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Autore: Northern Isa    11/09/2012    5 recensioni
Thor e Loki: fratelli più diversi non potrebbero esistere. Thor è tutto ciò che Loki non è, eppure vorrebbe essere: forte, irruente, prestante, degno figlio di suo padre. Da tempo Loki ha imparato che, per emergere agli occhi di tutti, deve smettere di cercare di assomigliare a Thor. Cosa meglio della magia può controbilanciare la sua mancanza di prestanza fisica? E quale posto più adatto di Durmstrang può insegnargli tutto quello che deve sapere per primeggiare una volta per tutte su Thor? Specialmente se l'Istituto per gli studi magici nasconde un terribile segreto che solo Loki riuscirà a carpire.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Frigga, Loki, Odino, Thor
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo1:

La risata di Thor riecheggiava nel corridoio del palazzo.
Loki strinse gli occhi e premette le dita sottili sulle tempie, tentando di rimanere concentrato. Riprese a inspirare profondamente, provando a riprendere da dove si era interrotto. Il minore dei figli di Odino sollevò nuovamente le palpebre, e i suoi occhi misero a fuoco il bacile che un servitore gli aveva portato nella sua stanza. Non era un recipiente speciale, non era forgiato in oro o in qualche altro metallo prezioso, né aveva pietre pregiate incastonate nella sua superficie: era di semplice terracotta. Non conteneva idromele, solo acqua. Eppure, Loki scrutava il bacile come se sperasse di trovarvi inimmaginabili ricchezze.
Da qualche parte, poco lontano dalle stanze di Loki, Thor rise di nuovo. La sua voce risuonava nel palazzo come se non ci fossero pareti o mobilia ad attutirla. Prima che potesse impedirselo, Loki colpì la superficie del tavolo con un pugno ossuto, facendo tremare il bacile, che rovesciò un po’ dell’acqua che conteneva.
Ecco, rifletté, asciugandosi il palmo su un lembo della veste, ecco cosa mi fa fare Thor.
Cosa aveva da ridere? Loki poteva immaginarlo mentre camminava tronfio attraverso i saloni del palazzo, con Sif, Hogunn, Fandral e Volstagg che pendevano dalle sue labbra e ridevano a ogni sua battuta. Nessuno rideva quando a parlare era lui, Loki. O almeno, nessuno aveva riso durante il banchetto offerto da Aegir. Ma la cosa non aveva importanza, si disse Loki, sentendosi improvvisamente gonfiare d’orgoglio: quel che contava era che si era divertito lui, e su quello non c’erano dubbi. La mente del dio gli proiettò per un attimo le espressioni delle divinità, investite dalle sue parole taglienti. Non aveva mai immaginato che gli angoli di una bocca potessero tendere così tanto verso il basso, né aveva mai visto nessuno con gli occhi sgranati come quelli dei commensali. Soffocando un ghigno, Loki tornò a concentrarsi sul bacile.

Era successo qualche mese prima. Si trovava nella sala dei banchetti insieme a suo fratello Thor, sua madre Frigga e suo padre Odino. C’erano anche diversi nobili seduti al lungo tavolo di lucida quercia, e il vociare collettivo era piuttosto fastidioso. Loki stava piluccando la sua colazione senza alcun interesse particolare, impegnato in ben più proficui pensieri, e Thor aveva appena gettato per terra il terzo boccale di chissà che cosa, chiedendone con soddisfazione dell’altro. Loki ricordava perfettamente di aver ruotato gli occhi nelle orbite di fronte a quella scena. Nel compiere quel gesto, però non gli era sfuggito un piccolo movimento tra le sue mani, strette intorno al suo, di boccale. Era stato un lampo, un soffio, un battito d'ali, un niente. Loki aveva osservato la superficie d’acqua riflettere i bagliori dorati del boccale. Questa aveva continuato a ondeggiare pigramente, per poi fermarsi del tutto e diventare un piccolo disco trasparente. Si era probabilmente ingannato, aveva concluso il dio.
La colazione era proseguita uguale a se stessa per qualche tempo ancora, finché Thor non aveva annunciato di avere desiderio di allenarsi con la spada e aveva chiesto se qualcuno avesse voluto seguirlo. Loki aveva stretto nuovamente il boccale.
Non era passato troppo tempo dall’ultima volta che si era allenato con Thor. L’aveva fatto per assecondare sua madre Frigga, anche se sapeva bene come sarebbe andata a finire. Infatti le cose erano andate esattamente come previsto: era durato circa cinque minuti contro suo fratello. Thor aveva sorriso mettendogli una mano sulla spalla, dicendo di essersi divertito e di essere disposto a concedergli la rivincita. Loki aveva scostato la sua mano come se fosse stato scottato. Aveva avuto solo voglia di allontanarsi il prima possibile da lì, di tornare nelle sue stanze, senza essere costretto a notare le iridi degli altri guerrieri presenti che saettavano da un figlio di Odino all’altro, senza dover sentire i loro commenti politicamente corretti. Alcuni guerrieri si erano complimentati con Thor, e avevano sostenuto che anche Loki si era battuto bene. Il dio però sapeva che mentivano, glielo leggeva in faccia. La maggior parte dei guerrieri, infatti, consci dell’enormità della bugia, erano rimasti in silenzio e si erano limitati a chinare reverenzialmente la testa.
Loki si era sentito ribollire, come se nelle sue vene scorresse lava incandescente.  Si era così ripromesso che mai più si sarebbe battuto con Thor, neanche se sua madre l’avesse implorato.
Ecco perché, quella mattina, Loki aveva stentato ad alzarsi dal suo seggio nella sala dei banchetti quando Thor aveva lanciato la sua sfida.
Che quel biondo pallone gonfiato si pavoneggi a spese di qualcun altro, aveva pensato.
Ecco perché Loki aveva afferrato con più forza il boccale colmo d’acqua: gli era tornata in mente la bruciante sensazione che la sconfitta gli aveva messo addosso.
Nel momento stesso in cui le sue dita si erano chiuse intorno alla superficie d’oro del calice, però, l’acqua al suo interno aveva tremato di nuovo. Ma non si trattava di lievi ondine provocate dal movimento sussultorio causato dalla sua stretta. La superficie d’acqua si era mossa in increspature circolari, come se al suo centro fosse gocciolato qualcosa. Eppure non era successo niente del genere. In quel momento Loki aveva avuto la consapevolezza di non essersi ingannato neanche la prima volta.
Nei mesi successivi, aveva scrutato con attenzione ogni liquido che aveva maneggiato nella speranza di riconoscere nuovamente strane increspature. Era convinto di quello che aveva visto, sapeva di non essersi illuso, però voleva capire cosa producesse quel fenomeno. Per diverso tempo non ci era riuscito. Aveva deciso quindi di smetterla di cercare fenomeni casuali e di impegnarsi, invece, per ricreare ciò che aveva fatto la prima volta nella sala dei banchetti. Cosa aveva contribuito a produrre le increspature, quella volta? Era stata la sala affollata? Il vociare che nelle sue orecchie produceva un ronzio indistinto e fastidioso? La presenza dei suoi familiari? L’oro del boccale? Loki aveva effettuato diversi esperimenti, nessuno dei quali aveva confermato le sue intuizioni. Finché a un tratto il dio aveva pensato seriamente di essersi ingannato, di aver visto qualcosa che non c’era. Nonostante questo, però, non riusciva a smettere di provare. Forse perché nel suo intimo, da qualche parte all’altezza dello stomaco, sapeva di possedere qualcosa di grandioso, di unico, di diverso, che Thor non aveva. O forse semplicemente lo sperava.

Loki tornò a fissare la superficie del bacile di terracotta che aveva davanti. Doveva succedere qualcosa, quella volta ne era sicuro. Il giorno prima, infatti, era andato a caccia con Thor, Sif e i tre Guerrieri. Si trattava di una di quelle sfide a chi cattura più cervi, roba da esibizionisti come suo fratello. Loki aveva deciso di partecipare solo perché, in quell’occasione, sapeva di poterlo battere. Era inutile gonfiare i muscoli e inseguire bestiacce quando si aveva un cervello pronto a elaborare una soluzione. Loki aveva sorriso nel vedere le espressioni sorprese di Sif, Hogun, Volstagg e Fandral quando aveva accettato di unirsi a loro. Thor invece gli aveva schiaffato una mano su una spalla con tale forza da mandarlo quasi a terra.
All’ora stabilita, si erano tutti incontrati ai confini della foresta scelta per la battuta di caccia. Ognuno impugnava un’arma, palesando sicurezza, e sparando previsioni sull’esito come proiettili. Si erano poi infilati nel folto degli alberi e divisi. Quando erano riemersi, sul calar della sera, Loki non aveva smesso di sorridere, nonostante la fatica di trascinare ben otto cervi. Le espressioni di Sif e dei tre Guerrieri erano state veramente impagabili: nessuno riusciva a capire come avesse fatto Loki a raggiungere quel risultato, eppure tutti cercavano di contenere la loro sorpresa – seppur con scarsi risultati – per non mancargli di rispetto. Loki gongolava senza nessuno sforzo di nascondere il sorriso. Lo sapeva che pagare qualcuno per la selvaggina cacciata in precedenza sarebbe stata una buona idea. Nessuno di quei tonti sembrava essersi accorto che i cervi erano stati stecchiti almeno ventiquattro ore prima. C’era un’altra cosa che metteva il dio di buon umore: trasportare i cervi non era stato semplice, ma era stato sicuramente meno difficoltoso di quel che si era aspettato. In una balzana associazione di idee, Loki aveva ripensato alle increspature sulla superficie del calice nella sala dei banchetti. Poi, a un certo punto, anche Thor era uscito dal bosco. Aveva ucciso otto cervi e un cinghiale. Aveva vinto la sfida di caccia.
Erano ritornati a palazzo piuttosto in fretta, e per tutta la strada di ritorno i complimenti e gli apprezzamenti per Thor da parte degli altri quattro avevano rimbombato nelle orecchie di Loki. Aveva salutato fugacemente Frigga ed era tornato nella sua stanza abbastanza rapidamente da far capire a Thor e compagnia che non aveva più voglia di stare con loro, ma non troppo da dare l’impressione che si stesse nascondendo per la vergogna. Non aveva nessun motivo per vergognarsi, si era detto, passandosi rapidamente una mano sul volto appuntito. Non era neanche arrabbiato perché Thor, il dio perfetto, era riuscito a batterlo, aveva pensato, stringendo tra le dita il bordo della veste. Aveva solamente bisogno di riflettere sul senso di leggerezza che aveva avvertito trasportando i suoi cervi, e sull’associazione di idee che ne era conseguita.
Ecco perché, senza perdere altro tempo, Loki aveva deciso di riprendere i suoi esperimenti con i calici pieni d’acqua. Ecco perché, quel pomeriggio, Loki sedeva nella sua stanza, osservando quel bacile di terracotta come se si aspettasse che iniziasse a parlare. Se solo Thor fosse stato in silenzio.
Ma Thor continuava a ridere. Loki scattò in piedi, schiaffando i palmi contro la superficie del tavolo. Prima che potesse fermarsi, aveva spalancato la porta. Suo fratello era lì, con il volto aperto e sorridente, circondato da una criniera di lunghi capelli biondi. Alle sue spalle, i tre guerrieri si erano bloccati.
«Loki!» lo salutò senza smettere di sorridere.
«Fratello…» gli concesse l’altro, senza preoccuparsi troppo di contenere l’irritazione della sua voce. «Sto cercando di sbrigare alcune cose e, sai, non è così facile con la tua voce che mi risuona nelle orecchie».
Per tutta risposta, Thor gli tirò una pacca sulla spalla e rise, gettando la testa all’indietro.
Ma allora è scemo, rifletté Loki, sentendo tremare la sua palpebra sinistra. O forse lo faceva apposta.
«Posso darti una mano?» domandò Thor candidamente.
La palpebra sinistra di Loki vibrò ancora.
«No. Faccio da solo, ti ringrazio».
Quando si richiuse la porta alle spalle, sentì distintamente la voce di Hogun dire:
«Di cattivo umore, eh?»
Seguì un attimo di silenzio, poi ci fu di nuovo la risata di Thor, la cui eco si spense man mano che i quattro si allontanavano. Loki tornò a concentrarsi sul suo bacile, ma non riusciva a non pensare che suo fratello stava ridendo di lui.
Era successo. La superficie d’acqua del bacile aveva tremato fino a fuoriuscire senza che Loki muovesse un dito. Il sedile intagliato sotto la finestra si era ribaltato da solo. Non c’era modo di equivocare quei segni: si trattava di magia.
Nel momento stesso in cui si era reso conto di essere stato in grado di produrre della magia, Loki aveva sentito una sensazione calda percorrergli il corpo e gonfiargli il petto. Una sottile morsa gli aveva afferrato la bocca dello stomaco e gli era venuta un’irresistibile voglia di esultare. Ci era riuscito, ce l’aveva fatta! E doveva farlo ancora, doveva fare di più. Ma come?
Loki rise tra sé e sé: non doveva avere fretta di capire, già l’avere scoperto di saper fare qualcosa di più rispetto a Thor era una buona conquista per quel giorno. Improvvisamente gli venne voglia di andare da sua madre Frigga: doveva farle vedere di cosa era capace. Sarebbe dovuto andare anche da Odino, così forse l’avrebbe piantata di osannare Thor come se fosse già sul trono.
Con passo leggero, Loki uscì dalla sua stanza e i suoi piedi seguirono, come svincolati dalla sua mente, un percorso che conoscevano bene. La sensazione di calore lo gonfiava, lo inebriava, lo infervorava. Gliel’avrebbe fatta vedere lui, a tutti quanti, rifletté mentre faceva il suo ingresso nella sala del trono. Come si aspettava, suo padre era lì, seduto sul suo Hliðskjálf, accanto a lui c’era Frigga. La sala riluceva di bagliori dorati. Loki vide il suo riflesso sugli elmi delle guardie schierate in due ali parallele mentre calcava il pavimento con decisione, diretto verso suo padre. Prima che Odino potesse aprire bocca, però, Loki rizzò la testa e tese una mano dietro di sé. Le porte della sala del trono, che erano state aperte per consentire il suo ingresso, si chiusero con fragore alle sue spalle. Loki ruotò cautamente su se stesso, pronto a pregustare l’effetto che quella piccola magia aveva avuto sui presenti. I nobili lì riuniti avevano gli occhi fissi sul portone, come se cercassero ancora di capire cos’era accaduto. Sollevando un angolo della bocca in un’espressione di cauto trionfo, Loki tornò a rivolgersi al padre. Odino era rimasto seduto, con la schiena dritta e una mano sul bracciolo intarsiato del trono, l’unico occhio fisso sul figlio, senza che la sua pupilla potesse tradire alcuna emozione. Solo dopo qualche istante, Loki si accorse di stare trattenendo il respiro. Espirò lungamente, domandandosi perché suo padre non si pronunciasse. Forse chiudere le porte in quel modo non era stato abbastanza, forse avrebbe dovuto impressionarlo con dell’altro. Ma come? Nelle sue stanze si era cimentato con piccole cose, a parte rovesciare calici, ribaltare scranni e aprire e chiudere porte non aveva fatto molto.
Loki setacciò con lo sguardo la sala del trono, cercando di farsi venire in mente qualcosa, quando a un tratto Odino sollevò una mano. Tutti i nobili presenti nella sala capirono il comando del Padre degli dei, e uscirono ordinatamente. Solo Frigga era rimasta a fianco al marito.
«Loki»iniziò con voce pacata Odino.
«Padre!»chiamò l’altro, strabuzzando gli occhi.
«Dunque era questo ciò che volevi mostrarmi»constatò il Padre di tutto, accennando con la testa alle porte della sala, riaperte per permettere ai nobili di uscire. Per tutta risposta, Loki tese di nuovo la mano e le richiuse.
«Magia…»mormorò Frigga. Nella sua voce non era risuonato l’entusiasmo che Loki si era aspettato.
«Sì, magia»rispose. «Riesco a fare delle cose… e credo di poter fare molto altro, se solo mi applicassi».
Odino e Frigga continuavano a restare impassibili. C’era qualcosa di sbagliato nelle loro espressioni gelide. Avrebbero dovuto stupirsi, Loki era convinto che non tutti riuscivano a fare quello che poteva lui. Avrebbero dovuto essere orgogliosi. Invece lo osservavano con cauta disapprovazione.
Frigga sollevò la testa per osservare meglio il marito, poi si rivolse al figlio.
«Loki, tu lo sai che magia di questo genere non è certo una delle pietre su cui si fonda Asgard».
Gli angoli della bocca di Loki puntarono verso il basso.
«Cosa? Mi state dicendo che sarebbe meglio se la smettessi, madre?»
«Non è che non apprezziamo le tue doti, figlio»rispose Frigga dopo che un’ombra di allarmismo le ebbe percorso il viso per un secondo. «Ma qui, a palazzo non tutti potrebbero vedere di buon occhio la cosa».
«Non è bene che un principe di Asgard si cimenti in certe cose»sentenziò Odino con voce seria.
Loki scosse il capo per osservare prima un genitore, poi l’altro. Una rabbia sorda aveva iniziato a ribollirgli nelle vene.
«Sarà Thor a salire al trono, è lui che deve piacere agli altri!»
«Questo non puoi saperlo. E soprattutto non cambia le cose»tuonò con severità Odino.
Loki distolse lo sguardo, deciso ad evitare il suo volto. Decisamente non stava andando come previsto. Avrebbe dovuto ribattere, convincere suo padre dell’errore di valutazione che stava commettendo, ma non era quello il momento. Occorreva pensare a una strategia, perché di una cosa Loki era convinto: non voleva rinunciare a quella qualità che aveva appena scoperto, a quel potere. Abbassò allora la testa, in modo da camuffare il gesto evasivo di prima e trasformarlo in una mossa condiscendente, dopodiché uscì dalla sala del trono.
Sarebbe tornato nelle sue stanze, avrebbe ripreso i suoi esperimenti, avrebbe capito come fare a sviluppare i suoi poteri. Solo allora li avrebbe nuovamente mostrati al padre. Gli avrebbe fatto capire che non si trattava di vili giochi di prestigio, ma di qualcosa di grandioso, che si sarebbe potuto rivelare utile se messo a disposizione di una causa.
Quando si chiuse la porta alle spalle, Loki ansimava come se avesse corso. Per alcuni istanti rivide solo le porte della sala del trono che sbattevano e gli occhi sgranati dei nobili. Segretamente lo stavano disprezzando? Gliel’avrebbe fatta vedere lui. Loki si lasciò cadere sul morbido materasso del suo letto, con la testa che pulsava.
Quando riaprì gli occhi, non sapeva quanto tempo fosse passato, ma il suo dolore alla testa era peggiorato. Qualcuno bussò nuovamente alla porta, e Loki immaginò che si trattasse di Thor. L’ultima persona che voleva vedere al momento era suo fratello, eppure si alzò dal letto e andò ad aprire. Quando si trovò faccia a faccia con Lord Reidar. Il mal di testa era così forte che Loki non riuscì a pensare a una ragione per la quale questi dovesse essersi recato da lui.
Lord Reidar chinò reverenzialmente il capo, permettendo alle lunghe ciocche scure di schermargli gli occhi, e domandò perdono per il disturbo.
«Vedete, principe, ero presente nella sala del trono quando vi siete recato al cospetto dei vostri genitori. Sono rimasto estremamente colpito dal modo in cui avete chiuso le porte. Deduco sia stata opera di magia».
Loki sollevò un angolo delle labbra in un gesto di rivalsa. Madre sosteneva che il suo potere non sarebbe stato ben visto a palazzo, e Lord Reidar era la prova vivente che si sbagliava.
«Mi chiedevo se aveste imparato tutto da solo»domandò il nobile.
Loki annuì, senza che il suo sorriso si incrinasse.
«Stupefacente»concesse Lord Reidar. «Di certo vorrete aumentare il vostro potere. Considerando i progressi che avete fatto da autodidatta, non dubito che ci riuscirete. Qualche anno basterà per rendervi uno stregone con i fiocchi».
L’espressione compiaciuta di Loki gli si congelò sul volto. Qualche anno? Lui bramava di dare una lezione ai genitori e al fratello molto prima! Però Lord Reidar non aveva tutti i torti: ci aveva messo dei mesi per imparare ciò che sapeva al momento, che era comunque molto poco. L’espressione del dio non dovette sfuggire a Lord Reidar, che rise sommessamente. Non era una risata di scherno, ma di comprensione.
«Conosco un luogo che potrebbe insegnarvi tutto ciò che vi interessa, e anche di più, in molto meno tempo. Si tratta dell’Istituto per gli studi magici di Durmstrang».






NdA: mia prima Crossover in assoluto. L'idea mi ronzava in testa da un po', ma non mi sono mai sentita a mio agio nel trattare il pov di Loki. Alla fine mi sono decisa: spero di non aver fatto un disastro ç_ç
Naturalmente in questa storia i nostri fratellini asgardiani sono ancora adolescenti. Loki non sa un bel niente sulla sua vera identità, Thor non ha ancora Mjolnir, con gli Jotunn c'è una bellissima tregua. Già da giovincello, Loki è geloso di Thor, sebbene ancora non abbia realizzato le tante idee cattivelle che avrà da grande e si scateneranno in particolare quando il fratello verrà nominato erede del trono di Asgard. A proposito, durante la discussione con Odino - che personalmente adoro -, quando Loki afferma che è già deciso che sarà Thor a succedergli, il padre risponde che non può saperlo. In realtà tutti si aspettavano in fondo che sarebbe stato Thor a impugnare Mjolnir, ma ancora il fattaccio non era ufficiale. Il banchetto offerto da Aegir, citato in questo capitolo, è quello in cui, secondo la mitologia nordica, Loki parlò male di tutto e di tutti, mettendo in luce per la prima volta la sua vera essenza. 
Grazie a chiunque abbia avuto la pazienza di arrivare fin qui!
   
 
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