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Autore: Layla    08/09/2012    4 recensioni
Questa storia parla dello hiatus dei blink-182 dal punto di vista di Tom.
L’uomo sospirò, alla fine il rospo – il nome del suo ex migliore amico e fratello non di sangue – era uscito nonostante tutti i suoi tentativi di ignorare che data fosse e cosa aveva comportato per lui.
Proprio in quel momento sullo schermo vide sé stesso pronunciare la seguente frase con uno sguardo triste e perso, quello tipico del primo periodo post rottura con i blink.
“Avevo toccato il fondo. È stata la cosa più pesante che sia mai capitata nella mia vita, è stato come divorziarsi tre volte in una settimana. È stata una cosa fottutamente folle, pazzesca, un insieme di emozioni: tristezza, incazzatura…. “
Era un caso?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Mark Hoppus, Tom DeLonge
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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His Side Of The Story.

Even the smallest thing could be enough for you,
Still it was too hard for me to give.
Even the smallest thing could break your heart in two,
No wonder why it's hard for you to live. (*)

Il silenzio di quella casa era assordante, erano anni che ci viveva e non ci aveva mai fatto caso.
Tom DeLonge era seduto sul grande e comodo divano di casa sua, sotto la riproduzione della foto di un astronauta sulla Luna che Jen gli aveva regalato secoli prima, intento a fingere di guardare le riprese del materiale girato per Start The Machine.
Forse non ci aveva mai fatto caso – al silenzio – perché per lui era abbastanza raro essere in piedi, sobrio, fuori da uno studio di registrazione o forse lo notava solo ora perché avrebbe fatto di tutto per convincersi che quello fosse un giorno normale.
Peccato che non lo fosse, durante i giorni normali non era insonne e non notava che la casa era silenziosa, tranne per il vento allucinante che si era alzato fuori e che soffiava furioso.
Era normale che ci fosse vento a marzo a San Diego, era normale che ci fosse il 15 di marzo.
Strinse la bocca al suono di quella data e si disse che imprecare ad alta voce – come desiderava ardentemente fare – non era una buona idea, avrebbe svegliato Jonas che avrebbe in primis cominciato a piangere e di seguito svegliato  tutta la casa.
A sette mesi meno un giorno il suo secondogenito aveva una voce da far invidia a Mark nei suoi momenti migliori sul palco.
L’uomo sospirò, alla fine il rospo – il nome del suo ex migliore amico e fratello non di sangue – era uscito nonostante tutti i suoi tentativi di ignorare che data fosse e cosa aveva comportato per lui.
Proprio in quel momento  sullo schermo vide sé stesso pronunciare la seguente frase con uno sguardo triste e perso, quello tipico del primo periodo post rottura con i blink.
“Avevo toccato il fondo. È stata la cosa più pesante che sia mai capitata nella mia vita, è stato come divorziarsi tre volte in una settimana. È stata una cosa fottutamente folle, pazzesca, un insieme di emozioni: tristezza, incazzatura….

Era un caso?
Il chitarrista scosse la testa, non lo era. Al caso lui non ci aveva mai creduto,  credeva alle coincidenze che cercavano di dirti qualcosa e non era nemmeno troppo difficile indovinare che cosa quella volta.
Alla parola “divorzio” subito aveva ricordato quello dei suoi e come una catena maledetta aveva proseguito con lo scrivere “Stay together for the kids” e da lì era arrivato a Mark.
Quante volte avevano parlato di come avevano vissuto lo sfasciarsi delle rispettive famiglie? Di come lui ci fosse rimasto male all’epoca e ancora soffrisse un po’ a distanza di anni per quell’avvenimento? Di quanto avesse per lui un potere catartico  eseguire live quella canzone?
Troppe per poterle ricordare, probabilmente prima e dopo di quasi ogni concerto – era un logorroico lui – e Mark era rimasto pazientemente ad ascoltarlo e a ricordargli che Tom non era più il ragazzino perso e arrabbiato. Che ora che aveva Jen ed Ava (e Jonas) le cose sarebbero state diverse, come lo sarebbero state diverse per lui con Skye e Jack.
La cosa gli strappò un piccolo sorriso – Mark aveva avuto ragione – seguito da una smorfia di dolore, dov’era il suo amico adesso?
Una volta aveva dichiarato che sentiva la necessità di chiamare almeno una volta al giorno il bassista per sentirsi ok durante il giorno, possibile che fosse cambiato così tanto negli ultimi due anni?
La risposta più sincera – ma anche la più amara – era che sì, era cambiato: non era più il Tom tutto cazzate, quello che Mark si aspettava lui fosse.
Aveva usato la parola “divorzio” ed era quella più corretta, come nelle famiglie che si sfasciano uno cambia, l’altro non se ne accorge – o finge di non farlo – e così facendo si crea un solco che difficilmente può essere riempito.
Ci vuole tempo e pazienza per riparare le cose rotte nella vita e per far riavvicinare persone che un tempo erano così amiche da potersi definire fratelli e loro non avevano avuto né uno né altro.
Entrambi erano impulsivi ed entrambi erano rimasti fermi sulle proprie posizioni, intimamente risentiti per l’ottusità dell’altro – come una coppia di vecchi sposi – d’altronde non aveva forse definito la band come una famiglia disfunzionale?
Tom si mosse a disagio sul divano, perché era di nuovo finito a pensare ai blink? Non sarebbe stato più utile pensare agli AvA?
Il suo cervello doveva essere convinto di no, perché sembrava non avesse alcuna intenzione di smettere di fargli ricordare la sua vecchia band.
“Ok, ok. Ho capito, mi immergerò nei ricordi, anche se è una cosa che odio, è Jen la patita delle foto non io!”
Sussurrò alla casa vuota.

{“Ehi, Tom!”
La voce di Mark gli giunse da lontano, il moro stava cercando di concentrarsi su uno stupido film in tv per non sentire le fitte di dolore che salivano lente ed inesorabili dalla schiena.
Quei maledetti farmaci non agivano come dovevano – il dolore non cessava e nemmeno diminuiva – avrebbe dovuto andare dal medico e contrattare delle nuove dosi, perché così non poteva continuare a vivere…
“TOM!”
“Cosa c’è? Cosa cazzo c’è?”
Rispose irritato.
Era la prima volta in tanti anni di amicizia che la voce di Hoppus gli causava fastidio – una parte di lui rabbrividì – e che Mark richiamava la sua attenzione: di solito era lui a farlo.
“No, niente.”
“Niente un cazzo! Deve esserci un cazzo di motivo se mi hai rotto i coglioni, altrimenti te ne saresti stato di là a cazzeggiare con Travis.”
Il suo amico abbassò gli occhi, Tom si era sempre vantato di saperli leggere, quindi sapeva di averlo ferito trattandolo come un seccatore.
Mark non chiedeva tanto in fondo, rivoleva il suo amico, compagno di band e cazzate, non un tizio perennemente incazzato o comatoso e Tom lo sapeva.
Sapeva che si stava giocando qualcosa di più importante della carriera, si stava giocando un fratello – e i fratelli non sono così facili da trovare in giro per il mondo – allo stesso modo non riusciva a fermarsi.
Si sentiva come un uccello in gabbia, si sentiva poco compreso.
“Ok, Tom. Forse ho scelto il momento sbagliato, ma mi è venuta in mente una nuova idea per il prossimo cd…”
“Prossimo cd? Siamo ancora in giro a promuovere questo, Mark! “Always” ci guadagnerà con un tour, stando alle parole del nostro fuhrer e tu pensi a qualcosa di nuovo?
Voglio dire, come cazzo credi che caveremo qualcosa di decente se non siamo mai a casa, a pensare, rilassarci ed eventualmente registrare!”
“Tom è il nostro lavoro. La gente normale si spacca la schiena in fabbrica o altrove noi dobbiamo solo muovere i nostri culi flaccidi sul palco!”
“La gente normale la sera se ne va a casa e sta con la propria famiglia. Cazzo, mi sono perso la nascita di Ava e mi sto perdendo i suoi primi mesi e anni di vita. Quando finalmente questa merda finirà non mi riconoscerà nemmeno.”
“Merda?”
Il tono di Mark era incredulo e ferito allo stesso tempo.
“Merda, Mark, merda. Un secolo fa, prima di Enema, in un’intervista avevo detto che firmare per una major era come perdere la verginità, ti ricordi?”
Il suo amico annuì.
“All’epoca l’ho detto per fare il cazzone punk, per darmi un tono da vero ribelle. Ora penso che avessi ragione… Guardaci Mark,non siamo liberi, non possiamo fare niente di quello che vorremmo veramente, per tutti siamo i tre cazzoni che corrono nudi e che parlano di cazzate adolescenziali, gli argomenti seri per noi sono tabù.
Non ne posso più!”
“è per questo che hai creato i Boxcar Racer, no?”
“Per quanto ancora vuoi rinfacciarmelo? Li ho creati per quello, perché sono stufo di questo ruolo da ragazzino ribelle, voglio crescere, voglio far vedere a tutti che uomo è Tom DeLonge.”
Mark sospirò.
“Puoi farlo con i Blink, possiamo prenderci una pausa e poi creare qualcosa di nuovo.
Tom, da come la descrivi tu sembra che questa non sia una band, ma un lager!”
“Mark, svegliati, Dio mio! Non ci lasceranno mai fare quello che vogliamo!
Siamo… siamo la loro gallina dalle uova d’oro, il simbolo di una generazione e merdate varie, questo ci dà dei vincoli!
Il nostro sogno è diventato un incubo.”
Mark sospirò di nuovo e si allontanò con gli occhi bassi, Tom era certo che le sue parole – pesanti come pietre e taglienti come schegge – avessero scavato un buco profondo nel cuore dell’altro.
“D’accordo Tom, tornerò quando andrà meglio. Se vuoi un consiglio vacci piano con quella roba che prendi per la schiena.”
Lui non rispose e guardò Mark uscire dalla sua stanzetta sul bus, DELonge aveva il cuore stretto in una morsa che a momenti non lo lasciava respirare. Tutto quello che avrebbe voluto fare era alzarsi, rincorrere il suo migliore amico e dirgli che – nonostante il pessimismo, la voglia di evadere e il dolore – lo voleva nella sua vita perché gli voleva un bene dell’anima.
L’orgoglio lo fece rimanere fermo in compagnia del fantasma di quelle parole non dette e con il rimpianto amaro di un abbraccio non dato.}

Quell’abbraccio non dato gli pesava ancora adesso – anche se non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura – insieme all’avere lasciato andare tutto a rotoli per semplice inerzia.
I blink non erano liberi allora, ma adesso lo erano meno che mai. Lui lo era meno che mai.
Lo sapeva che negli AvA a volte cercava ancora l’eco delle risate che aveva scambiato con Mark, Scott e Travis e che in David e Matt cercava un amico come Mark, ma i fratelli non di sangue non si trovano ovunque e lui sapeva – dolorosamente – anche questo.
Sospirò, alla fine non ce l’aveva fatta a scappare dai ricordi e dalle sue malinconie, erano venuti a stanarlo con ferocia.

 

Just like I turn you down, I always shut you out.
No matter who I blame you're not around,
I can not turn back time, I can not change a thing.
No matter what they say, I shut you out.

 
“Ehi, che ci fai sveglio?”
Una mano gli scompigliò i capelli e una figura aggraziata si sedette accanto a lui.
Jennifer.
“Non riesco a dormire e ho pensato di dare un’occhiata a quello che è stato girato per “Start the machine”.”
Sua moglie annuì.
“Peccato che sia io che te sappiamo come questa sia una bugia.”
Tom le passò un braccio intorno alla vita e lei si accoccolò meglio contro il suo torace.
“Jen…”
“Tom, è il 15 marzo, ossia il compleanno di Mark ed è questa la ragione per cui non riesci a dormire.”
“A questo punto è inutile negare, hai ragione.”
Lei rise e gli baciò una clavicola.
“Sai, quando eravamo fidanzati avevo paura che tu mi tradissi con Mark.”
“Jen!”
Lei rise.
“Lo so che è impossibile, che è tuo fratello, ma a vedervi così attaccati e amici a volte avevo paura.
Sono stata una stupida, lo ammetto, ma questo è per dirti che è normale che ti manchi Mark, era il tuo migliore amico. Non avrei mai creduto che voi poteste rompere un giorno.”
“Nemmeno io.”
Lo sguardo dell’uomo si rabbuiò.
“Sai, credevo che lui  avrebbe capito. Capito che tu, Ava e Jonas venite prima di tutto, persino della musica e che ormai il nostro sogno adolescenziale era solo… una routine vuota.
Credevo mi avrebbe spalleggiato, invece mi ha voltato le spalle e si è schierato con loro, obbligandomi a scegliere tra la band e voi.”
“Tom.”
Sua moglie gli accarezzò i capelli.
“Non eri facile da sopportare quando prendevi le medicine, spesso rispondevi davvero male e può darsi che tu abbia ferito Mark.
Penso, tra l’altro, che lui si sia sentito escluso per i boxcar e vederti così insofferente non ha fatto che riaprire delle vecchie ferite.”
“Cosa vuoi dire?”
Jen inspirò piano.
“Credo che lui abbia creduto che tu non fossi stanco degli argomenti adolescenziali dei blink o pressato dalla casa discografica che non vi lasciava liberi, ma che tu fossi stanco di lui.
Quando una persona a cui vuoi bene inizia a mostrarsi insofferente può succedere di mostrarsi particolarmente appiccicosi solo per non perderla.
Dio, è difficile.
Senti che la perdi e non vuoi lasciarla andare, così ti attacchi ancora di più sperando che non ti lasci e condannandoti a soffrire il doppio.”
“Jen era il mio migliore amico, mio fratello, quello a cui chiedevo consigli e  con cui facevo cazzate.
È così da quando Anne ci ha presentati e lui si è arrampicato su un palo della luce, spaccandosi le anche, per impressionarmi, come ha potuto pensare che io fossi stanco di lui?”
Lei scosse la testa.
“Sei testardo, DeLonge, eppure conosci Mark meglio di me. Sai che è uno che chiede poco o non chiede, ma ci rimane male se glielo neghi senza motivo e certe volte con lui ti sei comportato davvero di merda!”
Lui alzò gli occhi al cielo.
“Tom, posso darti un consiglio?”
“Certo.”
“Chiamalo, prova a riallacciare i rapporti, lui ti manca e manchi anche a lui e sono certa che lui non aspetta altro che una tua chiamata.”
Lui rise amaramente.
“Lo pensavo anche io, ma dopo “No, it isn’t” credo che non sia più così. È semplicemente finita, Jen, facciamocene una ragione.”
Jen scosse di nuovo la testa.
“Tom, uno che ti scrive “No, it isn’t è tutto tranne che poco interessato a te.  Mark ci teneva a te e ci è rimasto male per come è finita la vostra band e la vostra amicizia e ci tiene ancora, altrimenti non avrebbe scritto e registrato quella canzone.
Voleva provocare una reazione, piccola o grande, da parte tua. Forse sperava che tu lo chiamassi incazzato per insultarlo e poi avreste finito per chiarire.”
Lui rimase zitto. Tom era fermamente convinto che la moglie si sbagliasse, che Mark volesse semplicemente buttare fuori in qualche modo il suo rancore verso di lui – non cercare a suo modo una riconciliazione – ma preferì tacere.
Non era nei suoi programmi o nei suoi hobby preferiti iniziare un litigio con Jen nel cuore della notte.
Mark era fuori dalla sua vita e, per quanto gli facesse male, doveva accettare semplicemente il fatto che non ci sarebbe rientrato.

 

Even the smallest thing could make your day complete,
I've never seen a bigger smile than yours.
Even the smallest thing could wipe you off your feet,
When no one's catching you, you hit the floor.

 

Il suo compleanno era arrivato anche quell’anno.
Il tredici dicembre Jen aveva organizzato una festa  a sorpresa, invitando Matt, David, Atom e altra gente che conosceva da una vita. Era stato bello arrivare a casa, trovare le luci del ranch spente e nessuno in giro e poi vedere sua figlia Ava venirgli incontro urlando: “Buon compleanno!”.
Quello era stato il momento migliore – quello in cui il cuore gli era scoppiato d’amore per la figlia e la moglie – il resto era stato tutto in calare. Aveva parlato con i presenti, fatto lo spiritoso, mangiato la torta e ringraziato pensando tutto il tempo che voleva disperatamente chiudersi in sala prove e stare da solo.
Solo verso metà festa ce l’aveva fatta, approfittando di un momento di distrazione generale – il festeggiato di solito è quello che ha meno possibilità di filarsela –  si era nascosto nello studio di registrazione casalingo.
La festa non era poi così pessima, ma mancava qualcosa di …. Divertente!

{“Desidero che qualcuno di divertente si faccia vivo.”
Aveva annunciato alla telecamera, nemmeno cinque secondi dopo Mark era spuntato dietro di lui urlando: “Avevate chiesto del divertimento, ragazzi?”}

Era una maledizione! Perché pensava ancora al suo ex amico?
Perché?
Per non rispondere a quella domanda – e resistere alla tentazione di alzare il dannato telefono e chiamarlo – aveva imbracciato la chitarra e si era messo a suonare.

{“Ehi, Mark questa chitarra è davvero rotta?”
L’altro si era alzato e gli aveva indicato una crepa.
“Sì, se questa crepa si espande il legno salta e rischi di farti male seriamente alla mano.”
“Cattiva chitarra, ha bisogno di essere distrutta!”
Mark aveva congiunto le mani come un bambino il giorno di Natale mentre lui si alzava, il moro  aveva in mano la sua vecchia chitarra piena di scritte e compagna di mille avventure.
“TOM  DISTRUGGERA’ LA SUA CHITARRA! LA DISTRUGGERA’!”
Il più grande l’aveva urlato a pieni polmoni, seguendolo con le chiavi della macchina in mano, pronto all’ennesima loro cazzata.
Quella chitarra si era frantumata – non avrebbe più attentato alla sua mano – divertendolo, tuttavia la cosa migliore non era stata quella: era stato il sorriso di Mark, unito alla sua risata.}

Tom si portò una mano al viso, se la ricordava la faccia felice – candida – del suo migliore amico mentre si avviava verso la macchina, per non parlare della risata che faceva da eco al passare sopra la sua chitarra.
Sì, doveva essere una maledizione!
“Ehi, è poco carino che il festeggiato sparisca nel bel mezzo della sua festa, DeLonge!”
La voce di David l’aveva fatto sobbalzare, non si era accorto che il suo amico fosse entrato con in mano un pacchetto di patatine.
“Non fare il vecchietto Kennedy, anche se in fondo lo sei sempre stato e vieni qui che suoniamo un po’!”
David sbuffò e prese in mano la chitarra.
“DeLonge sei la prova vivente che non si può fare i ragazzini per sempre, adesso correresti ancora nudo per strada?”
“Sono troppo vecchio per queste cose.”
E poi gli ricordavano Mark e Trav.
“Vedi?”
Detto questo iniziarono a suonare qualcosa di inventato al momento
Suonare era sempre stato rilassante per lui – una vera e propria valvola di sfogo – ma era anche un’arma a doppio taglio: la mente prendeva il volo e non si poteva mai sapere per dove.

{“Tom, sei sicuro?
Ad essere sinceri mi sembra una carognata e non addolcirà certo i rapporti tra te, Mark e Travis.”
La voce del suo manager lo riscosse dai suoi pensieri, ma non distolse Tom dal guardare cupamente davanti a sé.
“Sì, che problema hai? Tanto tu ci mangi dalla merda che produco e che produrrò, non te n’è mai fregato un cazzo di Mark e Travis e poi visto che ci scioglieremo in che rapporti rimarremo è ininfluente.”
“Potresti cambiare idea…”
“Non avverrà.”
Tagliò corto, secco.
La verità era che sapeva benissimo che si stava comportando da carogna e che con un comportamento del genere solo un miracolo di Sant’Eusebio avrebbe potuto convincere Mark a perdonarlo, ma era davvero arrabbiato. Non sentirsi spalleggiato da suo fratello l’aveva mandato fuori dalla divina grazia insieme agli sbalzi d’umore prodotti dagli antidolorifici.
-Sei sicuro, Tom? Sei ancora in tempo per cambiare idea, dopo sarà un casino rimediare.-
Tom ignorò testardamente la voce della sua coscienza e seguì l’uomo dentro la stanza, Travis a Mark stavano parlando animatamente, ma si zittirono al loro arrivo.
Il chitarrista e il manager si sedettero sulle sedie che c’erano dall’altra parte della stanza e l’uomo iniziò a parlare.
“Allora, ragazzi. Come sapete ultimamente ci sono stati dei problemi.”
Guerre intestine era la definizione giusta, il moro si disse che doveva ringraziare il manager per la sua diplomazia.
“Sì, Tom si è preso un periodo di pausa, giusto?
Questo li risolve, no?”
Mark aveva preso la parola titubante, Travis invece trapassò Tom con uno sguardo dei suoi, il batterista aveva già capito tutto probabilmente.
“No, Tom DeLonge da oggi non fa più parte dei blink-182 e vi prega di non contattarlo più, anche perché ha cambiato numero di cellulare.”
“STAI SCHERZANDO SPERO!”
Aveva urlato Mark con gli occhi fuori dalle orbite, Tom non l’aveva mai visto in quello stato, sembrava pazzo.
“TOM, CAZZO, DI’ QUALCOSA! PORCA PUTTANA, NON PUOI STARTENE LI’ SEDUTO COME UN COGLIONE EMO MENTRE TUTTO VA IN MERDA!”
Tom aveva fatto un cenno al manager e insieme erano usciti dalla stanza in silenzio, mentre Mark urlava ancora.
“TOM, TOM, TOM, CAZZO!
SEI UNO STRONZO, ECCO COSA SEI!”
Mark aveva ragione: era uno stronzo, uno senza palle che aveva fatto parlare il manager al suo posto. Uno con più fegato di lui avrebbe detto in faccia al suo amico di una vita e a Travis che per lui i blink erano finiti, che aveva scelto tra la musica e la famiglia e la famiglia aveva vinto, ma lui non ce l’aveva fatta.
Se l’avesse fatto avrebbe finito per cedere e cambiare idea – facendo rimanere i blink una band e non solo un ricordo del passato – visto che già sentendo le urla di Hoppus una breccia si stava aprendo nella sua fermezza.
Non poteva passare sopra a quella scelta che gli avevano imposto, non poteva tornare indietro, anche se questo significava perdere suo fratello}

“Tom, ehi Tom?”
“Che c’è David?”
“MI hai chiesto di suonare e ti sei incantato dopo nemmeno un minuto!”
“Oh!”
DeLonge non se n’era nemmeno accorto visto quanto era immerso nei suoi pensieri.
“Scusa, Dave è che…”
“Stavi pensando ai blink.”
“Come fai a saperlo?”
Tom era sinceramente stupito.
“Fai sempre quella faccia quando pensi alla tua vecchia band. Vuoi un consiglio non richiesto?”
“Se ti dicessi di no me lo diresti lo stesso, giusto?”
“Giusto. Chiama Mark, chiarite, separati non riuscite a stare.”
“Non dire cavolate, Kennedy! Ho gli AvA a cui pensare o vuoi rimanere senza lavoro?”
David scosse la testa.
“Fai come vuoi, amico. Era un consiglio, non un obbligo.”
Così dicendo lasciò la stanza, facendolo sentire ancora più solo.
Che schifo di compleanno!


Just like I turn you down, I always shut you out.
No matter who I blame you're not around,
I can not turn back time, I can not change a thing.
No matter what they say, I shut you out.

 

La mattina del 19 settembre del 2008 era calda e afosa. La California sembrava avesse deciso di buttare fuori tutto il calore accumulato durante l’estate per far sudare i suoi abitanti che non avevano altro da fare che ricorrere a ventilatori e – chi se lo poteva permettere –  a condizionatori.
Tom rientrava nella seconda categoria, anche se da ragazzino aveva fatto parte della prima.

{“Ehi Tom, qui si muore e il tuo cazzo di ventilatore fa aria solo alla polvere!”
“Non rompere i coglioni, Hoppus! Lo sai che da quando i miei hanno divorziato mamma non naviga nell’oro, se la nostra band ce la farà a sfondare le comprerò un condizionatore come prima cosa!”}

Ormai si era abituato ai flash e non ci faceva nemmeno più caso, anche perché in qualche modo doveva far andare avanti la sua vita, quel giorno ad esempio aveva avuto una riunione con David, Matt e Atom e al pomeriggio doveva recarsi – salvo imprevisti – alla Macbeth.
Il tempo di mangiare qualcosa e sarebbe uscito di casa, così si sedette con un panino davanti alla tv.
Quello che vide lo scioccò e gli fece passare del tutto l’appetito, lui non poteva essere morto, vero?
Il telegiornale diceva che era in gravi condizioni, ma era ancora vivo!
“Toooom!
Ava ha bisogno di nuove magliette e vuole fare shopping solo con te, non puoi dirle…”
Jen era arrivata in soggiorno giusto per beccarlo in stato di shock davanti alla tv, il panino ormai dimenticato sul tappeto del salotto.
“Tom, che succede?”
“Trav… Trav ha avuto un incidente aereo.”
“Dove? Quando?”
“St-stamattina a Columbia, nel South Carolina.
Jen, dici che è una buona idea andarlo a trovare in ospedale?”
La moglie appoggiò le mani ai fianchi.
“Che ci fai ancora qui? Muoviti, corri da lui, SUBITO!”
Tom annuì stranito e dopo un giro di telefonate – inclusa una alla Macbeth – saltò in macchina diretto all’aeroporto di San Diego con destinazione Columbia.
Erano anni che lui e Trav non si sentivano – il batterista lo aveva persino dichiarato pubblicamente, dicendo che ormai considerava solo Mark un buon amico – ma l’incidente cambiava parecchie cose.
Durante il volo cercò di preparare un discorso per Mark, era certo che ci fosse anche lui al capezzale di Barker, ma non gli venne in mente nulla di coerente, convincente o esaustivo, così cominciò a pregare Dio perché graziasse Travis.
Il batterista era giovane, aveva due figli ed era una delle persone più brave che conoscesse, il Signore non poteva avere così fretta di averlo al suo fianco. Cosa avrebbero fatto Landon e Alabama senza il padre?
Come avrebbe fatto Mark  con i +44 e soprattutto senza un amico come Barker?
Erano domande a cui non aveva risposta e che preferiva rimanessero tali e con l’interessato vivo e vegeto, pronto per suonare ancora la batteria.
L’ospedale dove era ricoverato Travis era un posto tranquillo, in mezzo al verde e, vista l’assenza di giornalisti, la stampa non doveva conoscere quale fosse.
All’accettazione c’era una giovane donna bruna e sorridente.
“Buongiorno, cerco la stanza in cui è ricoverato il signor Travis Barker.”
“Lei è?”
“Sono Thomas DeLonge, sono un suo compagno di band.”
La ragazza lo squadrò a lungo.
“Blink-182, vero? Al college andavo matta per voi.”
“Sì.”
“Non potrei dirle dov’è ricoverato il signor Barker, è un’informazione che posso comunicare solo ai parenti stretti, ma per lei farò un’eccezione. È ricoverato al secondo piano, stanza 38.”
“La ringrazio, davvero, non sa che favore mi ha appena fatto.”
“Si figuri… e signor DeLonge, eravate – siete – una band fantastica e spero che un giorno possiate riformarvi.”
Tom fece un cenno con il capo – una specie di ringraziamento – e se ne andò senza dire nulla: l’ultima parte del dialogo lo aveva messo a disagio.
Salì al secondo piano con il cuore stretto dall’angoscia: Travis stava bene?
Era opportuno che lui fosse venuto lì?
L’unica persona presente al momento era Shanna – seduta a guadare il vuoto su una delle sedie – così si avvicinò titubante.
“Shanna?”
“DeLonge? Non avrei mai creduto di vederti qui, ma Trav ne sarebbe stato felice, in fondo sperava che tu ti ravvedessi.”
“Come sta? Cosa dicono i medici?”
Shanna tirò su con il naso.
“Le condizioni sono critiche, ma stabili. Io.. spero che ce la faccia, mi sembra già un miracolo che lui sia vivo, Tom! Lui e Adam sono gli unici ad essersi salvati, sua madre deve averlo protetto.
Se lui dovesse morire non saprei cosa fare, Landon e Alabama lo adorano e lui ama loro, non ho mai visto un uomo così dolce e con un tale istinto paterno. I miei cuccioli morirebbero senza di lui.”
La donna ora piangeva lacrime silenziose e Tom la abbracciò in imbarazzo.
“Andrà tutto bene, andrà tutto bene. Sei qui da sola?”
“No, ci sono anche io.”
Aveva risposto una voce conosciuta, eppure resa diversa da un tono duro e rabbioso.
Mark Hoppus era davanti a lui, i capelli che come al solito sfidavano la gravità, un bicchierino di the in mano e uno sguardo di ghiaccio puntato su di lui.
“Shanna, ti ho portato il the, le brioche delle macchinette erano finite, ma tra un po’ dovrebbero riempirle di nuovo e…”
L’ex moglie di Travis si staccò dal moro e prese il bicchierino dalle mano del bassista.
“Va bene così, grazie Mark.”
Mark si sedette su una delle sedie della fila opposta alla loro, dall’altro lato del corridoio.
“Allora DeLonge, cosa ci fai qui?”
“Travis è mio amico e sono preoccupato per lui.”
“Sì? E dove sei stato in questi tre anni? E che amico eri quando i blink si sono sciolti? Hai fatto parlare il manager al tuo posto!”
“Mark non è il posto né il momento adatto…”
“NO, DELONGE!”
L’altro lo interruppe con veemenza.
“Mi devi una cazzo di spieg…”
Mark non aveva finito la frase per il semplice motivo che Tom l’aveva abbracciato, non sapeva perché l’aveva fatto, ma sentiva che era la cosa giusta da fare. Conosceva abbastanza Mark Hoppus da sapere che quando era in preda ad attacchi di logorrea era preoccupato per qualcosa e quegli occhi rossi e lucidi erano un chiaro grido d’aiuto.
Se lui non avesse fatto l’idiota anni prima probabilmente Mark gli sarebbe saltato in braccio e l’avrebbe sommerso di parole e lacrime.
L’uomo era rimasto rigido, forse per la sorpresa e sembrava quasi non respirare.
“Mi dispiace, Mark. Mi dispiace per tutto, per aver mandato a puttane il nostro sogno e la nostra amicizia, ma possiamo parlarne più tardi?
So di essere l’ultimo a poterlo dire, ma Travis non vorrebbe vederci così.”
Questo sembrò sciogliere qualcosa dentro Mark perché si rilassò tutto d’un colpo e lo abbracciò forte seppellendo la testa nel suo petto e piangendo in silenzio.
Tom gli accarezzò i capelli esitante – aveva paura di sbagliare qualcosa e compromettere quella specie di tregua temporanea – e Mark non lo cacciò via.
“Bentornato DeLonge.” Sussurrò con voce roca: “Non pensare di scamparla, però. Una spiegazione me la devi.”
Tom sorrise impercettibilmente.
“Sì, te la devo.”
In quel momento il vuoto che lo aveva caratterizzato in quegli anni – quella continua ricerca di qualcosa, insoddisfazione, frustrazione e senso di mancanza – sparì come era arrivata.
Quello che cercava era un fratello e lo aveva ritrovato.
Presto avrebbe accontentato la ragazza dell’accettazione e i fan sparsi per il mondo: i blink stavano per tornare.
Non era lontano il momento in cui avrebbe di nuovo diviso il palco con Mark e Travis.
Alla fine non era riuscito a cacciarli dalla sua vita e non poteva essere più contento del loro ritorno.

Angolo di Layla.

Le parti di inglese sono strofe della canzone "Shut you out" dei Millencolin, che è il filo conduttore della storia.

Ogni commento è gradito (sia che la storia vi piaccia sia che che si sia dimostrata un ottimo lassativo), ogni riferimento al Tomark no. Non sono una fan della coppia. Grazie.

   
 
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