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Autore: Morgaine You    10/09/2012    1 recensioni
‘’Odio quando mi chiamano così’’
‘’Perchè?’’
‘’Perchè so che è vero’’

Sullo sfondo di un Giappone sull'orlo del cambiamento alla fine degli anni '70, di cui le azioni dei personaggi ne sono il vivido riflesso, una ragazza di buona famiglia, incatenata al suo destino, troverà la forza di ribellarsi, cedendo alla forza delle sue passioni, e al peso di un amore proibito.
A te, amica mia, che ora sei lontana, a Londra.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dim the light so I can embrace you
 
’Il suono della campana del tempio Gion è l’eco della caducità de il mondo delle apparenze, la tinta dei fiori di shorea dimostra il principio della decadenza ineluttabile dei potenti. Effimero sarà il loro orgoglio, come un sogno in una notte di primavera...’’ [1]
Sumire era ferma su quelle poche righe da più di un’ora. Le sembravano rappresentare un credibile, fervido specchio del suo tempo, di un società che prima o poi si sarebbe dovuta piegare alla volontà dei sempre più numerosi studenti e cittadini che accorrevano ogni giorno alle manifestazioni indette dai sovversatori del governo. Era l’epoca delle rivolte studentesche, in un Giappone dove l’eco dell’ultima, catastrofica guerra mondiale non lasciava, non poteva lasciare riposare con tranquillità i feriti inguaribili come pure i vecchi monaci buddisti che si occupavano di riportare al loro antico splendore gli oramai disadorni templi di Kyōto.
Il suo sguardo distratto fu attirato dal placido movimento dei rami d’acero fuori dalla finestra; il vento li muoveva dolcemente, quasi non volesse darle alcun disturbo.
Sumire viveva in una ricca casa nel quartiere più in vista di Kyōto, dove i negozi erano assai costosi e i ristoranti, nonostante i prezzi poco abbordabili, non mancavano mai di clientela. Non si poteva certo lamentare, adorava ascoltare le melodie dai ritmi jazz che a giorni alterni fuoriuscivano da uno di quei tanti locali dalle insegne irridescenti.
Gli shōnji[2] addetti alla divisione delle stanze erano dipinti con fantasie floreali, voluta fortemente da Sumire, elemento che rendeva la casa ancor più elegante.
I genitori della ragazza, che da poco aveva compiuto diciotto anni, erano entrambi commercianti in ambito immobiliare. Non doveva dunque sorprendere che abitassero in una tale dimora, sempre per curata.
Nonostante i pedanti influssi occidentali d’après-guerre, il padre aveva voluto mantenersi il più fedele possibile ai canoni dettati dallo stile orientale.
Il cortile, circondato da un muretto color mattone, era decorato con aiuole fiorite d’orchidee e camelie, mentre sul lato destro, opposto all’acero dalle tinte autunnali davanti alla camera di Sumire, s’innalzava un ciliegio dai rami che si aprivano a ventaglio. Lo spettacolo offerto da quel giardino attirava decide d’occhi curiosi ogni primavera.
 
Non dobbiamo cercare grandi parole per raccontare Sumire; possiamo descrivere la sua esistenza con un solo, unico aggettivo: normale. Utilizzare il termine banale sarebbe ingiusto, perchè ogni persona, a modo suo, è originale. Ma la giovane non si disturbava a mettere in evidenza questo lato occulto di sè.
Di carattere arrendevole, nascondeva il suo pallido viso dietro una folta chioma corvina, che le ricadeva dolcemente sulla schiena.
I suoi tratti, abbastanza regolari, tradivano a voltw un’esitazione di fronte alla appena accennata fioritura della bellezza (se così ci è dato definirla) adolescenziale. Solo gli occhi, neri e profondi come la notte, risaltavano allo sguardo altrui. Due profondi, tristi occhi neri.
 
Frequentava l’ultimo anno dell’istituto superiore della città, a qualche fermata di distanza da casa. Non le costava particolari fatiche, eppure il terrore di non essere all’altezza delle aspettative faceva largo ogni giorno nella sua mente.
Che cosa farò in un domani oscuro ormai prossimo?
Renderò orgogliosi i miei genitori?
Queste erano le domande più frequenti, domande per nulla egoiste, diverse da quelle che si ponevano i suoi coetanei, troppo impegnati a tentare di cambiare quella società corrotta, ignorando i deettami del buon senso e della condotta dignitosa.
Per questo evitava di farsi notare; temeva di poter essere risucchiata da quel labirinto costellato di sommosse, fughe improvvise, e risposte mai date.
La scuola che frequentava era divisa in due edifici, uno di fronte all’altro. Non era uno di quei college cristiani dalla fama dilagante, ma era ugualmente abbastanza severa. Ed era esclusivamente femminile.
Al suono della campanella dell’ora di pranzo, le ragazze, eccetto le matricole cui era riservata un’ala speciale del primo edificio, si riunivano nello spazio che si frapponeva tra le due alte strutture; era alquanto ampio, tanto da poter disporre di alcuni tavoli dove le alunne potevano passare il loro tempo libero.
Fu in uno di questi tavoli che Sumire conobbe Eiko.
I suoi capelli rossi, d’uno scarlatto troppo brillante per essere naturale, e insolito per una ragazza orientale, catturarono lo sguardo di Sumire in un tiepido pomeriggio d’ottobre.
Eiko le si era seduta davanti per casualità. Mentre parlava conincitamente con un’altra compagna. Entrambe indossavano la stessa divisa attillata di Sumire, quindi dovevano essere del suo stesso anno.
In realtà, Sumire l’aveva notata da almeno un mese, circa dall’inizio delle lezioni. La vedeva uscire dall’edificio opposto quando si fermava per partecipare, oltre l’orario normale, al club di scrittura; nelle altre occasioni, la folla non le aveva mai permesso di incrociare lo sguardo dell’altra, nonostante questa fosse notevolmente più alta della media.
Quel giorno, quando l’amica se ne fu andata, Eiko estrasse disinvoltamente dallo zaino un vinile, beatamente ignara della fame e della sete, e se lo rigirò tra le mani. Sumire la scrutava curiosamente.
‘’Scusai, quello è un disco di Miles Davis?’’ le chiese.
La ragazza, alzando gli occhi da quel prezioso oggetto, sembrava non essersi resa conto della domanda improvvia. Sumire gliela ripetè.
‘’Oh, si’’ rispose infine Eiko ‘’perdonami, ma quando mi capita di comprare un nuovo vinile non riesco a pensare ad altro prima di averlo ascoltato almeno una dozzina di volte. L’ho acquistato stamattina sai? Camminavo costeggiando il fiume, e sono entrata in quel negozio dalla porta in legno che vende ogni tipo di oggettistica musicale’’
C’era una nota vagamente cristallina nella sua voce, e Sumire ne era interessata.
‘’Sì, conosco quel negozio, non è molto lontano da casa mia’’
‘’Davvero? Anch’io abito in quella zona’’
Sumire rimas sorpresa. Da quasi dieci anni abitava in quel quartiere, com’era possibile che non si fossero mai incontrate?
‘’Strano, non ti ho mai visto. Comunnque, io abito nella casa bianca di fronte al parco Maruyama’’
A Eiko quasi non cadde il vinile dalle mani.
 ‘’La casa dell’ immbiliare Matsumoto? Tu quindi sei Sumire Matsumoto?’’
Sumire piegò lievemente la testa.
‘’E’ così’’
‘’Pazzesco, ho sempre voluto conoscerti’’
Sumire, a quelle parole, spostò gli occhi dal vinile al volto di Eiko, illuminato a tratti dal sole.
‘’E come mai?’’
‘’Perchè volevo vedere personalmentela decantata timida ragazza dai grandi occhi tristi di Kyōto’’
La ragazza respirò profondamente.
‘’Odio quando mi chiamano così’’
‘’Perchè?’’
‘’Perchè so che è vero’’
La conversazione fu interrotta da un leggero frusciare di foglie secche, destinate presto ad abbandonare i lunghi rami, spogliando i già esili alberi intorno alla scuola. Questo le avrebbe dato ancor di più l’aspetto di una logora, soffocante prigione.
 
Tornarono a casa l’una accanto all’altra. La brillantezza di quel cielo, or ora lievemente tinto di rosa, ridestava in Sumire i ricordi della sua precedente vita nell’Hokkaidō[3], dove era solita ammirare gli spettacoli della natura durante le piacevoli, seppur rare, passeggiate con la madre Asako.
‘’Sai, Sumire’’ le diceva spesso ‘’la bellezza di una donna avvizzisce molto presto, ma quella della Natura durerà per sempre’’
‘’Ti manca l’Hokkaidō?’’ le chiese allora Eiko.
‘’No, non particolarmente. La vita lì scorre monotona, troppo tranquilla, come quei placidi rivoli di montagna... non ci sono stimoli, la gente è sempre la stessa’’
‘’E qui? E’ cambiato qualcosa?’’
Sumire riflettè un momento.
‘’No, in effetti. Ma qui mi sento più coinvolta, nonostante l’imbarazzante situazione in cui imperversa il nostro governo. Insomma, posso dire di aver vissuto una buona parte della mia esistenza sotto una campana di vetro. E uscire non è affatto facile, ma ci sto provando, giorno per giorno’’
Eiko seguiva il discorso dell’altra con vivido interesse.
‘’Nella mia vecchia casa, sarei rimasta una bambina per sempre’’ asserì Sumire, arrossendo lievemente. Eiko fu colta da un improvviso impeto di tenerezza, o commozione, per quella creatura così fragile al suo fianco. Avrebbe voluto abbracciare quella ragazza minuta, e sottrarla a tutte le insidie che l’avrebbe attesa negli anni.
‘’E’ normale, Sumire; tutti, almeno una volta nel corso della nostra vita, abbiamo provato queste sensazioni. Ma non devi lasciarti scoraggiare; ti capiterà di aver una forte voglia di piangere, di cedere, ma è fondamentale che ci sia qualcuno, accanto a te, pronto a sostenerti’’
Sumire, alzando gli occhi sugli alberi spogliati dal corso delle stagioni, non rispose a quel tacito, muto invito.
 
Cominciarono a frequentarsi ogni volta che ne avessero l’opportunità. Anche Eiko, figlia di un illustre professore universitario, era occupata a mantenere intatto, all’apparenza, il buon nome della famiglia, ma questo non le impediva di correre da Sumire.
All’apparenza, si è detto. Ciò perché, nonostante quasi nessuno ne fosse a conoscenza, Eiko partecipava attivamente ai movimenti studenteschi, protetta da un paio di pesanti occhiali scuri e dal cappello della divisa scolastica del fratello, che ben era adatto a coprirle i lunghi capelli rossi.
Sumire apprese di queste anonime partecipazioni durante un freddo pomeriggio d’inizio dicembre, mentre sfogliavano in un vecchio libro i quadri di Katsushika Hokusai.[4]
‘’Se qualcuno diffondesse la notizia che la figlia i uno dei più importanti e insigni professori della città partecipa a quelle riunioni illegali’’ le raccontava Eiko ‘’scoppierebbe uno scandalo. Per questo dico sempre ai miei genitori che frequento un numero spropositato di club extra scolastici. E loro sono troppo occupati per preoccupasi minimamente di me’’
Sumire non si sorprese troppo. Eiko aveva un carattere troppo vivace, a tratti invasivo, per non avere qualche segreto malcelato. Il ruolo della docile studentessa non le si addiceva. Semplicemente, come le aveva detto, gli altri intorno a lei erano troppo occupati per accorgersene.
Non s’isolava però dagli altri, come piaceva a Sumire; anzi, per qualche strana congiunzione astrale, nonostante i suoi modi stravaganti, era amata da tutti. Anche Sumire le era molto affezionata, ma il loro legame, nonostante non si conoscessero da molto, andava ben oltre la banale amicizia; c’era una sorta di implicito accordo tra le due, che prevedeva da parte di Sumire l’assoluto abbandono all’altra, in cambio di una promessa di generosa protezione. Protezione da quel futuro ignoto, intriso di fitta nebbia, dove il sentiero da percorrere, ora chiaro ora nascosto, cela parecchie sorprese.
Eiko, ad ogni incontro, aveva preso l’abitudine di prender tra le sue mani una ciocca dei lucidi capelli di Sumire, e portandoseli vicino al viso, amava sentirne l’aroma, sempre diverso.
‘’Oggi profumano di gelsomino. Di quelli bianchi, che crescono nei prati del tempio’’
Le guance di Sumire assumevano ogni volta un colore quasi scarlatto, al tocco gentile di Eiko; non riusciva a mascherare quel leggero senso di pudore tipicamente giovanile di cui tanto si vergognava. Ma sapeva che Eiko avrebbe facilmente filtrato ogni suo pensiero, se avesse tentato di nasconderglielo.
 
Naturalmente, Sumire finì con l’innamorarsi profondamente di Eiko.
Si svegliava nel pieno della notte, madida di sudore, e un desiderio impellente le faceva capolino nella mente, causandole un lieve fremito nel petto: amami.
Sumire, per natura poco incline a confidarsi, si augurava che, almeno in quest’occasione, Eiko non si accorgesse di nulla. Se l’avesse respinta, avrebbe sistematicamente smesso di vivere. Eiko era la sua linfa vitale; si è mai visto un germoglio crescere e sopravvivere senza la nutrizione che la terra gli offre?
Sospettava da tempo di essere attratta da lei; quando le accarezzava i capelli, sentiva degli acuti brividi lungo la schiena, e riusciva a smettere di tremare solamente quando si scostava da Eiko.
Questo, per Sumire, costituiva un problema. Perché Sumire aveva un fidanzato, Hiroto. Hiroto era un ragazzo modello: otteneva buoni risultati a scuola, era premuroso, la viziava con doni di genere, e soprattutto era approvato dai suoi genitori. A volte, accostandosi agli shōnji della loro stanza, li aveva sentiti parlare di matrimonio. Si frequentavano ormai da quando erano bambini, ma quando lui l’amava, Sumire non provava gioia; stesa accanto ad Hiroto, provava nel profondo del cuore un raggelante senso di vuoto.
Ma Hiroto era un ragazzo buono, e sarebbe diventato un uomo dal carattere affettuoso, un ottimo padre di famiglia; separarsi da lui avrebbe significato procurargli una ferita insanabile, oltre a dover sopportare gli sguardi colmi di amarezza dei due genitori.
Sumire viveva all’ombra della sua latente omosessualità ormai da lungo tempo; da quando, a dodici anni, giocava a volano con le sue compagne nel cortile della scuola.
Un giorno rimase alcune ore, senza accorgersene, a guardare Tokiko, una di quelle, destreggiarsi nel piccolo campo, con una notevole abilità nonostante la giovane età.
I capelli della ragazza, rilucendo al sole, mandavano splendidi bagliori dorati, caratteristica alquanto strana per una bambina giapponese.
Sumire non si era mai dimenticata di quei bagliori dorati dal sapore di miele.
 
La domenica successiva, dopo varie insistenze, Eiko riuscì a trascinare la timida Sumire ad una delle tante manifestazioni a cui avrebbe dovuto partecipare altrimenti sola. Le fece togliere la divisa scolastica color crema, e, scrutandola attentamente, le fece indossare un paio di pantaloni e una giacca di un completo maschile. Le calzavano forse un po’ troppo larghi, ma avrebbero celato la sua vera identità agli occhi indiscreti della folla. Erano le tre del pomeriggio, e il tanto agognato tepore primaverile non si faceva ancora sentire.
Eiko s’infilò il berretto blu del fratello, e insieme raggiunsero la stazione di Kyōto, dove era stato fissato il ritrovo; da lì poi sarebbe partito l’ennesimo corteo di protesta che avrebbe messo in allarme l’intera città, come di consueto. Non perché i manifestanti usassero violenza, ma le urla e i rumori causati da essi disturbava e irritava la quiete dei residenti. Ad ogni incontro scattavano quasi automaticamente dozzine di denunce.
Eiko, che usualmente si portava tra le prime file, dovette cedere alle ragionevoli preoccupazioni di Sumire, così si spostarono verso il centro del lungo fiume umano.
Sumire, aggrappata al braccio destro di Eiko, si proteggeva premendosi il cappuccio della giacca sul volto.
‘’Sta’ tranquilla, nessuno ti riconoscerà’’ la rassicurava puntualmente l’amica, ma le sue parole risuonavano a vuoto, inghiottite dal crescente vociare dei manifestanti.
Passarono innanzi numerosi palazzi importanti, sedi universitarie, aziende che detenevano il potere nei mercati esteri; i turisti di passaggio li osservavano turbati, mentre fluivano come una massa informe per le vie cittadine, a stento larghe abbastanza. Il corteo, dopo una buona mezzora di cammino, esortato dai cori provenienti dai megafoni degli organizzatori, si fermò davanti al Santuario di Kamomioya[5].
 Sumire guardava con aria trasognata l’enorme ammasso di persone che ancora accorrevano a rinforzare il già numeroso gruppo.
“Eiko, che succede?’’
‘’Ora gli organizzatori faranno il loro solito discorso pieno zeppo di parole altisonanti, tentando di farsi ascoltare anche dai piani alti’’ disse lei, con una nota d’amarezza, indicando con il dito indice l’alto palazzo di fronte a loro.
‘’Speriamo però che questa volta ascoltino’’
 
La manifestazione durò più a lungo del previsto. Sumire sentiva, almeno in parte, di condividere i pensieri di quelle persone. Le sembrava, in maniera naturale, di riuscire ad uscire da quel guscio bianco e ruvido, di scavalcare quel muro invisibile che per anni l’aveva divisa dal resto del mondo. Come poteva spiegarlo? Non ce n’era bisogno, Eiko l’avrebbe capito senza dubbio.
La ragazza dai capelli scarlatti la guardava, intanto, senza farsi notare; era fiera di Sumire, del cambiamento che, in poco tempo, la stava portando ad aprirsi completamente verso un nuovo universo finora tanto temuto. E, il fatto che fosse lei l’artefice di tutto questo, la faceva sorridere.
Un frastuono improvviso la scosse.
Una grossa nube nera dall’odore acre si era sollevata a qualche metro da loro, alla sinistra del corteo. Un corpo di polizia, senza un motivo apparente, aveva lanciato delle piccole bombe a gas contro i manifestanti, colpendone alcuni.
Il caos che si generò travolse le due ragazze come un’onda anomala. Altre bombe a mano furono lanciate, e riversi a terra iniziavano a intravedersi diversi feriti.
Eiko cercò velocemente le mani di Sumire, e, annaspando, trovata una via di fuga, iniziarono a correre. Correndo, i suoni della strada venivano attutiti dal battito del loro cuore che, come un tamburo, rimbombava nel cervello.
Percorsero il viale principale accecate dagli ultimi raggi del sole che, lento, si accingeva a tramontare. Le divise dei militari, e le loro armi, mandavano intensi e sinistri bagliori.
Arrivarono, immischiandosi nella folla, anche i giornalisti delle televisioni locali, puntuali come avvoltoi pronti a divorare la succosa preda. Sumire, spaventata dal loro arrivo, non si accorse di alcuni oggetti abbandonati alla rinfusa a terra, e inciampò, finendo a carponi. Eiko non fece in tempo ad aiutarla ad alzarsi che un uomo, un cronista a giudicare dall’entourage dietro di lui, le offrì una mano per rialzarsi, facendole cadere il berretto. Il vento, impietoso, le fece ondeggiare i lunghi capelli neri.
Il giornalista, assaporando il gusto di una notizia fresca, non aveva esitato a tuffarsi nella mischia, incrociando sfortunatamente il cammino di Sumire.
‘’Ma lei è la figlia dell’immobiliare Matsumoto!’’ l’uomo immediatamente la riconobbe.
Gli occhi della ragazza si riempirono impetuosamente di lacrime, ed Eiko non poté far altro che trascinarla via con tutta la forza di cui disponeva, strappandola dalle mani del giornalista, sul cui viso era dipinto un sordido ghigno di vittoria.
 
Sumire, rinchiusa nella sua stanza, era paralizzata. Calde lacrime le rigavano le guance, mentre fissava il soffitto a cassettoni. Si sentiva nuovamente vuota, e un senso di leggera nausea le tormentava la bocca dello stomaco.
Come fossero riuscite a salvarsi da quella situazione, era ancora un mistero. Un sorriso amaro le incrinò il volto; sicuramente i genitori erano già venuti a conoscenza di ciò che era successo al palazzo di  Kamomioya. Aspettava, sola, distesa sul letto, che tornassero.
Dopo alcuni interminabili minuti, sent’ scattare la serratura del piano di sotto; la cameriera, bussando delicatamente alla sua porta, l’informò che il signore e la signora Matsumoto desideravano parlarle.
Sumire scese le scale, stringendo tra i palmi freddi il piccolo ciondolo dalla forma inspiegabile che poco tempo prima Eiko le aveva regalato.
‘’Quando non potrò esserti vicino, prendilo e pensa a me’’
I coniugi Matsumoto l’aspettavano seduti intorno al tavolo dell’ampio soggiorno. I fiori, sopra il mobile di legno, non erano stati cambiati dal giorno precedente, ed erano lentamente appassiti.
 
I genitori sono fermamente convinti di avere sempre una risposta da dare al posto dei figli, e quelli di Sumire non facevano certo eccezione in questo. Entrambi, dalla sua nascita, avevano progettato la sua vita futura, com’era naturale in tutte le famiglie giapponesi. Lo stupore nel costatare che la figlia aveva trasgredito alle loro rigide regole, mettendo in ridicolo la famiglia, aveva causato in entrambi, ma soprattutto nel padre, una rabbia tale da non esitare a colpire la giovane ragazza con un violento schiaffo, nonostante il tentativo della madre di calmarlo.
Lo sguardo del signor Matsumoto, fisso sull’esile figura contratta di Sumire, prometteva eterno rancore.
‘’Tornerai nell’Hokkaidō’’ queste furono le sue ultime parole.
Sumire risalì, svuotata di ogni pensiero, nella sua stanza. Stringeva ancora tra le dita il ciondolo di Eiko; se fosse partita, certamente non l’avrebbe più rivista, e questo pensiero le provocò una fitta ancora più dolorosa degli occhi rancorosi del padre.
Decise che, per una sola volta nella sua miserabile vita, avrebbe potuto disporre di essa come meglio credeva. E così fu.
Infilò un paio di magliette e i suoi risparmi nella sacca verde che utilizzava durante gli allenamenti, e, aperta la finestra, si arrampicò sul grosso ramo d’acero che sporgeva verso di lei. Silenziosamente, scese nel giardino.
Curando di non essere notata, uscì dal piccolo cortile e, rimanendo adiacente al muretto, prese la via alla sua sinistra, in direzione della casa di Eiko.
La strada, pigramente illuminata da alcuni rari lampioni, offriva un triste spettacolo agli occhi della fuggitiva. Uomini di mezza età, di ritorno dal lavoro, si ritrovavano ubriachi ai bordi della strada in compagnia di prostitute in abiti senza pudore. Sumire gli passò davanti senza guardarli.
Raggiunta, nella penombra, la casa di Eiko, bussò, sapendola sola in casa. I genitori erano in viaggio a Osaka da un paio di giorni, mentre il fratello era partito per l’Europa.
Quando Eiko aprì la porta, vedendo dritti davanti a se gli occhi di Sumire, gonfi e arrossati, e il livido sulla guancia, istintivamente l’abbracciò. Una abbraccio caldo, protettivo.
La fece accomodare, offrendole una tazza rovente di tè, mentre Sumire le raccontava ciò che era accaduto.
’’Vogliono rimandarmi nell’Hokkaidō’’
Queste furono le sole parole rotte dal pianto che Sumire riuscì a pronunciare. Eiko le prese dolcemente la mano, per consolarla.
‘’Anche i miei si sono infuriati. Ho ricevuto una telefonata di mio padre; è stato informato che, se non prenderà seri provvedimenti nei miei confronti, sarà licenziato’’
Il suo sguardo si fece più cupo e pensoso.
‘’Credo…credo che vogliano trasferirsi anche loro. O almeno, io sicuramente non troverò più rifugio in questa casa’’
In quel momento, le due ragazze, avvolte nella semioscurità, si sentirono più unite che mai. Il freddo della notte contrastava con il calore che Sumire sentiva provenire dal corpo e dalle mani di Eiko. Se doveva andarsene, nono si sarebbe permessa di reprimere ancora a lungo i suoi sentimenti, ancorati per troppo tempo nei luoghi più desolati del suo cuore. Un fuoco ardeva in lei, come mai le era capitato.
Nel silenzio che era ora caduto tra loro, Sumire, alzandosi leggermente, avvicinò il suo viso a quello di Eiko, sfiorandole leggermente le labbra con le sue. L’altra non si ritrasse.
A Sumire parve di toccare un petalo di un fiore di ciliegio primaverile, appena sbocciato, un petalo sottile dalle sfumature perlacee.
Capita che, con l’avanzare incessante del tempo, una persona assuma la forma delle proprie passioni. E nessuno può riavvolgere il tempo[6].
Solo allora, Sumire sentì finalmente di essersi trasformata nella donna forte che, fino a qualche mese prima, le sembrava niente di più che un pallido, intoccabile miraggio di se stessa.
Strano, pensò, come la vita ti metta di fronte a certe scelte, a determinate situazioni per farti crescere. Ma Sumire non aveva esitato. Guardò nuovamente Eiko.
‘’Anche i tuoi capelli profumano di gelsomino’’
 
 
 
Le autorità locali sparsero lungo le più importanti vie della città centinaia di volantini con le fotografie, ormai sbiadite dalle intemperie, delle due ragazze scomparse. Durante i telegiornali si fecero più e più volte i nomi di Sumire Matsumoto e di Eiko Suzuki; furono impiegate, invano, anche delle unità cinofile.
Ma nessuno a Kyōto poté più ammirare quei timidi occhi tristi.
 
 
 
 

 
-BOOM SHAKALAKA, BOOM SHAKALAKA-
Dopo una settimana ce l’ho fatta!
Ho scritto questa storia per una persona a cui darei l’anima. Non ne faccio il nome, ma se avete seguite qualche mia storia precedente, intuirete chi è.
Ora sei lontana, ci sentiamo poco, aspetto ardentemente il tuo ritorno. Ti voglio bene.
Ho tentato di mettere tutta me stessa in questa shot, e mi farebbe un grande piacere se voleste dare un parere (: Arigatou.
PS: Il titolo è preso dalla canzone dei Versailles Dry Ice Scream! [Remove Silence]
 
A hallucination takes you
To the eden where nobody is…
The fake fear left you
The girl who plays with a white rope
Marionette on the gallows
Like a Gabriel…
 


[1] 1Storia degli Heike, romanzo epico del XII secolo che si innesta nella tradizione del grande Genji Monogatari (considerato il più importante esempio di romanzo epico giapponese) narra le lotte tra le famiglie Heike e dei Genji. L’incipit, riportato sopra, è un classico della cultura giapponese.
 
[2] Pannelli di legno e carta di riso che separano tra loro gli ambienti della casa giapponese. Sono scorrevoli, e dunque è possibile cambiare la disposizione dei locali.
 
[3]  L’Hokkaidō la più settentrionale delle quattro isole principali dell'arcipelago giapponese e la meno sviluppata.
[4] Katsushika Hokusai  è stato un pittore e incisore giapponese, morto nel 1849. I suoi lavori furono un'importante fonte di ispirazione per molti impressionisti europei come Claude Monet e postimpressionisti come Vincent Van Gogh.
[5] Santuario shintoista
[6] The Suicide Circus – The GazettE
   
 
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