Le Porte di Niflheimr
La
folla era astante, la tensione e l'aspettativa erano tali da
elettrizzare l'aria. Decine di occhi seguivano minuziosamente ogni
più piccolo movimento di Thor, decine di cuori palpitanti
attendevano.
Non
aspettavano altro che la devastante forza di Mjöllnir
si abbattesse sul condannato.
Quell'arma
letale e temuta da tutti i Nove Mondi era ora puntata contro il petto
inerme di Loki; stavolta l'astuto dio degli inganni sarebbe morto per
davvero. Non aveva alcuna via di scampo, non aveva alcuna
possibilità
di redimersi. Di lì a poco avrebbe ascoltato i terrificanti
latrati
di Garmr e avrebbe vagato tra le acque putride del Gjöll, per
poi
giungere ai piedi della sua nuova padrona: Hela.
Bastava
l'eco del suo nome a far inchinare al suo cospetto bestie, uomini e
dei, a far tremare di paura anche il più valoroso dei
guerrieri come
fosse un bambino alle sue prime armi.
La
sua dimora era terribile e bellissima come la sua regnante.
«Ora
Thor, fallo ora...» bisbigliò Frigga con labbra
livide e occhi
rossi, vedendo che il figlio prediletto tentennava. Ma la
volontà di
Thor era ormai compromessa.
Mjöllnir
divenne d'un tratto pesante e scivolò senza alcuna fatica
dalle sue
dita, cadendo sull'erba sottostante.
Dal
pubblico si levarono bisbigli di stupore e d'impazienza. Lady Sif
strinse con forza la mano della regina; ormai le due donne avevano
capito che Thor non avrebbe avuto il coraggio di uccidere il tanto
amato fratellastro, ma non si aspettavano certo che gli eventi si
capovolgessero come invece successe di lì a poco.
Il
neo re di Asgard si voltò verso i suoi cittadini, prendendo
definitivamente il coraggio a due mani e affrontando le proprie
responsabilità a viso aperto. Proprio come tempo prima
riacquistò
la fiducia del padre, ora si riappropriava della sua
identità. Gli
pareva di risvegliarsi da un incubo.
«No
madre, non lo farò. Non ho un cuore così
crudele».
Le
lacrime secche che gli rigavano il viso ripresero a scorrere, ma le
sue intenzioni e le sue parole stavolta erano ferme e decise.
No,
non l'avrebbe data vinta a Loki. Non era il vigliacco che lui
pensava.
Frigga
trattenne il respiro mentre Thor si denudava il capo dell'elmo e
s'inginocchiava al suo cospetto, al cospetto di tutta quanta Asgard.
«Sono
io che merito questa pena. Il padre degli dei è caduto per
mano
mia».
Fu
come se per un momento i rumori della natura, lo scroscio dell'acqua,
i respiri, i movimenti dei pianeti, l'eco cosmico si quietassero,
creando un silenzio innaturale e pressante. Poi, come uno sciame di
cavallette affamate, i brusii della folla accrebbero fino a diventare
strepiti, e i pianeti ripresero a compiere le loro orbite.
Frigga
si protese verso il proprio figlio chino sull'erba, come se volesse
dire qualcosa, ma non ci riuscì e si ritrasse, in silenzio.
Pareva
che dovesse avere un mancamento da un attimo all'altro.
«Ma
che cosa stai dicendo figlio mio?»
Loki
riaprì cauto gli occhi e rincontrò la luce del
sole. Era ancora
vivo.
Sorrise
malizioso: come pensava, Thor era stato vinto dai ripensamenti e dai
sensi di colpa. Un'anima fragile e onesta come la sua non avrebbe
potuto sostenere l'ombra della menzogna, era una cosa che solo il dio
degli inganni in persona sarebbe riuscito a fare brillantemente.
«N-no
Thor, io non posso crederci... perché l'avresti fatto?
Cos'è
accaduto?» balbettò la regina sollevando il viso
del ragazzo e
circondandolo con braccia febbrili. Ma Thor si costrinse con tutte le
sue forze di guardare a terra.
«Cos'è
accaduto?» ripeté Frigga lasciandosi sfuggire un
acuto isterico
nella voce. Afferrò con più veemenza le spalle
del figlio, come
volesse risvegliarlo da un oblio tenace.
Loki
inclinò il collo all'indietro e osservò la scena
con cipiglio
altezzoso e trionfante; vedere il fratello nei guai gli donava un
impagabile brivido di soddisfazione.
Thor,
non potendo più evitare lo sguardo della madre, non potendo
più
tirarsi indietro dopo aver compiuto un passo simile, si alzò
in
piedi davanti a lei e davanti tutta quanta Asgard. Riusciva a
malapena a scorgere il mare di teste che aveva di fronte, tanto era
forte la luce solare che gli feriva le palpebre.
La
folla, che prima nutriva benevolenza, si tramutò ora in un
branco di
lupi affamati.
Buffo,
di come il carnefice si trasformasse con tale facilità nella
vittima, da un momento all'altro, con la velocità di un
lampo.
Thor,
il più amato tra gli dei, il più amato tra i
figli di Odino, venne
condannato dalla stessa gente di cui aveva appena avuto il plauso.
Cercò
di ignorare le suppliche di Frigga, gli sguardi attoniti e rancorosi
delle persone che lo circondavano, quelli stupiti e confusi dei suoi
amici, e si lasciò condurre dalle guardie in una cella che
ben
conosceva, senza opporre resistenza. Subito dopo anche Loki lo
raggiunse, scortato da un manipolo di carcerieri armati fino ai
denti. Frigga venne allontanata, così che in un primo
momento non
potesse parlare con i suoi due figli, intrappolati nuovamente in
quella cella buia sotto le cascate.
Thor
sedette in silenzio, riluttante ad incontrare anche solo per un
momento lo sguardo trionfante del fratello che gli perforava la nuca.
Le
porte vennero chiuse e la stanza sprofondò nella penombra.
Dall'esterno si udivano provenire passi affrettati e schiamazzi, tra
i quali spiccava un'acuta voce di donna.
Thor
abbassò la testa e strinse i denti, cercando di sigillare la
rabbia
e la frustrazione dentro di sé, il dolore per aver deluso e
sconvolto la propria madre, il proprio regno, per aver perduto in
eterno la loro fiducia.
Una
risata sommessa interruppe bruscamente il suo raccoglimento.
«Oh,
immagino che madre non l'abbia presa bene, ti aspettavi
diversamente?»
Loki
circondò la figura china di Thor con larghi passi, come un
avvoltoio
vola intorno alla propria preda; il suo tono era cauto e suadente.
«Zitto
fratello».
Ma
il dio degli inganni non si lasciò zittire; si
piegò elegantemente
verso il fratellastro con il chiaro intento di provocarlo,
avvicinandosi in modo che la sua voce bassa fosse alla portata del
suo orecchio.
«Così
hai ceduto», sibilò con la stessa maestria di un
serpente, «per
chi l'hai fatto? Per me, per Vald... o forse per te?»
Le
sue parole ferivano più del veleno, i suoi occhi verdi e
maliziosi
scrutavano con perizia ogni più piccolo spasmo, ogni minima
sfumatura nel viso dell'asgardiano.
E
videro benissimo che da sofferente, il suo sguardo divenne furioso.
Loki aveva il dannato talento di saper scrutare dentro l'anima
altrui, di indovinare i sentimenti delle persone che aveva di fronte,
di mettere a nudo le loro debolezze, i loro scheletri nell'armadio.
Thor sapeva benissimo che il fratellastro aveva la chiara intenzione
di stuzzicare la sua ira, ed era un gesto che non poteva più
tollerare, non dopo quanto era successo.
«Ora
basta!»
In
un momento si voltò e afferrò con ben poca grazia
il suo viso tra
le mani, non curandosi di fargli male, di graffiargli le guance.
Benché
la ragione gli ordinasse tutt'altro, lo baciò con irruenza,
un bacio
che non assomigliava in nessun modo ai precedenti. Le loro labbra si
incontravano riluttanti e desiderose allo stesso tempo, si cercavano
e si respingevano.
Loki
subì, com'era abituato a fare. Non si stupì di
quel gesto, Thor era
un uomo così impulsivo e prevedibile che era uno scherzo
intuire le
sue reazioni. Sogghignò piuttosto, pensando dentro di
sé a come
sarebbero cambiate le cose, ora.
«Maledetto,
mi porterai all'inferno! Mi guarderesti bruciare e agonizzare tra le
tenebre di Hel con il sorriso sulla faccia!»
Le
mani tremanti del dio del tuono scuotevano le vesti del fratello con
forza, avanti e indietro, come fossero combattute tra il volerlo
avvicinare o il volerlo allontanare.
Loki
lo guardò attonito, spiazzato da quel comportamento in
solito. Non
l'aveva mai visto così fuori di sé.
«Thor...
fermo! Che fai?»
Tramortito
dalla sua forza, il dio degli inganni venne sbalzato all'indietro sul
pavimento, un urto che in condizioni normali avrebbe benissimo
ingoiato senza conseguenze, ma ora le piaghe e le ferite ancora
aperte, reduci dalle tremende torture, pulsarono e tirarono
più che
mai.
Gemette,
tramortito da quell'inaspettata quanto involontaria violenza, e si
rannicchiò su se stesso portandosi le mani alla pancia,
costringendosi con tutte le sue forze a non urlare dal dolore.
Ancora
quella sensazione, pensò stringendo i denti e
grondando sudore
freddo, paia che lo stomaco mi venga preso a morsi!
Thor
si rese immediatamente conto dell'azzardo commesso. Pentito,
osservò
le innumerevoli ferite che intravedeva sulle braccia e sul collo di
Loki, nei lembi di pelle scoperta, e si lasciò mangiare dai
sensi di
colpa.
Immaginava
come doveva essere dilaniato il bel corpo del fratello, sotto quella
veste nera e lucida. Immaginava le cicatrici e i buchi lasciati da
quegli stessi strumenti arrugginiti che ora ingombravano il
pavimento. Tutto questo si sarebbe potuto evitare se solo lui avesse
avuto un briciolo di coraggio in più, se solo avesse detto
la verità
fin dall'inizio.
Forse
molte delle maldicenze che Loki era solito dire su Asgard e sugli
asgardiani non erano infondate; Thor stesso era fermamente convinto
che il fratello venisse odiato non per le sue bugie, ma per le sue
verità.
La
gente le percepiva, e lo detestava per questo. Perché non
aveva
problemi a mettere a nudo ciò che gli altri non dicevano e
non
volevano sentirsi dire.
Loki,
il dio del chaos.
Loki
e la sua lingua da donna.
«Loki,
fratello...» con il chiaro intento di aiutarlo, il dio del
tuono si
protese verso la misera figura del giovane Jotun, ma un fatto
alquanto strano lo bloccò e lo riempì di stupore.
Loki
stesso, pervaso da sorpresa e allo stesso tempo dal panico,
sentì i
capelli crescergli tra le dita e piegarsi in morbide onde, il viso
assottigliarsi - se possibile - ancor di più, le labbra
divenire un
poco più formose, il corpo snellirsi.
Con
terrore realizzò ciò che era accaduto alzandosi a
mezzo busto,
puntellandosi con i palmi delle mani e avendo modo di notare che
anche le dita e le braccia erano divenute più sottili e
deboli. I
lunghi capelli corvini gli caddero davanti al viso, impedendogli di
incrociare lo sguardo attonito dell'asgardiano.
«Loki,
ma cosa...»
Di
nuovo, quest'inutile forma continua a manifestarsi nei momenti meno
opportuni! ringhiò adirato lo Jotun, realizzando
con orrore che
i vestiti, ora divenuti larghi e scomodi, gli calzavano in modo a dir
poco ridicolo.
Con
un movimento del capo scostò i capelli dal viso e
guardò Thor con
decisione, sapendo che avrebbe provato disgusto quasi quanto lui
udendo il suono della sua voce, ora più acuto e delicato.
«Occorre
che te lo ripeta, asgardiano? Io non faccio parte del tuo mondo, sono
uno Jotun!»
Il
dio del tuono si ritrasse quasi intimorito di fronte all'ira che
trasmettevano i suoi occhi verdi e penetranti.
Strano,
normalmente non avrebbe mai dovuto provare paura davanti ad una
qualsiasi intimidazione del fratello, ma questi erano occhi di donna.
Di gran lungo più letali, e molto meno fascinosi.
«Io...
non ero preparato a questo. Perché mai hai assunto questa
forma?»
chiese, osservando turbato quel nuovo grazioso aspetto.
Loki
gemette nuovamente, nell'atto di rizzarsi a sedere e appoggiarsi con
la schiena contro la parete.
«Non
è una cosa che io possa controllare. Per quanto io sia un
mutaforma,
per quanto io ben conosca le arti magiche, questa è una cosa
che non
posso controllare». Chinò il capo,
attendendo ad occhi serrati
che il dolore scemasse.
Vald,
so che ora stai meglio. Abbi pazienza. Tuo padre ti ha protetto, ha
finalmente fatto la sua parte, ma la battaglia non è ancora
vinta.
«Non
credevo dimostrassi un tale coraggio. Tu sei tipo da affrontare senza
paura una battaglia, ma non offriresti mai volontariamente la tua
vita in sacrificio».
Gli
occhi dei due fratelli si incontrarono, comunicandosi affetto e astio
allo stesso tempo.
«Ebbene,
non mi conosci abbastanza Loki», ribatté Thor
risentito. Dopotutto,
tempo fa, anche lui si era offerto al folle volere del fratello per
salvare la vita di Jane e degli umani, anche se in quel caso sapeva
che Loki non gli avrebbe fatto del male.
«Ora
cosa accadrà? Cosa faranno al grande Thor?»
«Merito
quello che fecero a te, immagino. Sarò condannato a morte e
a
torture».
«E
invece io sono pronto a scommettere che la legge di Asgard non si
rivelerà uguale per tutti».
Gli
occhi di Loki e le sue lunghe ciglia erano così vicini e
trasparenti
da lasciar vedere tutti i pensieri che vi navigavano all'interno.
In
cuor suo, Thor sapeva che il fratello aveva ragione.
«Lo
vedremo, calunniatore».
Non
doveva lasciarsi ingannare da quell'aspetto fragile, Loki era sempre
Loki, e la sua lingua biforcuta sibilava sempre verità e
maldicenze.
E
raramente le une si distinguevano dalle altre.
*
Nella
grande sala del trono non vi era mai stata più agitazione.
Frigga
si trovava da sola a dover combattere a favore del figlio, a doverlo
difendere quando non vi erano modi di difenderlo. Innanzitutto
bisognava chiarire il perché di quell'azione, e soprattutto
bisognava chiarire se Thor non avesse detto una menzogna per salvare
il fratello, ipotesi improbabile ma non impossibile. Ma se Loki era
stato accusato ingiustamente, perché mai non aveva detto
niente in
sua discolpa?
C'era
qualcosa che sfuggiva agli occhi della regina e degli asgardiani,
sfuggiva a tutti tranne ai pochi, a quelle poche guardie fidate che
erano a conoscenza del vero agire di Thor.
«Prima
di dar voce a qualsiasi sentenza intendo parlare con mio figlio e con
Loki, e chiarire fino in fondo questa faccenda!»
Le
parole imperiose della regina vennero accolte con rispetto.
Dopotutto, lei ora era la più alta autorità ad
Asgard, dato che i
due principi eredi difficilmente avrebbero recuperato il diritto di
salire al trono dopo quanto era successo.
Frigga
si congedò dunque da quel tramestio, lasciandosi alle spalle
voci
per nulla fiduciose da parte dei suoi cittadini. Ormai era chiaro che
la regina non parlava più per il bene di
Ásaheimr, ma fremeva per
l'incolumità del proprio figlio.
La
situazione stava precipitando.
Asgard,
senza una guida valida, era vulnerabile a nemici e a guerre interne.
Se le cose non si fossero sistemate in fretta, si prospettava un
periodo buio per gli Asi, destinato a durare a lungo.
La
regina attraversò velocemente i corridoi che portavano alle
prigioni
sotto le cascate, tormentandosi nervosa i lunghi capelli ramati.
Thor
le stava nascondendo qualcosa. Le sfuggiva il motivo per cui egli
avrebbe dovuto assassinare il padre degli dei, ed era sicura che Loki
avesse un ruolo chiave in quel misfatto.
Quando
giunse davanti alla cella, rimase stupita dall'ingente corpo di
guardia che era stato posto a sorveglianza dei due principi.
Dopotutto i loro poteri non erano certo da sottovalutare e, anche se
Mjöllnir era stato requisito a Thor e posto sotto stretta
sorveglianza nella sala delle reliquie, non avrebbero potuto
impedirgli di usarlo. Infatti, il potente martello rimaneva sotto il
controllo del dio del tuono, ed egli avrebbe potuto richiamarlo in
qualsiasi momento, in qualunque luogo si trovasse.
«Desidero
parlare con i miei figli, e non potete impedirlo alla regina di
Asgard».
Le
guardie si scambiarono un'occhiata tentennante, poi ottennero il
permesso dal loro maggiore e permisero a Frigga di passare.
Non
appena vide la madre entrare, Thor scattò in piedi e si pose
davanti
al fratello, come si sentisse minacciato.
Frigga
lo guardò con il cuore a pezzi, vedendo eroso il suo ruolo
di madre,
di fonte di conforto. Ora tutta quanta la responsabilità di
Ásaheimr
era riversa sulle sue spalle, non poteva più sacrificare
tutto
quanto per il bene del figlio.
«Non
farete del male a Loki! Ha già scontato la sua condanna a
sufficienza!»
La
donna fece cenno a Thor di calmarsi. Il dio allora, rassegnatosi, si
sedette al fianco del fratello e notò che egli aveva
riacquistato le
sue normali sembianze.
Tirò
un sospiro di sollievo. Almeno il loro segreto era salvo. Non
immaginava la reazione di Frigga se avesse saputo.
«Non
sono qui per condannare Loki, ma per far luce su alcune cose. Non mi
basta che tu, davanti a tutta Asgard, dica di essere l'assassino di
tuo padre!» le lacrime iniziarono a sgorgarle dagli occhi
stanchi,
riversandosi sulle guance pallide. «Io, in quanto tua madre,
e in
quanto moglie di Odino, voglio sapere perché Thor,
perché
l'hai fatto!»
Il
dio del tuono abbassò la testa, dilaniato dai sensi di colpa
e dal
dispiacere. Non seppe quale fu la forza che gli permise di trattenere
le lacrime e di ragionare a mente fredda, eppure riuscì a
mantenere
il controllo di sé. Sapeva che Loki lo stava osservando con
la coda
dell'occhio; forse per la prima volta in vita sua, il dio degli
inganni provava pena. Pena per il fratellastro, che doveva ancora
imparare molto dalla vita. Doveva ancora imparare a crescere.
Odino
custodiva un grande segreto, quindi erano svariati i motivi per cui
Thor era stato inconsapevolmente spinto ad ucciderlo. Voleva
proteggere Loki, è vero, ma forse prima di qualsiasi altra
cosa
voleva proteggere il suo onore. Se gli asgardiani fossero venuti a
conoscenza del fatto che aveva immolato un Asi per salvare il figlio
bastardo di Loki e Sygin, avrebbe rischiato il linciaggio. E comunque
la sua credibilità sarebbe colata a picco, così
come la sua
aspirazione di diventare un buon re, saggio, leale, giusto, e
soprattutto amato dai suoi sudditi.
Frigga
attendeva ancora una risposta.
«Padre
aveva perso la ragione. Sorprese Loki fuori dalle sue celle, e
credendo che volesse architettare un nuovo complotto e una nuova
vendetta contro Asgard, tentò di ucciderlo». Thor
si fermò un
momento, prendendo un profondo respiro. Non fu facile confessare una
seconda volta il vergognoso fatto commesso.
«Cercai
di proteggere Loki, ma nel farlo colpii mortalmente Odino. Egli cadde
a terra prima che io potessi rendermi conto di ciò che avevo
fatto.
Così andarono questi tristi fatti».
Trascorsero
alcuni secondi di silenzio. La versione di Thor non era del tutto
credibile, mancava quell'anello fondamentale. Odino che
perdeva la
ragione? Frigga conosceva abbastanza bene il marito da
trovare
strano un fatto del genere. Perché il padre degli dei aveva
preso
l'avventata decisione di uccidere Loki?
«Le
cose sono andate così, Loki?»
Il
dio degli inganni deglutì, ritrovando per la prima volta
dopo tanto
gli occhi della madre, quegli occhi che l'avevano evitato per tanto
tempo, quegli occhi che si rifiutavano di guardarlo in faccia mentre
moriva. Provò dolore, ma non poté non provare
anche affetto.
Un'ombra di un amore passato, ma tenace, anche se privo di senso
ormai.
«Sì
madre, le cose sono andate così», disse annuendo,
sentendosi
stranamente in soggezione.
Sperarono
con tutte le loro forze che Frigga si accontentasse di quella
versione degli avvenimenti, e accettasse il fatto che il proprio
figlio fosse un assassino non solo di Giganti di ghiaccio, ma anche
di Aesir. Del più potente e venerabile tra gli Aesir, del
padre
degli dei in persona.
Dopo
un lungo e amareggiato sospiro, la donna trovò finalmente la
voce
per rispondere.
«Figlio
mio, farò il possibile per alleviare la tua pena, Asgard non
si
prenderà la tua vi...»
«CHE
COS'HAI DETTO?»
Come
se fosse stato travolto da un fiume in piena, Loki scattò in
piedi e
si scagliò contro la madre, ma venne bloccato dalle catene
che gli
rodevano le caviglie e i polsi. Frigga, che era già in
procinto di
andarsene, si voltò verso il figlio adottivo, turbata dal
suo
furibondo tono di voce.
«Maledetta
asgardiana! Mi fai ribrezzo solo a sentirti parlare! Sei una bugiarda
schifosa! Ogni tuo sguardo, ogni tua parola trabocca della
falsità
più meschina!»
«Loki
smettila! Che ti prende?» disse Thor allarmato
dall'inaspettata
furia del fratello, cercando di calmarlo come fosse un cavallo
selvaggio. Nei suoi occhi smeraldo era contenuto l'odio più
puro, un
odio che mai aveva rivolto verso la madre. Nessuno si sarebbe mai
aspettato di udire simili parole uscire dalla sua bocca e additate
verso la regina.
«Dunque
per Thor diventa possibile commutare la pena, eh? Dunque la vita di
Thor può essere salvata, mentre la mia, quella di mio figlio
no!
Eppure non sei sempre tu mia madre? Non dovresti amarmi allo stesso
modo, a quanto dicono le tue belle parole?»
Ecco
rivelati in pochi secondi tutti i dubbi, tutti i tormenti che Loki,
l'ingannatore, aveva avuto nel corso della sua vita. La sua costante
paura di non essere accettato, di non essere compreso, di non essere
amato come i suoi fratelli.
«Sono
curioso di sapere quanto ti sei prodigata per me con il padre degli
dei! A quanto mi dicesti, avevi fatto il possibile. Dunque per Thor
riesci a fare anche l'impossibile, non è vero, regina?
»
caricò di particolare disprezzo l'ultima parola, che
già di per se
stessa costituiva un insulto. Loki non aveva mai chiamato regina
la propria madre.
Ma
quello che più fece addolorare la donna, furono le lacrime
che
rigavano il viso del ragazzo, che le ricordavano ulteriormente tutte
le sue mancanze, una per una, con più peso.
«Loki,
ti prego, cerca di comprendermi! Su me ora non incombe più
l'ombra
dell'autorità di tuo padre...»
«Non
è mio padre! Non osare chiamarlo in quel modo! E non cercare
scuse,
sappiamo benissimo entrambi che l'autorità più
grande è quella di
Asgard, sono le dicerie del popolo asgardiano!»
Frigga
non seppe più come controbattere. D'altronde era stata una
sciocca a
sperare di poter competere a parole con Loki. Scosse la testa,
affranta e rassegnata di fronte alle lacrime rancorose del figlio, di
quel figlio che non aveva mai saputo accettare come tale.
«Mi
dispiace», disse soltanto, prima di dedicargli un ultimo
sguardo
colmo di dolore e voltargli le spalle.
«Osi
anche andartene in questo modo, dopo quel che è accaduto,
tu...!»
«Fermo
Loki smettila, basta!»
Thor
intervenne per calmare il fratellastro, ma egli si era già
accasciato per terra, ansante di rabbia.
Loki,
il non amato. Loki, il maledetto.
Voci
insidiose gli ronzavano in testa da molto tempo, ma in quel momento
era come se fossero esplose tutte quante insieme, come se si fossero
incarnate in un idolo di carne. I suoi timori trovavano finalmente
conferma nelle parole di Frigga, era finita. Qualsiasi speranza di
conquistare l'amore degli asgardiani era andata in frantumi.
«Loki...»
Thor
gli mise una mano sulla spalla, facendo un cenno alla madre di
lasciare la stanza. Frigga obbedì, ugualmente desiderosa di
abbandonare quella scena pietosa. Cercando di tamponare le
innumerevoli lacrime, si diresse verso la reggia, e mentre percorreva
quegli ampi e sfarzosi corridoi ebbe modo di riflettere. Il destino
non era certo stato generoso con lei, checché Loki la
ritenesse una
stupida privilegiata e manipolatrice. Non era facile, in quel
frangente, ricoprire il suo ruolo. Come avrebbe dovuto agire, come
madre o come regina?
«Lasciami
fratello».
Loki
rifiutò le premure di Thor, scacciandolo con un gesto irato
della
mano. Il dio allora si allontanò con il cuore in pezzi.
Guardandolo,
gli ritornava alla mente il bambino che era, pieno di paure e di
servilismo. Sembrava fosse sempre spaesato, anche quand'era seduto a
banchetto con la sua famiglia e i suoi amici, anche quando gli
organizzavano una festa a sorpresa, anche quando giocava con gli
altri bambini. Ritrovava se stesso quando si immergeva nelle storie,
nei libri, o quando ascoltava Frigga che gliele raccontava.
Allorché
gli occhi gli si accendevano di una luce nuova, e iniziavano a vagare
in altri mondi.
Thor
non se n'era mai accorto, era come se suo fratello fosse
costantemente in esilio, anche quando sorrideva, anche quando pareva
essere in pace con se stesso e con il mondo che lo circondava.
Non
sapeva di aver assistito alla crescita e alla presa di consapevolezza
del dio degli inganni, della sua vera natura. Perché altro
non si
trattava che la sua natura, era una cosa che Loki stesso non riusciva
a controllare e a sottomettere, e tantomeno potevano riuscirci gli
asgardiani.
«Non
più lacrime per Loki, figlio di Laufey. Questa gente non le
merita.
Le lacrime di un dio sono preziose».
Basta
mordere polvere, basta inginocchiarsi, basta subire umiliazioni e
torture. Basta soffrire per Asgard e per le sue malignità.
Il
ragazzo si alzò in piedi, riacquistando forza e
lucidità. Mosse le
dita e il collo, e sentì il sangue scorrergli nelle vene.
Disegnò
alcune rune a mezz'aria, liberando all'istante uno sbuffo di fumo
verde che serpeggiò per un poco prima di scomparire.
Era
vivo, era nel pieno delle forze, aveva il pieno controllo delle arti
magiche. Ora doveva solo liberarsi di quelle catene.
«Thor,
cerca di dimenticare questa parte di me».
Le
sue emozioni, i suoi veri sentimenti li aveva esternati solo una
volta nella sua vita, solo di fronte ad una persona.
Thor
non avrebbe potuto prendere il suo posto.
*
Passò
un mese.
Mani
sorse e morì per trenta volte, il Naudhiz brillò
incessantemente
tra le altre costellazioni.
Il
dio del tempo era all'opera, e la terza radice del frassino
Yggdrasill continuava ad attingere alla fonte del destino.
Lì,
ove non arrivava occhio di dio o di uomo, lì tra le tenebre
più
cupe, qualcuno si accontentava di dominare le ombre.
«Mia
signora Hela...»
Ganglöt,
ricurvo come uno storpio e tremante (ancora, dopo
un'eternità
passata a servire la dea), intraprese il discorso. La donna, se tale
poteva definirsi, era intenta ad osservare i dolori e le fatiche dei
prigionieri di Hel, coloro che non erano degni di vedere la luce del
Valhalla. Un sorriso a dir poco malefico le attraversava la
metà di
faccia visibile, l'altra metà era avvolta da una costante
penombra,
pareva nera, carbonizzata da un'antica ustione.
«Sai
benissimo che di te non mi fido. Ebbene Ganglati, che cosa
c'è?»
Il
povero Ganglöt deglutì, tormentandosi le mani
piagate e ingiallite.
«Ganglati
non è qui, mia signora. Sta obbedendo all'ultimo incarico
che gli
avete affidato».
La
regina allora si voltò, lentamente, fissando il suo
servitore con
quei terrificanti occhi stretti e vuoti. I capelli le si arricciarono
attorno alla testa come serpenti, il suo volto era sottile e bianco
come la falce lunare, la sua sola figura sembrava personificare la
morte, e tutti i mali che affliggevano il mondo.
«La...
la costruzione di Naglfar è quasi ultimata, ma serviva
qualcuno che
supervisionasse i lavori, ricordate? E dato che di me non vi
fidavate...»
Hela
sciolse per un momento quella sua espressione tesa e terrificante,
come se prima avesse dimenticato un particolare fondamentale. La sua
risata sgraziata risuonò in tutte le sfarzose sale di
Éljúðnir,
smarrendo i corvi e facendo gemere le anime che subivano le sue
torture.
«Certo,
certo... abbiamo ricevuto traditori e assassini in abbondanza
ultimamente, sarà una mia impressione o Ásaheimr
e Vanaheimr hanno
ricominciato a litigare?»
«Non
so dirvi di Vanaheimr, però so per certo che Thor, figlio di
Odino,
e Loki, figlio di Laufey dei Giganti di ghiaccio sono stati esiliati
qui, sulla nostra superficie! A Niflheimr!»
La
dea, dalla sorpresa, lasciò cadere lo specchio che aveva in
mano, il
quale si frantumò ai suoi piedi. Noncurante di tagliarsi,
calpestò
i cocci pur di avanzare con fare stupito verso Ganglöt, come
se
volesse studiarlo da vicino per assicurarsi che non stesse mentendo.
Le catene che le pendevano lungo le gambe nude emettevano un clangore
agghiacciante, bastava da solo ad incutere timore ed ad alimentare
gli strepiti dei dannati.
«Mio
caro Ganglöt, ne sei proprio sicuro?»
domandò, fissando con occhi
perlacei il suo servitore, terrorizzato da quell'inaspettata
vicinanza. «Thor e Loki a Niflheimr, Thor e Loki in esilio...
ebbene, Loki non mi stupisce, dato che è mal tollerato ad
Ásaheimr,
questo è risaputo, ma Thor! Pensavo che dopo l'episodio su
Midgard
avesse imparato la lezione... a quanto pare così non
è».
Le
sue parole sfumarono in una risata raggelante.
Stolti
dei, che si affaccendavano tanto a combattersi tra loro e ad
assicurarsi una linea di discendenza incorrotta. Non avevano ancora
compreso che, alla fine, lei sarebbe stata la vincitrice indiscussa
di ogni battaglia.
«Dunque
quel vecchio stupido di Odino si è fatto ammazzare, in un
modo così
deplorevole per giunta, tra le sue mura! I due principi di Asgard
sono condannati, non c'è forse un collegamento tra i due
fatti?» si
rivolse Hela al suo servitore, mentr'ella continuava a volteggiare a
mezz'aria per le lugubri sale del suo palazzo, avvolta in un'aura
nera come la pece.
«E,
se posso permettermi mia regina, nessuno ci ha informati della morte
del grande Padre, abbiamo dovuto scoprirlo da noi...»
«Stupido!»
lo rimproverò lei, alzando una mano come volesse punirlo.
«I vivi
non entrano con facilità ad Hel! Nessuno arriverebbe fin qui
solo
per recapitare un messaggio! E poi Garmr ha l'ordine di divorare i
messaggeri, ricordi?»
«S-sì
mia regina...»
La
dea, divertita dai balbettii impauriti del suo servo, si
calmò
all'istante e ritirò la mano.
Amava
inebriarsi del terrore che incuteva sugli altri, aveva tutte le loro
vite nelle sue mani artigliate e poteva trattare a piacimento con
coloro che arrivavano fin nelle profondità dell'universo per
riportare alla luce i loro cari. Poteva ricattarli, proporre
condizioni impossibili, alzare il prezzo ancora e ancora solo per
vederli lottare e divorarsi tra loro per qualcosa che non potevano
riavere indietro.
Era
una sensazione di onnipotenza impagabile.
Per
questo era subito stata grata ad Odino per averle conferito quel
trono.
Sotto
lo sguardo timoroso di Ganglöt, si
fermò presso un antica ara di marmo, nella quale crepitava
un fuoco
fatuo. Vi scrutò dunque all'interno come se vi leggesse
antiche
storie, versi di poesie arcaiche, come se attraverso quelle fiamme vi
fosse una finestra sul mondo esterno.
«E
poi, Loki...»
Era
al corrente della sua recente impresa su Midgard finita miseramente,
e si aspettava che il dio intendesse farle visita dato che era stata
lei ad indirizzarlo dai Chitauri, quando era stato bandito da
Ásaheimr. Eppure qualcosa sembrava frenare la sua
volontà nefasta.
Thor gli era accanto, Thor condivideva la sua stessa pena. Erano
vicini.
«Che
cos'hai in mente, dio del chaos?»
Le
fiamme rimasero silenti.
*
Sotto
uno sperone di roccia e ghiaccio, al riparo dai venti e dal gelo
tenace della pianura, vi era una misera costruzione di legno e ferro
incassata a ridosso di una parete, sul fondo di un'ampia caverna. Una
tana vulnerabile ed eretta alla meno peggio, una dimora alquanto
insolita per due dei, due principi abituati all'oro e agli agi di
Asgard.
Ma
Loki, dei Giganti di ghiaccio, e Thor, figlio di Odino, erano avvezzi
anche ad affrontare ambienti inospitali e selvaggi, non avevano
ancora la tempra dei vecchi re, in loro non si era ancora estinto il
fuoco della gioventù.
«Detesto
Asgard».
Loki
alzò la testa dal suo giaciglio, sorpreso da
quell'inaspettata
affermazione.
«La
detesto per averti lasciato qui, a partorire tra i ghiacci».
Il
dio degli inganni soffiò divertito, lasciandosi sfuggire una
mezza
risata.
Sfregò
tra loro le mani nel tentativo di riscaldarle e gettò
un'occhiata
alla notte, oltre il vetro della finestra. Le stelle brillavano come
pozze d'acqua, il limpido cielo artico era chiuso dal tetto nero
della spelonca, e la neve continuava imperterrita a ricoprire ogni
cosa.
«Thor,
io ci sono nato tra i ghiacci».
La
grigia terra di Niflheimr era silenziosa e bellissima, era un luogo
perfetto dove morire, e sarebbe stato anche un luogo perfetto in cui
nascere.