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Autore: d r e e m    07/09/2012    3 recensioni
So che hai ancora un po' vita dentro di te, so che ti è rimasta ancora tanta forza.
Nove mesi da quando Finnick se n'è andato.
Nove mesi da quando sono finiti gli Hunger Games.
Nove mesi di Annie Cresta e del suo bambino che ancora non sa di avere.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Finnick Odair
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I know you have a little life in you yet
- i nove mesi di Annie Cresta -

 

1. Mani
 
«Annie, ti posso parlare?», uno sbuffo di voce che Annie quasi fu tentata di non udire, tanto i suoi occhi erano cimentati ad osservare i minuziosi solchi delle sue mani nodose adagiate sul suo grembo piatto.
Ad Annie piaceva pensare che le sue mani fossero un po’ come le corde di Finnick - le intrecciava, le snodava. Quelle sue stesse mani che un tempo avevano raccolto conchiglie, carezzando i granuli di sabbia, avevano anche risucchiato vite e sciupato sangue. Erano mani da carnefice le sue, così come lo erano quelle di Finn. Per questo utilizzava le corde, per lavare via il sangue da sotto le unghie, per avere delle dita nuove. Ma lei non aveva corde, non poteva far altro che continuare a fissare le sue mani e a intrecciare nodi immaginari nell’attesa che lui tornasse.
«Finnick..» iniziò Johanna con voce riluttante, deglutendo un groppo troppo amaro che gli fece riardere ancora di più la gola.
Ad Annie piaceva pensare che le sue mani fossero un po’ come delle corde per Finnick – le intrecciava continuamente tra le dita di lui. Aveva stretto intorno a lui un nodo, ma questa volta Finnick era poco avvezzo a districarlo. Le loro mani conoscevano esattamente ogni centimetro di pelle dell’altra. Non si staccavano mai.
Allora perché la sua mano non era legata alla sua adesso?
Annie sollevò lo sguardo spaesato e traslucido su Johanna la quale si sentì mancare il terreno sotto i piedi e, per la prima volta in vita sua, anche le parole sulla punta della lingua.
Ad Annie piaceva pensare che le sue mani l’avrebbero protetta, l’avrebbero salvata da ogni tristezza, dolore, mancanze, perdita; per cui, quando Johanna ricominciò a parlare, le ripose sulle orecchie, affondandole tra i capelli, premendole contro i suoi timpani.
«Finnick ti amava molto»
Ma Annie già era lontana, sentiva la risacca del mare e la risata del suo Finn.

 
2. Sale

 
Quando era piccola, Annie cadeva in continuazione.
«Buttaci sopra un po’ di sale, passa tutto»– le aveva detto un giorno suo padre.
Annie era cresciuta con questa convinzione, soffiando sopra i tagli e le ferite scarlatte che gli scogli acuminati le ricamavano sulle gambe legnose e sulle ginocchia.
Una manciata di sale e la ferita spariva. Friggeva come tizzoni di carbone ardente e l’acqua del mare non avrebbe potuto alleviare le sue pene.
Bruciava tantissimo, sì, ma la ferita spariva.
Quando aveva partecipato agli Hunger games, Annie piangeva in continuazione.
Sperava che il sale delle sue lacrime potesse sciacquarle la mente, disinfettarle il cuore gli occhi dall’orrore e dagli incubi.
Ma per quanto piangesse, il sale non le sanò la ferita brutale che i Giochi le avevano inferto.
Quella macchia imputridiva ad ogni secondo che trascorreva. La verità è che non se ne sarebbe mai più andata.
Quando si era sposata, Annie amava Finnick in continuazione.
Il giorno del loro matrimonio le labbra ruvide di Finn avevano raggiunto quelle screpolate di lei. Un solo bacio al sapore di acqua salata, come voleva la tradizione del Distretto 4.
E il sale le si era incrostato agli angoli della bocca, dentellandole un sorriso. E mai avrebbe sospettato che quel sapore le si sarebbe scrollato di dosso.

«Buttaci sopra un po’ di sale, passa tutto» – aveva avuto ragione suo padre.
Anche quel sapore, insieme al suo Finnick, se n’erano andati per sempre.
Quando scoprì di essere incinta, Annie vomitava in continuazione.
I singhiozzi le percuotevano le scapole sporgenti, il terrore la divorava da cima a fondo, le penetrava dagli occhi per rigettarlo sottoforma di urla strozzate dall’acqua e parole sconnesse.

Buttaci sopra un po’ di sale, Annie, tutto passa.
Tutto passa, tranne quello.

 

3. Zollette

Quarantasette.
Annie immerse le dita nel barattolo di vetro e, corrucciando le sottilissime sopracciglia, agguantò l’ennesimo cubetto bianco e iridescente.
Lo levò al di sopra della propria testa, strizzò gli occhi abbagliata dalla luce e lo fece sommergere dagli spicchi di sole che facevano capolino dalla finestra, scoprendone i riflessi luminosi e brillanti che nessun gioiello avrebbe mai potuto emettere.
Annie era stata abituata a quella luminosità, a quei riflessi, a quelle luci, a quel palco, a quelle interviste e sapeva che dietro a tutto quel luccicare si nascondeva lo scempio dei Giochi e il sangue delle vittime.
Lo sapeva, la luce l’aveva fatta uscire fuori di senno.
Gli occhi chiari scrutavano le finissime sfaccettature rivedendo in ognuna di esse un sorriso, uno sguardo, un bacio.
Annie socchiuse gli occhi e le mani striminzite portarono la gemma zuccherina alle labbra, rese secche dal caldo e dalla salsedine.
Un sospiro opaco e la zolletta si ritrovò imprigionata tra la lingua e i suoi denti; Annie lottò contro il palato, ebbe la meglio sulla lingua e alla fine la inghiottì e bevve la lacrima che accompagnò quel gesto, beandosi del gusto dolce di cui tanto aveva avuto voglia.

Quarantotto.
Annie sospirò e intrecciò le mani al grembo leggermente rigonfio, torturandosi il labbro con fare colpevole.

L’ultima.
Il suo sguardo era già saltato sul barattolo di vetro accanto a lei.

Per te, Finnick.
La mano era scomparsa tra i cubetti nivei facendoli tintinnare tra di loro come tante campanelle.
L’ultima e basta.
 

4. Stazione
 
Lo stridere agghiacciante delle rotaie del treno, Annie non l’aveva mai sopportato.
Sarà perché fin da bambina i treni le avevano fatto sempre un po’ paura.
Gli abitanti del Distretto 4 utilizzavano le barche, le navi colorate, piccole e leggere. Non i treni.
I pochi che salivano su quella scatola di latta, lunga e scintillante, erano diretti per Capitol City; solo andata, nessuno ne ritornava più indietro.
Ecco perché erano così i treni dei Distretto 4 - vuoti.
Quando Finnick era salito su quel treno, il suo cuore le aveva sussurrato che quella sarebbe stata l’ultima volta che lo avrebbe visto.
Eppure il treno era ritornato, i capelli ambrati di Finn era spuntati dal finestrino, così come il suo sorriso e il suo pugno fermamente serrato puntato al cielo, segno di vittoria.
Una turba di gente fu pronta ad accoglierlo: vecchi pescatori dai visi rugosi e cotti dal sole, bambini con occhi trasognanti e saturi di gioia, padri e madri rincuorati come se quello fosse stato il loro stesso figlio.
Quando Annie era salita su quel treno, il suo cuore le aveva schiaffeggiato in faccia che quello sarebbe stato un viaggio senza un ritorno.
Anche quella volta il suo cuore le aveva detto male – ma non del tutto.
Annie dall’Arena non era mai più tornata; stava lì, in bilico tra una manciata di incubi e l’orlo della pazzia.
Lo stridere agghiacciante delle rotaie del treno, Annie ora lo attendeva con speranza.
La vecchia ferrovia del Distretto 4 adesso era più funzionante che mai. Donne, uomini, con valigie e pacchetti erano pronti a salire non più con la paura nell’animo.
Annie non partiva, Annie non andava da nessuna parte.
Se ne stava lì, su una panchina ad accarezzarsi la sporgenza del vestito giallo ocra.
Aspettava che primo o poi da uno di quei treni scendesse il suo Finnick tutto ridente.

Aspettavano.

 

5. Barca* 

Per quanto si potesse ricordare del Distretto 13, Annie sapeva che da lì non avrebbe potuto guardare il suo adorato mare.
Aveva provato più volte a sbirciare attraverso le minuscole finestrelle prima che l’attacco di Capitol City l’avesse costretta a scendere giù in profondità.
Nessuna barca all’orizzonte, nessuna vela bianca a segnalare il ritorno di qualche pescatore atteso dalla propria famiglia.
“Quando torneremo a casa, avremo una barca tutta nostra, Finn?” aveva sussurrato nel buio del proprio angolino, rannicchiata contro il petto di suo marito, con i fischi delle bombe che le schiaffeggiavano il cuore.
“Si, Annie. Avremo una barca tutta nostra. Io la mattina andrò a pescare e tu sarai lì sulla spiaggia ad osservarmi finché non sarò un puntino piccolissimo all’orizzonte. E tu sarai lì al mio ritorno. Avrò un valido motivo per ritornare a casa, da te”
Finnick le aveva sfiorato i soffici capelli neri con le labbra e Annie aveva nascosto il viso, premendo il naso freddo contro il suo torace.
Per quando si potesse ricordare del Distretto 13, Annie avvertiva ancora quel lento vibrare del materasso rattoppato sotto di loro, dei sibili delle bombe sopra le loro teste, di quella barca instabile che aveva preso il largo nel bel mezzo della tempesta alla ricerca di porti sicuri.
Annie guardava i minuscoli puntini bianchi all’orizzonte, lo stridere dei gabbiani intorno a quelle vele.
Si massaggiò il ventre con movimenti circolari, pure linee immaginarie solcavano la pelle della pancia rigonfia quasi come a misurarne la distanza, la profondità, la circonferenza.
“Si, sarebbe stata davvero una bella barca la nostra” mormorò distogliendo gli occhi dall’orizzonte. I loro cuori avevano già preso il largo verso acque più pacifiche.

  

6. Pesciolino

 
Il giorno prima dei Settantesimi Hunger Games, Finnick le regalò un pesciolino.
Annie se lo ricordava ancora, con le squame argentate e le pinne arancioni con una spruzzata di rosso sul dorso.
Non era bello, aveva anche gli occhi storti tanto che Finn, porgendoglielo nel bicchiere di vetro, lo aveva chiamato Sisar, come il noto presentatore dello show televisivo che precedeva i giochi, che quell’anno aveva sfoggiato un look tendente al rosso mattone.
«Guarda come è buffo» - Finnick aveva puntellato due o forse tre volte sul vetro al punto che il povero pesciolino dalla sorte sfortunata aveva cominciato a boccheggiare spaventato e a scuotere le pinne tremanti.
Annie rise per l’ultima volta ammirando il suo bel pesciolino.
Il giorno dopo del ritorno di Annie dall’Arena, il pesciolino non c’era più ad aspettarla.
Pianse: le lacrime si infrangevano sulle scogliere delle sue guance rimembrando il suo adorato pesciolino.
«Quando torneremo da Capitol City, te ne regalerò uno nuovo – te lo prometto»
Ma Finnick non ritornò più da Capitol City, nè Annie ebbe più modo di ricordarsi del suo pesciolino, la mente offuscata dalla nebbia velenosa dell’orrore dei Giochi.
Il giorno prima della fine degli Hunger Games, Finnick aveva mantenuto la sua promessa.
Annie poggiò la mano sul grembo alquanto sporgente, disegnandone il confine e puntellò la pancia con le dita al punto di sentire per la prima volta una leggera pressione provenire dall’interno.
E la sentì, la nuova vita che guizzava e si agitava dentro di lei.
Annie rise per la prima volta dopo la fine della guerra, sentendo di amare già quel pesciolino che Finn si era ricordato di donarle.
 

7. Conchiglie
 
Da bambina Annie collezionava conchiglie.
La spiaggia diventava un firmamento di alghe secche, cocci di coralli e tappeti di conchiglie.
Smussava la sabbia e raccoglieva tutto ciò che il mare le poteva regalare.
La sua coperta di lana blu celava tesori preziosi, conchiglie dalle sfumature rosa e madreperlacee, pietre azzurre e coralli fiammeggianti.
Con alcune di esse si adornava i capelli lisci e neri, con altra fabbricava collane e bracciali nella speranza che qualche donna del Distretto 4 le volesse acquistare, altre ancora le teneva per se e se le rigirava tra le dita sottili, sperando nella giusta combinazione.
E le incastrava tra di loro, facendone combaciare i bordi zigrinati ma nessuna era perfetta: una era rotta, una era troppo grande, una era sporca, una era a metà.
Lei e Finn erano proprio come quelle conchiglie. I loro corpi erano porosi e delicati, ad un tocco maldestro si sarebbero potuti spezzare a vicenda.
E Finn non la toccava, l’accarezzava; e Annie non lo baciava, gli soffiava le labbra.
Si univano senza toccarsi, al buio, senza fare rumore.
Erano conchiglie troppo fragili, cotte dal sole e corrose dal sale.
Eppure che potevano farci se avevano dimenticato le cicatrici, gli orrori di Capitol City e si sentivano integri solo a contatto l’uno con l’altra.
Ad Annie piaceva ancora collezionare conchiglie. Le adagiava sulla pancia scoperta con delicatezza attendendo una risposta dal suo interno.
Perché tra due conchiglie, anche se rotte, in mezzo c’è comunque il rumore del mare.
Uno scalpiccio, un guizzo – e già al loro bambino piaceva tanto il mare.

 

8. Onde
 

Acqua. Tanta acqua intorno a lei.
Era questo ciò che Annie ricordava della Settantesima edizione degli Hunger Games.
Il sangue, i morti, i feriti, i nemici, tutti risucchiati dall’acqua.
Affondava lentamente, bolla dopo bolla l’aria veniva spremuta a forza dai suoi polmoni.
Le braccia si dibattevano, le gambe cozzavano tra di loro, il collo diveniva lungo, sempre più lungo nella speranza della superficie, di uno spiraglio di ossigeno.
Il sangue, il ribrezzo, l’orrore, tutto era stato disinfettato dall’acqua densa e opaca.
E lei era sola, e lei era l’unica. Unica sopravvissuta.
Il rumore dell’acqua era troppo insistente e le otturava le orecchie tanto da non sentire il rimbombo del cannone, il rumore assordante di una flebile vita giunta al termine.
Acqua. Tanta acqua davanti a lei.
Annie la scrutava con un cipiglio inatteso mentre le onde sembravano sfrigolare al contatto con gli scintillanti raggi di sole.
La chiamavano mare. La chiamavano vita.
Annie si lasciò trasportare dalla corrente, dai flutti invitanti che la inducevano a proseguire, accarezzò l’acqua oceanica dai riflessi cangianti.
Si avvicinò così, in punta di piedi, quasi timorosa di interrompere il rumore assordante dello strascico delle onde contro il bagnasciuga.
Fece scorrere i nastri di acqua tra le sue dita, avvolse quel manto blu intorno alla sua fiera collina, coprì di un’armatura trasparente le sue scapole sporgenti, lavò le sue memorie dal fango dell’orrore.
Acqua. Tanta acqua sopra di lei, ma questa volta Annie non aveva paura.
C’era calma sotto le onde, così come c’era il suo bambino sotto gli involucri sgualciti e le cicatrici che erano rimaste nel suo corpo martoriato.
Così era giusto affondare. Ed era bello. Ed era tutto per loro.
Sangue. Troppo sangue su di lei quando Annie riemerse dall’acqua.
C’era la tempesta sopra il mare. E il suo bambino era troppo silenzioso.
 

9. Amaca
 
Dondolava, dondolava.
La caviglia destra penzolante e il braccio sinistro docilmente abbandonato al vuoto che si estendeva al si sotto di lui.
Finnick amava quell’amaca, l’aveva tessuta lui stesso con corde di lino e iuta. L’aveva ricamata con la spuma del mare, i deboli sorrisi di Annie, i granelli di sabbia, la speranza di giorni migliori.
«Non sarà un po’ troppo debole?» aveva chiesto una Annie bambina in un giorno lontano, con il naso arricciato e i piedini scalzi.
Finn aveva roteato gli occhi, aveva slacciato le mani da sotto la nuca e aveva portato le ginocchia contro il petto nudo.
«Se vuoi salire non c’è bisogno che tu me lo chieda» e aveva alzato le sopracciglia e stretto le labbra in un sorriso.
Annie si era alzata in punta di piedi, aveva pungolato con i gomiti e con uno slancio si era ritrovata tra quelle vele bianche e ruvide che odoravano di mare – che odoravano di Finn.
«Hai visto-» aveva esultato Finnick con un sorriso ancora fanciullesco «-quest’amaca è fatta per essere per due»
La caviglia destra penzolante e il braccio sinistro dolcemente abbandonato sulla pancia prominente, bloccandole metà della visuale.
Dondolava, Annie.
Le labbra contratte a pigolare una melodia sottile, cullata da quel dondolio continuo.
Era contenta, era esausta.
Ma dondolava, continuava a dondolare facendo passare il sottile filo tra le conchiglie bianche e rosa, mormorando quella ninna nanna a mezz’aria.
Tintinnavano quelle conchiglie come tante sonagliere.
E l’amaca reggeva il peso: dei ricordi, delle morti, delle bombe, delle guerre.
Una fitta acuta proveniente dal basso ventre e il mormorio di Annie si gelò all’istante sulle labbra fresche incitandole un sospiro mentre gli occhi increduli e divorati dalla paura ispezionavano il piccolo continente adagiato su di lei.
I loro cuori, lo sentiva, battevano all’impazzata.
Perché in fondo il loro bambino non avrebbe potuto scegliere posto più bello dove nascere, in quell'amaca che in fondo era stata costruita per essere per tre.

. . .

Un pettine di corallo, una conchiglia rotta, il sorriso di un bambino, la furia del mare in tempesta, Finnick davanti all’altare, una barca a vela all’orizzonte, le urla di un neonato.
“E’ maschio”
E poi, la vita continua.

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Riferimenti alla canzone This woman's work di Kate Bush.

* La barca allude al ricordo del matrimonio di Finnick e Annie, quando si paragonava la loro unione a un viaggio in mare.

Ebbene si, sono sbarcata - è proprio doveroso dirlo - anche in questo fandom. Già è da un po' di tempo che conosco THG, solo a Giugno mi sono decisa a leggere tutti e tre i libri ed è inutile dire che me ne sono innamorata. Avevo voglia di esordire con qualcosa di diverso, non le solite storie di Peeta e Katniss (che io adoro) ma mi sono conentrata su questi due personaggi e non sulla loro storia d'amore ma cosa è successo dopo, ovvero la gravidanza di Annie, i nove lunghi e interminabili mesi. Non so se ho reso l'idea alla fine, mentre Annie partorisce, il parallelismo con la morte di Finnick e come la Collins lo ha narrato in Mockinjay e il fatto che per Annie invece la vita continua, in lei e nel loro bambino. Vi prego di essere clementi e anche se non sono ben conosciuti nel fandom di riservagli pochissimi minuti per un vostro commento, in memoria di Finnick Odair (♥).
Grazie mille per la vostra lettura.
Sil

   
 
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