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Autore: Brown Betty    10/09/2012    1 recensioni
Cosa succede se un variegato gruppetto di scout viene costretto da circostanze non chiarissime ad inseguire un Daino chiamato Dino in mezzo a un bosco?
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Introduzione: Cosa succede se un variegato gruppetto di scout viene costretto da circostanze non chiarissime ad inseguire un Daino chiamato Dino in mezzo a un bosco?

One shot scritta per il contest
Summer contest- Obbligo e Tabù

SUL SENTIERO DEL DAINO


“Allora branco di lupetti, avete i vostri cappelli?” gridò Nicola, con fare lievemente autoritario. Varie spille gli luccicavano sull’uniforme grigia da Vecchio Lupo.
“Se non li avete non verrete uccisi” Marco spuntò da dietro di lui, evitando lo sguardo del suo coetaneo. Anche sul suo petto spuntava qualche spilla, ma nessuna luccicava, in confronto a quelle di Nicola sembravano opache, e comunque erano più o meno la metà. Senza contare che un paio barcollavano e si stavano per staccare definitivamente. Il ragazzo si scompigliò i capelli bruni con aria vagamente impensierita e si rivolse poi direttamente ai sei visi attenti che li fissavano da un paio di spanne più in basso.
I bambini ridacchiarono, ma senza scomporsi e senza particolare gioia.
Nicola ignorò completamente l’amico, e continuò imperterrito.
“Avete tutto nello zaino? Acqua, borraccia, scarponi di ricambio, le spille, il cartellino sanitario, il numero di telefono utile…” pronunciò le parole talmente di fretta, nella severa foga, che neanche lui probabilmente avrebbe potuto fare mente locale su tutte quelle informazioni.
Marco gli tirò una gomitata da dietro, cercando di spintonarlo per farsi spazio. Il problema era che Nicola era grande quanto lui, e seppure slanciato, non si poteva certo definire secco. Ancorò quindi i piedi a terra, e Marco riuscì a spostare solo la parte superiore del suo corpo, che non fece altro che ondeggiare pericolosamente verso i sei ragazzi, che si scansarono tutti automaticamente.
“Si, hanno tutto… vero?” continuò Marco, con sempre meno convinzione.
Il coro annuì.
Era un annuire stanco, un annuire di circostanza. Avevano dovuto fare gli zaini in quattro e quattr’otto dopo la sonora ramanzina del Vecchissimo Lupo. Quell’uomo, davvero vecchio, vecchio abbastanza per essere loro nonno e aver partecipato come minimo all’ultima guerra mondiale, non aveva preso molto bene quello che aveva definito “lo sconsiderato gesto di ingrati fruitori di sacra natura a tradimento”. Gli aveva perfino strappato via dal petto un paio di spille davanti a tutti. Betta non era riuscita a trattenere i singhiozzi, mentre Anna le teneva la mano stretta stretta.
Il “Campeggio Scout Savoia” era stato preso d’assalto quel mese d’agosto da decine e decine di bambini e ragazzi, costretti dai genitori, o realmente desiderosi di partecipare; nessuno in ogni caso aveva espresso troppo rammarico. Dopo tutto erano lontano da casa, insieme ad amici e conoscenti, e il loro unico progetto era quello di camminare, giocare, mangiare e dormire, esaminare una pietra, relazionarsi con una foglia, e al massimo fare attraversare la strada alla prima vecchietta che ne avesse avuto bisogno. Ma nessuna vecchietta capiterà mai in un bosco, e di certo non alle prese con spesa e strada, quindi la massima preoccupazione sarebbe sicuramente stata quella di catalogare piante e aiutare ad attraversare la strada a una chiocciola. Il che risultava molto più rapido rispetto alla vecchietta.
Era ormai trascorsa una settimana dal loro arrivo, e per la domenica il programma era piuttosto semplice: sveglia presto, attività in mezzo alla natura, giochi insieme e finalmente la famigerata festa serale. 
“Serale? E io che pensavo che la parola sera indicasse quella parte della giornata in cui cala il sole…” Eleonora aveva subito sbuffato, e incrociato le braccia al petto.
“In realtà dipende dalla stagione” aveva incominciato subito Matteo, ma lei l’aveva zittito pestandogli un piede.
La festa non era una cosa da campeggio, ma le guide di quest’anno si erano fatte portavoce con il Vecchissimo Lupo ed erano riusciti a convincerlo. Ovviamente i ragazzi erano entusiasti e un tantino esaltati dalla novità. Non era certo difficile far esaltare bambini di quell’età, ma questa volta le aspettative avevano raggiunto il loro personalissimo record.
 
“Si potrebbero coniare nuove espressioni, proprio ora, per esprimere quanto io sia pronta e felice riguardo a tutto ciò” Eleonora aveva sempre la necessità di far sentire la sua opinione. In ogni caso, in quel momento, serviva veramente qualcuno che rompesse il silenzio agghiacciante, ed Eleonora con i suoi capelli corvini che svettavano in quella piccola folla di cappellini verdi (lei si era rifiutata categoricamente di indossarlo) era stata perfetta.
“Ci dovevi pensare prima, mia cara” Benedetta sbucò dal nulla, dietro a un cespuglio con un grande zaino. Le scompigliò i capelli, o per lo meno ci provò, ma la ragazzina la scansò.
“Potevi avere il tuo ballo, come tutti gli altri, e lo sai” Benedetta fissò solo per un attimo la ragazzina in cagnesco, per poi distogliere lo sguardo, e dare le ultime direttive.
“Pronti?”
Betta srotolò un’enorme cartina che a mala pena riusciva a tenere in mano. “Dovremmo prendere il sentiero che porta al Rifugio dell’ermellino, mi sembra la via più sicura”
“Il daino avrà sicuramente fatto il tuo stesso ragionamento” Stefano di solito non era acido, ma era chiaro che tutta quell’assurda situazione lo destabilizzasse. Betta spalancò gli occhi, chiaramente risentita. “No, scusa, ma che senso ha prendere un sentiero? E che senso ha andare a cercare un animale selvaggio in mezzo a un bosco, potrebbe essere ovunque, non lo troveremo mai!” il ragazzino strinse più forte il nodo del fazzoletto che teneva al collo, in un gesto di stizza.
Anna notò la scena. Era un poco avanti a loro, ora che avevano cominciato a camminare, e si abbassò fingendo di doversi allacciare una scarpa per risalire esattamente nel momento in cui Stefano le si affiancò.
“Comunque mandarci in giro a cercarlo è esagerato!” esclamò a bassa voce. Matteo la interruppe immediatamente, staccandosi dalla bottiglietta d’acqua a cui si era già aggrappato. In barba a tutte le regole della montagna.
“E invece no, quel Bambi vale più di te, se non lo troviamo quel vecchio idiota è capace di denunciarci!”
“A parte il fatto che Bambi non è un daino, mi raccomando quando ti scuserai usa queste precise parole, soprattutto ‘vecchio’ e ‘idiota’, ti prego, così ci perdona immediatamente” ribatté pronto Stefano.
“Ma poi voglio dire, noi, noi siamo scout, siamo amici della natura, e tu non sai nemmeno che cos’è un daino?” Betta aveva cercato fino a quel momento di ripiegare correttamente la cartina. Non che si aspettasse di riuscirci, ma ci provava sempre con ritrovato spirito e fiducia.
“Oh ti prego mettile un tappo in bocca” da dietro Eleonora si fece passare una mano sopra la faccia, in un gesto molto teatrale. Non sentì nemmeno la seconda parte del discorso, ma aggiunse: “Va bene qualsiasi cosa, anche uno scoiattolo se non trovi il tappo”.
“Acida”
“Stupida”
“Strega”
“Grazie”
“Strega in accezione negativa”
“Vipera”
“Orso”
“Marmotta”
Quel cordiale scambio di battute era riuscito almeno a far sorridere Matteo e Stefano, che trovavano sempre molto divertente il modo di battibeccare di quelle due. Dopo aver proclamato solennemente i loro “orso” e “marmotta” e aver incassato le occhiatacce delle due ragazze, aggiunsero anche“Ah, non era il gioco di elencare gli animali?”
Ma l’unica focalizzata sul problema restava Eleonora, che era partita in quarta con un monologo da teatro sulle incertezze e ingiustizie della vita che nessuno, per altro, stava minimamente ascoltando. “Per colpa vostra ci perderemo la festa. Non arriveremo mai in tempo” disse in tono enfaticamente depresso.
“Avete una vita intera per andare a delle feste, non siete nemmeno teen ager”disse pacato Nicola intimandogli anche di guardare attentamente la strada e cercare di non fare troppo rumore in caso si fossero imbattuti nel daino.
“E perdermi l’unico momento in cui posso cavarmi questi ridicoli pantaloncini con cui sembro una completa sfigata? Grazie, grazie tante”.
 
 “Li lasciamo litigare?” Marco e Benedetta camminavano leggermente avanti al gruppo, a passo spedito. Le uniformi grigio spento stonavano quasi in mezzo alla natura battuta dal sole, come fossero le uniche non illuminate. Per il resto, i raggi incandescenti non lasciavano tregua e imperlavano già la fronte dei partecipanti a quel tuttavia buffo gruppetto di sudore, anche se erano partiti a malapena da 15 minuti.
“Lasciali sfogare, sono ai livelli dello yogurt scaduto attualmente, non nego che siano divertenti, ma rivorrei i miei soliti yogurt alla fragola il più presto possibile”
“Mi togli una curiosità?”
“Nei limiti del possibile”
“ Che ci fai qui?” lo squadrò attentamente, improvvisamente indagatrice e paurosamente seria. Se avesse avuto un paio di occhiali da vista quadrati e stretti li avrebbe messi proprio in quell’istante. Si sporse anche in avanti.
“Voglio dire, io conosco questi boschi come le mie tasche, quindi è ovvio che abbiano chiesto a me di accompagnarli a cercare quel daino. Nicola ne sa quanto me, e da sola non mi avrebbero mandato, ma tu?”
“Ho idea che tu abbia un’opinione di te stessa un tantino sopravvalutata. Non sei l’unica intelligente nei paraggi, sai?”
Lei continuò a squadrarlo, mutando però il viso serio in un sorriso sghembo e ironico. “Ti perderesti dietro a quell’albero se non ci fossi io a guidare”.
“Felice di sapere che la tua autostima non si è abbassata di un millimetro dall’ultima volta, sono sollevato, ero sinceramente in pensiero!” poi con una giravolta destabilizzante la confuse e si fermò di colpo, andandosi a mischiare tra i ragazzini. Benedetta guardò Nicola, subito dietro di loro, che sembrava non aver ascoltato una parola del loro dialogo, e per non restare indietro continuò a marciare al solito passo, imperterrita, ma con l’aria decisamente più insoddisfatta di qualche minuto prima.
 
“Quindi fatemi capire bene. Voi avete visto il daino del professor Folloni, dentro il recinto, completamente in pace con se stesso, e così senza motivo, l’avete liberato?” fece Benedetta ad Anna, dopo averle domandato un fazzoletto tanto per cominciare una discussione, dato che la vedeva stranamente taciturna. La ragazzina si limitò ad annuire, stringendo più forte il nastro che le teneva fermi i capelli biondo cenere, che l’elettricità impediva di stare al loro posto. Nicola si inserì prontamente, saturo di dettagli della vicenda.
“Più precisamente, hanno lanciato uno di quei videogiochi portatili a tutto volume nel recinto, che avevano accuratamente lasciato aperto. Il Daino ovviamente se l’è data a gambe”.
Betta squittì immediatamente, inciampando in un sasso “Sarà terrorizzato… spaventato… intimorito… atterrito… sbigottito… forse è nascosto da qualche parte a piangere dietro a una roccia! Dite che è un bene? Così lo troviamo più facilmente…” fece una pausa e guardò il cielo “Oddio sono una persona orribile?”
“No, Betta, sei molto sensibile e pragmatica” Marco si stava visibilmente divertendo. Gli piaceva la vita da scout, gli piaceva dormire in tenda, arrampicarsi sulle rocce, e stare lontano da casa con gente con cui fare squadra.
“E che vuol dire?”
“Sai tutti i possibili sinonimi di ‘spaventare’ e non sai che significa ‘pragmatico’?”
“Sono in seconda media, che pretendi?”
“Comunque probabilmente sai più parole di Marco” ridacchiò Benedetta, volgendo nuovamente lo sguardo verso Anna. Contò mentalmente le teste dei ragazzi, e si rese conto che anche Giovanni non aveva, fino a quel momento, detto una sola parola, mentre tutti gli altri per lo meno bisticciavano creando un rassicurante motivo di sottofondo a tutta quella quiete.
“Il professor Folloni era fuori di sé! Ha tirato fuori il fucile e ha detto che se il suo prezioso daino non riappare entro domani mattina ci spara” disse Matteo accompagnando enfaticamente quella frase con un annuire deciso, cercando di spaventare Betta.
“No, non l’ha mai detto” cantilenò Nicola.
“Invece si”
“Invece no”
Il battibecco fu interrotto dalla visione che gli si presentava in fondo alla via.
Un’enorme roccia sprangava il passaggio alla fine del sentiero. Qualcuno o qualcosa doveva esserci già passato, e doveva averla aggirata, perché proprio lì accanto l’erba era tutta schiacciata e alcuni ramoscelli erano chiaramente stati spezzati.
“Guardate, qualcuno c’è passato! Forse è stato il daino!” esclamò Stefano.
“Comunque ha anche un nome, si chiama Dino” Anna parlò per la prima volta dopo parecchi minuti, incrociando le braccia con fare spaurito.
All’udire quell’informazione Marco e Benedetta si scambiarono un’occhiata divertita, e Eleonora non si trattenne“Seriamente?”
“Si, questo è vero”Nicola invece continuava ad assomigliare a una radio promotrice di informazioni.
“Il Daino Dino, cioè noi siamo alla ricerca del Daino Dino?”
“Si”serissimo, sempre più serio, le rispondeva come se gli avesse chiesto se è vero che la terra gira attorno al sole, o che i pesci hanno le branchie.
“Non voglio più vivere su questo pianeta, uccidetemi” Eleonora fece ciondolare la testa all’indietro, disperata. Cercò l’albero più vicino per dare una testata, e probabilmente l’avrebbe data veramente se Giovanni, sempre silenzioso, non l’avesse trattenuta per lo zaino, frenando il suo istinto.
“Passiamo uno alla volta, forza!” Nicola e Benedetta aggirarono il masso e aiutarono i bambini a passare dall’altra parte, uno ad uno “a giudicare dalle orme sembra veramente che ci sia passato un animale”. Marco chiese ad alta voce, senza rivolgersi a nessuno dei suoi due compagni in particolare: “Sapete la strada, da questa parte?”.
“Si, certo” rispose Benedetta a quella che aveva preso come una provocazione, ma che probabilmente era sola sincera curiosità. E speranza di una risposta affermativa.
Il pomeriggio passò in fretta. Il gruppetto si inoltrò nel bosco, salendo sempre più in alto, seguendo la strada naturale che si arrampicava sul monte anche quando ormai i cartelli di segnalazione di sentieri e rifugi erano spariti da un pezzo.
“Mi sa che non siamo più sul solito sentiero” mormorò Nicola a un certo punto. “Guarda quel ruscello, non l’avevo mai visto prima”. Un paio tra i ragazzi si fermarono di scatto, visibilmente preoccupati. “Ma troveremo tra pochissimo una strada familiare, giusto?” fece immediatamente Marco. “Si si, certo…” incupito, Nicola corse a parlottare con Benedetta. Un attimo dopo aver tranquillizzato i ragazzi, Marco raggiunse le altre due guide e sibilò abbastanza piano da farsi sentire da entrambi “se ci avete fatto perdere giuro che vado a comprare un computer, chiamo Fastweb e mi faccio impiantare una connessione volante in tenda e poi racconto l’avventura al popolo di Facebook e Twitter, e documento con Istagram con estrema, estrema dovizia di dettagli”
“Ti posso prestare il mio i-phone” Eleonora, non notata, stava ascoltando la conversazione.
“L’ho visto, l’ho visto!” Nicola stava per rimproverare a Eleonora che non era assolutamente da scout portarsi un cellulare al campo, ma l’atmosfera fu squarciata dall’urlo di Betta.
“Oh, eravamo faccia a faccia quasi! Mi stavo allacciando la scarpa e l’ho visto da dietro quel sasso” fece gesticolando verso un enorme sasso a lato della stradina “e poi lui ha visto me, o io ho visto lui, comunque poi è scappato di là!”
Quel ‘di là’ presupponeva un cambio di rotta. Ci fu un momento di silenzio, e tutti guardarono i Vecchi Lupi, che a loro volta si guardarono reciprocamente. Nicola si sistemò gli occhiali sul naso, mentre Marco iniziò a dire “beh, abbiamo sempre la bussola…” poi battè un pugno sul palmo aperto dell’altra mano “E siamo scout, insomma dopo tutti questi anni a fare finta di perderci per poi ritrovare la strada questo mi sembra un  motivo più che nobile per cominciare a sperimentare la vita reale!”.
Quella frase aveva chiaramente più convinzione di quanta ne avessero in realtà tutti quanti in quel momento dentro di loro. Ma il daino andava ritrovato, salvato, per poter dire infine “è stata dura, ma ce l’abbiamo fatta”. Benedetta giura ancora oggi di aver visto una luce particolare brillare in una manciata di occhi in quel particolare momento. Una malsana voglia di avventura e di guai.
Quei sentieri, nuovi e incespicanti, senza nessun rassicurante nomignolo di animali a battezzarli, si snodavano più velocemente di qualsiasi altro avessero mai battuto. Non si erano mai spinti così lontano, anche se chiaramente parecchi scalatori l’avevano già fatto prima di loro. Il sole stava lentamente scivolando dietro la montagna più lontana alla loro vista, tingendosi variamente delle sfumature del rosso cremisi.
Diciotto occhi attentissimi scrutavano il paesaggio, in cerca del mantello marrone pezzato dell’animale tanto caro a quel vecchio burbero, mentre le loro diciotto braccia spostavano rami, e si facevano spazio tra il fogliame sempre più ricco, in costante ricerca.
Eleonora fu rimproverata più volte, sia dai suoi compagni che dalle guide, per aver ripetuto come una nenia la frase “io volevo andare al mare comunque” sibilando una cantilena che avrebbe infastidito chiunque.
“Dobbiamo tornare indietro, tra mezz’ora al massimo farà buio!” esclamò a un certo punto Marco, dando voce peraltro a quello che anche Benedetta e Nicola stavano pensando ma non avevano il coraggio di ammettere.
Betta girò la testa prima a destra, poi a sinistra e provò fare uscire una frase, che somigliò in realtà più a uno scomposto rantolo. “Ci-ci-ci… oddeo… noi… buio… lupi mannari…”
“Si, ci siamo persi, mi sembra piuttosto ovvio, ma tranquilla, ora troviamo il sentiero giusto e torniamo di volata a casa!” Anna corse a tranquillizzarla. Si unì anche Benedetta, e riuscirono a non farle venire un attacco di panico. Il cuore, però, martellava nei petti di tutti lievemente più veloce del normale. È vero, erano stati da sempre preparati al peggio, avevano seguito corsi su come si usa una bussola -perfino su come si crea una bussola- sulle stelle, sull’orientamento, sul fuoco da accendere con le pietre, su come distinguere i funghi velenosi, e su come cucinare le bacche, ma la verità è che non si erano mai fino a quel momento trovati in una situazione di reale bisogno. Vivevano nella vita reale, dove gli unici funghi erano quelli che la mamma aggiungeva al risotto il martedì.
“Ma-ma-ma Ele il cellulare!” fece Betta all’improvviso. “Chiamiamo, metti il gps, googla la strada con Maps!” Ele la guardò corrucciando un sopracciglio, ma seguì le sue istruzioni. “Non c’è campo” disse immediatamente, senza creare alcuna suspance “e il 3G qui non prende ovviamente”. Ovviamente.
Marco si avvicinò a Benedetta, stringendole il braccio le sussurrò all’orecchio: “Non per creare il panico, ma questo è l’incipit di un buon 50% degli horror che ci sono sul mercato cinematografico attuale”.
“Mi farai avere poi le statistiche precise” disse lei stizzita, liberandosi dalla presa.
“E comunque non abbiamo nemmeno il daino” aggiunse Stefano incupito, asciugandosi la fronte madida di sudore con il fazzoletto che aveva al collo “non so se preferisco morire qui nella foresta o farmi sbranare da quell’uomo quando torneremo”.
“Mare mare mare mare” continuava a sussurrare Eleonora, come un mantra.
Nicola richiamò la loro attenzione, intimandogli di seguirlo. Raggiunsero uno spiazzo che aveva adocchiato da lontano. “Che ne dite se ceniamo qui? Accendiamo il fuoco, mangiamo qualche marshmallow mentre io rifaccio il sentiero e trovo la strada” suonò stranamente dolce e rassicurante. Tutti erano talmente abituati a sentire solo ordini da lui, che non si scomposero. Non fecero battute, non replicarono. Eleonora smise con la sua strana preghiera al dio Nettuno e lo seguirono. “Bene sei d’accordo?” aggiunse semplicemente, sistemandosi il cappello.
“Vuoi andare da solo? Sta calando il sole, può essere pericoloso…”
“Non quanto lasciare questi sei soli con Marco”
“Ma infatti ti volevo appioppare Marco”
Nicola la guardò con condiscendenza, e le sorrise, come se avesse detto la più grossa stupidaggine sulla faccia della terra.
“Hey, io sarei qui eh” Marco senza troppa convinzione li interruppe, ma loro lo ignorarono.
 
Quel particolare spiazzo era ottimo per accamparsi. Largo, leggermente in pendenza, ma pieno d’erba e sassi su cui sedersi. Appoggiarono gli zaini, e tutti si diedero da fare per creare un piccolo campo, aprendo la tenda e radunando i viveri che si erano portati dietro. Ognuno condivise qualcosa, un panino, acqua, aranciata, una barretta di ritter sport. “Io ho dell’acqua salata” disse Eleonora con una certa nonchalance. “Sei seria?” Marco lo chiese, anche se immaginava la risposta. Lei annuì, e Betta fece lo stesso, con aria grave, confermando. “No, scusa, questo zaino che mi hai fatto portare finora pesa quello che pesa perché è pieno di acqua salata?!” continuò lui alzando lievemente il tono.
“No, ci sono tre bottiglie, una di acqua di mare, una di sabbia della spiaggia e una d’acqua potabile”
“E tutto ciò ha per te perfettamente senso, giusto?” fece, condendo la frase di un sarcasmo che gli uscì istintivamente.
Ci fu un secondo di silenzio. Marco si rese conto di essere andato un tantino oltre con il tono. O con le parole.
“Non volevo venire. L’ho detto a mia mamma, l’ho detto a mio padre…”
“Probabilmente pure il mio vicino di casa l’ha saputo alla fine”.
“Ecco, appunto, io non volevo venire. Io odio la natura! Io amo il mare! La spiaggia! Il cemento! Le macchine! La tecnologia! Odio i picchi, le zanzare, le foglie e i lombrichi e anche questo stupido, stupido, stupido tentativo di creare qualcosa che si potrebbe tranquillamente avere con un banale accendino!!” lanciò una buona parte dell’acqua salata in mezzo allo spazio che avevano predisposto per il fuoco. Finalmente dagli occhi della ragazzina sgorgò quella lacrima che premeva per uscire da una settimana.
Betta le porse un fazzoletto, che Eleonora dopo un attimo di titubanza accettò. Marco le accarezzò i capelli e la fece sedere accanto agli altri, intavolando un discorso qualsiasi.
 
“Giovi? Hey Giò? Sai che mi hanno detto? Eh?”
Matteo aveva appena trangugiato il quinto marshmallow caldo. Benedetta era riuscita, con qualche aiuto, a creare un fuocherello dopo parecchi tentativi, e tutti quanti vi si erano disposti attorno. Anche se c’era molto caldo ormai il sole era sparito dietro la montagna e non faceva più così caldo.
“Non lo so, dimmelo tu” Giovanni non lo guardava nemmeno, chiuso nel suo cupo silenzio.
“Che gli scout portano… ecco…” Matteo invece gli parlava come se fossero seduti davanti al camino di casa invece che sperduti in un bosco in alta montagna.
“Sfiga?”
“Ma che ne so, si” mise in bocca il sesto marshmallow, masticando lentamente, assaporandone il gusto.
“Io una volta sono passata davanti a una bancarella con degli scout e poi mi si è rotto l’ombrello” aggiunse Eleonora, felice di potersi finalmente lamentare in qualche modo.
“E poi è venuto a piovere, è vero” Betta non era contenta di quello che aveva appena detto, ma era vero, e non poteva negarlo.
Anna non riuscì a trattenersi. Era stata in silenzio per tutto quel tempo, ai livelli di Giovanni, ma a quelle parole sbottò “E perché avevi l’ombrello se ancora non pioveva?”
Ma Eleonora era abituata ad avere l’ultima parola “Prevenzione suppongo” disse lentamente, dando fuoco a un ramoscello e poi spegnendo immediatamente la fiamma che si propagava.
“È via già da un po’ ormai” mormorò Benedetta a Marco. Lui non disse niente, e le porse una fetta di mela “mangia qualcosa, dai”.
“E comunque non saremmo qui se non fosse per te” a quelle parole di Eleonora si creò il silenzio. Il chiacchiericcio fitto sparì e tutti la fissarono. “Avevi promesso che non avresti detto niente!” gridò Stefano, quasi strozzandosi.
Benedetta e Marco rizzarono immediatamente le orecchie a quell’affermazione. “Cosa, cosa, cosa?” Benedetta fermò immediatamente lo sguardo sulla ragazzina, che non cercò nemmeno di discolparsi.
“La verità è che non è stata colpa nostra” disse, anche se non c’era rabbia in lei, solo sana voglia di dire la verità. Forse era stato il fuoco, o forse per la prima volta da mesi si era sentita ascoltata veramente, e non voleva farsi scappare l’occasione di dire quello che sapeva. Forse quella presa di coraggio mascherata da reazione stizzita voleva essere il suo ringraziamento. “Sai l’escursione che abbiamo fatto ieri con quelli più grandi?” espose, a nessuno in particolare.
“Certo, quella con la lezione sui fiori”.
Prese a parlare a raffica, snocciolando informazioni“Esatto, c’erano tutta una serie di fiori particolari sparsi per il boschetto, e noi li dovevamo trovare, e la più rara di tutte era la camelia, perché Bibo viene dal lago Maggiore, e là si coltivano, e ne aveva portata una bellissima e nascosta molto bene” gli altri gli fecero segno di stringere, mugugnando. Anna scosse la testa sconsolata, lanciando ogni tanto qualche occhiata a Giovanni.
“Beh, insomma Giovi l’ha trovata, e la voleva regalare ad Anna, perché oggi è il suo compleanno, e lei adora le camelie perché ha visto quel film deprimente, e poi il daino l’ha mangiata” disse tutto d’un fiato, impaziente di arrivare al punto.
“Cosa?” “Eh?” Marco e Benedetta sbottarono nello stesso istante, scuotendo appena la testa.
“Eravamo vicino al recinto, Giovi le stava per fare la sorpresa, ha preso dallo zaino la camelia, dove l’aveva conservata di nascosto, e quel coso orrendo ci è arrivato addosso e l’ha mangiata!”
Seguì un momento di silenzio, rotto solo dal crepitio del fuoco. E poi da Marco “Ok, non so se sia più inquietante Dino il Daino mangiatore di fiori a tradimento o il fatto che una bambina di 12 anni abbia visto e apprezzato un film in cui una prostituta muore di tisi”.
“O che abbia più cultura e buon gusto di te” disse Benedetta. Marco non replicò, ma disse subito “non sapevo che oggi fosse il tuo compleanno, Anna!” si alzò in piedi e le porse una mano per aiutarla ad alzarsi. “Buon compleanno signorina!” tutti cominciarono a battere le mani, con il sorriso sulle labbra. Matteo cercò di fischiare, anche se ci riuscì poco e male. “E propongo un bell’applauso anche per Giovanni. Che è il più premuroso, adorabile e affettuoso fratello che questa ragazzina avrebbe mai potuto sognare”. Se Dino il Daino fosse stato da quelle parti sarebbe scappato a causa di tutto quel rumore. Le mani batterono fortissimo e Marco si dedicò a una versione di “tanti auguri” sulle note di un’aria della Traviata. In quel momento si scordarono del daino, delle spille, delle tende, e anche del mare. Forse erano appena diventati amici, e quando si diventa amici conta poco il contorno.
“Per quello sei entrato nel recinto e gli hai tirato addosso il videogioco?” chiese Benedetta.
“Gli ho tirato contro la prima cosa che mi è venuta in mano, non volevo che scappasse”
“Lo volevi uccidere direttamente” completò lei.
“Esatto” rispose Giovanni, tutto serio.
“La prossima volta ti presto sabbia e acqua salata, credo sarebbero stati efficaci” disse Eleonora, seria quanto Giovanni.
Betta ebbe un altro dei suoi momenti di panico “Stiamo parlando di uccidere un Daino, siamo i peggiori Scout che la st-storia abbia mai visto!”.
Matteo le mise le mani sulle spalle. “Si chiama Dino. È un daino che si chiama Dino” non suonava come una cosa seria in effetti. Betta rise assieme a tutti gli altri.
 
“È veramente tardi, ora sono ufficialmente preoccupata”.
Benedetta notificò a tutti di raccattare tutta la roba che avevano e di tirare fuori le torce. “Ci ammazzeranno. E poi ci licenzieranno” dichiarò a mezza voce quando guardò, per l’ennesima volta, l’orologio. “E Nicola dov’è finito?”
“Licenziati dagli scout per colpa di un daino in fuga, entreremo nella storia, non sei contenta?”
“Scemo”.
Ora tutti avevano sulle spalle i loro zaini, svuotati rispetto a prima di tutto ciò che avevano da mangiare. I ragazzi, molto più leggeri, zampettavano di qua e di là.
“In marcia, lupetti!”
Eleonora non mancò di dimostrare il suo disappunto verso quell’appellativo a suo dire ridicolo e imbarazzante, ma nessuno, come al solito vi prestò molto caso.
Ripercorsero la strada al contrario, cercando disperatamente di orientarsi.
“Guardate!” Matteo si era bloccato in mezzo alla strada, facendo inciampare per l’ennesima volta la povera Betta, subito dietro di lui.
“Nicola ci ha lasciato delle tracce!”. Ed era vero. Nicola aveva lasciato delle grosse “X” disegnate presumibilmente con il gesso sopra ai tronchi degli alberi più in evidenza. Grazie a quelli non fu difficile ritrovare la strada giusta. Il gruppo, torce alla mano, si avventurò a ritroso sui sentieri, scegliendo sempre la strada consigliata dalle sagge “X”.
“È un genio” fece Benedetta.
“È  un cretino. Non poteva dirci subito che aveva del gesso in tasca? Avremmo segnato il percorso fin dal principio” Marco ovviamente non aspettava altro che esprimere il suo parare.
“Avrà voluto regalarci un momento di sana avventura…”
“E poi gli è venuta la strizza, ed è corso a sistemare il pasticcio”.
“Hey, io sarei qui eh” Nicola sbucò praticamente dal nulla, a detta di tutti, anche se lui amava raccontare che li aveva seguiti per un bel pezzo e che nessuno se ne era accorto, tanto erano presi a cercare i suoi geniali indizi sparsi per il buio.
“Mi hai fatto venire un infarto! Ormai non ci si vede nulla!”
“Là dietro c’è il nostro campo, siamo a cinque minuti, vi aspettavo. Volevo tornare con voi”.
Matteo gli urlò forse un po’ troppo forte “avevi paura del Vecchissimo Lupo a tornare senza Dino, vero?”
Proprio in quel momento il vecchio Vecchissimo Lupo si materializzò davanti a loro.
“Eccovi qui finalmente! Incoscienti! Cosa vi è saltato in mente! Vi depenno da ogni attività, vi mando a mangiare con i bruchi e spezzare legna per il resto della vostra vita! Serpi!”
I ragazzi giurarono per tutti i giorni seguenti che le parole pronunciate furono irripetibili, di quelle che uno scout non dovrebbe neanche conoscere.
“È quasi notte! Potevate morire, potevate farvi male! Potevate mettere in pericolo la sacra natura del vostro esistere!!” il vecchio era diventato paonazzo, e gesticolava come un ossesso, indicando a turno Marco, Benedetta e Nicola, e i ragazzi uno ad uno, senza trascurare nessuno.
“La festa è ancora in corso” disse voltandosi verso il campo. Il suo volto raggiunse varie tonalità di colori, tra cui viola e indaco. “Ma voi ovviamente non parteciperete”.
I ragazzi si guardarono a vicenda, delusi. Il fatto che la festa non fosse stata chiusa alle nove e mezza gli aveva regalato qualche secondo di inutile speranza.
“Almeno non è arrabbiato per Dino” sussurrò Giovanni in un orecchio ad Anna. Sua sorella non poté trattenere un sorriso divertito.
“Ci sento perfettamente, mio caro signorino!” sbuffò il Vecchissimo Lupo. “Si dà il caso che il signor Folloni mi abbia informato che il daino in realtà non ha mai lasciato il campo”.
Nell’indecisione tra l’urlare e lo scambio dei commenti a quell’ultima frase, dalla maggior parte delle bocche uscì solo un rantolo non ben definito.
“Ha fatto il giro del campo ed è tornato indietro”.
“Ma allora che ha visto Betta nel bosco?” fece prontamente Eleonora. Agli altri caddero semplicemente le braccia e non dissero nulla.
“Un altro daino?” le rispose con uno sbuffo Stefano.
Betta diventò tutta rossa e si mise una mano sotto al mento. “… mmm… ma quello che cercavamo aveva le corna? Perché non sono certa che quello che ho visto nel bosco avesse delle corna in effetti…” Giovanni si occupò nuovamente di frenare gli istinti di Eleonora, trattenendola per lo zaino.
 
“Tutti a letto, nelle vostre tende! Subito!” sbraitò il Vecchissimo Lupo, sparendo nel buio.
I ragazzi abbassarono il capo, mogi mogi, e si avviarono verso lo spiazzo dove si erano accampati con le tende. Trascinavano tristemente i piedi, e improvvisamente quegli zaini sulla schiena sembrarono a Marco, Benedetta e Nicola incredibilmente grossi e pesanti.
“E se invece facessimo la nostra festa alternativa?” sussurrò Marco abbastanza forte da farsi sentire. “È il compleanno di Anna! Io do ragione a Marco”.
“Miracolo” .
“…dicevo, do ragione a Marco per questa volta, festeggiamo di nascosto!” entrambi si voltarono verso Nicola, che fece spallucce e li seguì. Appena entrambi si voltarono sorrise, e controllò come ultimo della fila che nessuno li notasse.
I ragazzini stavano festeggiando nel modo più silenzioso possibile. Stefano, Matteo e Giovanni si diedero il cinque a turno, attenti a non far sbattere le mani; Anna e Betta mimarono una danza della vittoria e persino Eleonora sembrava soddisfatta dall’idea. Si lasciò finalmente scompigliare i capelli da Benedetta e le sorrise. Si allontanarono quatti e guardinghi cercando di stare molto vicini per non essere visti. L’eco della festa ormai era lontano.
 
“Sapevi tutto. È per questo che ti hanno mandato”.
I ragazzi si erano ormai addormentati nei sacchi a pelo, sfiniti. Nicola e Benedetta avevano trovato uno spiazzo isolato, vicinissimo al campo, e avevano acceso il fuoco, mangiato qualcosa d’altro e intonato un non troppo chiassoso ‘tanti auguri’. Nessuno di loro si sarebbe dimenticato in fretta di quella giornata. Quando Betta quasi cascò addormentata nella ciotola di ciliegie che stava mangiando, Benedetta capì che li dovevano riaccompagnare nelle tende. Nessuno li notò, e in pochi minuti furono dove avrebbero sostenuto di essere sempre stati. Nelle tende, a letto, in punizione.
“Tu sapevi che cosa avevano fatto, per questo ti hanno mandato con noi” disse di nuovo Nicola, guardando Marco fisso negli occhi. Stavano per raggiungere le rispettiva tende. Ma Nicola voleva chiarire anche quell’ultimo punto prima di concedersi il meritato sonno ristoratore.
“È vero?” Benedetta chiese conferma, guardandolo divertita “E perché hai finto di non saperlo?” disse senza aspettare nemmeno una risposta che risultava abbastanza palese dal suo sguardo.
“Non sapevo i dettagli” Marco si passò una mano dietro la nuca “sapevo solo che Giovanni l’aveva fatto per Anna, non avevo capito in che modo il daino avesse offeso i suoi sentimenti, ma li ho difesi davanti al Vecchissimo Lupo, e quello m’ha spedito qui”.
“Solo perché li hai difesi?” Benedetta, aveva inclinato la testa. Forse si sarebbe aspettata qualcosa di meno semplice.
“Che c’è la trovi una cosa patetica?”
“Stavo per dire sorprendentemente ammirevole”
“Che c’è, siamo amici adesso?”
“Giammai!”
“Ah, ecco, ero già preoccupato”
Nicola li prese entrambi per un braccio trascinandoli verso le tende, con una smorfia tra il divertito e il severo. Il Daino Dino seguì la scena da lontano.
“Ci sta guardando?”
“Che?”
“Quel coso ci sta guardano!”
“Ma non dire scemenze…”
Le voci si spensero in lontananza, cullate dalle note del bosco addormentato. 


Note dell'autrice:
Devo dire che ho sempre avuto un rapporto strano con l'idea dello "scout" quindi ho cercato di ironizzare su alcuni luoghi comuni su cui spesso mi è capitato di parlare con amici. Non ho mai fatto parte degli sout, quindi prima di tutto spero che se qualcuno di loro leggerà tutto ciò non se la prenda, dato che non ho assolutamente nulla contro di loro, anzi, ho cercato di documentarmi unendo anche alcune mie esperienze personali, dato che le vacanze in montagna per me sono un must.
Ringrazio infinitamente le organizzatrici del contest a cui mi sono classificata terza per la bellissima idea e le splendide votazioni!
Alla prossima!
  
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