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Autore: Neko no Yume    09/09/2012    4 recensioni
Un'accozzaglia di case multicolore a cui qualcuno ha dato il nome di Skjiord.
Un ragazzo che ama il rumore delle mareggiate.
Un uomo che viaggia da troppo tempo.
Mentre le sterne migrano instancabili.
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dino Cavallone, Kyoya Hibari, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Pioveva.
Anzi no, diluviava da non vederci a un palmo dal proprio naso.
Kyoya storse le labbra in una smorfia disgustata davanti all'enormità di un simile cliché.
Era il funerale del vecchio Jim e diluviava.
Si strinse il cappucci nero dell'impermeabile contro il collo e rabbrividì, fradicio fino all'osso, mentre attorno a lui la gente gettava l'ultimo sguardo alla tomba del vecchio guardiano del faro mentre veniva calata nella sua fossa.
Scorse volti tristi, rigati dalle lacrime e dalla pioggia, volti impassibili, ma soprattutto volti che si chiedevano preoccupati chi avrebbe osato prendere il posto di Jim come guardiano del faro.
Nessuno al paese sprizzava dalla voglia di andare ad abitare sul promontorio inospitale e perennemente assediato dalla mareggiata e passare il resto della propria vita in una torretta inospitale così lontana da tutto.
Forse avrebbero tirato a sorte, chissà.
Nel frattempo, occhiate nervose serpeggiavano tra la folla mentre chi aveva partecipato al funerale si affrettava a tornare verso casa propria, al riparo dall'acquazzone.
Nella piazza principale si era creato un capannello di curiosi che, appena videro tornare il resto del villaggio, fecero cenno di avvicinarsi.
Assiepato dagli abitanti e curvo sotto il peso di una giacca zuppa e uno zaino enorme, c'era un uomo che Kyoya non ricordava di aver mai visto.
Qualcuno gli doveva aver indicato il sindaco, perché si precipitò da lui e sfoderò un sorriso raggiante mentre gli stringeva con forza la mano scivolosa di pioggia.
-Salve, mi chiamo Dino Cavallone!-, esordì con uno strano accento che Hibari non riuscì a riconoscere -Avevo sentito nel paese vicino che vi serve un nuovo guardiano del faro e vorrei offrirmi, se non ci sono problemi-.
La piccola folla si limitò a fissare a occhi spalancati da ogni direzione il nuovo arrivato per qualche secondo, incapace di credere a una tale dimostrazione di fortuna (e spirito di sacrificio), poi esplose in un boato di benvenuto, travolgendo il volontario con poderose pacche sulla schiena.
Gli furono immediatamente consegnate le chiavi della sua nuova "casa" e fu scortato lungo il lungo sentiero sassoso e dissestato che vi conduceva da quasi tutta la popolazione di Skjiord, l'agglomerato di casupole dipinte con colori che facevano a pungi gli uni con gli altri (come molti abitanti, del resto) a ridosso del mare che loro chiamavano villaggio.
Lo straniero si fermò davanti alla porta di vecchio legno marcio e grattò via qualche scaglia di vernice rossa dal muro con aria pensierosa, ma sempre sorridente.
Armeggiò un po' con le chiavi (arrugginite quanto la serratura), per poi ringraziare i cittadini della fiducia che avevano riposto in lui e sparire nelle sue nuove stanze.
Kyoya pensò che, se la cosa fosse dipesa da lui, non avrebbe mai accolto tanto a braccia aperte una persona del genere, ma del resto la sua gente si distingueva per essere una manica di erbivori, quindi sarebbe toccato al ragazzo tenere d'occhio l'intruso.
Non che questo comportasse un significativo cambio di abitudini da parte sua, dato che ogni pomeriggio si recava al faro e, passando dalla pericolante scaletta esterna, passava qualche oretta di meritato riposo disteso sul tetto.
Gli piaceva quel posto, nessuno veniva mai a disturbarlo, la brezza salata puliva l'aria tutt'attorno e il rumore della risacca gli conciliava il sonno.
Il pomeriggio del giorno dopo il funerale del vecchio Jim si specchiava in un cielo senza l'ombra di nuvole, quindi Hibari si arrischiò a lasciare la giacca a casa e recarsi al promontorio, intenzionato a perpetrare la sua routine.
Salì lungo la solita scaletta in ferro battuto (ormai quasi completamente arrugginito e incrostato di salsedine) senza preoccuparsi di essere visto dalle sottili finestre del faro, sino ad arrivare sul tetto piatto e asfaltato.
Se non fosse stato munito di un parapetto, anch'esso in ferro e nelle stesse condizioni della scala, forse avrebbe fatto venire le vertigini persino a lui.
Forse.
Si avvicinò alla ringhiera e gli sfuggì un raro sorriso privo di intenti omicidi, di quelli che riservava agli animaletti e alla mareggiata che infuriava contro la ripida e scura scogliera che si stagliava sotto di lui.
Una voce fastidiosamente squillante squarciò lo sciabordare delle onde e lo fece sobbalzare, mentre si voltava d’istinto verso la sorgente di quel suono orribile, il sorriso ormai svanito.
Il nuovo arrivato era a qualche passo da lui, con una mano dietro la nuca e un’aria per niente intimorita.
-Ti ho spaventato?-, chiese conciliante –Sai, non dovresti stare qui, è pericoloso-.
Un qualunque altro abitante di Skjiord a quel punto se la sarebbe a data a gambe, anzi, non ci si sarebbe neanche lontanamente avvicinato a quel punto.
Ma il guardiano non era ancora un abitante di Skjiord.
Per cui si ritrovò senza sapere bene come a un soffio dal ragazzino, che lo stava trafiggendo con lo sguardo e aveva l’aria di chi avrebbe potuto tirargli un pugno da un momento all’altro.
-Io vengo sempre qui e continuerò a farlo, erbivoro-.
Dino si prese qualche istante per assimilare quel nuovo epiteto che gli era appena stato sibilato contro, poi scoppiò a ridere e Hibari si risparmiò il bisogno di tirargli un colpo ai reni nel vederlo accasciarsi al suolo con le lacrime agli occhi.
Aspettò che si rialzasse in piedi cercando di mantenere un’espressione intimidatoria, che però venne accolta con l’ennesimo sorriso e una mano tesa.
-Credo che tu già lo sappia, ma mi chiamo Dino Cavallone-, esordì il disturbatore –Tu sei?-.
L’altro soppesò l’idea di rispondere gettandolo giù di peso dal parapetto, ma questo avrebbe significato ritrovarsi di nuovo senza qualcuno che si occupasse del faro e, di conseguenza, problemi che gli avrebbero impedito di dormire sonni tranquilli sul suo tetto per un po’.
-Hibari Kyoya-, sentenziò lapidario senza prendersi la briga di stringere la mano tesa verso di lui.
-Piacere di conoscerti, Kyoya!-.
-Non chiamarmi col mio nome-.
-Uh? Ti dovrei dare un soprannome?-, il guardiano inclinò la testa di lato con aria stupita, senza riuscire del tutto a dissimulare un sorrisetto divertito che gli costò un calcio nello stinco.
-Qui le persone si chiamano per cognome se non si conoscono-, ribatté Hibari.
-Ma io non sono di qui, sono italiano-, ridacchiò lo straniero senza scomporsi.
-Oh, ecco perché parli strano-.
-È il mio accento misto alle parlate dei paesi che ho attraversato-, spiegò –Ho girato un po’ ovunque e se non riempissi quaderni su quaderni di appunti probabilmente mi esploderebbe la testa!-.
Sorrise per l’ennesima volta, per poi allargare le braccia in quello che doveva essere un segno di resa pacifica.
-Questo posto mi piace, vorrei poterci venire anch’io-, azzardò pensieroso –Posso farti compagnia?-.
-Razza di erbivoro, questa è casa tua in teoria-, sbottò Kyoya con una vena di velata sorpresa nella voce.
-Lo prendo per un sì!-.
-Fai un po’ come ti pare-.
E così Hibari poteva anche dire addio ai cari pomeriggi avvolti da quiete, salsedine e solitudine sul tetto del faro.


Yu’s corner.
Buondì, cari pasticcini stregati! (Sì, ho appena visto The Brave, perdono)
Cos’è questa cosa?
Ho appena iniziato una long a pochi giorni dall’inizio della scuola?
Non c’è davvero limite alla stupidità umana, Einstein aveva ragione.
Anyway, se qualcuno di voi fosse rimasto interdetto dal fatto che in un paesino dallaria nordica come Skjiord ci sia gente di nome Hibari Kyoya (e altri, eheh), pensi solo che nella Sicilia della Amano ci sono persone chiamate Dino, Squalo e Xanxus.
Mio paesino, miei nomi random.
Se per il resto questo primo, breve capitolo vi è piaciuto, vi ringrazio e attento paziente qualche recensione.
Bye bye, Yu.
  
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