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Autore: Kuroi    11/09/2012    2 recensioni
"Ero arrivata alla famosa goccia che fa traboccare il vaso. Credevo fosse una leggenda metropolitana, tipo gli uomini capaci di gesti di bontà.
Invece la goccia esisteva. Esisteva veramente. Mentre pensavo alla goccia, il Fossile sciolse l’abbraccio, ma soffiava ancora. Teneva fra le dita i filamenti del mio collo."
Clizia e il Fossile, che vuole annientarla. Arriva poi Saturno, con la voglia di suonare.
E di togliere a Clizia tanti aculei conficcati nel suo corpo.
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piccolo avvertimento: il rating giallo è dovuto al gesto compiuto da un personaggio della storia verso un altro.

Un gesto di violenza, comunque velato, grazie al genere della storia stessa. Ma che comunque mi sembra opportuno segnalare!

A chiunque si avventuri, auguro di cuore buona lettura!



Filo Spinato

 

[... I wanna hurt you just to hear you screaming my name
Don't wanna touch you but you're under my skin 
I wanna taste you but your lips are venomous poison...

Alice Cooper, Poison]

 

Uno sparviero mi sorrise, indicandomi la strada.
Pensavo fosse un astore. Poi emise un urlo straziato e capii che mi ero sbagliata.
Non si trasformò in uomo neanche quando lo invocai. Rimpiansi di non essere in una torre! 

Fui immensamente grata alla premura di quell’animale silenzioso, poiché ero sfiancata: mi dolevano le ossa e la pancia, i miei vestiti si erano sciupati al sole, perdendo i propri colori. I capelli, poi, strepitavano  stretti in una coda non voluta, incitandomi a fermarmi.
Non avevo ancora capito cosa andassi a fare lì: perché il mio corpo camminasse e le mie gambe mi dirigessero all’ennesima umiliazione.
Ero talmente provata, quel giorno, da non capire cosa stessi facendo.
Una lucida ubriachezza la mia, affannata e stanca. 

Il viottolo di ghiaia grigiastra mi avvisò della meta raggiunta.
Rabbrividii, era freddo ed avevo paura. Un cane m’abbaiò contro, latrando e guaendo. Era così triste che provai una tenerezza infinita. Dopo essermi asciugata lacrime di commozione, bussai. Quattro volte.

“Con che coraggio ti presenti qui.” Mi disse. Superficiale e mellifluo.
“È facile ferirmi. Cerca almeno di essere originale.”

 Non  so da dove presi tutto quel coraggio. Me ne stupii tanto e mi venne voglia di mordermi la lingua e di ritinteggiare le pareti della mia camera. 

Il Fossile era sempre stato così con me. Bastardo, sottilmente feroce, subdolo.
Eppure tutti ci consideravano amici: buffo ma vero. Tutti!
Uscivamo insieme, litigando e odiandoci di cuore. Lui con la sua voglia di trafiggermi ed io con la codardia del non sapermi difendere. Subivo, a parte  rari scatti di orgoglio e dignità di plastica e sorridevo continuamente ai passanti in cerca di aiuto.
Eppure i passanti non vedevano proprio nulla, nonostante i miei occhi grandi ululassero disperati. 

“Clizia, a che pensi? Sei venuta solo a disturbarmi o vuoi qualcosa?”
“Scusami.” Il Fossile sapeva sempre come mettermi in riga, malizioso e crudele. “Spietato come sempre, noto.” Sorrisi. “Se solo mi facessi entrare…” 

“Entra.” Svogliato, aprì bene la porta e mi fece accomodare a terra, su un tappeto colorato.
Notai che era soffice, delicato. Mi venne voglia di sdraiarmi e probabilmente lo feci, perché il Fossile mi guardò male. 

“Sei passata qui per…”
“…Per chiudere questo rapporto stucchevolmente insensato.” 

“Ah.” 

Forse il Fossile si stupì per la prima volta in vita sua di me. Mi si sedette accanto, sul tappeto. Mi accarezzò il viso, mi baciò le guance, più volte. E mi strinse. Mi accorsi che piangevo perché lui mi pregò di non farlo.

“Non puoi vivere senza me.” 

“Fino ad ora, credevo anche io tutto questo.” Sorrisi di nuovo. “Eppure il solo pensare di liberarmi della tua presenza insulsa mi ha fatto sentire meglio.”

Sciolse l’abbraccio e tremava. Fece per dire qualcosa ma fummo interrotti. 

Bussarono. 

Il Fossile zoppicava di delusione e raggiunse con difficoltà la porta.

“Sei tu.” Il suo volto era contratto in una smorfia di disgusto.
“Sempre allegro, eh, Fossile? Levati dai piedi, idiota.”

 Subito Saturno venne verso me, stringendomi. “Clizia, bellezza, mi sei mancata da morire…”
Un abbraccio breve, il suo, ma vero e amichevole –non ci giurerei, però.
Il Fossile avrebbe riso della mia debolezza, ma in quel momento fortunatamente non poteva vedermi. Per tutta risposta, cadde a terra. Malamente si alzò, massaggiandosi le chiappe.

“Deficiente, ti sei accorto d’avermi spinto?”
“Certo.” Rispose Saturno, placido. “Vorrei un buon tè caldo.”
Non avevo visto lo spintone. 

Nel frattempo, andai ad armeggiare con una padella sporca. Graffiata, era madida d’olio. Cercai di lavarla con una spugnetta nuova e gialla e i movimenti circolari su di essa mi alienarono. La lentezza dei miei gesti era esacerbante.
Restai ipnotizzata dal movimento delle mie mani, provando una tristezza profondissima.
Vicino casa mia, c’era un negozio di casalinghi a buon mercato. Più tardi sarei dovuta tornare a casa: avrei comprato una nuova padella. Fucsia.
Sentii in me una sottilissima falda di acquifera gioia.
Una salvezza inutile serpeggiava gelida nella mia schiena. 

Senza che mi fosse chiesto, riempii un bollitore con dell’acqua e prontamente lo misi sul fuoco.
Aprendo la dispensa bianca, ravanai fra le spezie e le buste, estraendo a fatica una scatola di latta.
Preparai il limone e lo zucchero e le tazze.
Il Fossile mi abbracciò da dietro, soffiando sul mio collo. Bevi questo tè con noi e poi sarai libera.

Mi venne da vomitare. 

Mi faceva schifo il suo tocco.  Mi furono palesi le angherie subite, per anni.

Ero arrivata alla famosa goccia che fa traboccare il vaso. Credevo fosse una leggenda metropolitana, tipo gli uomini capaci di gesti di bontà.
Invece la goccia esisteva. Esisteva veramente.

 Mentre pensavo alla goccia, il Fossile sciolse l’abbraccio, ma soffiava ancora. Teneva fra le dita i filamenti del mio collo.
L’acqua bollì presto, perché nel pentolino ve n’era poca. Saturno stava cantando e suonava la chitarra che sempre avevo visto appesa al muro. Strideva, urlava e gorgheggiava, mentre il Fossile gli intimava di fermarsi. 

“Canto perché ti amo! Ed è la vita a ricordarmi delle gerbere dimenticate nel lavello…”

Cantava queste parole, mentre io invece ridevo e versavo nelle tazze il tè.

Il Fossile si avvicinò e mi scottò con l’acqua calda: agguantò il bollitore e mi versò addosso tutto il contenuto. Iniziai a piangere con tutte le mie forze e il cane che stava fuori guaì disperato.
Non vedevo più nulla: sentivo solo Saturno.

 L'acqua bollente venne assorbita dalla pelle. Un dolore tremendo percorse ogni singola parte di me.

“Cosa cazzo hai fatto, bastardo! Vuoi ucciderla? L’hai fatto per tutti questi anni, non ti basta?”

Alle mie orecchie giunsero suoni di botte, calci e schiaffi, mentre il Fossile si scusava con lui e non con me.

“Maledetto! Maledetto schifoso! Devo chiamare un’ambulanza! Aiuto, aiuto! Cazzo, ti ammazzo stavolta! Sei una carcassa di letame, ecco cosa sei!” 

Saturno compose un numero misterioso e il Fossile mi si fece vicino. Mi accarezzava la testa.
Avevo gli occhi chiusi, con forza: li strizzavo. Le mie spalle erano tesissime e avevo voglia di nascondermi in una stanza buia per gridare fino a lacerarmi le corde vocali. 

Di colpo, aprii gli occhi. Non sentivo più le bruciature sul corpo.
Il Fossile non c’era più, ma solo Saturno che mi cantava una canzone dolce dolce. 

“Sei una creatura piccola da proteggere…” Arpeggiò con le dita. “Togli questo filo spinato che ti stringe il seno e andiamo a ballare.” 

Il filo spinato attorno al mio corpo mi avvinghiava, lasciando numerosissimi graffi.
Qualche goccia di sangue giunse a terra formando lacrime e fiori.

 Sapevo di non poter togliere del tutto il filo, ma iniziai pian piano a sfilare gli aculei conficcati nella carne. 

Lo guardai stanca e mi chiesi se dovesse evaporare da un momento all’altro.
Gli presi entrambe le mani e ballai mollemente, poggiando la guancia sulla sua spalla.
Saturno cantava ancora. Era meraviglioso nell'intonare arie leggiadre, anche se ignote.
Provai un senso di squisita pace. Il pizzicore degli spuntoni sul corpo, però, mi ricordò d’improvviso che lungo sarebbe stato il cammino. 

 La chitarra ci squadrò. Poi sorrise, con un accordo raffinato.

***

 

 

A chiunque sia arrivato sin qui, il mio grazie sincero!

Buona vita e buona strada...

Kuroi

 

  
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