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Autore: lalla    08/06/2004    10 recensioni
...e se per uno strano fenomeno, l'arnese più derelitto dell'ufficio si trasformasse in uno degli uomini più desiderati dell'orbe terracqueo?
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CENERENTOLO

 Piccola premessa: il dottor Barbareschi è solo una macchietta, come gli altri personaggi del racconto. Molti tra i miei amici sono gay, e li stimo profondamente.

 

 

CENERENTOLO

Ossia: ACCADON STRANI EVENTI ALLA ASL NUMERO VENTI

 

Eccomi qui, anche stamattina, e così sarà fino al giorno benedetto della pensione, dietro questo vetro pieno di ditate come quei parlatori  carcerari che si vedono in certi giallacci americani dell’anteguerra, a timbrare pratiche e a prendere appuntamenti col radiologo, il ginecologo, l’oculista…Ufff! Questo “posto d’oro a meno di cinquecento metri da casa” è la mia maledizione e la mia droga, di cui, dopo ventidue  anni, non posso più fare a meno, si sa, per vivere bisogna mangiare, e oltre a mangiare, pagare l’affitto, le bollette, le rate della Seicento…E’ subito dopo la mia laurea in Lettere Antiche che ho accantonato i miei sogni. Tutti quanti. Diventare archeologo,docente universitario, girare il mondo, Egitto, Mesopotamia, Grecia…Invece ho partecipato al dannato concorso, l’ho pure vinto…Ed eccomi ancora qui, signore prego, l’impegnativa prego, l’oculista è tutto prenotato per un mese almeno…Eccomi qui a sentirli brontolare tutti quanti come se dipendesse da me se l’oculista è impegnato tutto il mese e, in quanto al ginecologo, non vedi due volte di seguito lo stesso…Accidenti!

 

Pausa caffè. La macchinetta lo fa buono, non c’è che dire. Ne bevo troppi e divento nervosa, a casa e in ufficio. Vivo sola. Prenderei un cucciolo, se avessi la possibilità di piazzarlo da qualche parte quando vado in ferie: purtroppo, mia madre è allergica al pelo degli animali e mio fratello fa il magistrato a Potenza. Il marito? Occasioni ne ho avute, dicono tutte così quelle che, come me, a quarantacinque anni o giù di lì sono rimaste sole come cani. I colleghi? Non tocchiamo questo tasto. Ci sono quelle sposate, come la Polizzi e la Longoni, che non hanno altro argomento di conversazione  che sia diverso dal moccio del pupo o da quanto è antipatico il professore di matematica del figlio liceale che, naturalmente, ce l’ha a morte col povero ragazzo (se ne stesse un po’ di più a casa a studiare, invece di rompere i timpani e qualcos’altro a tutto il quartiere andando avanti e indietro senza meta con quel dannato motorino, nemmeno fosse Max Biaggi sul circuito di Sachsenring!) e non fa che angariarlo, peggio di Nerone coi Cristiani. Poverette, le compatisco almeno quanto loro compatiscono me, con quei figli mocciosi e somari e i mariti  che si ritrovano, spaparanzati sul divano a godersi la partita di Coppa, con la pancia che deborda e la sigaretta fetente a penzoloni in bocca. Quando, nelle giornate d’inverno, buie, fredde e piovose, la solitudine mi pesa particolarmente, allora penso alla Polizzi e alla Longoni e mi dico da me “meglio sole che male accompagnate”. Per consolarmi.

 

E le nubili? Oltre a me, allo sportello, c’è l’Allegretti. E’ arrivata da poco, ma non è di primissimo pelo, neanche lei, avrà un paio d’anni in meno di me anche se non lo ammetterebbe neppure se si ritrovasse con un mitra puntato alla schiena, perché ha una fifa barbina d’invecchiare. Non molto alta ma vistosa, quinta abbondante di reggiseno, finta bionda con chioma cotonata e occhio languido finto azzurro (mi sono accorta da come sbatacchia  continuamente le ciglia, finte è ovvio, che porta le lenti a contatto. Colorate), minigonne di pelle, finta neanche a dirlo, incollate al deretano, vero, quello, e pure bello grosso. Alla caccia all’uomo, lei non ha rinunciato. Appena arrivata qui, dopo il trasferimento da un altro ufficio, ha puntato il dottor Barbareschi, l’ufficiale sanitario. Il quale, a onta del virile cognome e dei virili mustacchi che si porta appresso, è notoriamente un finocchio. Cosa di cui la poveretta, essendo nuova, non poteva essere al corrente. Ha provveduto quella pettegola della Robini, l’infermiera, che col Barbareschi ci bazzica dall’alba dei secoli e di lui conosce vita, morte e miracoli a renderla edotta circa le preferenze sessuali dell’ agognato oggetto di desiderio…Poveretta, lei non demorde, vuole redimerlo a tutti i  costi e non fa che sbattergli sotto gli occhi quelle tette esorbitanti a stento contenute dentro il golfino d’angora che lui nemmeno le vede. L’anno scorso sì è preso perfino le ferie per andare a Roma e partecipare al Gay Pride, figurarsi…

 

E c’è anche chi non trova pace, dacché l’Angelo Azzurro ha messo piede dietro lo sportello-accettazione  del Poliambulatorio della ALS numero venti: il ragionier Leopardi, l’archivista. Leopardi Giacomo, come il Sommo Poeta, per uno scherzo atroce del destino e di due genitori così poco lungimiranti da non riuscir neppure ad immaginare le prese per il sedere di cui il poveretto, dall’asilo al diploma e oltre sarebbe stato vittima a causa di quel nome e di quel cognome tanto ingombranti. O, forse, avendo previsto la gobba e le lenti da miope spesse come il fondo d’una bottiglia di Dreher e  erano augurati che potesse diventare anche lui un poeta e finire sulle antologie scolastiche. Niente di tutto questo. Leopardi Giacomo, che in dieci anni  non riesce ancora a dare del tu ai colleghi, se ne sta sempre rintanato nel suo archivio polveroso in compagnia di fascicoli e faldoni  alla stregua di un topo assediato da un branco di gatti famelici dentro una forma di pecorino e non esce neanche per la pausa caffè. Che diavolo faccia per ammazzare il tempo quando rientra dal lavoro nessuno è mai riuscito neppure ad immaginarlo. Sappiamo che vive con la madre, di cui è, grazie a Dio, l’unico virgulto. Punto e basta. Di altre donne, naturalmente, manco l’ombra dell’ombra, e ci credo: con il suo metro e sessantacinque scarso, le sue spalle sbilenche, i suoi quattro capelli color topo che gli lasciano mezzo nudo  un piccolo cranio a uovo, la bocca spropositata che si apre su una chiostra di ponti mezzi sghimbesci ancorati mediante ganci metallici tutt’altro che nascosti ai pochi denti superstiti e, dulcis in fundo, un naso in confronto al quale Pippo Franco sembra l’Augusto di Prima Porta, il poveretto è decisamente contro qualsivoglia tentazione…

 

La primavera che ha svegliato finalmente il Leopardi dal torpore del letargo è, naturalmente, l’Allegretti con i suoi capelli finto platino, gli occhioni finto ingenuo e finto blu, i maglioncini strizzati sulle tette e via discorrendo. Durante la pausa caffè, o quando si va al bar pizzeria per buttare giù in tutta fretta un tramezzino all’ora di pranzo, l’infelice non le scolla gli occhiali di dosso. Lei, sopporta, finché non troverà un altro sistema per far ingelosire il Barbareschi che, non fosse così brutto, sicuramente le preferirebbe il Leopardi  se non altro perché è un maschio.

 

A forza di dai e dai, finalmente l’Allegretti è riuscita nel tentativo di far ingelosire qualcuno. Non  certo il Barbareschi, visto che di lei non gliene può importare di meno, bensì il Leopardi che, poveretto, sta dilapidando i suoi risparmi in rose, cioccolatini e cd di musica soft che lei, cafona, accetta senza rimorsi e, naturalmente, senza concedergli neppure un barlume di speranza, anzi, nemmeno un sorriso e un grazie. Secondo alcune voci, il povero infelice, che incede con l’eleganza di una gallina zoppa, si sarebbe perfino iscritto alla scuola di ballo latino americano che l’Allegretti frequenta…Povero mondo.

Ma adesso basta. Ieri, presenti la Polizzi, la Longoni, Leopardi, e naturalmente la sottoscritta, il borsone dell’Allegretti è caduto dalla scrivania, rovesciando il suo contenuto (un’agenda, la bic, il cellulare, oddio non si sarà rotto, un tampax e la fotografia a colori di uno splendido giovanotto) sul pavimento. La Polizzi,  la Longoni e, naturalmente, il Leopardi, galante come un moschettiere, si fiondano sul luogo più veloci dell’ambulanza della Misericordia per rimediare al disastro o, nel caso delle due poverette, che più che donne sembrano zombi, per trovare argomenti  freschi su cui spettegolare. La fotografia finisce nelle mani della Polizzi, che se la squadra ben bene, prima di riconsegnarla alla legittima proprietaria.

-Carino. E’ il tuo ragazzo?

-Sì.-risponde monosillabica e orgogliosa l’oca pettoruta, anche perché, in quel preciso istante, davanti allo sportello dell’accettazione vede passare il dottor Barbareschi, con il camice, lo stetoscopio nel taschino, i  mustacchi brizzolati e l’aria giuliva.

Altro che carino. Un po’ tamarro, penso tra me e me, ma gran figaccione: occhi verde azzurro, barba di un paio di giorni, lunghi capelli biondi e spalle da armadio che sembrano esplodere dentro un giubbotto di pelle nera. Deve averlo pescato in qualcuna di quelle discoteche  che frequenta e dimostra una diecina d’anni buoni in meno di lei. Sospiro di disappunto, forse d’invidia. Barbareschi s’è chiuso nell’ambulatorio, la Longoni e la Polizzi continuano a cicalare come se non avessero mai visto un paio di brache (fossero pure quelle degli squallidi figuri con cui dividono da secoli casa e letto), Leopardi è bianco come uno straccio. Io trattengo a stento una risata. Le mie colleghe, tutte prese dal moccio del figlio piccolo e dalla più che probabile bocciatura di quello grande non hanno tempo per andare al cinema; forse Leopardi ci va, ma in quelli a luci rosse, per sfogarsi da solo in qualche modo, col cappotto sulle ginocchia e le mani sul gioiello di famiglia. Io ci vado quasi tutte le settimane  e “Il Gladiatore” (gran bel film) l’avevo visto solo un paio di giorni prima.

 

Oltre all’incidente incorso alla borsa dell’Allegretti, con relativa fuoriuscita di materiale pericoloso, oggi ne è capitata un’altra più seria.Molto più seria. Mentre tutti eravamo occupati all’espletamento delle nostre squallide mansioni di passacarte, nell’ambulatorio di Radiologia squilla l’allarme. Una fuga radioattiva? Mi segno, anche se è dal giorno del funerale di mio padre, dieci anni fa, che non metto piede in chiesa: ma ne ho lette e sentite talmente tante su Chernobil…O forse è colpa della mia formazione umanistica, che mi ha resa profondamente diffidente nei riguardi della tecnologia? Bah. Vengo a sapere che il tecnico di radiologia non era nell’ambulatorio al momento del fattaccio. In compenso, c’era il Leopardi Giacomo, l’ha visto la donna delle pulizie che entrava lì dentro non so con quale scusa. Non gli sarà frullata in testa l’intenzione di ammazzarsi per amore, a quello scemo, coinvolgendo, nei suoi disegni criminali, l’oggetto tettuto che sta in cima ai suoi pensieri ma anche i colleghi e forse perfino tutta quanta la città? Amore. E gelosia folle per uno splendido giovanottone nel quale l’imbecille non è stato in grado di riconoscere il divo del giorno, buon per lui, e purtroppo per l’Allegretti, lontano migliaia di chilometri dalla nostra portata…Ho preso un bello spavento. E penso che, dopo aver abrogato in tutta fretta la legge Basaglia (quella sulla chiusura degli ospedali psichiatrici N.d.A.), l’individuo andrebbe internato in manicomio in quanto caso lampante di follia pericolosa. Lo stesso che pensavo, in terza liceo, a proposito del suo illustre omonimo con il suo pessimismo cosmico e la sua mania di persecuzione del genere “ce l’hanno tutti con me perché sono brutto, piccolo e storto”.

 

Passano tre o quattro giorni senza che succeda niente, e il fattaccio del laboratorio di radiologia è bello e dimenticato. Il Leopardi, secondo il solito, se ne sta rinchiuso nel suo archivio a rimuginare e l’Allegretti continua a sbattere le ciglia e le tette sotto gli occhi, più ciechi di quelli di Ray Charles, del dottor Barbareschi, l’unico uomo (si fa per dire) completamente impermeabile al suo fascino. La Longoni e la Polizzi discettano, tanto per cambiare, di moccio e professori antipatici: un giorno come un altro. Finché il fusto biondo non sbuca senza preavviso dal fondo del corridoio; nessuno l’aveva notato entrare, e altrettanti si preoccupano della strana circostanza, anche perché il sifone  nel gabinetto dell’archivio, un bugigattolo in fondo al regno del Leopardi,  a suo esclusivo uso e consumo, era guasto già da un bel pezzo e finalmente qualcuno s’è preoccupato di mandare a chiamare l’idraulico. L’appalto di tali riparazioni ce l’ha il Manenti, che spesso assume come garzoni degli extracomunitari. Rispetto agli italiani, dice, costano meno e lavorano di più. Il gran bel pezzo di ragazzo potrebbe essere l’albanese di cui si vocifera, l’ultimo della serie. Sta di fatto che tutti alziamo e strabuzziamo gli occhi: l’Allegretti, la Polizzi e la Longoni, perfino (è così strano?) quel frocio del Barbareschi. E anch’ io, naturalmente, con i miei occhialetti tondi e la mia zazzera da veterofemminista, io che godo di più ad addentare una fetta di pane casereccio spalmato con nutella che a scopare, io che da tutti i (pochi) fidanzati che ho avuto mi son sempre sentita dare della frigida e, per giunta, mi ritrovo in pre menopausa, quindi bella e che andata. Resto lì a guardarlo scomparire nell’archivio e penso: un uomo del genere dovrebbe essere a Hollywood, non qui a tentare di rimettere a posto la canna del cesso di Leopardi. E’ proprio vero che non c’è giustizia nella vita.

 

Leopardi s’è messo in malattia da tre giorni. Il suo sarà sicuramente uno dei tanti malanni di stagione ma, anche se non ne parliamo, a noi dello sportello utenti basta guardarci reciprocamente dentro gli occhi per leggervi la parola apocalittica: RADIOATTIVITA’.Leopardi è diventato RADIOATTIVO. Tra poco saremo tutti quanti RADIOATTIVI. Essendo tutte  donne e non volendo approfittare degli attributi di Barbareschi, non sapremmo neppure che cosa toccare per allontanare da noi la JELLA. A meno d’entrare nell’archivio e approfittare a tradimento di quelli dell’idraulico albanese. Mamma, quanto è bello. Per dirla in burocratese, sembra la fotocopia autenticata di Russell Crowe, il divo del momento, quello di cui tutti i giornali parlano per la sua bravura, il suo fascino selvaggio e la sua fama mai smentita di gagliardo sciupafemmine. Sia lode a tutti i numi per il guasto del sifone. Un guasto più serio del previsto, dato che da ormai tre giorni il clone albanese del Gladiatore sta tentando, si suppone senza successo, di rimetterlo a posto. Come idraulico sarà anche un fallimento, ma è davvero una gioia per gli occhi, mi dico tra me e me vedendolo balenare con la sua testa dorata e la chiave inglese in mano attraverso le ante della porta. Unico appunto: veste tremendamente male. Anzi, oggi, in t shirt bianca e jeans è perfino passabile, sembra un ragazzo dei tanti, solo servito più generosamente da Madre Natura. Il primo giorno, non si presenta in camicia a righe e pantaloni a quadri identici a quelli indossati d’abitudine dal Leopardi? Il mio pensiero corre subito ai sacchi della Caritas e al fatto che non ci sia davvero nessuna giustizia nella vita…La roba smessa che fino a pochi giorni fa infagottava  come uno spaventapasseri il nostro derelitto collega, sembrava doversi strappare da un momento all’altro, incollata com’era sopra i suoi muscoli, per lasciare quel marcantonio biondo di un metro e ottanta come mamma l’aveva fatto, una trentina d’anni prima, a Valona o a Durazzo…Meglio che torni alle mie scartoffie e ai mugugni degli utenti e che continui a sfogare le mie libidini represse sul pane spalmato di nutella, accidenti al Gladiatore, agli scafisti e alla canna del cesso di Leopardi RADIOATTIVO.

 

Gli effetti della RADIOATTIVITA’ cominciano a farsi sentire su qualche cervello. Ieri la Polizzi è entrata nell’archivio per recuperare la solita pratica e ne è uscita dopo oltre mezz’ora, con la faccia congestionata e tutti i capelli in disordine.

Stamattina capita la stessa cosa, ma con la Longoni invece della Polizzi. Supponedo non si siano attardate a parlare con l’idraulico di moccio e di bocciature, arguisco che, con quell’aria da martiri che si portano appresso, abbiano voluto sperimentare qualche piacere proibito, in un luogo proibito e con un uomo talmente bello e sensuale che le forze dell’ordine dovrebbero arrestarlo per oltraggio alla decenza ogni volta che mette il naso fuori casa. Alla faccia dei mariti con la pancia e dei figli mocciosi e somari.

 

Dalla mia scrivania è sparita la pratica per il riconoscimento dell’invalidità di tale De Luigi Antonio e devo entrarci io, nell’antro del drago. Non che abbia paura, anzi: violare il sepolcro maledetto di un secondo Faraone Bambino, Tut-An- Khamon era il mio sogno proibito, quando, prima di essere fagocitata in questo squallido ingranaggio fatto di timbri, utenti incazzati e cartacce, ambivo a diventare archeologa. Inoltre sapevo che avrei trovato qualcosa di molto diverso da una mummia chiusa in un sarcofago, lì dentro. Magari  alla fine sarebbe stato perfino meglio del pane e nutella, chissà.

 

Io armeggio tra gli scaffali e intanto lo sento canticchiare, qualcosa di Springsteen, mi sembra, in un ottimo inglese e pure con una bella voce. Accidenti a lui, mi domando e dico, perché non ha fatto il cantante invece dell’idraulico? Come tale è proprio un fallimento, visto che sono ormai sei giorni che armeggia col sifone senza riuscire a combinare niente, penso prima di ritrovarmelo davanti, inquadrato dall’apertura della porta, con lo sfondo delle mattonelle bianche e del cesso scassato, la chiave inglese in mano, i lunghi riccioli appiccicati al collo dal sudore e un sorriso da sciogliere di botto tutti i ghiacciai delle Alpi. Lo guardo. Mi guarda. Ha  le stesse sopracciglia folte e dritte, gli stessi occhi azzurri sornioni e leggermente strabici dell’originale. Perfino, suppongo, lo stesso corpo da tentazione che quell’altro metteva in mostra sotto le tuniche sbrindellate del Gladiatore (gran bel film):qualche scienziato pazzo, penso, deve aver clonato la superstar hollywoodiana neanche fosse la pecora Dolly. Lo guardo. Mi guarda. Ha gli occhi teneri e maliziosi, una bocca da baci incorniciata dai peli biondi della barba. Vattene a lavorare,torna ad armeggiare col sifone del cesso, maledetto demonio, prima che io mi metta ad armeggiare con il tuo…Ah! Ho la gola secca e mille pensieri che mi turbinano nel cervello. Hai quarantacinque anni e sei sempre stata una ragazza giudiziosa, Laura. Quello ne avrà sì e no trenta…Stai diventando peggio dell’Allegretti, non ti vergogni? E poi guardalo com’è vestito, con gli stracci della Caritas, chissà chi è, non conosci neanche le sue generalità, sicuramente è senza permesso di soggiorno, alla fine sarà pure sporco. Vai a casa, fatti una doccia poi guardati la videocassetta che hai noleggiato al Blockbuster sbocconcellando una bella fetta di pane casereccio spalmato di nutella, che è meglio.

Continua a contemplarmi adorante, neanche fossi la Bellucci nuda sul calendario, invece di una quarantacinquenne occhialuta in pre menopausa e con qualche chilo di troppo imputabile al consumo massiccio di nutella spalmata sul pane. Lo guardo di rimando, accidenti è bellissimo. Socchiude gli occhi, che ciglia lunghe che ha. Si passa piano la punta della lingua rosea sul labbro superiore, e sento che il cervello mi va in tilt con tutto il resto. Ragiona, Laura, finchè sei ancora in tempo…A casa ti aspettano un bel film,la tua nutella e, dopo, otto ore filate di sonno…Purtroppo il film che ho noleggiato è “L.A. Confidential”, la nutella l’avrei spalmata su qualcosa di molto diverso dal pane e soffro pure d’insonnia, con tutti i caffè che tracanno e le sigarette che fumo.

-No, non qui. Andiamo a casa mia.

 

Parla poco, ma il suo italiano è ottimo. E beve parecchio, s’è tracannato mezza bottiglia di whisky finita a casa mia chissà come (sono astemia). Pensare che ero convinta che gli albanesi, da buoni musulmani, non bevessero di quella roba là. Mi tocca scoparmelo alticcio, penso, anzi sbronzo da non stare in piedi, ma sembra reggere bene l’alcol. Si spoglia, e intanto non smette di fissarmi con i suoi occhi di fuoco. Via la t shirt. Resto senza fiato: braccia poderose, spalle da armadio, la schiena un groviglio di muscoli e il petto…Il più fantastico cuscino su cui una donna possa desiderare di poggiare la testa. E’ chiaro di carnagione, non troppo villoso. E ha un neo sotto l’ascella sinistra, proprio come ho notato che ce l’ha Russell Crowe. In parole povere, sono identici. Nel mio cervello turbinano i pensieri, le emozioni e le sensazioni più incredibili. Lo abbraccio, gli mordicchio il labbro inferiore, lo bacio, comincio io, lui risponde, sembriamo due pazzi invasati. La bottiglia che tiene in mano finisce in mille pezzi sul pavimento, non capisco più niente, gli succhio il lobo dell’orecchio, quella gola fantastica che si ritrova, impazzisco solo a vederlo deglutire, lo mordo, lo lecco, vorrei strappargli di dosso i calzoni della Caritas, ma mi limito, per ovvie ragioni  a calargli la cerniera e ad aiutarlo a toglierli…Lui non è da meno, mi spoglia, mi accarezza, mi bacia, con un trasporto e una passione sempre crescenti, sembra che stia davvero con la Bellucci del calendario invece che con  una quarantacinquenne frustrata da un lavoro ignobile, che ha la cellulite sul sedere, si tinge i capelli perché ne ha un mucchio bianchi e ha fissato l’appuntamento con l’oculista per farsi gli occhiali da presbite.

Facciamo tanto di quel casino da rischiare di veder crollare i muri. La vicina del piano di sotto bussa sul soffitto con la scopa, ma io ormai sono aldilà di ogni pudore. Sul tappeto. In piedi contro il muro. Nel letto, finalmente. E pensare  che i miei fidanzati (pochi) mi avevano sempre dato della frigida.

 

Sdraiata sul letto, mi fumo la mia sigaretta e lo guardo, gli occhi socchiusi ombreggiati dalle lunghe ciglia bionde, la zazzera  d’oro sparpagliata sul cuscino e solo un lembo di lenzuolo a coprirgli ciò che è indecente mostrare in giro ma che gli ho visto in tutti i suoi dettagli e onorato come meritava. Pensare che non so neppure come si chiama.

-Tutte le volte che vuoi, caro…

-E’ la prima e l’ultima, mi risponde lui. Ha una bellissima voce cupa e profonda e parla l’italiano molto bene. Ci rimango male, mi ha visto le rughe e la cellulite, penso, mi ha visto le tette che non possono certo competere con quelle dell’Allegretti e non vuole più saperne di me…

-Non prendertela, mi sussurra all’orecchio e ne approfitta per mordermi il lobo. Piano, prima, poi abbastanza forte da farmi quasi male. Sto per impazzire.

-Ti scade il permesso di soggiorno?

Ride. Gli trapelano, tra i peli biondi della barba, le fossette sul mento e sulle guance. Non mi prendessero per pazza, potrei vantarmi d’essermi scopata il Gladiatore, come quella squinzietta con la faccia da topo, quella di “Harry ti presento Sally” che per corrergli appresso ha mollato marito e figlio e poi se n’è pure pentita. Ma questo qui, benché tale e quale a lui come una goccia d’acqua, è solo un ragazzotto albanese senza permesso di soggiorno, e non so neppure come si chiama. In ogni caso, sia resa sempre lode allo scafista che l’ha portato qui in Italia.

Schiaccio la cicca della sigaretta nel posacenere, mi chino su di lui e gli bacio il petto, proprio in mezzo allo sterno. Ha una pelle morbida e calda. Accidenti, mi piacerebbe proprio sapere come si chiama. Russell? Non mi risulta che sia un nome albanese.

Solleva il busto, puntellandosi sui gomiti, e la mia testa scivola più giù, sui muscoli sodi e tosti dello stomaco. Ne approfitto ber baciare, leccare, mordicchiare ancora.

-La favola è quasi finita.-mi sussurra triste con il suo vocione grave-A mezzanotte di domani…

Come Cenerentola, penso. Ma a mezzanotte di domani cosa? Avrebbe perso strada facendo qualcuno dei suoi scarponi quarantasei abbondante? Il furgoncino del Manenti  si sarebbe trasformato in una zucca?

-Io sono Giacomo Leopardi.

-E io Alessandro Manzoni.

Rido. E’ tutto quanto talmente assurdo, impossibile. Ma quando mi rivela cose di cui solo il Leopardi era effettivamente a conoscenza, nella fattispecie il mio codice fiscale e le mie generalità complete, il cuore mi balza in gola e ripenso alla parola maledetta: RADIOATTIVITA’. Le radiazioni avevano trasformato l’impiegato più derelitto dell’ufficio nella copia conforme dell’uomo più desiderato dalle donne di tutto il  pianeta. Per sua disgrazia, si trattava di una metamorfosi solo transitoria e il poveretto era lì lì per riappropriarsi della sua reale identità.

-Io sono Giacomo Leopardi.

…E avrò la mia vendetta, in questa vita, o nell’altra. Come Massimo Decimo Meridio quando si toglie l’elmo davanti all’imperatore Commodo. Lui, intuisco, era intenzionato a togliersi tutti i vestiti davanti all’Allegretti. Cinque minuti prima della fatidica mezzanotte del giorno dopo.

 

Da quando il Leopardi è tornato, tira un’aria strana, allo sportello  del Poliambulatorio della ASL n.20. Non perché sia cambiato granché, il cesso in fondo all’archivio è sempre guasto, anzi, forse è più guasto di prima, ma il Leopardi (dovrebbe forse prendersela…con se stesso?) non si lamenta. Lui è uno che soffre in silenzio tra scartoffie e faldoni, senza lamentarsi mai, col suo nasone che gli piscia in bocca e i ponti ancorati a vista sulle arcate dentarie sguarnite. La Polizzi e la Longoni, che non sanno niente, continuano a guardarlo con la consueta aria di compatimento e appena possono discettano sugli ultimi sviluppi del moccio del figlio piccolo e del traballante curricolo scolastico di quello liceale: come se nulla fosse successo. L’Allegretti si è messa in ferie, contrariamente al suo solito (le prende sempre d’estate, per mostrarsi all’universo mondo in topless sulla spiaggia di Riccione), in attesa che venga accettata la domanda di trasferimento appena presentata. Motivi familiari. Io, che conosco la verità, trattengo a stento uno sghignazzo, e, penso, anche il Leopardi Giacomo. Ha avuto la sua vendetta, in questa vita e non nell’altra. L’Allegretti ha abboccato all’amo, se l’è portato nella sua mansardina…Cenetta a lume di candela, a base di champagne e pietanzine afrodisiache, luci soffuse, musichetta sdolcinata. Lui le pianta negli occhi quel suo sguardo beffardo e sornione, le sorride con tutti e trentadue i denti candidi e inizia a levarsi di dosso, con deliberata lentezza, la maglietta bianca e le brache della Caritas. Immagino come dev’essersi sentita, ci sono passata anch’io. Inizia a spogliarla. Manca poco alla mezzanotte ormai. Reso completamente folle dalla visione senza censura delle tette dell’Allegretti, l’oggetto a lungo agognato del suo desiderio, gliele afferra  e, nonostante siano grandi come due badili, le sue mani stentano a contenerle. Lei inizia a gemere e a dimenarsi. Mezzanotte. L’Allegretti non vede l’ora di ritrovarsi infilzata dalla daga del Gladiatore, ma lui vuole cucinarsela a fuoco lento. I peli della barba le solleticano il capezzolo, lei geme come se la stessero ammazzando. Gli abbranca le spalle, gli accarezza i capelli morbidi, la pelle di seta tesa sui dorsali da culturista. E lui continua a giocare al gatto con il topo. Mezzanotte e cinque. Iniziano le allucinazioni, dapprima tattili, poi anche visive. I capelli biondi, morbidi e fini, diventano ruvidi, grossi, radi e disgustosamente unti sotto le sue dita, il bel collo e le spalle possenti magri e scheletriti come quelli del Mahatma Gandhi. E, quel che è peggio, incollata come una ventosa sulla tetta sinistra, non c’è più quella piccola bocca  perfetta, quasi femminea, fantastico ricettacolo di trentadue  denti candidi e squadrati e di una lingua capace di delizie inenarrabili, bensì la ben nota boccaccia con i suoi ponti di resina e acciaio e la lingua patinosa. Non occorre molta immaginazione per intuire lo stato d’animo della poveretta in quel momento: lo stesso del tizio, al quale era stato servito serpente in umido gabellandolo per capitone, quando è venuto a conoscenza dell’atroce verità.

 

L’Allegretti è stata trasferita. Io lo sarò tra poco. Non riuscivo più neppure io a guardare in faccia il Leopardi, dopo quello che era successo, ma per un paio di cosette gli devo la mia sempiterna riconoscenza: andrò a lavorare presso l’Assessorato alla Cultura del mio Comune, ricoprirò una mansione per me molto più gratificante di quella finora esercitata. E la notte folle in compagnia del clone del Gladiatore credo che non la dimenticherò tanto facilmente.

 

Lalla Usai

29 luglio 2001

 

 

   
 
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