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Autore: Shadriene    24/03/2007    8 recensioni
Pre-serie: i pensieri di Urumi Kanzaki prima dell'arrivo del professor Onizuka.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note iniziali dell’autrice:
Credo sia doveroso da parte mia precisare che questa one-shot è stata scritta pensando al manga GTO e non all’anime (nonostante io abbia letto e visto entrambi interamente), infatti ci sarà presente un riferimento che non mi pare ci fosse anche nell’anime, che quindi vorrei brevemente spiegare prima di cominciare. Quando Kanzaki e Onizuka sono sul tetto che parlano (poco prima che lui con il sedere la spinga giù, per capirci), lei mostra l’agenda che è piena di numeri di telefono e gli confessa che spesso chiama degli sconosciuti conosciuti tramite il Telephone Club per avere un po’ di compagnia.
La storia è ambientata prima dell’arrivo di Onizuka, infatti Kanzaki è più piccola di quanto non sia nel manga o nell’anime.
Ringrazio come sempre Serintage che pazientemente mi fa da beta anche quando non ha la più pallida idea dell’argomento del quale tratta la mia ff: Seri, sei inimitabile! Grazie! :*

Dedico questa fanfiction ad Aizen-sama, perché gli voglio un mondo di bene e so che gli piace tanto Urumi Kanzaki.


*


Policy of truth



“You had something to hide
Should have hidden it, shouldn't you
Now you're not satisfied
With what you're being put through
It's just time to pay the price
For not listening to advice
And deciding in your youth
On the policy of truth”


“Policy of truth” - Depeche Mode



Passi leggeri. Una camminata senza fretta. Nessuna meta precisa.
La pioggia cade fitta attorno a te, su di te.
Sei senza ombrello, sei bagnata, ma non ha alcuna importanza.
Le persone lungo il marciapiede si scostano al tuo passaggio, avvolte nei loro impermeabili o all’asciutto sotto un ombrello. Qualcuno ti lancia un’occhiata perplessa, ma nessuno ha abbastanza tempo per fermarsi e capire come mai una giovane ragazza cammini la sera sola sotto la pioggia, a parte qualche maniaco che non ha il tempo di aprire bocca, che una tua occhiata gelida gli fa capire chiaramente di starsene alla larga.
Non hai mai capito se fosse il tuo sguardo furente ad allontanarli, o i tuoi occhi, il simbolo più evidente della tua diversità.

Urumi Kanzaki, 14 anni, un essere che non sarebbe mai dovuto venire al mondo.

Difficilmente riesci a definirti umana. Sei un ammasso di DNA assemblato insieme per creare qualcosa di perfetto. Ma lo sei davvero?
Continui a camminare lentamente lungo il marciapiede, incurante di chi ti passa accanto e della pioggia che non sembra accennare a smettere. Ti sembra di sentire il suono di una chitarra e cerchi d’individuare da dove provenga. Probabilmente un musicista di strada sta suonando una malinconica melodia al riparo da qualche parte, sperando che la pioggia smetta presto: non può guadagnare nulla se la gente è troppo presa a correre a casa per non bagnarsi. Poi lo vedi, una giacca di pelle nera, dei jeans sbrindellati e una chitarra in mano, con un’espressione sconsolata addosso e la custodia dello strumento a terra vuota. Ti fermi per osservarlo meglio, sentendo per la prima volta il peso della pioggia su di te e qualche rimprovero a mezza voce dagli altri passanti a cui sei d’intralcio. Lui alza lo sguardo, ti guarda negli occhi, ma non si ritrae perplesso, semplicemente ti sorride continuando a suonare.
« Prenderai un malanno se continui a camminare sotto la pioggia ».
Probabilmente non è realmente interessato al tuo stato di salute, del resto neppure a te interessa se farà un pasto decente quando gli getti una manciata di yen nella custodia della chitarra.
Riprendi a camminare, questa volta con una meta, perché non ha senso andare in giro così alla cieca. In poco tempo sei a casa. Apri la porta cercando di fare più rumore possibile. Senti le dita di tua madre picchiettare sulla tastiera senza fermarsi. Tossisci sperando di farti sentire, ma nulla. Ti togli le scarpe fradice e ti avvii verso la stanza in cui lavora. Ti affacci sulla porta, in modo che si noti che sei bagnata.
« Ciao ».
« La cena è sul tavolo in cucina ».
Non ha neppure alzato lo sguardo, tu invece abbassi il tuo.
Lentamente ti avvii verso il bagno, ti spogli degli abiti bagnati e t’infili sotto la doccia.
L’acqua calda scende pesantemente su di te, dando calore ad ogni centimetro della tua pelle ancora infreddolita dalla pioggia. Sposti la testa in modo che sia completamente sotto il getto e aspetti, aspetti, fino a non avere più aria nei polmoni, scostando la testa di scatto alla ricerca di ossigeno. Afferri lo shampoo accanto a te e senza prestarci troppa attenzione ti spremi parecchio contenuto del barattolo in testa, t’infili le mani fra i capelli e li lavi energicamente cercando di levarti di dosso una sensazione di sporco che sai non andrà via. Osservi la schiuma che scivola lungo il tuo corpo... le braccia, il seno, la pancia, le gambe, poi arriva ai tuoi piedi, si mescola con il resto della schiuma, arriva un po’ d’acqua e se ne va.
Siamo solo di passaggio.
L’acqua inizia a diventare fredda, così smetti di osservare la tua pelle candida e i tuoi polsi che più di una volta hai voluto macchiare di sangue. Finisci di lavarti in fretta, chiudi l’acqua e avvolgendoti nel tuo caldo accappatoio vai in camera tua.
Ritorni nel tuo piccolo mondo, il tuo rifugio, di nuovo sola.
Ti distendi sul letto, mentre i tuoi capelli bagnati si sparpagliano sul cuscino inzuppandolo. Non ci fai caso più di tanto, sei occupata a fissare con distaccato interesse il soffitto della tua stanza. Afferri il telefono poco distante da te e componi un numero che sembri conoscere fin troppo bene.
Uno squillo.
Due squilli.
Tre…
« Ciao, bambolina ».
Rimani per un attimo in silenzio, chiedendoti perché lo stai facendo.
Tu li detesti quei bavosi vecchi maniaci, tuttavia sono la tua unica compagnia, perché tu non hai amici. Del resto, come può averne un essere come te?
Eppure, un tempo non molto lontano, ne avevi qualcuno anche tu.
Andavi a scuola come tutti i bambini normali, avevi degli amici come tutti i bambini normali e avevi una Maestra che ti voleva bene. O almeno così ti aveva fatto credere.
Tu detesti gli insegnanti.
Prima carpiscono la tua fiducia, poi, quando abbassi la guardia, ti pugnalano alle spalle. Sono la feccia della società, sono falsi, ipocriti e…
Ti eri fidata della tua Maestra delle elementari. Le volevi bene, era quasi come una madre per te. Non andavi da lei per studiare, andavi da lei per avere qualcuno con cui parlare, con cui ridere e scherzare.
Tu credevi in lei, per questo le hai rivelato il tuo segreto.
Avresti dovuto nasconderglielo ancora?*
Perché?
Perché farlo?
Lei era la tua cara Maestra, la persona a cui volevi più bene.
Lei doveva sapere.
Sembrava avessi fatto la scelta giusta. Dopo che glielo dicesti, la Maestra sembrò aver capito molte cose e semplicemente ti sorrise. Ma poi… poi, quando ormai credevi che nulla potesse turbare la tua gioia, lei iniziò a essere distante.
Avresti dovuto capirlo subito che qualcosa non andava.
Eri una bambina ingenua, fiduciosa verso gli altri, fiduciosa verso lei, la tua Maestra, non avresti mai pensato che potesse usare il tuo segreto contro di te.
Invece lo fece.
Come potevano ora gli altri bambini essere amici di un essere come te?
Non avresti più potuto continuare ad andare a scuola, non dopo che quella puttana aveva spifferato tutto. Perché ormai tutti sapevano il tuo segreto.
Avresti dovuto dare retta a tua madre, che ti disse di non rivelare a nessuno la verità. Invece ti sei fidata: sei stata una bambina ingenua, hai fatto un errore dovuto alla tua giovane età e ne hai pagato il prezzo.**
Non avresti più ripetuto lo stesso errore.
Non ti saresti più fidata di nessuno, perché sono tutti pronti a pugnalarti alle spalle quando abbassi la guardia. E tu non vuoi più soffrire, perché sei troppo intelligente per stupidaggini come la sincerità. Perché provi ancora dolore per l’unica volta in cui hai deciso di fidarti e di essere sincera. Per questo chiami questi vecchi maniaci bavosi: non devi avere fiducia in loro, né dare loro sincerità.
Distaccata ti decidi a rispondere.
« Ciao ».
Non importa chi tu sia.
Non importa chi lui sia.
Ora hai compagnia, ma in fondo sai che sei più sola di prima.
Hai pagato a caro prezzo la tua sincerità.
Ora sei sola.
Sola.
Per sempre.



**
Fine
**




*“Avresti dovuto nasconderglielo ancora?” ricorda il verso “Should have hidden it, shouldn't you” perché mi sono ispirata alla traduzione di questo pezzo per scrivere quella frase.
** “Avresti dovuto dare retta a tua madre, che ti disse di non rivelare a nessuno la verità. Invece ti sei fidata: sei stata una bambina ingenua, hai fatto un errore dovuto alla tua giovane età e ne hai pagato il prezzo” invece è stato scritto ispirandomi ai versi “It's just time to pay the price/For not listening to advice/And deciding in your youth”.
Entrambi i pezzi sono tratti dalla canzone “Policy of truth” dei Depeche Mode.



Note finali dell’autrice
Prima di oggi non avrei mai pensato di scrivere qualcosa su questo manga. Prima di oggi, a dire il vero, non avrei mai pensato neppure di scrivere qualcosa in seconda persona, però credo che il risultato non mi sia riuscito poi tanto male. Sono contenta di com’è venuta, ma soprattutto sono contenta che ad Aizen-sama sia piaciuta, visto che in fondo l’ho scritta per lui.
Questa one-shot partecipa alla SFIDA lanciata da Maki, che consiste nello scrivere una ff per ogni pezzo dell’album Violator dei Depeche Mode entro la fine dell’anno.

   
 
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