldicenze che Loki era solito dire su Asgard e sugli asgardiani non erano infondate; Thor stesso era fermamente convinto che il fratello venisse odiato non per le sue bugie, ma per le sue verità.
La gente le percepiva, e lo detestava per questo. Perché non aveva problemi a mettere a nudo ciò che gli altri non dicevano e non volevano sentirsi dire.
Loki, il dio del chaos.
Loki e la sua lingua da donna.
«Loki, fratello...» con il chiaro intento di aiutarlo, il dio del tuono si protese verso la misera figura del giovane Jotun, ma un fatto alquanto strano lo bloccò e lo riempì di stupore.
Loki stesso, pervaso da sorpresa e allo stesso tempo dal panico, sentì i capelli crescergli tra le dita e piegarsi in morbide onde, il viso assottigliarsi - se possibile - ancor di più, le labbra divenire un poco più formose, il corpo snellirsi.
Con terrore realizzò ciò che era accaduto alzandosi a mezzo busto, puntellandosi con i palmi delle mani e avendo modo di notare che anche le dita e le braccia erano divenute più sottili e deboli. I lunghi capelli corvini gli caddero davanti al viso, impedendogli di incrociare lo sguardo attonito dell'asgardiano.
«Loki, ma cosa...»
Di nuovo, quest'inutile forma continua a manifestarsi nei momenti meno opportuni! ringhiò adirato lo Jotun, realizzando con orrore che i vestiti, ora divenuti larghi e scomodi, gli calzavano in modo a dir poco ridicolo.
Con un movimento del capo scostò i capelli dal viso e guardò Thor con decisione, sapendo che avrebbe provato disgusto quasi quanto lui udendo il suono della sua voce, ora più acuto e delicato.
«Occorre che te lo ripeta, asgardiano? Io non faccio parte del tuo mondo, sono uno Jotun!»
Il dio del tuono si ritrasse quasi intimorito di fronte all'ira che trasmettevano i suoi occhi verdi e penetranti.
Strano, normalmente non avrebbe mai dovuto provare paura davanti ad una qualsiasi intimidazione del fratello, ma questi erano occhi di donna. Di gran lungo più letali, e molto meno fascinosi.
«Io... non ero preparato a questo. Perché mai hai assunto questa forma?» chiese, osservando turbato quel nuovo grazioso aspetto.
Loki gemette nuovamente, nell'atto di rizzarsi a sedere e appoggiarsi con la schiena contro la parete.
«Non è una cosa che io possa controllare. Per quanto io sia un mutaforma, per quanto io ben conosca le arti magiche, questa è una cosa che non posso controllare». Chinò il capo, attendendo ad occhi serrati che il dolore scemasse.
Vald, so che ora stai meglio. Abbi pazienza. Tuo padre ti ha protetto, ha finalmente fatto la sua parte, ma la battaglia non è ancora vinta.
«Non credevo dimostrassi un tale coraggio. Tu sei tipo da affrontare senza paura una battaglia, ma non offriresti mai volontariamente la tua vita in sacrificio».
Gli occhi dei due fratelli si incontrarono, comunicandosi affetto e astio allo stesso tempo.
«Ebbene, non mi conosci abbastanza Loki», ribatté Thor risentito. Dopotutto, tempo fa, anche lui si era offerto al folle volere del fratello per salvare la vita di Jane e degli umani, anche se in quel caso sapeva che Loki non gli avrebbe fatto del male.
«Ora cosa accadrà? Cosa faranno al grande Thor?»
«Merito quello che fecero a te, immagino. Sarò condannato a morte e a torture».
«E invece io sono pronto a scommettere che la legge di Asgard non si rivelerà uguale per tutti».
Gli occhi di Loki e le sue lunghe ciglia erano così vicini e trasparenti da lasciar vedere tutti i pensieri che vi navigavano all'interno.
In cuor suo, Thor sapeva che il fratello aveva ragione.
«Lo vedremo, calunniatore».
Non doveva lasciarsi ingannare da quell'aspetto fragile, Loki era sempre Loki, e la sua lingua biforcuta sibilava sempre verità e maldicenze.
E raramente le une si distinguevano dalle altre.



*



Nella grande sala del trono non vi era mai stata più agitazione.
Frigga si trovava da sola a dover combattere a favore del figlio, a doverlo difendere quando non vi erano modi di difenderlo. Innanzitutto bisognava chiarire il perché di quell'azione, e soprattutto bisognava chiarire se Thor non avesse detto una menzogna per salvare il fratello, ipotesi improbabile ma non impossibile. Ma se Loki era stato accusato ingiustamente, perché mai non aveva detto niente in sua discolpa?
C'era qualcosa che sfuggiva agli occhi della regina e degli asgardiani, sfuggiva a tutti tranne ai pochi, a quelle poche guardie fidate che erano a conoscenza del vero agire di Thor.
«Prima di dar voce a qualsiasi sentenza intendo parlare con mio figlio e con Loki, e chiarire fino in fondo questa faccenda!»
Le parole imperiose della regina vennero accolte con rispetto. Dopotutto, lei ora era la più alta autorità ad Asgard, dato che i due principi eredi difficilmente avrebbero recuperato il diritto di salire al trono dopo quanto era successo.
Frigga si congedò dunque da quel tramestio, lasciandosi alle spalle voci per nulla fiduciose da parte dei suoi cittadini. Ormai era chiaro che la regina non parlava più per il bene di Ásaheimr, ma fremeva per l'incolumità del proprio figlio.
La situazione stava precipitando.
Asgard, senza una guida valida, era vulnerabile a nemici e a guerre interne. Se le cose non si fossero sistemate in fretta, si prospettava un periodo buio per gli Asi, destinato a durare a lungo.


La regina attraversò velocemente i corridoi che portavano alle prigioni sotto le cascate, tormentandosi nervosa i lunghi capelli ramati.
Thor le stava nascondendo qualcosa. Le sfuggiva il motivo per cui egli avrebbe dovuto assassinare il padre degli dei, ed era sicura che Loki avesse un ruolo chiave in quel misfatto.
Quando giunse davanti alla cella, rimase stupita dall'ingente corpo di guardia che era stato posto a sorveglianza dei due principi. Dopotutto i loro poteri non erano certo da sottovalutare e, anche se Mjöllnir era stato requisito a Thor e posto sotto stretta sorveglianza nella sala delle reliquie, non avrebbero potuto impedirgli di usarlo. Infatti, il potente martello rimaneva sotto il controllo del dio del tuono, ed egli avrebbe potuto richiamarlo in qualsiasi momento, in qualunque luogo si trovasse.
«Desidero parlare con i miei figli, e non potete impedirlo alla regina di Asgard».
Le guardie si scambiarono un'occhiata tentennante, poi ottennero il permesso dal loro maggiore e permisero a Frigga di passare.
Non appena vide la madre entrare, Thor scattò in piedi e si pose davanti al fratello, come si sentisse minacciato.
Frigga lo guardò con il cuore a pezzi, vedendo eroso il suo ruolo di madre, di fonte di conforto. Ora tutta quanta la responsabilità di Ásaheimr era riversa sulle sue spalle, non poteva più sacrificare tutto quanto per il bene del figlio.
«Non farete del male a Loki! Ha già scontato la sua condanna a sufficienza!»
La donna fece cenno a Thor di calmarsi. Il dio allora, rassegnatosi, si sedette al fianco del fratello e notò che egli aveva riacquistato le sue normali sembianze.
Tirò un sospiro di sollievo. Almeno il loro segreto era salvo. Non immaginava la reazione di Frigga se avesse saputo.
«Non sono qui per condannare Loki, ma per far luce su alcune cose. Non mi basta che tu, davanti a tutta Asgard, dica di essere l'assassino di tuo padre!» le lacrime iniziarono a sgorgarle dagli occhi stanchi, riversandosi sulle guance pallide. «Io, in quanto tua madre, e in quanto moglie di Odino, voglio sapere perché Thor, perché l'hai fatto!»
Il dio del tuono abbassò la testa, dilaniato dai sensi di colpa e dal dispiacere. Non seppe quale fu la forza che gli permise di trattenere le lacrime e di ragionare a mente fredda, eppure riuscì a mantenere il controllo di sé. Sapeva che Loki lo stava osservando con la coda dell'occhio; forse per la prima volta in vita sua, il dio degli inganni provava pena. Pena per il fratellastro, che doveva ancora imparare molto dalla vita. Doveva ancora imparare a crescere.
Odino custodiva un grande segreto, quindi erano svariati i motivi per cui Thor era stato inconsapevolmente spinto ad ucciderlo. Voleva proteggere Loki, è vero, ma forse prima di qualsiasi altra cosa voleva proteggere il suo onore. Se gli asgardiani fossero venuti a conoscenza del fatto che aveva immolato un Asi per salvare il figlio bastardo di Loki e Sygin, avrebbe rischiato il linciaggio. E comunque la sua credibilità sarebbe colata a picco, così come la sua aspirazione di diventare un buon re, saggio, leale, giusto, e soprattutto amato dai suoi sudditi.
Frigga attendeva ancora una risposta.
«Padre aveva perso la ragione. Sorprese Loki fuori dalle sue celle, e credendo che volesse architettare un nuovo complotto e una nuova vendetta contro Asgard, tentò di ucciderlo». Thor si fermò un momento, prendendo un profondo respiro. Non fu facile confessare una seconda volta il vergognoso fatto commesso.
«Cercai di proteggere Loki, ma nel farlo colpii mortalmente Odino. Egli cadde a terra prima che io potessi rendermi conto di ciò che avevo fatto. Così andarono questi tristi fatti».
Trascorsero alcuni secondi di silenzio. La versione di Thor non era del tutto credibile, mancava quell'anello fondamentale. Odino che perdeva la ragione? Frigga conosceva abbastanza bene il marito da trovare strano un fatto del genere. Perché il padre degli dei aveva preso l'avventata decisione di uccidere Loki?
«Le cose sono andate così, Loki?»
Il dio degli inganni deglutì, ritrovando per la prima volta dopo tanto gli occhi della madre, quegli occhi che l'avevano evitato per tanto tempo, quegli occhi che si rifiutavano di guardarlo in faccia mentre moriva. Provò dolore, ma non poté non provare anche affetto. Un'ombra di un amore passato, ma tenace, anche se privo di senso ormai.
«Sì madre, le cose sono andate così», disse annuendo, sentendosi stranamente in soggezione.
Sperarono con tutte le loro forze che Frigga si accontentasse di quella versione degli avvenimenti, e accettasse il fatto che il proprio figlio fosse un assassino non solo di Giganti di ghiaccio, ma anche di Aesir. Del più potente e venerabile tra gli Aesir, del padre degli dei in persona.
Dopo un lungo e amareggiato sospiro, la donna trovò finalmente la voce per rispondere.
«Figlio mio, farò il possibile per alleviare la tua pena, Asgard non si prenderà la tua vi...»
«CHE COS'HAI DETTO?»
Come se fosse stato travolto da un fiume in piena, Loki scattò in piedi e si scagliò contro la madre, ma venne bloccato dalle catene che gli rodevano le caviglie e i polsi. Frigga, che era già in procinto di andarsene, si voltò verso il figlio adottivo, turbata dal suo furibondo tono di voce.
«Maledetta asgardiana! Mi fai ribrezzo solo a sentirti parlare! Sei una bugiarda schifosa! Ogni tuo sguardo, ogni tua parola trabocca della falsità più meschina!»
«Loki smettila! Che ti prende?» disse Thor allarmato dall'inaspettata furia del fratello, cercando di calmarlo come fosse un cavallo selvaggio. Nei suoi occhi smeraldo era contenuto l'odio più puro, un odio che mai aveva rivolto verso la madre. Nessuno si sarebbe mai aspettato di udire simili parole uscire dalla sua bocca e additate verso la regina.
«Dunque per Thor diventa possibile commutare la pena, eh? Dunque la vita di Thor può essere salvata, mentre la mia, quella di mio figlio no! Eppure non sei sempre tu mia madre? Non dovresti amarmi allo stesso modo, a quanto dicono le tue belle parole?»
Ecco rivelati in pochi secondi tutti i dubbi, tutti i tormenti che Loki, l'ingannatore, aveva avuto nel corso della sua vita. La sua costante paura di non essere accettato, di non essere compreso, di non essere amato come i suoi fratelli.
«Sono curioso di sapere quanto ti sei prodigata per me con il padre degli dei! A quanto mi dicesti, avevi fatto il possibile. Dunque per Thor riesci a fare anche l'impossibile, non è vero, regina? » caricò di particolare disprezzo l'ultima parola, che già di per se stessa costituiva un insulto. Loki non aveva mai chiamato regina la propria madre.
Ma quello che più fece addolorare la donna, furono le lacrime che rigavano il viso del ragazzo, che le ricordavano ulteriormente tutte le sue mancanze, una per una, con più peso.
«Loki, ti prego, cerca di comprendermi! Su me ora non incombe più l'ombra dell'autorità di tuo padre...»
«Non è mio padre! Non osare chiamarlo in quel modo! E non cercare scuse, sappiamo benissimo entrambi che l'autorità più grande è quella di Asgard, sono le dicerie del popolo asgardiano!»
Frigga non seppe più come controbattere. D'altronde era stata una sciocca a sperare di poter competere a parole con Loki. Scosse la testa, affranta e rassegnata di fronte alle lacrime rancorose del figlio, di quel figlio che non aveva mai saputo accettare come tale.
«Mi dispiace», disse soltanto, prima di dedicargli un ultimo sguardo colmo di dolore e voltargli le spalle.
«Osi anche andartene in questo modo, dopo quel che è accaduto, tu...!»
«Fermo Loki smettila, basta!»
Thor intervenne per calmare il fratellastro, ma egli si era già accasciato per terra, ansante di rabbia.
Loki, il non amato. Loki, il maledetto.
Voci insidiose gli ronzavano in testa da molto tempo, ma in quel momento era come se fossero esplose tutte quante insieme, come se si fossero incarnate in un idolo di carne. I suoi timori trovavano finalmente conferma nelle parole di Frigga, era finita. Qualsiasi speranza di conquistare l'amore degli asgardiani era andata in frantumi.
«Loki...»
Thor gli mise una mano sulla spalla, facendo un cenno alla madre di lasciare la stanza. Frigga obbedì, ugualmente desiderosa di abbandonare quella scena pietosa. Cercando di tamponare le innumerevoli lacrime, si diresse verso la reggia, e mentre percorreva quegli ampi e sfarzosi corridoi ebbe modo di riflettere. Il destino non era certo stato generoso con lei, checché Loki la ritenesse una stupida privilegiata e manipolatrice. Non era facile, in quel frangente, ricoprire il suo ruolo. Come avrebbe dovuto agire, come madre o come regina?


«Lasciami fratello».
Loki rifiutò le premure di Thor, scacciandolo con un gesto irato della mano. Il dio allora si allontanò con il cuore in pezzi.
Guardandolo, gli ritornava alla mente il bambino che era, pieno di paure e di servilismo. Sembrava fosse sempre spaesato, anche quand'era seduto a banchetto con la sua famiglia e i suoi amici, anche quando gli organizzavano una festa a sorpresa, anche quando giocava con gli altri bambini. Ritrovava se stesso quando si immergeva nelle storie, nei libri, o quando ascoltava Frigga che gliele raccontava. Allorché gli occhi gli si accendevano di una luce nuova, e iniziavano a vagare in altri mondi.
Thor non se n'era mai accorto, era come se suo fratello fosse costantemente in esilio, anche quando sorrideva, anche quando pareva essere in pace con se stesso e con il mondo che lo circondava.
Non sapeva di aver assistito alla crescita e alla presa di consapevolezza del dio degli inganni, della sua vera natura. Perché altro non si trattava che la sua natura, era una cosa che Loki stesso non riusciva a controllare e a sottomettere, e tantomeno potevano riuscirci gli asgardiani.
«Non più lacrime per Loki, figlio di Laufey. Questa gente non le merita. Le lacrime di un dio sono preziose».
Basta mordere polvere, basta inginocchiarsi, basta subire umiliazioni e torture. Basta soffrire per Asgard e per le sue malignità.
Il ragazzo si alzò in piedi, riacquistando forza e lucidità. Mosse le dita e il collo, e sentì il sangue scorrergli nelle vene. Disegnò alcune rune a mezz'aria, liberando all'istante uno sbuffo di fumo verde che serpeggiò per un poco prima di scomparire.
Era vivo, era nel pieno delle forze, aveva il pieno controllo delle arti magiche. Ora doveva solo liberarsi di quelle catene.
«Thor, cerca di dimenticare questa parte di me».
Le sue emozioni, i suoi veri sentimenti li aveva esternati solo una volta nella sua vita, solo di fronte ad una persona.
Thor non avrebbe potuto prendere il suo posto.



*


Passò un mese.
Mani sorse e morì per trenta volte, il Naudhiz brillò incessantemente tra le altre costellazioni.
Il dio del tempo era all'opera, e la terza radice del frassino Yggdrasill continuava ad attingere alla fonte del destino.
Lì, ove non arrivava occhio di dio o di uomo, lì tra le tenebre più cupe, qualcuno si accontentava di dominare le ombre.




«Mia signora Hela...»
Ganglöt, ricurvo come uno storpio e tremante (ancora, dopo un'eternità passata a servire la dea), intraprese il discorso. La donna, se tale poteva definirsi, era intenta ad osservare i dolori e le fatiche dei prigionieri di Hel, coloro che non erano degni di vedere la luce del Valhalla. Un sorriso a dir poco malefico le attraversava la metà di faccia visibile, l'altra metà era avvolta da una costante penombra, pareva nera, carbonizzata da un'antica ustione.
«Sai benissimo che di te non mi fido. Ebbene Ganglati, che cosa c'è?»
Il povero Ganglöt deglutì, tormentandosi le mani piagate e ingiallite.
«Ganglati non è qui, mia signora. Sta obbedendo all'ultimo incarico che gli avete affidato».
La regina allora si voltò, lentamente, fissando il suo servitore con quei terrificanti occhi stretti e vuoti. I capelli le si arricciarono attorno alla testa come serpenti, il suo volto era sottile e bianco come la falce lunare, la sua sola figura sembrava personificare la morte, e tutti i mali che affliggevano il mondo.
«La... la costruzione di Naglfar è quasi ultimata, ma serviva qualcuno che supervisionasse i lavori, ricordate? E dato che di me non vi fidavate...»
Hela sciolse per un momento quella sua espressione tesa e terrificante, come se prima avesse dimenticato un particolare fondamentale. La sua risata sgraziata risuonò in tutte le sfarzose sale di Éljúðnir, smarrendo i corvi e facendo gemere le anime che subivano le sue torture.
«Certo, certo... abbiamo ricevuto traditori e assassini in abbondanza ultimamente, sarà una mia impressione o Ásaheimr e Vanaheimr hanno ricominciato a litigare?»
«Non so dirvi di Vanaheimr, però so per certo che Thor, figlio di Odino, e Loki, figlio di Laufey dei Giganti di ghiaccio sono stati esiliati qui, sulla nostra superficie! A Niflheimr!»
La dea, dalla sorpresa, lasciò cadere lo specchio che aveva in mano, il quale si frantumò ai suoi piedi. Noncurante di tagliarsi, calpestò i cocci pur di avanzare con fare stupito verso Ganglöt, come se volesse studiarlo da vicino per assicurarsi che non stesse mentendo. Le catene che le pendevano lungo le gambe nude emettevano un clangore agghiacciante, bastava da solo ad incutere timore ed ad alimentare gli strepiti dei dannati.
«Mio caro Ganglöt, ne sei proprio sicuro?» domandò, fissando con occhi perlacei il suo servitore, terrorizzato da quell'inaspettata vicinanza. «Thor e Loki a Niflheimr, Thor e Loki in esilio... ebbene, Loki non mi stupisce, dato che è mal tollerato ad Ásaheimr, questo è risaputo, ma Thor! Pensavo che dopo l'episodio su Midgard avesse imparato la lezione... a quanto pare così non è».
Le sue parole sfumarono in una risata raggelante.
Stolti dei, che si affaccendavano tanto a combattersi tra loro e ad assicurarsi una linea di discendenza incorrotta. Non avevano ancora compreso che, alla fine, lei sarebbe stata la vincitrice indiscussa di ogni battaglia.
«Dunque quel vecchio stupido di Odino si è fatto ammazzare, in un modo così deplorevole per giunta, tra le sue mura! I due principi di Asgard sono condannati, non c'è forse un collegamento tra i due fatti?» si rivolse Hela al suo servitore, mentr'ella continuava a volteggiare a mezz'aria per le lugubri sale del suo palazzo, avvolta in un'aura nera come la pece.
«E, se posso permettermi mia regina, nessuno ci ha informati della morte del grande Padre, abbiamo dovuto scoprirlo da noi...»
«Stupido!» lo rimproverò lei, alzando una mano come volesse punirlo. «I vivi non entrano con facilità ad Hel! Nessuno arriverebbe fin qui solo per recapitare un messaggio! E poi Garmr ha l'ordine di divorare i messaggeri, ricordi?»
«S-sì mia regina...»
La dea, divertita dai balbettii impauriti del suo servo, si calmò all'istante e ritirò la mano.
Amava inebriarsi del terrore che incuteva sugli altri, aveva tutte le loro vite nelle sue mani artigliate e poteva trattare a piacimento con coloro che arrivavano fin nelle profondità dell'universo per riportare alla luce i loro cari. Poteva ricattarli, proporre condizioni impossibili, alzare il prezzo ancora e ancora solo per vederli lottare e divorarsi tra loro per qualcosa che non potevano riavere indietro.
Era una sensazione di onnipotenza impagabile.
Per questo era subito stata grata ad Odino per averle conferito quel trono.
Sotto lo sguardo timoroso di
Ganglöt, si fermò presso un antica ara di marmo, nella quale crepitava un fuoco fatuo. Vi scrutò dunque all'interno come se vi leggesse antiche storie, versi di poesie arcaiche, come se attraverso quelle fiamme vi fosse una finestra sul mondo esterno.
«E poi, Loki...»
Era al corrente della sua recente impresa su Midgard finita miseramente, e si aspettava che il dio intendesse farle visita dato che era stata lei ad indirizzarlo dai Chitauri, quando era stato bandito da Ásaheimr. Eppure qualcosa sembrava frenare la sua volontà nefasta. Thor gli era accanto, Thor condivideva la sua stessa pena. Erano
vicini.
«Che cos'hai in mente, dio del chaos?»
Le fiamme rimasero silenti.



*



Sotto uno sperone di roccia e ghiaccio, al riparo dai venti e dal gelo tenace della pianura, vi era una misera costruzione di legno e ferro incassata a ridosso di una parete, sul fondo di un'ampia caverna. Una tana vulnerabile ed eretta alla meno peggio, una dimora alquanto insolita per due dei, due principi abituati all'oro e agli agi di Asgard.
Ma Loki, dei Giganti di ghiaccio, e Thor, figlio di Odino, erano avvezzi anche ad affrontare ambienti inospitali e selvaggi, non avevano ancora la tempra dei vecchi re, in loro non si era ancora estinto il fuoco della gioventù.
«Detesto Asgard».
Loki alzò la testa dal suo giaciglio, sorpreso da quell'inaspettata affermazione.
«La detesto per averti lasciato qui, a partorire tra i ghiacci».
Il dio degli inganni soffiò divertito, lasciandosi sfuggire una mezza risata.
Sfregò tra loro le mani nel tentativo di riscaldarle e gettò un'occhiata alla notte, oltre il vetro della finestra. Le stelle brillavano come pozze d'acqua, il limpido cielo artico era chiuso dal tetto nero della spelonca, e la neve continuava imperterrita a ricoprire ogni cosa.
«Thor, io ci sono nato tra i ghiacci».
La grigia terra di Niflheimr era silenziosa e bellissima, era un luogo perfetto dove morire, e sarebbe stato anche un luogo perfetto in cui nascere.


   
 
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