DON'T LEAVE ME ALONE. BECAUSE I LOVE YOU.
-
M-miyu… che
diavolo… che diavolo ci fai qui? –
Miyu si
trovava con la pancia a terra e addosso tutti i futon dell’armadio di Kanata,
rossa di vergogna. Lanciò un’occhiata a Chris, che
sembrava assolutamente incredula. Da tanto stupore, aveva perfino smesso di
singhiozzare.
-
M-mi dispiace…
posso… posso spiegare… - Miyu si alzò faticosamente
in piedi, togliendosi dalla schiena i futon che le erano caduti addosso.
Cadde un disastroso silenzio,
mentre lei si ritrovava finalmente in piedi, senza sapere esattamente da dove
cominciare. Intanto, si sentirono dei passi di corsa e sulla soglia comparve il
signor Osho, con gli occhi lucidi.
-
Kanata! Oh, Kanata, guarda! –
Tutti e tre si voltarono verso
l’uomo, che stava sventolando delle fotografie. Kanata
lanciò un’occhiataccia a Miyu, poi
si affiancò al padre.
-
Cosa…? – si bloccò, fissando le
fotografie. A Miyu parve di vedere una luce
particolare nei suoi occhi, ma non ne era sicura. Chris la stava fissando e lei nemmeno se ne
accorgeva.
-
Papà… dove… dove le hai trovate? –
-
Me le ha date la signorina Kozuki, vedo che vi conoscete già, no? I suoi genitori
erano vecchi amici di famiglia. Salve anche a te, signorina Hanakomachi.
–
Kanata
volse lo sguardo verso Miyu e sembrava che tutto il disappunto di qualche istante prima fosse
completamente sparito.
-
Avevamo così poche foto
di lei… adesso, guarda quante! E per tutto questo,
devi ringraziare Kozuki, che è stata così gentile da
consegnarcele. –
Cadde nuovamente il silenzio
nella stanza e Osho finalmente capì che aveva
interrotto qualcosa.
-
B’è… ora… io vado… tu guardale pure con
calma, Kanata… -
L’uomo sparì trafelato lungo il
corridoio, senza nemmeno pensare di chiedere a Miyu
come avesse fatto a finire nella camera di Kanata. I tre si guardarono a vicenda.
-
Scusate davvero, ragazzi… - cominciò Miyu, imbarazzata - … ero venuta
davvero per consegnare quelle foto e andare all’aeroporto, però poi mi sono
persa in casa e quando vi ho sentito arrivare, istintivamente mi sono nascosta.
Ma vi giuro che non ho origliato apposta. Anzi, adesso
vado all’aeroporto e… -
Kanata
la prese per un polso.
-
No. Non ci sono aerei per l’America fino
alle sette, per cui puoi aspettare. Ti dispiace
aspettare qualche minuto qui fuori? –
Lei, accigliata, scosse la testa
e uscì dalla stanza, chiedendosi come facesse Kanata
a sapere degli orari degli aerei. Dopo dieci minuti che stava seduta nel grande giardino, vide uscire Kanata
e Chris. Lei aveva l’aria molto più
allegra di prima, perlomeno non aveva neanche un po’ di rossore negli occhi.
Vedendola, la ragazza le fece un cenno con la mano e le sorrise e Miyu rispose sorridendo, sempre
più stupita. Poi, le si affacciò nella mente un
pensiero terribile… Kanata poteva aver deciso di
scaricare lei, non Chris. Forse aveva avuto un
ripensamento. Forse, forse, forse…
-
Ah, eccoti qui! – Kanata
la sorprese e lei fece un salto per lo spavento, mentre lui rideva sedendosi
accanto a lei.
-
Sei proprio strana…
-
-
Mi spunti all’improvviso
con un urlo nel silenzio più totale, dovrei essere tranquilla?! E poi, non sono affatto strana. –
Kanata
sorrise.
-
Può darsi. –
Rimasero in silenzio per qualche
istante, poi lui riprese la parola.
-
Ho lasciato Christine.
–
Miyu
abbassò lo sguardo.
-
Lo immaginavo. Però,
non ho mai avuto intenzione di farti fare una cosa simile. –
-
Lo so, tuttavia sono sempre stato
piuttosto insicuro sul nostro rapporto. Eravamo molto più amici che fidanzati e
cominciavo a stancarmi… l’avrei fatto comunque. –
-
Mi dispiace, davvero. Non volevo farvi
lasciare. Volevo tornare a casa senza rivederti più. –
Kanata
la guardò con un sorriso.
-
Ehi, non fare così! Sei tanto sciocca quanto buona. –
-
E con questo cosa
vorresti dire?! –
-
Insomma, chiunque al tuo posto farebbe i
salti di gioia, dopo quello che è successo a noi. Però tu ti preoccupi davvero per Christine,
nonostante la conosca da tre giorni al massimo. –
Miyu
sospirò e poi si alzò. Kanata la guardò aggrottando
le sopracciglia.
-
Cosa fai? –
-
Vado all’aeroporto. Ho chiamato un taxi
mentre tu stavi parlando con Hanakomachi… -
Kanata
scattò in piedi, incredulo.
-
Cos’hai fatto?
Hai ancora intenzione di partire? –
Miyu
deglutì a fatica, mentre si incamminava in fretta
verso la scalinata di pietra.
-
Mi è stato chiesto di tornare e l’ho fatto.
Sin dall’inizio, la mia intenzione era di sparire senza rivederti. –
-
Ma scusa, sei
ancora di quell’idea nonostante io ti abbia detto
tutto questo? –
Miyu
sospirò nuovamente, mentre scendeva sempre più in fretta la scalinata e un taxi
frenava in fondo alla strada, in attesa.
-
Perdonami. Però,
ho bisogno di riordinare delle idee. –
-
Io non riesco a capirti, Miyu. Quali idee devi riordinare?
–
Lei si fermò, sull’ultimo gradino
e lo guardò negli occhi, mordendosi il labbro inferiore. Non doveva piangere,
non davanti a lui. Non piangere, non piangere…
-
Cosa… cosa credi
di fare? – disse, respirando a fatica – credi di poter entrare nella mia vita,
quando meno me lo aspetto e poterla sconvolgere così?
Credi che sia facile per me, che ho sempre vissuto
delle storie molto platoniche, senza amare mai davvero? Non so… io non so se ne
sono capace, di dare tutta me stessa, Kanata. E poi… mi pesa così tanto il fatto di averti fatto lasciare
con quella ragazza. So cosa prova, perché l’ho provato anch’io e questo mi fa
star male quanto lei. Perciò, per favore, te lo chiedo
per favore, fammi riflettere su tutto questo. –
Kanata
la fissò, con sguardo serio.
-
Ne sei sicura? Ricorda
che non puoi tornare indietro. –
-
Lo so… e adesso, te lo giuro, salirò su
quel taxi e tu mi guarderai andare via, poi mentre io salirò sul mio aereo, tu
sarai dentro al tempio, come se non fosse successo
nulla. Accadrà tutto questo, però, Kanata, nonostante
questo, devi ricordarti che… in realtà… io… -
-
… ti amo. – conclusero
entrambi all’unisono e questo la fece sentire ancora peggio. Ma
salutò Kanata con un cenno della mano e un mezzo
sorriso e salì su quel taxi. E davvero lui la guardò andarsene, davvero le salì
sul suo aereo e davvero Kanata era dentro al tempio, da solo. C’era solo una cosa che Miyu non aveva previsto: in quei momenti, entrambi avevano la testa tra le mani e il rimpianto nel cuore. //
Successivamente,
Miyu scoprì che la notizia importantissima di cui i
genitori volevano parlare altro non era che un annuncio di ritorno in Giappone.
Si erano stancati della frenetica vita americana e gli mancava la loro casa a
Tokyo. Miyu, titubante, acconsentì a tornare ma fu
irremovibile: lasciò partire Miki e Yu a Gennaio, mentre lei avrebbe dato gli esami
d’ammissione all’università di Tokyo in America, giusto per non perdere i
contatti con il suo vecchio liceo. In realtà, non aveva minimamente voglia di
ritrovarsi a guardarsi intorno ogni dieci secondi per
paura di incrociare Kanata ed era meglio aspettare un
po’. Nemmeno lei sapeva perché l’avesse lasciato in quel modo, però aveva avuto
una paura tremenda all’ultimo minuto, come una sferzata d’acqua gelida. Non si
era mai ritrovata ad amare così intensamente e aveva paura di rimanere, in
qualche modo, delusa. A forza di sentirsi indecisa, aveva deciso di fuggire. Ma a luglio dell’anno successivo lei era di nuovo lì,
all’aeroporto di Tokyo, sempre con il suo cappello di paglia posato sui lunghi
capelli biondi e un vestito bianco lungo fino alle ginocchia, a guardare il
cielo terso del suo paese. Era felice di essere tornato, ma nonostante questo
si sentiva estremamente malinconica: chissà se Kanata si ricordava di lei? Probabilmente
no. Anzi, probabilmente la odiava per ciò che gli
aveva fatto. E poi, di sicuro non avrebbe più avuto occasione di incontrarlo,
abitavano in quartiere troppo lontani l’uno
dall’altro. Cercò di non pensarci più e si ricordò che i genitori non potevano
passare a prenderla e avevano lasciato davanti all’aeroporto la loro vecchia
auto, che aveva l’aria di essere uscita dal garage dopo sei anni solo per quella occasione. Diffidente, Miyu
posò sul sedile posteriore le valige e si mise alla guida, sempre più
preoccupata sentendo il suono sospetto del motore che partiva lentamente. Ma
partì comunque con tranquillità, e tutto sembrava
andare liscio. Miyu si guardò intorno: non sapeva di
essersi spinta così in periferia. Era nel bel mezzo della campagna, in un
interminabile viale alberato. Non c’era nessuna casa intorno e questo non avrebbe suscitato un problema, anche se era soprappensiero,
se l’auto non avesse cominciato a sbuffare…
-
No… bella, non puoi farmi questo… - scongiurò Miyu all’auto, premendo
l’acceleratore. Ma cominciò ad arrancare sempre di
più, minuto per minuto, finché non si fermò definitivamente con una folata di
fumo che usciva dal motore. Miyu si accasciò sullo
schienale della poltroncina, incredula. Sapeva che quella vecchia carretta era
sgangherata, ma non aveva mai fatto scherzi del genere. Sospirò e uscì
dall’auto stringendo gli occhi a causa della luce fortissima del sole. Si
guardò intorno, cercando di abituarsi a tutta quella luce: la strada era
deserta e non c’erano case, come aveva notato prima. Dette una pacca alla
portiera dell’auto.
-
Maledizione… -
Vide sempre più fumo uscire dal
motore e cercò il pulsante per aprirlo e guardare che tipo di guasto c’era, ma non lo trovò e si sedette per terra, sconsolata. Perché dovevano capitare tutte a lei? Aspettò lì per un
tempo interminabile, senza il cellulare, a girarsi i pollici mentre per la
strada non passava nessuno. Il sole attraversò lentamente il cielo fino a
quando non fu quasi il tramonto. A quel punto, Miyu
si chiese se mai qualcuno sarebbe venuto a cercarla, dannati genitori. Si era
alzato il vento. Si guardò intorno nuovamente, convinta che anche questa volta nella
strada avrebbe visto il nulla, quando vide un auto
dirigersi velocemente verso di lei, in lontananza. Scattò in
piedi, raggiante e cominciò a sbracciarsi.
-
Ehi, si fermi, si fermi! – disse e
nell’euforia quello stupido cappello le sfuggì di nuovo e andò a piazzarsi in
mezzo alla strada, proprio mentre l’auto frenava davanti ad esso.
Miyu non ci fece nemmeno caso e si mise una mano
sugli occhi, cercando di vedere qualcosa a causa del sole che stava
tramontando.
-
La ringrazio… mi è partito il motore e
non sapevo proprio come fare… -
Qualcuno scese dall’auto
sbattendo la portiera e andò a raccogliere il cappello. Miyu
strinse di più gli occhi, cercando di vederlo in viso. Quando
la persona glielo porse, lei riuscì a guardarlo negli occhi e rimase a bocca aperta.
-
Ah… tu… tu… tu… -
-
Sei come al
solito, un telefono che squilla a vuoto… -
Era un ragazzo alto, dagli occhi
e capelli scurissimi ed era…
-
Kanata… - (cosa
posso dire? Ma che coincidenza! NdMiyuchan)
-
Che ci fai sul
ciglio della strada? Possibile che ogni volta che ti incontro
combini qualche guaio? –
Tutta la magia dell’atmosfera
finì quando Miyu gli tirò un pugno.
-
Ma insomma, la
smetti?! Dovresti essere più gentile! –
Kanata
rise e lanciò un’occhiataccia all’auto.
-
Come hai potuto anche solo sperare di fare
dieci metri con quel catorcio? –
-
Non offenderla! E’ la mia auto da quando
ero una ragazzina! Cioè, dei miei genitori… -
Kanata
alzò un sopracciglio e sorrise.
-
A questo punto, ti conviene venire su con
me e chiamare domani il carro attrezzi. Solo a te possono capitare cose simili…
-
Miyu
sbuffò e a fatica prese i suoi bagagli per poi salire sull’auto di Kanata. Quando lui mise in moto lei finalmente
si rese conto che era una situazione assurda.
-
Senti, non mi chiedi perché sono tornata
in Giappone? Non mi chiedi se sono tornata a vivere a
casa mia? Cosa ci facevi in mezzo alla campagna? Perché sei sempre dove sono io e fai queste apparizioni
incredibili? –
Kanata
rise di fronte alla raffica di domande.
-
Risponderò una per volta: so benissimo
perché sei in Giappone e quanto ci resti, perché ogni giorno di
ogni mese dall’anno scorso sono stato davanti a casa tua e un bel giorno
ci ho visto traslocare i tuoi genitori, che mi hanno raccontato tutto. Ci vado
spesso, per questo non mi sono preoccupato di telefonarti, se no l’avrei fatto… -
Miyu
sospirò, guardando fuori dal finestrino. Cosa significava? Le avrebbe telefonato
per riallacciare i rapporti, davvero…?
-
… e poi, oggi i
tuoi genitori mi hanno detto che non ti eri fatta ancora vedere e che
probabilmente ti si era fermata l’auto e mi hanno chiesto se potevo venirti
incontro. Conoscendo le strade dell’aeroporto, ma soprattutto conoscendo te, ho
ricomposto il puzzle di quello che la tua mente potrebbe aver pensato,
nonostante non lo faccia quasi mai. Così, dopo un giorno di ricerca, come
sospettavo eri qui. –
-
Di un po’, perché non la finisci di
prendermi in giro? –
-
Visto che me lo chiedi,
no, non la finisco. Se no, come mi diverto? –
-
Non hai risposto all’ultima domanda… lo
dico solo per evitare di esplodere dalla rabbia… -
Kanata
fece spallucce.
-
Non lo faccio apposta ad essere dove sei
tu. Prima di chiederlo a me, dovresti chiedere a te stessa perché ci inseguiamo inconsapevolmente, no? –
Miyu lo
guardò con un sorriso. La rabbia le era già svanita ed era completamente persa.
-
Me lo sono già chiesto. E so anche la risposta… -
Kanata
frenò all’improvviso, svoltando all’interno di uno spiazzo vicino alla strada.
-
E quale sarebbe?
– disse, voltandosi finalmente verso di lei. Miyu
notò che era già diventato buio e poteva vedere Kanata
a malapena, grazie alla luce di un lampione. Cercò di rimanere calma e di non
farsi venire il batticuore troppo forte.
-
Perché… io… ti…
-
Kanata
la interruppe con un bacio poi la guardò negli occhi.
-
Ti amo… -
-
Cosa diavolo stai
dicendo, stupida? –
Miyu
spalancò gli occhi e una luce fortissima le entrò negli occhi. La prima cosa
che vide fu la faccia di Kanata che la fissava con
aria indifferente.
-
AAAAAAAAH!!!! –
Scattò in piedi e si guardò allo
specchio. Aveva una strana sensazione, come se dovesse ricordare qualcosa, ma
non sapeva cosa. Ad ogni modo, si era quasi dimenticata chi era, tanto aveva
dormito profondamente: Miyu, 14 anni, terza media.
Cercò di darsi una calmata e si voltò infuriata verso Kanata.
-
Tu… cosa ti salta in mente? Mi hai fatto prendere
un colpo! –
Kanata
fece una smorfia.
-
Ma si può sapere
cosa stavi sognando? Prima hai detto una cosa incredibile, detta da te… -
Miyu
arrossì, anche se non ne sapeva il reale motivo. Poi pensò che quella strana
sensazione che aveva addosso doveva essere dovuta a un
sogno che aveva fatto.
-
Perché, cosa ho
detto? –
Kanata
la fissò per qualche istante e poi si diresse verso il corridoio.
-
E’ tardi, se non ti vesti e fai colazione
in cinque minuti, vado a scuola da solo. –
Miyu
sbuffò e fece ciò che doveva fare.
-
Buona giornata, signorina Miyu, signorino Kanata! – disse Baumiau, con il piccolo Lou in
braccio che lanciava gridolini di gioia.
-
Grazie, Baumiau!
– Miyu corse dietro a Kanata
e mentre correvano entrambi verso la scuola gli chiese:
-
Mi vuoi dire cosa ho detto nel sonno? –
-
Perché ti importa
tanto? –
-
Così, magari me lo ricordo. Mi sembra che
fosse molto bello, ma non posso dirlo con certezza
perché non so nemmeno cosa ho sognato. Dimmelo! –
-
Doveva essere un sogno molto sdolcinato.
–
-
Perché? –
-
Conoscendoti, probabilmente fai sempre
dei sogni da romanzo rosa! –
Miyu
arrossì e fece la linguaccia.
-
E tu che ne sai?
Ti prego, dimmelo! –
Kanata
sorrise e Miyu rimase interdetta per un attimo.
-
Che hai da
sorridere? –
-
Niente, non ho mica sorriso. –
-
Cosa sono tutti
questi segreti? –
Mentre
correvano proprio mentre il cancello della scuola stava per chiudersi, Kanata scoppiò a ridere.
-
Non è un segreto, questo proprio no… -
Miyu
non capì quella frase, però non chiese più ciò che aveva mormorato nel sonno,
perché quel giorno Kanata era più felice del solito e
non voleva assillarlo. Però, le rimase quel cruccio
nella mente, senza riuscire a ricordare quel sogno… che probabilmente non
ricorderà mai, ma… quello che quella mattina mormorò nel sonno, un giorno Kanata glielo dirà… forse in un altro modo, ma glielo dirà…