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Autore: Shakechan    11/09/2012    0 recensioni
I principali personaggi che appariranno in questa storia saranno vampiri, licantropi e fantasmi.
Il protagonista, Sena, si imbatterà in un avventura che avrebbe di certo evitato.
Per ora lascio il rating arancione ma più avanti lo cambierò in rosso.
Ecco un anticipazione di ciò che potete aspettarvi:
“Grazie” sussurrò.
Subito dopo sentii come se due sottili lame penetrassero dentro il mio collo.
Provai a gridare ma il ragazzo mi abbracciò con entrambe le braccia e mi sentii come in trappola.
Mi accorsi che ribellarmi o gridare sarebbe stato del tutto inutile.
Sentivo la mia vita scorrere lentamente fuori dal mio corpo, ma non provavo stanchezza o dispiacere. Provavo piacere.
Infinito piacere di quell’atto magico che stava accadendo.
Il ragazzo mi strinse a se ancora di più e io ricambiai l’abbraccio, avvolgendolo con le mie esili braccia.
Ci accasciammo a terra, io reclinai la testa da un lato, mentre lui con una mano afferrò il mio volto e infilò le sue affusolate dita tra i miei capelli.
Si stava risucchiando la mia vita e io mi sentivo amato. Tremendamente amato. Un amore travolgente, quell’amore che rende pazzi, quell’amore che ti sottomette completamente.
Che splendida sensazione essere amati.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Riku Kaitani, Sena Kobayakawa, Shien Mushanokoji/The Kid, Un po' tutti, Youichi Hiruma
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Ahahahha invece di continuare le altre mie storie, ne aggiungo altre! … Questa cosa mi suona familiare! Comunque sia, buona lettura!

 

 

CAP1

 

-Non temo la morte

 

 

Una volta ho dimenticato com’era fatto il cielo.

Ho passato così tanto tempo a guardare in basso verso i miei piedi, che mi ero totalmente dimenticato di cosa ci fosse sopra la mia testa.

 

***

 

 

Le giornate trascorrevano veloci e malinconiche.

Il tempo scorreva su di me come l’acqua quando mi sto facendo una doccia.

I fatti, le persone, i luoghi, gli eventi, tutto scorreva velocemente davanti a me.

Non mi importa nulla di niente. Non mi importa nulla di nessuno. Perché a nessuno importa di me.

 

“Sena, sei sicuro che vada bene per te rimanere da solo a casa?” chiese mia madre caricando l’ultima valigia in macchina e chiudendo con forza il porta bagagli.

“Si, non ti preoccupare” dissi sorridendo “voi godetevi la vacanza”

“Cara, non ti preoccupare” intervenne mio padre posando una mano sulla spalla di lei “ormai è abbastanza grande per cavarsela da solo” disse facendomi un occhiolino.

“E’ solo che questi ragazzi crescono così in fretta…” commentò mia madre poggiando a sua volta la sua mano su quella di mio padre.

Dopo gli ultimi abbracci e raccomandazioni, assistetti alla macchina dei miei allontanarsi lungo la via.

Il sole stava tramontando e il vento gelido della sera iniziava a farsi sentire, con un brivido lungo la schiena rientrai in casa.

Richiusi la porta alle mie spalle e mi appoggiai su di essa.

Trattenni il fiato e chiusi gli occhi.

Il silenzio dentro la mia casa mi rilassò completamente il corpo.

Rilasciai uscire l’aria dai miei polmoni con un sospiro lento e silenzioso mentre riaprivo lentamente gli occhi.

“Finalmente…” sussurrai dirigendomi verso la cucina.

Mi piace la quiete e il silenzio, mi rilassano, mi fanno sentire bene.

Mi diressi in cucina e aprii il frigorifero e trovai il riso al curry preparato da mia madre. Accesi il forno e lo lasciai riscaldare.

Non sapendo cosa fare, mi sedetti a tavola e accesi la tv.

Apparve un giornalista intento a intervistare un ragazzo con alle spalle un enorme costruzione recintata e piena di guardie armate.

Sia sulla struttura che sulle guardie c’era un logo con uno scudo e delle spade incrociate bianche e azzurre.

“Come potete vedere, la struttura è assolutamente sicura” disse il ragazzo intervistato alzando una mano per indicare la struttura.

Il ragazzo era vestito di tutto punto e indossava degli occhiali.

“Signor Takami, lei è ancora molto giovane, per di più la sua famiglia è una delle più ricche nel Giappone, cosa l’ha spinta ad aprire un penitenziario in un area così deserta di Tokyo?” chiese l’intervistatore.

“Sono cosciente del fatto che la mia famiglia è benestante ma ciò non influenza le mie scelte. Voglio che la mia città si senta al sicuro ed è per questo che ho creato questo speciale penitenziario per rinchiudere tutte le persone che tentano di rovinare la mia affezionata e cara città.” Affermò il ragazzo sistemandosi gli occhiali sul naso.

“Cosa intende dire con penitenziario speciale?” chiese l’intervistatore.

“Intendo dire che ogni cella è costruita secondo le peculiarità di ogni mio carcerato.” Affermò il ragazzo.

“Cosa intende dire?” chiese insistente l’intervistatore.

“Ciò non la deve interessare, l’importante è che sappia che una volta che un criminale viene catturato da noi, è praticamente impossibile che ne esca.”

“Capisco” disse sorridente l’intervistatore “e con questo è tutto da…”

Cambiai canale, cercando qualcosa di più interessante. Optai per dei ballerini di danza moderna mentre preparavano coreografie difficili per uno show.

Consumai il mio pasto fino alla fine del programma, poi spensi tutto e andai a dormire.

Mentre  le coperte mi avvolgevano con un caldo abbraccio, il rumore del vento fuori casa mia, mi cullò fino ad addormentarmi.

 

La sveglia risuonò violentemente nella mia stanza, destandomi dal mio sonno.

Pigramente alzai un braccio per spengerla, facendola solo cadere a terra.

Irritato dal suono insistente della sveglia, mi alzai bruscamente dal letto, afferrando la sveglia e spengendola.

Sospirai e mi diressi in bagno.

Un altro terribile giorno di scuola mi aspettava.

Mi feci una doccia al volo e indossai pigramente la mia divisa scolastica.

Il campanello di casa suonò esattamente nel momento in cui finii di prepararmi.

Afferrai la cartella e scesi le scale, aprii la porta di casa ritrovandomi davanti Mamori.

“Buon giorno, Sena!” disse sorridendo sotto la sua sciarpa di lana bianca.

“Buon giorno” mormorai abbozzando un sorriso.

Chiusi a chiave casa e mi incamminai con lei verso la scuola.

“Dormito bene?” mi chiese.

“Normale…” risposi.

“Capito…” disse.

Mamori è la mia unica amica, l’unica persona che c’è sempre stata per me e di questo le sono grato.. soltanto che ormai mi ritrovo al liceo e venire ancora protetto da lei, diciamo che è un duro colpo alla mia dignità.

“Come va in classe?” provò a chiedermi.

 Sono perseguitato da tre bulli della mia classe, mi trattano come il loro schiavetto personale, maltrattandomi ogni volta che possono o vogliono e godono ogni volta che riescono a infliggermi umiliazione. Ovvero sempre.

“Bene.” Mentii.

Ne sei sicuro?”

“Si, perché non dovrebbe andare tutto bene?” chiesi abbozzando un sorriso.

“Sena, con me puoi parlare!” disse Mamori alzando la voce e rivolgendomi uno dei suo sguardi preoccupati.

Sotto quello sguardo mi sento impotente. Mi strinsi nelle spalle e abbassai lo sguardo.

“S-Scusa ti precedo!” dissi iniziando a correre via.

“Sena, aspetta!” mi gridò Mamori protraendo un braccio verso di me, quasi come se sperasse di riuscire a prendermi.

Mentre corsi verso scuola, pensai al fatto che mi dispiaceva mentirle, ma cosa avrebbe potuto fare, lei, per me?

Arrivai dopo poco a scuola e mi precipitai dentro la classe con già degli studenti al suo interno e senza guardare nessuno in faccia mi sedetti al mio posto.

Un violento calcio sul retro della mia sedia mi fece sbattere contro il banco.

“Hey nanerottolo, che fai? Non ci saluti?”

Mi voltai lentamente, quel poco per scorgere le facce beffarde e irritate di Jumonji, Togano e Kuroki.

“B-buongiorno.” Sussurrai per voltarmi velocemente subito dopo.

“Qualcosa non va, Tappo?” chiese Togano calciandomi nuovamente la sedia.

“A-Assolutamente nulla” borbottai  stringendo i pugni e gli occhi, sperando con tutto il cuore che il professore entrasse dalla porta della nostra classe e augurasse il buon giorno a tutti prima dell’inizio della lezione.

“Mi sembri turbato, piccoletto” continuò a dire Togano iniziando a dare calci sempre più forti sulla mia sedia.

“P-Per favore…” sussurrai “smett…smettila” provai a dire stringendo i denti.

“Eh? Non ti ho sentito! Cosa hai detto?” chiese Togano scoppiando in una fragorosa risata insieme a Jumonji e Kuroki.

“Credo che voglia che tu smetti!” disse Jumonji scoppiando a ridere.

“Smettere? Smettere di fare cosa?” chiese con finto dubbio Togano, aumentando la forza dei calci.

Sentii la schiena iniziare a bruciarmi per il dolore ma non mossi un muscolo per impedire che Togano la smettesse.

Aprii leggermente gli occhi e mi guardai intorno.
Tutti guardavano da un’altra parte, tutti si facevano i fatti loro, a tutti non importava nulla di me.

Il dolore che provavo sulla schiena, era nullo paragonato al dolore che provavo nel mio cuore.

Mi sentii inutile, impotente, solo.

“Tutti ai propri posti, iniziamo subito con la lezione!”  disse il professore con tono imperioso.

“Che palle…” sussurrò Togano smettendo di prendermi a calci.

Sospirai per il sollievo ma sapevo che avrebbero ricominciato una volta che ci fosse stata la pausa pranzo.

Inevitabilmente, quando speri che il tempo non passi mai, cose se a fartelo a posta passa più velocemente.

Alla pausa pranzo mi ritrovavo già a correre lungo i corridoi della scuola con in braccio panini e lattine di bibite gassate.

“E-Eccomi…” borbottai con un accenno di fiatone mentre porgevo a Kuroki, Togano e Jumonji in un angolo dietro al cortile della scuola.

“Ci hai messo troppo.” Disse minaccioso Kuroki lanciandomi il mozzicone della sua sigaretta sui pantaloni.

Gridai per lo spavento e  indietreggiai impaurito.

“Imbranato vieni qui” mi intimò Jumonji mentre aspirava la sua sigaretta.

Mi avvicinai temendo il peggio.

“Dammi il panino.” Mi ordinò allungando la mano libera.

Glielo passai e rimasi fermo.

“Bhé?” chiese sprezzante.

“N-Nulla!” mi sbrigai a dire.

Sentivo che l’atmosfera era tesa. Era successo qualcosa.

Tutti e tre guardavano in direzioni differenti.

“Bene, allora vattene.” Disse Jumonji lanciando via la sigaretta e iniziando a scartare il panino.

“E questi?” chiesi riferendomi ai panini e alle bibite

“Lasciali pure qui, basta che te ne vai.” Disse Jumonji.

Senza replicare posai tutto a terra e me ne andai via.

Nessuno mi disse nulla, nessuno mi fermò.

Non provai neanche a farmi delle domande, era inutile. Alle volte gli girava bene e alle volte gli girava male.

Mi diressi in classe e rimasi seduto al mio posto, gustandomi la libertà concessami.

Il resto delle lezioni scorse abbastanza velocemente e in nessun caso Jumonji, Togano o Kuroki provarono a tormentarmi in qualche modo.

All’uscita della scuola c’era Mamori ad aspettarmi al cancello.

Non appena mi vede mi sorrise e mi salutò con la mano.

Accellerai il passo per raggiungerla e ci incamminammo verso casa.

“Andato tutto bene a scuola?” chiese Mamori.

“Si, a te?”

“Tutto a posto…”

Ci fu una pausa di silenzio.

“Senti Sena… questa mattina io…” iniziò a dire Mamori per poi fermarsi improvvisamente quando una goccia d’acqua le cadde sul naso.

“Eh?” disse sorpresa fermandosi davanti una casa e alzando la mano per controllare se stesse piovendo.

Mi fermai anche io e la guardai.

Più gocce caddero insieme sopra di noi e in pochi attimi il cielo iniziò a scurirsi con enormi nuvole nere cariche di pioggia.

“Forse è meglio se ci sbrighiamo ad andare” dissi a Mamori quando la pioggia aumentò di intensità.

“Tranquillo, ho gli ombrelli” mi rassicurò lei iniziando a frugare nella borsa “un attimo solo” disse smucinando con forza dentro la cartella.

Intanto la pioggia aumentava sempre di più a ogni secondo.

“M-Mamori!” la chiamai per affrettarla.

“Un attimo, non riesco a trovarli!” si lamentò iniziando a tirare fuori kit di pronto soccorso insieme a penne e matite.

Un tuono spaccò in due il cielo e un cagnolino spuntò fuori dall’abitazione dove ci eravamo fermati e iniziò ad abbaiare spaventato contro di noi.

Spaventato più del cane, indietreggiai con un balzo e scivolai a terra, proprio in mezzo alla strada.

Gemetti per la botta data alla schiena e rimasi immobilizzato a terra.

“Sena!” gridò Mamori con gli occhi sgranati.

Due fari di un camion mi accecarono la vista e non riuscii a fare altro che a fissarli terrorizzato come un cervo in mezzo alla strada. Cosa non tanto differente dalla realtà.

Cavolo. Sto per morire…

Tutti i miei muscoli si rilassarono e chiusi gli occhi.

Stranamente, non ho poi così tanta paura.

Dei passi veloci e pesanti risuonarono come un tamburo nei miei timpani.

Aprii di scatto gli occhi e vidi Mamori porsi davanti a me e spalancare le braccia verso il camion in corsa.

Il suono del clacson, i freni che stridevano sull’asfalto bagnato e scivoloso mentre inevitabilmente il camion si ribaltava nel tentativo di evitare di investire noi.

Fu una sequenza di attimi. Tragici attimi che vedemmo accadere davanti ai nostri occhi.

Il camion strisciò a terra per una trentina di metri prima di fermarsi del tutto.

Mamori svenne subito dopo che tutto si fermò.

Spaventato e con il cuore martellante tentai di alzarmi per ricadere a terra.

Le gambe mi tremavano come foglie al vento.

Mi misi in piedi sulle ginocchia e presi tra le braccia Mamori.

“M-Mamori!” gridai spaventato.

L’acqua scorreva sul suo viso e sui suoi capelli ma lei non si mosse.

Provai a prendere il mio telefono per chiamare aiuto ma quando provai ad accenderlo, non diede segni di vita.

Iniziai a piangere non sapendo cosa diamine fare.

Feci forza sulle mie gambe e dopo qualche tentativo, riuscii finalmente ad alzarmi in piedi.

Trascinai Mamori fino al muro dell’abitazione e la lasciai appoggiata con la schiena li.

Provai a citofonare ma non rispose nessuno.

Improvvisamente mi resi conto di star singhiozzando e che a stento riuscivo a trattenere l’ossigeno nei miei polmoni.

Guardai il camion sdraiato sulla strada.

Forse dovrei controllare se l’autista sta bene…

Lentamente mi avvicinai al camion capovolto.

Notai che sul fianco c’era disegnato un scudo con due spade incrociate e mi ricordai subito il programma che avevo visto la sera prima, della nuova prigione a Tokyo.

Un altro tuono rombò nel cielo e trasalii spaventato.

Non sapevo più se ciò che mi gocciolava dal mento erano le mie lacrime o semplicemente la pioggia.

Optai per un miscuglio dei due.

Mi avvicinai al posto del guidatore, ma essendo il camion, capovolto di lato, non potei entare.

Il vetro del parabrezza era completamente rotto e ciò mi impediva di vedere.

“Hey! Mi sentite? Va tutto bene?” provai a gridare ma non rispose nessuno.

L’unico modo era arrampicarmi sopra il camion e tentare di aprire la portiera scoperta, sperando che non fosse bloccata.

Mi arrampicai con qualche difficoltà sul camion, l’acqua rendeva tutto scivoloso, in più ero in preda ai tremori.

Quando riuscii a salire sopra il camion, provai a vedere se dal finestrino.

Un uomo in divisa era svenuto all’interno, mentre un airbag chiazzato di sangue gli premeva sulla faccia.

Lanciai un urlo per lo spavento, per poi riprendermi subito e tentare di aprire la portiera.

Bloccata.

“Merda!” esclamai.

Presi a pugni il finestrino tentando di romperlo ma senza successo.

Scesi dal camion e iniziai a cercare una pietra o qualcosa per spaccare il finestrino.

Dopo cinque minuti di ricerca e nessun oggetto trovato, tornai al camion e provai a rompere ancora una volta il finestrino a mani nude, senza successo.

Furioso per la mia impotenza mi ritrovai a scagliare pugni all’aria mentre a passo veloce percorrevo avanti e indietro il camion.

“Ma di che cazzo è fatto quel finestrino?!” gridai isterico cadendo in ginocchio sopra la vettura.

Iniziai a prenderla a pugni il furgone, fino a sdraiarmi completamente su di esso, piangendo disperato.

“Qualcuno mi aiuti…” sussurrai singhiozzando mentre la pioggia mi tamburellava sul viso scoperto.

Un botto sotto la mia schiena mi fece sobbalzare.

Rimasi immobile.

Un altro botto, seguito da un altro più forte mi fecero rialzare in piedi per la sorpresa.

“C-C’è qualcuno?” chiesi allarmato.

Nessuna risposta.

Pestai con forza il piede sopra il camion, creando un forte rumore.

Per risposta ci fu un altro botto.

Quello mi bastò per farmi riprendere tutto il coraggio.

All’interno di quel camion c’era qualcuno. Qualcuno di vivo! E mi stava chiedendo aiuto!

Scesi dal camion e controllai se potevo aprirlo da dietro.

Le maniglie erano bloccate, mentre in mezzo appariva un enorme serratura metallica.

La chiave doveva averla il conducente.

Mi diressi verso la casa dove avevo lasciato Mamori.

Il cagnolino iniziò ad abbaiarmi.

“Stai zitto!” gridai isterico battendo un piede a terra.

Il cagnolino si spaventò e andò filato dentro la sua cuccia.

Scavalcai senza fatica il cancello dell’abitazione, ritrovandomi dentro un giardinetto ben curato.

Vidi subito il capanno degli attrezzi e mi precipitai ad aprirlo.

All’interno c’erano tutti gli attrezzi da giardino, compresa una pala.

La afferrai e la lanciai oltre il cancello, scavalcando esso subito dopo.

Iniziai a correre con la pala in mano vero il camion, mi ci arrampicai nuovamente e iniziai a scagliare la pala sopra il finestrino, riuscendo finalmente a inclinarlo e a romperlo.

Lanciai via la pala e mi infilai dentro al camion, lasciando fuori le gambe.

Un insopportabile puzzo di sudore e sangue mi penetrò dentro alle narici, nauseandomi.

Afferrai il guidatore e iniziai a scuoterlo.

“Signore mi sente?!” gridai.

Il suo naso perdeva tantissimo sangue, probabilmente si era rotto per colpa dell’airbag ma meglio il naso che la testa.

Gli circondai il busto con le braccia e lo issai fuori con molta difficoltà, dato che non era proprio un peso piuma.

Dopo un tempo che a me parve infinito, riuscii a tirarlo fuori dal bus e a sdraiarlo sopra il furgone.

Iniziai disperatamente a cercare nella sua giacca la chiave che aprisse il portello del furgone ma non la trovai.

Mi sedetti e presi la testa fra le mani.

Dove le può aver messe?

Mi venne un illuminazione.

“Le chiavi della macchina!” esclamai dirigendomi per recuperarle.

Le presi senza problemi, affrontando nuovamente quella puzza di sudore e sangue che aleggiava all’interno.

Scesi dal camion e mi diressi sul retro.

C’erano solo due chiavi nel mazzetto che avevo recuperato.

Le provai entrambe.

La prima volta non si infilò la chiave, la seconda riuscii persino a sbloccare la serratura.

“Ce l’ho fatta!” sussurrai pieno di felicità e spalancando gli sportelli.

Mi paralizzai per la paura.

Degli scintillanti e gelidi occhi neri mi fissavano osservando ogni centimetro del mio corpo.

Volevo scappare ma le gambe non si muovevano.

Un movimento all’interno del camion attirò il mio sguardo.

Un ragazzo dai lunghi capelli biondi tirati all’insù con  orecchie appuntite spuntò fuori dall’oscurità del furgone.

Le mie gambe cedettero e prima ancora che potessi cadere, il ragazzo mi circondò i fianchi con il braccio, stringendomi a lui.

Il mio sguardo si incrociò con il suo.

I suoi occhi erano affilati e profondi mentre il suo sguardo crudele mi aveva totalmente rapito, oltre che terrorizzato.

Mi sentivo risucchiato da quel nero così profondo.

Mi sentivo come se inevitabilmente precipitassi in un pozzo senza fine, cadendo sempre più in profondità, sempre più distante dalla luce, sempre più lontano e sempre più vicino alla solitudine.

Chiuse gli occhi e fu come se spezzò un incantesimo, mi ripresi all’istante.

Mi accorsi che la sua pelle era di un bianco perlaceo, apparentemente perfetta.

L’acqua scorreva su di lui nello stesso modo in cui una goccia d’acqua accarezza il petalo di rosa più delicato.

Vidi le sue sottili labbra schiudersi in un flebile sorriso, mostrando un accenno di denti bianchi.

Avvicinò il suo volto al mio, accostando la sua bocca al mio orecchio.

“Grazie”  sussurrò.

Subito dopo sentii come se due sottili lame penetrassero dentro il mio collo.

Provai a gridare ma il ragazzo mi abbracciò con entrambe le braccia e mi sentii come in trappola.

Mi accorsi che ribellarmi o gridare sarebbe stato del tutto inutile.

Sentivo la mia vita scorrere lentamente fuori dal mio corpo, ma non provavo stanchezza o dispiacere. Provavo piacere.

Infinito piacere di quell’atto magico che stava accadendo.

Il ragazzo mi strinse a se ancora di più e io ricambiai l’abbraccio, avvolgendolo con le mie esili braccia.

Ci accasciammo a terra, io reclinai la testa da un lato, mentre lui con una mano afferrò il mio volto e infilò le sue affusolate dita tra i miei capelli.

Si stava risucchiando la mia vita e io mi sentivo amato. Tremendamente amato. Un amore travolgente, quell’amore che rende pazzi, quell’amore che ti sottomette completamente.

Che splendida sensazione essere amati.

 “Ti amo…” sussurrai nel mio delirio di piacere.

Improvvisamente il piacere finì e lui portò il suo volto a pochi centimetri dal mio.

Mi sorrise e in quel momento vidi i suoi scintillanti canini bianchi, sporchi del mio sangue scarlatto.

 “Squisito” sussurrò per poi baciarmi.

Fui felice, tremendamente felice.

Felice di essere amato, felice che il mio amore fosse ricambiato.

Piansi per la felicità e chiusi gli occhi, sfinito per tutto quell’amore mi lasciai totalmente trasportare da quel bacio che sapeva di sangue e mi abbandonai subito dopo alla mia improvvisa stanchezza, cadendo in un lungo sonno.

 

****

Gentaglia! Siete appena riusciti a leggere undici pagine! Complimenti!
Fatemi sapere che ne pensate del primo capitolo!

  
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