Anime & Manga > Captain Tsubasa
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Autore: Melanto    28/03/2007    13 recensioni
Fuggire. Reazione immediata dinanzi ad un dolore troppo grande per essere affrontato a viso aperto. Camuffare la sofferenza in voglia di lavorare. Poi partire. Cambiare persino continente per ricostruire precari equilibri su cui camminare in punta di piedi. Dimenticarsi di tutto: amici, famiglia... assopire i ricordi e cullarli come bambini, perché non facciano troppo male, per ricaricare le certezze. E poi... e poi tornare, per affrontare il passato ed i sensi di colpa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Yoshiko Yamaoka
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Huzi - the saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Huzi

- Capitolo 1 -


La Jeep inchiodò con un leggero stridio dei freni, fermandosi innanzi allo spiazzo che circondava il nuovo stadio di Nankatsu.
La vernice verde mimetico della carrozzeria era abbondantemente schizzata di fango, soprattutto sulla parte anteriore: parafango, cofano e portiere.
“Sei sicuro di volerci andare?”. Il giapponese di Ricardo era un vero spasso per le orecchie: si trascinava le parole, con la sua cadenza ispanica, sbagliando la maggior parte delle intonazioni; era al volante del mezzo ed osservava l’alta struttura in cemento, mantenendo il motore acceso ed aspettando una risposta.
“Se non ci vado, credo che Sanae vorrà il mio scalpo.” gli rispose con un sospiro, afferrando il consunto cappello da cow-boy che tante volte gli aveva evitato un’insolazione, mentre scalava le vette dell’America Centrale. Se lo calcò sui corti capelli scuri, scendendo dalla Jeep. Si portò poi le mani ai fianchi, assumendo un’espressione critica nei confronti dello stadio che era stato tirato su dal nulla, quattro o cinque anni prima, e battezzato in onore del campione Tsubasa Ozora che, proprio da Nankatsu, aveva cominciato la sua formazione che lo aveva portato ai massimi livelli.
“Santoddio se è brutto!” esclamò sollevando un po’ la tesa, mentre la risata di Ricardo lo raggiunse strappando un sorriso anche a lui.
“Dai, magari dentro è migliore!”.
Lui fece spallucce. “Ah, lo spero! Tsubasa si merita qualcosa di più di questa specie di mausoleo!" poi si volse ad osservare l’amico, richiudendo la portiera “Tu vai in dipartimento?”.
Rick annuì e lui aggiunse “Allora ci vediamo là, non credo che mi fermerò molto. Ho l’ufficio da sistemare e devo aggiornarmi sugli ultimi tre anni di monitoraggio.”.
L’altro alzò gli occhi al cielo “¡Madre de Dios! Potresti non pensare al lavoro una volta tanto? Siamo appena tornati!” esclamò contrariato “Il tuo ufficio sarà esattamente come lo hai lasciato e le scartoffie non saranno scappate all’estero quindi rilassati, per favore, e goditi la tua bella rimpatriata!”.
“Ci vediamo in dipartimento.” fu la risposta che ottenne e sbuffò rassegnato.
¡Sì señor!” ingranò la marcia e si allontanò, sollevando una tenue scia di polvere.
Lui rimase per un attimo immobile, osservando la vettura che veniva inghiottita dal traffico cittadino per poi scomparire tra le strade della sua vecchia città cui, volente o nolente, finiva per ritornare. Si soffermò sulle case regolari e dall’architettura familiare, che risplendevano sotto il sole tiepido di quel primo pomeriggio di Febbraio, fino ad inquadrare l’imponente figura del Fuji che si stagliava, nitida ed incredibilmente elegante, ad alcuni chilometri di distanza. Sorrise abbassando la tesa del cappello e dirigendosi verso l’entrata dello stadio Ozora.
Un mostro dalla ovaleggiante struttura in cemento, con delle colonne in fuga verso l’alto, dalla forma trapezoidale, che dovevano rappresentare delle ali stilizzate.
“Hurrà la fiera del kitsch!” mormorò, trattenendo una risata. Per fortuna l’ingresso era decisamente più sobrio e moderno. L’ampio atrio aveva, nell’immediata destra e sinistra, due uscieri di guardia ai corridoi che portavano alle curve; nel centro c’era il bar. Un paio di giovani venditori di bibite avevano appena appoggiato le loro ceste sul bancone e si erano seduti a parlottare. In alto, sopra l’insegna, c’erano delle cornici con le foto di Tsubasa ed alcune magliette che erano state indossate dal campione: quella delle elementari, quella delle medie, quella del San Paolo e quella del Barcellona. In testa a tutte campeggiava una gigantografia della Nazionale e la maglia numero 10 del capitano.
Avanzò di qualche passo, con le mani nelle tasche dei pantaloni, ad osservare meglio quei cimeli.
Santo Dio, le elementari!
Quanti anni erano passati da allora? Fece un enorme balzo indietro con la memoria, rivedendosi bambino insieme a Tsubasa, Ryo, Genzo e tutti i suoi compagni di squadra alla Nankatsu, quando l’unico problema era quello di non avere paura dei tiri di Hyuga. Sorrise, osservando la foto immediatamente sotto: erano tutti lì. Dei piccoli soldi di cacio sorridenti, stringevano il trofeo della vittoria al Campionato Nazionale. Rivedersi gli fece uno strano effetto, soprattutto rivedersi sorridente. Era una sensazione decisamente malinconica, ma di quelle in senso positivo: non intristiva, ma lasciava pensieroso; con quel gusto agro-dolce nel mezzo sorriso che riusciva a strapparti.
Quando decise di aver ricordato abbastanza, si diresse all’usciere fermo alla destra della porta, e che lo guardava in modo curioso da quando aveva messo piede nello stadio Ozora. Pescò il biglietto che Sanae gli aveva mandato all’indirizzo della casa che aveva a Nankatsu, e che lui aveva trovato solo la sera prima quando era finalmente rientrato in Giappone. Tra tutta la posta che si era accumulata nei suoi tre anni di assenza era comparsa una busta con indirizzo scritto a mano in delicata grafia femminile. Quando l’aveva aperta ne aveva cavato un biglietto per lo stadio ed una breve lettera.

“Si dice che la speranza sia l’ultima a morire, ed io sono notoriamente una persona testarda. Sono anni che nessuno riceve più tue notizie e stiamo seriamente pensando di chiamare qualche trasmissione che si occupi di persone scomparse! Ma si può sapere dove sei, Prof? Avresti dovuto accettarla quella dannata cattedra all’Università, così non saresti scappato in giro per il mondo! Ok, basta paternali! Ti lascio un biglietto per la partita che la Nazionale Giapponese giocherà, tra circa un mese, contro la Germania. Sarà una pacifica amichevole, vedi di esserci (se puoi!!!). Altrimenti sguinzaglieremo l’Esercito della Salvezza!
Fai il bravo, Prof, sii prudente e metti la maglia di lana!

Con affetto.
Sanae Ozora”

Aveva sorriso, leggendo quelle brevi righe, e, per quanto lo allettasse davvero poco rivedere tutti i vecchi amici e compagni di squadra, sapeva di non poter deludere, ancora una volta, le aspettative della sua ex-manager. Per questo, ora era lì e porgeva il biglietto all’usciere.
“E’ in ritardo, signore…” disse questi, strappando lungo il bordo tratteggiato “…è appena cominciato il secondo tempo.”.
Lui sorrise “Sì, lo so, ma devo smaltire un cambio di fuso orario piuttosto consistente.”.
L’altro annuì, aprendo il cordone “Buon divertimento.” augurò, lasciandolo passare.
“Grazie.” e si avviò lungo il corridoio alla fine del quale poteva scorgere una scalinata.
Le grida dei tifosi erano un sommesso mormorio, che diveniva sempre più forte a mano a mano che si avvicinava all’uscita. Approvazione, disapprovazione, incitamenti, cori che chiamavano a gran voce Tsubasa Ozora si facevano più chiari e distinti, più trascinanti. Accidenti, aveva dimenticato la bolgia di una partita di calcio, soprattutto della Nazionale, ma, nell’ultimo periodo, a stento si ricordava come fosse fatto uno stadio.
Salì la scalinata senza troppa fretta, immergendosi lentamente in quel trambusto entusiasmante che sapevano creare i tifosi dagli spalti e che lo calarono in una realtà che, un tempo, era stata anche sua.
L’interno dello stadio era decisamente più grande di quanto avesse immaginato vedendolo dall’esterno e le gradinate erano strapiene di gente. Quanti potevano essere? Cinquantamila? Sessantamila persone? Nankatsu stava divenendo qualcosa di più di una semplice cittadina per cui le due scuole si davano aspra battaglia per accaparrarsi il campo da calcio lungo il fiume. Aveva fatto il primo passo per trasformarsi in una città vera e propria, di quelle con la ‘C’ maiuscola, dotate di traffico e smog.
Avanzò di qualche passo per appoggiarsi alla ringhiera dalla quale poteva dominare l’intero terreno di gioco su cui, le due Nazionali, cercavano di aggiudicarsi il possesso della sfera.
Vide i suoi ex-compagni correre a perdifiato da una parte all’altra, nelle loro mise azzurre ed inconfondibili, mentre la Germania, con il suo completo verde, si difendeva o cercava di rubare palla agli avversari. Vide Tsubasa saltare agilmente Schneider. Accidenti se ne aveva fatta di strada il capitano. Il Kaiser ormai non era più un nemico in grado di impensierirlo e lo diceva anche il risultato che scorse sul tabellone: un secco 3 a 0 per il Giappone.
Riconobbe Hyuga e Misaki che davano man forte al capitano; Shingo Aoi e le sue acrobazie che, con l’età, aveva affinato tecnicamente; Matsuyama che comandava la difesa insieme ad Ishizaki. Per il resto erano tutte facce nuove. Di sicuro le giovani leve che cominciavano ad emergere, la nuova Generazione D’Oro. Osservò la porta: Wakabayashi faceva da Santo protettore. Beh, se non avevano messo Ken, significava che la sfida Genzo-Karl era ancora abbondantemente aperta.
In panchina individuò il resto della truppa: Jito parlava con i Tachibana Bros.; Soda restava a braccia conserte, non gli era mai piaciuto scaldare la panca; del Trio Shutetsu era presente solo Izawa: Santo Cielo, Mamoru si era tagliato i capelli? Sorrise all’idea di lui senza la zazzera, che invece Wakashimazu aveva fatto allungare ancora di più, parlava con Sawada.
Affondò la mano in uno dei tasconi laterali del pantalone, cavandone un pacco di Marlboro. E dove l’aveva messo l’accendino? Dannazione finiva sempre per perderlo, in tre anni ne aveva persi più di un centinaio tra le battute di Ricardo e gli sbuffi di Toshi che lo accusava di essere un ‘ladro di accendini’. Si tastò la giacca trovandone uno e non era di Sugihara, ma uno degli zippo pacchiani di Rick.
“Beh, consolati Toshi…” si disse, portando la sigaretta alla bocca “…almeno non li rubo solo a te!” accese il tabacco, tirandone una lunga boccata, ed incrociando le mani sotto al mento. Con il pollice sfiorò lentamente i due cerchietti di sottile oro rosso che portava all’anulare sinistro.

“Forza papà!” incitò un bambino sui sette anni, sbracciandosi come un ossesso dalla ringhiera che separava le gradinate alte da quelle basse “Sei il migliore!”.
“Hayate Ozora!” tuonò imperiosa una voce di donna alle sue spalle “Non sporgerti troppo, signorino, e questa è la quarta volta che te lo ripeto!” ma nel suo tono non c’era rabbia, quanto una vena di preoccupazione per la paura che potesse farsi male.
“Sì, mamma.” borbottò il piccolo, assumendo un contegno mortificato, per poi tornare ad osservare il padre che volava verso la porta avversaria superando tutti gli altri giocatori. Il numero 10 oscillava sul retro della maglia.
Sanae scosse il capo con un sospiro “E’ proprio un monello!” esclamò, incrociando le braccia al petto, mentre Yukari rideva, al suo fianco, spingendo avanti ed indietro una carrozzina triposto dove tre frugoletti, imbacuccati fino ai denti, sonnecchiavano tranquillamente senza curarsi del frastuono che i tifosi, attorno a loro, stavano orchestrando, anzi avevano avuto quasi l’effetto di una ninna nanna. Sulle gambe reggeva una quarta bambina, sui quattro anni o poco più, che osservava compostamente la partita, battendo le mani entusiasta appena il padre toccava palla.
“Suvvia, è pur sempre figlio tuo e di Tsubasa e nemmeno voi, da piccoli, eravate delle acque chete!” le disse e Sanae le strizzò l’occhio.
“Anche questo è vero!”.
“Pensa a me e a quando questa specie di Banda Bassotti comincerà a gattonare per casa!” sospirò l’altra, alzando lo sguardo al cielo “Meno male che Mika è un gattino silenzioso, vero tesoro?” e le diede un bacio sulla testa dai lunghi capelli scuri che le aveva acconciato in due simpatiche codine di cavallo.
Sanae le sorrise, dando poi una rapida scorsa all’orologio che portava al polso. Inarcò un sopracciglio, sbuffando “Non è venuto.” disse attirandosi l’occhiata incuriosita di Yukari.
“A chi ti riferisci?”.
“Al Prof…”.
L’altra sembrò animarsi “Lo hai sentito?”.
Ma Sanae scosse il capo, spegnendo il suo entusiasmo “Gli ho mandato una lettera con il biglietto per lo stadio, un mese fa. Ma a quanto pare non deve ancora essere tornato in Giappone.”.
“Senti, io non vorrei fare l’uccello del malaugurio, ma non pensi che sarebbe davvero il caso di chiamare quelli che cercano le persone scomparse?”.
La signora Ozora sospirò “Quasi quasi…” e mosse il suo sguardo all’ingresso laterale, a svariati metri da loro, più in un gesto meccanico che nella speranza di vederlo comparire davvero all’ultimo momento. Ma c’era solo un tizio, con uno strano cappello da cow-boy, che fumava appoggiato alla ringhiera della balaustra.
- Bel cappello! - pensò soffocando una risata; doveva essere di sicuro uno straniero per come era vestito. Indossava dei pantaloni verde militare, strapieni di tasche, ed un giubbetto scuro pseudo-invernale, forse troppo leggero per quel periodo.
Poi inarcò un sopracciglio - E se fosse… - cominciò a formulare, credendo a stento alla sua stessa ipotesi, eppure… che le costava controllare?
“Yukari tieni d’occhio Hayate per un secondo!” disse alzandosi e cominciando ad avviarsi con fare disinvolto verso il cow-boy, mentre l’amica assumeva un’espressione interrogativa senza riuscire a capire.
Sanae camminava a passo sicuro, scrutando il profilo che lo sconosciuto le offriva, seminascosto dal cappello, e fu quando si girò di più verso di lei che lo riconobbe, dipingendo un largo sorriso ed aumentando l’andatura.
Era proprio il Prof.

Tirò un’altra lunga boccata dalla sigaretta esalando, poi, una grigia nuvoletta di fumo che si disperse rapidamente, mentre una pungente brezza se la trascinava lontano.
Beh, ora che era arrivato avrebbe dovuto cercare Sanae.
Pescò, dalla tasca della giacca, il biglietto con il numero del posto a sedere e fece per allontanarsi dalla ringhiera quando, una voce di donna, gli si rivolse con una punta di finto rimprovero.
“Allora è proprio vero che la speranza è l’ultima a morire!”.
Si volse alla sua sinistra ad incrociare una minuta figura, avvolta in un piumino nero, ferma ad alcuni passi da lui. Due vivaci occhi scuri lo osservavano in attesa di una sua risposta e manteneva le mani ai fianchi. Semplicemente inconfondibile.
“Così pare.” disse lui sorridendo, mentre le vedeva accorciare anche l’ultima distanza.
“Fatti abbracciare, straniero!” esclamò buttandogli le braccia al collo.
“E’ bello rivederti, manager.” e lo pensava davvero. Nonostante la reticenza iniziale, che aveva provato la sera prima quando aveva trovato la lettera, ora non gli dispiaceva affatto trovarsi lì.
“Bentornato a casa, Yuzo.”.


…E poi Bla bla bla…

Allora, due parole da spendere riguardo questa fanfiction, credo siano quantomeno doverose.
Erano anni, circa un paio, che pensavo di scriverne una di questo genere. Ed il motivo è semplice: fa parte di me. È l’argomento che più mi è vicino e per il quale sto studiando affinché possa diventare il mio futuro.
Probabilmente, da questo primo capitolo, non si capirà nulla. Ad ogni modo, il capitolo successivo sarà totalmente chiarificatore, fidatevi di me.

…perché ‘Huzi’?
I più informati avranno capito cosa esso significhi… eppure vi posso assicurare che lo conoscete tutti, ma, cambiando il nome, ho voluto mantenere un filino di mistero. E poi trovo che suoni meglio! XD per gli altri… capirete più avanti cosa esso sia (no, non sono deficiente! XD).
 
…l’idea di base…
…nasce fondamentalmente da un mio “E se…?” dopo aver letto nel manga (precisamente al volumetto n°40) che Yuzo aveva rinunciato all’Università pur di andare in ritiro con la Nazionale guidata dal neo-promosso Minato Gamo. Ecco… e se invece ci fosse andato? Abbandonando, in tal modo, il calcio?
Non ho messo AU in quanto gli eventi si svolgono alcuni anni nel futuro degli attuali Road to 2002 e Golden 23.
Ammetto di essermi divertita non poco ad ideare un probabile futuro per i cari personaggi di Zio Taka XD (Izumi se vuoi il mio scalpo, questo è il momento giusto per prendertelo! XD).
 
Ringraziamenti:

  • Al Diofà, che una mano ti dà, e a me ne ha date due leggendo ogni capitolo in anteprima e dandomi il suo parere. Tesoro, io so quale è la fanfiction che stai aspettando: stai tranquillo, a breve riuscirai a leggere la seconda parte del capitolo due! Ti amo, Diofà. La tua Madonnafà, colei che tutto sa! XD 
  • A Sakura-chan, la mia ‘acchiappa-svarioni’ (ovvero: betareader!XD) di fiducia che, nonostante i tanti impegni, s’è fatta la croce ed ha ricontrollato il materiale prima della sua pubblicazione. 
  • Alle compagne di MSN *.*, con le quali passo i miei pomeriggi a sparare minchiate su CT! XD
  • A Maki-chan, che non leggerà mai ‘sta fic a prescindere XD, ma che si merita comunque una menzione speciale perché è la mia ‘cumpagnella’ di bakate! Oibò! è_é
  • A Yuzo Morisaki, il personaggio cui sono più affezionata in assoluto. Sarà perché, a livello caratteriale, siamo terribilmente simili: sfigati fin nel midollo, armati di incrollabile pazienza, buoni dentro, fuori e tutt’intorno e senza grandi potenzialità, ma che fanno il loro porco lavoro con tutto l’impegno possibile.
  • A Zio Takahashi: anche se ti smadonno spesso e volentieri (XD) sappi che ti ringrazio. Grazie di aver creato Captain Tsubasa ed il mio Yu-chan. Soprattutto, grazie di averlo creato così com’è (pucciosamente sfigato!*.*)!

Credits:

  • I personaggi di Captain Tsubasa appartengono al suo creatore, Yoichi Takahashi, che ne detiene qualsiasi diritto.
  • I personaggi che esulano dal mondo di Captain Tsubasa sono nati da me medesima e, pertanto, mi APPARTENGONO (ci vorrebbe la faccina blinko-bastarda, cazzarola! -.-').
   
 
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