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Autore: squirmingdog    09/09/2012    0 recensioni
«Facciamo una cosa»
«Cosa?»
«La prima che muore, avrà la garanzia che l'altra scriverà una storia su di lei, non per forza un libro, una storia».
Genere: Avventura, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao, mi chiamo Renee, ho un figlio ed un marito, e sto per compiere trent'anni. Ve lo dico fin da subito, non sono qui per parlare di me, a dirvi la mia storia sin dalla mia più lontana memoria d'infanzia, ma a raccontarvi della mia migliore amica, Valerie. Lei avrebbe detto, 'Salve, il mio nome è Valerie', per introdursi, a lei piaceva dire cose differenti dal normale, non perché voleva fare quella diversa, ma perché le suscitavano un certo fascino quei modi di dire, di fare, di pensare che si sono lentamente dispersi nel modo più naturale che ci possa essere: con il tempo. Il tempo era una delle tante ossessioni di Valerie, non il tempo in sé inteso come kronos,  ma del tempo come kairos. "Carpe diem", usava spesso dire. 

La incontrai a scuola; al mio primo giorno al Lycéè Denis-Diredot mi ritrovai in classe con questa ragazza dai i capelli rossicci, lo stesso rosso di cui si tingono le chiome degli alberi in tardo ottobre, aveva preso posto al banco alle mie spalle. La mia nuova professoressa stava presentando ogni cosa, la scuola e lei, lo svolgimento delle giornate scolastiche e la loro struttura nel modo meno coinvolgente che potesse esistere. Io ero lì seduta con la schiena dritta dritta, annuendo giusto quel poco da fingere un interessamento verso le parole dall'andamento monotono che sgorgavano dalla bocca di una quarantenne occhialuta, mostrava vent'anni di più, probabilmente per colpa di quanto fosse sola e trascurata, ma mi sarei dovuta abituare, visto che l'avrei vista sei volte a settimana per i seguenti cinque anni. Mentre quella zitella dalle tette cadenti proseguiva con le sue noie, percepii due colpetti su di una spalla, mi voltai titubante, con il lieve timore che l'insegnante potesse scovarmi nella mia distrazione, prima alle mie spalle e poi davanti ai miei occhi c'era una ragazzina che mi sorrideva a labbra serrate, un sorriso largo, le appuntiva gli zigomi, su cui sopra stavano i suoi occhi bui, sicuri e ingannevoli, mi diede l'aria di un tipo birichino sin dal primo sguardo —la darebbe a chiunque—, in mano aveva una matita che ticchettava sul banco, dedussi che fu con essa che richiamò la mia attenzione con quei due colpetti. «Sì?», mugolai in esitazione a bassa voce, non diceva nulla, rimaneva lì immobile a fissarmi, l'unica cosa che sembrava mostrare vita in lei erano l'indice e il medio che tenevano nel loro mezzo la matita. «Tu!», sentii urlare dall'altro lato della stanza, dalla stessa voce che aveva parlato per i precedenti venti minuti, una vampata di calore mi scaldò gettandomi nel mio silenzioso e trattenuto panico, tornai dritta, con lo sguardo verso la lavagna, sperando che la professoressa continuasse a blaterare le stesse cose di prima, ma invece si avvicinò, il tonfo dei suoi tacchi grassi e bassi sul linoleum della classe rimbombava in ogni punto, fino a perforarmi le tempie, sbatté un pugno sul legno del mio banco, ruggendomi contro: «Non ti è chiaro il concetto scolastico, signorina?! Quello che sto dicendo ad ognuno di voi da quando avete messo piede in questa classe, l'hai ascoltato?! Perché sai, è questo quello che si fa a scuola, ascoltare e imparare! Con le altre ci fai amicizia a fine giornata, quando non sei più qua dentro, chiaro, signorina?!», fu così disgustosa, aveva un alito che scommetto neanche un barbone la batterebbe, faticai a fare attenzione a quello che strillava quella vecchia bisbetica, fui addirittura accecata e assordita da quello spiacevole fetore che emanavano le sue fauci a me spalancate. «Mi perdoni professoressa, è che..» fui spaventata, sì, ma non me la feci addosso, solo che non ebbi la minima idea di che scusa plausibile inventarmi, udii un rumore di mina che si spezza da dietro, ed una voce da Venere irruppe nell'imbarazzo della mia frase, «Con permesso, prof Mureau, è colpa mia, stavo chiedendo alla mia compagna qua di fronte se potesse prestarmi la sua matita, visto che la mia..non ha la punta». Intervento divino. Così lo chiamerei, forse esagero, ma miracolosamente notai una matita dalla mina talmente appuntita da poter essere pericolosa al bordo del mio banco, e l'insegnante si zittì, assumendo un'espressione meno alterata di quella di prima, più amareggiata, e con rimprovero riprese la mia salvatrice: «Esistono i temperini, Valerie, domani cerca di presentarti con tutto il materiale necessario».
Riprese il suo discorso, immaginai che impiegò giornate e forse anche notti per scriverlo ed impararlo a memoria, "una di quelle cose che sono così studiate che ti risultano noiose al primo impatto", fu come lo definì in seguito la ragazza che mi stava dietro, dopo avermi accompagnato per il corridoio fino all'uscita della scuola, la ringraziai ovviamente, una volta davanti fuori dall'edificio mi strinse le mano, in un gesto di saluto e presentazione «In ogni caso, io sono Valerie», e sfrecciò via, zampettando verso la via opposta a quella che avrei dovuto prendere io per tornare a casa. La accompagnai con lo sguardo andare via, il suo vestito fino alle ginocchia dalla fantasia a fiori sventolava nell'aria, e mi voltai, per poi prendere la mia strada di ritorno.

  
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