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Autore: esmeralda92    11/09/2012    1 recensioni
La fanciulla si sentì afferrare improvvisamente al gomito. Era un braccio scarno, che usciva da un pertugio praticato nel muro, e che la teneva come una mano di ferro.
"Tieni forte!" disse il prete."E' la zingara che è scappata. Vado a cercare le guardie. La vedrai impiccare."
A quelle sanguinanti parole rispose dall'interno del muro una risata gutturale: "Ah! ah! ah!"
La zingara vide il prete allontanarsi di corsa in direzione del ponte di Notre Dame. Da quella stessa parte si udì lo scalpitìo della cavalleria.- passo tratto dal romanzo di Victor Hugo]
Cosa accadrebbe invece se a un tratto l'arcidiacono cambiasse direzione e tornasse indietro per salvare Esmeralda? Accetterebbe il suo aiuto? lo perdonerebbe mai per ciò che ha fatto al "suo amato Febo"? E se si incontrassero dopo anni dai fatti descritti nel libro? Riuscirà l'Amore a vincere l'orgoglio?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Claude Frollo, La Esmeralda
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il sole, alto nel cielo, stava ormai declinando. Si avviava al tramonto. Esmeralda si rivestì e iniziò a dirigersi a passo veloce attraverso i vicoli angusti, verso la città, per recarsi alla corte. Sì, anche se non c'era più nessuno della sua famiglia, lei avrebbe continuato a chiamarla così. I piedini morbidi e ambrati si muovevano agili e veloci sul selciato caldo, che le trasmetteva una piacevole sensazione di calore, torpore, e famiglia. Improvvisamente, dopo lungo tempo, aveva iniziato a ricordare qualcosa che non fosse legato alla prigionia.

 

Era una giornata come tante, lei era ancora una bambina, poteva aver avuto al massimo tre o quattro anni. Non si trovavano a Parigi, ma nell'aperta campagna, vicino a una cittadina.

Anche quella mattina c'era il sole, ma era pallido, invernale, freddo. Lei si era alzata che la stella era già alta nel cielo bianco. Dentro il carro del duca d'Egitto, il suo tenero e piccolo musetto era riemerso dalle coltri della pesante trapunta che Clopin usava per dormire, visto che condivideva il carro con lei. Gli occhioni grandi, scuri, si erano aperti emergendo da sotto la coperta. E avevano scrutato l'ambiente circostante alla ricerca del volto familiare e benevolo del patrigno. La chioma castana era sparsa sul cuscino, e dalla coltre emergevano le piccole manine che tenevano i lembi della coperta. Sbadigliò e si alzò a sedere, stropicciandosi gli occhi tenendo le mani a pugnetto. Quando tutt'a un tratto, un profumo insolito aveva colto la sua attenzione. Era un buon odore, e la sua giovane mente si chiedeva cosa fosse. Non era il profumo dell'erba, l'avrebbe riconosciuta. Non era neanche qualche fiore particolare, giacché conosceva quella zona abbastanza bene dal conoscere a memoria i profumi di tutti i fiori lì vicino. Con la sua poca esperienza non sapeva descrivere cosa quel profumo caldo, che le ispirava qualcosa di avvolgente e croccante, chissà perché?, e di buono. Si era alzata e si era avviata verso l'uscita del carro, sua casa.

Lentamente aveva percorso i gradini di legno che la separavano dalla superficie terrestre. Aveva leggermente mosso il labbro mentre le manine si serravano al materiale e i suoi occhioni si fissavano sul punto dove i suoi deliziosi piedini avrebbero dovuto poggiarsi. Era agitata. Voleva andare da Clopin per chiedergli cosa fosse quel profumo. Inoltre, quella era la prima volta che usciva dal carro senza l'accompagnamento del padre. Clopin sarebbe stato orgoglioso di lei!

Quando finalmente il suo corpo toccò terra senza problemi, zampettò sui piedini verso il campo vero e proprio, ovvero il cerchio composto da tronchi di legno, intorno alle pietre che delimitavano il focolare.

Si era avvicinata tutta sorridente al cerchio, dove aveva riconosciuto il suo papà, e correva. E notò che più gli si avvicinava, più l'odore era buono e forte. Doveva essere il suo papà a emanare quel profumo... Il suo papà era tanto buono...

-Papà, papà... che cos'è questo profumo?- chiese tenera.

-È il profumo del pane. È la cosa più semplice e buona che ci sia al mondo. E ciò di cui tutti hanno bisogno per poter vivere. È il simbolo della nostra vita, tesoro.- le aveva spiegato allora e la piccola si era accontentata di quella spiegazione e l'aveva conservata, quasi avesse il terrore che quelle parole potessero scivolare via e abbandonarla sola proprio in quel momento.

 

Quell'odore che anni prima aveva tanto destato la sua curiosità, lo sentiva anche lì, per le vie acciottolate di Parigi, mentre cercava di ricordare quale strada avesse intrapreso al mattino per sfuggire alle guardie. Perché doveva sempre scappare da qualcosa o qualcuno, correre senza meta e ritrovarsi in posti sconosciuti? Sempre al tramonto, per di più. La giovane, rincuorata dal ricordo appena riaffiorato alla mente, ma spaventata all'idea di essersi persa di nuovo, vagò per le strade, pensando a Febo, ignara del fatto che l'amato soldato fosse vivo e la stesse seguendo e spiando da tutto il giorno.

 

                                                                 ***

 

La guadava da tutto il giorno, nascosto dagli arbusti che la sponda del fiume offriva, come perfetto nascondiglio. Non voleva ancora rivelarsi, per quello ci sarebbe stato tempo. Voleva prima vedere cosa facesse esattamente la giovane, dove vivesse e se fosse sopravvissuto qualche altro sans-papiers alla strage della settimana precedente.

Ancora doveva capire come diavolo avesse fatto a sfuggire al patibolo... Non si dava pace per questo affronto che aveva subito da parte di quella giovane spaurita e assassina. Come aveva fatto a eludere le guardie che soprassedevano Notre Dame a ogni porta? Come era riuscita a non essere riconosciuta da nessuno? Eppure la notte precedente la sua presunta esecuzione, la luna era piena, quindi avrebbe dovuto risultare evidente a chiunque passasse di lì... ah! Ma che senso aveva, ormai? Ora l'aveva ritrovata, e questa volta, niente al mondo sarebbe riuscito a frapporsi tra lui e la strega: l'avrebbe avvicinata, e poi portata in cella, per farla morire il giorno stesso, se fosse stato necessario. Non l'avrebbe scampata, questo era certo, chiarissimo nella sua mente.

Verso il tramonto la giovane si era alzata, rivestita di tutto punto, con grande disapprovazione del capitano, che, mentre aveva elaborato quel diabolico, a suo dire, quanto infallibile piano, aveva indugiato più volte senza alcun ritegno sul corpo della bella zingara, che, doveva ammetterlo, riusciva ancora a risvegliare nella sua mente pensieri che di pudico avevano ben poco. Aveva indugiato sui suoi virginei seni, sul suo ventre, sulle sue gambe lasciate al sole, forse anche eccessivamente scoperte. Ma cosa poteva saperne la zingara, che dietro a quegli arbusti si nascondeva l'uomo che aveva detto di amare e che ora, mentre pensava a una maniera efficace per ucciderla una volta per tutte, si eccitava al vedere il suo corpo bagnato e mal coperto dai suoi vestiti? Di certo sarebbe stata entusiasta di saperlo lì, e avrebbe avuto la folle idea di corrergli incontro, magari chiamarlo anche “amore”, come è solito che si comportino le giovani ragazze innamorate. Avrebbe anche potuto dirgli che l'amava e che non poteva vivere senza di lui. Dai ricordi di quella sera fatale, visti i discorsi che lei aveva fatto, sarebbe anche potuta andare così. Anzi, quasi sicuramente sarebbe andata così, non aveva dubbi.

Quando la vide alzarsi e allontanarsi, aspettò qualche istante e poi la seguì. Seguiva il suo passo leggero e danzante di una fanciulla troppo spensierata, dolce e bella per destare sospetti sulla sua colpevolezza. Eppure quel pugnale era della fanciulla, ne era certo: si ricordava di averlo intravisto sotto la gonna di Esmeralda, quel mattino in cui lei era salita nell'appartamento della sua fidanzata, Fleur-de-lys. E una cosa che aveva sempre avuto, era buona memoria. L'unica cosa che lo stupiva era quanto lei fosse stata abile nel nasconderlo al capitano degli arcieri del re, e di averlo saputo tirare fuori nel momento più opportuno, quando ormai lui era a un passo dal poterla avere. 

Ormai non aveva più importanza, lei l'aveva pugnalato e niente di quello che sarebbe potuto essere stato, sarebbe accaduto. Quella fanciulla, all'apparenza tanto ingenua, ma scaltra come una volpe e agile come un felino, non poteva che vederla come una nemica, una strega che aveva cercato di ucciderlo, incantandolo con la sua bellezza e il suo atteggiamento di bambina innocente. L'avrebbe presa con sé con l'inganno, esattamente come aveva fatto lei, e poi l'avrebbe condotta in prigione, e questa volta non avrebbe permesso a nessuno di avvicinarsi alla cella, a costo di doverla sorvegliare di persona.

La fanciulla vagava per la città, quasi fosse incerta su dove andare, e lui colse l'occasione per avvicinarsi.

-Vi siete persa, bambina mia?- chiese lui, sorridente. La zingara si era bloccata e dopo qualche istante si voltò verso di lui.

 

                                                                              ***

 

Esmeralda stava vagando per la città, ignara di dove fosse e quanto tempo fosse passato. Pensava solo ed esclusivamente al suo Febo. Al suo sole senza il quale non poteva vivere... Chissà se stava pensando a lei, o si era trovato qualcuno che colmasse quel vuoto che il suo amore aveva lasciato in lui.

Vagava da ore probabilmente, quando sentì una voce, quella voce, rivolgersi a lei. Il cuore tamburellò forte forte come non accadeva da tanto tempo. Come se niente fu desse, la voce dell'arcidiacono scomparve dalla sua mente, sostituita da quella del suo bel capitano. L'aveva trovata, infine! L'aveva sempre saputo! Sarebbero rimasti insieme e sarebbero fuggiti via da quella città, che tanto aveva causato loro del male e tanto dolore: non voleva più rivedere quel vecchio prete.. Voleva dimenticare, rifarsi una nuova vita, lontana da Parigi, con la persona che più amava.

-Sì…- rispose voltandosi verso di lui. Con un nodo che le serrava la gola e le lacrime agli occhi dall’emozione.

-Ti sono mancato?- chiese lui con un sorriso beffardo sul volto. Lei sorrise nel vederlo.

-Sì, molto, mio Febo!!- rispose riscuotendosi da quello stato intorpidito e stupito, per lasciare spazio alla sua solarità, appena riconquistata alla vista del suo amato. Lui sorrise.

-Che ci fate tutta sola fuori Parigi, bambina mia?- disse senza cercare di nascondere una certa voluttà.

-Camminavo…- rispose lei –e mi sono persa…- riprese lei.

-Posso riaccompagnarvi in città, se lo gradite.- ribatté lui, sfoggiando tutta la cavalleria di cui era capace. A tanta dimostrazione di cavalleria, la gitana arrossì, e annuì, afferrando saldamente il braccio che l’uomo le stava offrendo. Un soldato e una zingara. Per lei non c’era niente di più logico al momento. Febo era più grande di lei, ma non così vecchio come il prete. La sua armatura rifulgeva splendente ai raggi del sole, donando una gioia immensa alla piccola zingara. Non sapeva perché, ma stare con Febo la rassicurava. Era tranquilla, non solo perché lui era il suo amato e l’aveva cercata in lungo e in largo, dando così prova del suo cieco amore; anche perché sapeva che, finché sarebbe rimasta al suo fianco, le guardie non le avrebbero torto un solo capello. Lui non l’avrebbe permesso.

Con lui stava bene, lo sentiva. Non poteva sentirsi meglio di sì. Il cuore era palpitante e dopo giorni, mesi di totale buio, con Febo era tornato anche il sole. Era come se la vita fosse tornata a scorrerle nelle vene… La paura provata in quei pochi giorni di libertà, di incontrare quel prete a ogni angolo della strada, che una volta trovata avrebbe potuto… Continuare a cercare di averla, ormai senza alcun controllo, la terrorizzava, finché, tornata a casa, al sicuro, non tirava un sospiro di sollievo. Ora tutto quel timore era scomparso, con la gioia e la conferma della sua speranza, che Febo era vivo e che il prete le aveva mentito, in carcere.

 

                                                                            ***

 

Febo, dentro di sé, sorrideva. Molto presto l’avrebbero elevato di grado. Perché come aveva promesso alla zingara, la stava sì, riportando in città, ma non le aveva precisato ancora quale sarebbe stata la destinazione. Ciò non significava che lui non lo sapesse: le segrete del Palazzo di Giustizia. L’avrebbe fatta rinchiudere lì, e questa volta niente avrebbe impedito alla zingara di finire al patibolo. Nessuno poteva attentare alla sua vita senza pagare. Non importava chi fosse e perché l’avesse fatto (anche se al capitano il movente sfuggiva ancora!), doveva pagare, ed era disposto a tutto pur di farsi giustizia. Ignorando ciò che la zingara ancora, nonostante tutto, fosse in grado di suscitare in lui, continuò per la sua strada, trascinandola dietro con sé.

La giovane non aveva ancora realizzato dove stessero andando, quando oltrepassarono le porte della città e le vie, man mano che si avvicinavano alla cattedrale, all’Ile de Cité, sempre ingombre di banchetti delle botteghe, i carretti che passavano, trainati da muli o asini e poi le carrozze nobiliari, trainate da eleganti cavalli purosangue.

 

                                                                           ***

 

 

 Lei si guardava intorno, cercando di riconoscere la strada che l’avrebbe riportata a casa da sua madre, il poeta Pierre e dalla sua Djali, che quel giorno aveva deciso di rimanere con il suo padrone. Come sarebbe stata contenta sua madre di conoscere finalmente l’uomo di cui tanto lei le parlava! Finalmente avrebbe visto quanto bello e gentile era, e avrebbe smesso di difendere quel prete maledetto, infernale, che la desiderava.

Era talmente felice ora, finalmente, dopo tutti quei mesi di terrore, che poco importava dove stessero andando, l’importante, almeno per la giovane zingarella, era stare insieme. Voleva solo questo. Un dubbio la assillava, però non ebbe il coraggio di aprire bocca. E invece di pensare al peggio, cosa che in qualunque altra situazione avrebbe fatto (soprattutto in compagnia del prete!) la Esmeralda pensò, da ragazza ingenua e innamorata che si stessero dirigendo a casa sua, del suo bel capitano.

-Mi state portando a casa vostra?- chiese lei, ingenuamente.

-Vicino a casa mia... se non ti dispiace..- rispose non più gentile come prima, facendo scaturire un moto di sorpresa in Esmeralda. Perché ora si comportava così?

-N..no…- farfugliò lei confusa.

 

                                                                                ***

 

Febo, dal canto suo, era stanco di voler fingere con quella strega, bellissima strega. Voleva semplicemente consegnare la fanciulla, vederla sulla pubblica piazza e essere aumentato di grado, in modo tale da poter sposare la bella Fleur-de-Lys. Da quando la zingara era sfuggita per la seconda volta, alla giustizia, era più irrequieta del solito, e sospettava che lui centrasse qualcosa nel fatto che fosse sfuggita alla giustizia.

Doveva farla morire. Non poteva permettere che fosse macchiato il suo onore di capitano delle guardie. Se voleva essere qualcuno, doveva dimostrare che niente e nessuno poteva prendersi gioco di lui, soprattutto una zingara accusata di stregoneria.

Erano ormai arrivati di fronte al maestoso palazzo, severo e austero, quando dovette fermarsi e voltarsi verso la sua accompagnatrice.

-Qualcosa non va?- chiese lui sornione, un malvagio ghigno dipinto sul volto.

 

                                                                          ***

-Perché… mi avete portato qui?- chiese lei spaventata. In effetti era in quello stato di pensieri da quando aveva visto il profilo del minaccioso palazzo rivelarsi da lontano. Non aveva capito perché si stessero dirigendo là, finché il profilo non si era materializzato nella facciata, con le sue porte di bronzo e ferro, quelle pesanti porte che per mesi le avevano vietato di vedere il suo sole.

-Perché voi mi avete ferito, zingara. Mi hai pugnalato quasi mortalmente e non ho alcuna intenzione di far passare l’azione impunita. Chi commette un crimine, deve pagare. E per quanto tu, con il tuo visetto grazioso possa piacermi.. devo far rispettare la legge. Sono il capitano degli arcieri del re. Devo rispettare per primo la legge, se voglio che gli altri lo facciano. Quindi ora vieni con me per pagare le tue colpe.- concluse Febo di Chateaupers in tono duro. Lei sgranò gli occhi.

-No! Io non vi ho fatto niente! Credetemi. Come avrei potuto farvi del male? Voi siete tutto per me! Il mio sole, la mia vita… Io vi amo, Febo, come non è umanamente possibile. Perché mai avrei dovuto pugnalarvi in quella stanza? Io.. Lo so di essere stata trovata accanto a voi, ma… io non vi avrei mai potuto fare del male! Lo giuro sulla mia vita!- disse lei, disperata, con le lacrime agli occhi. Non aveva fatto niente per meritarsi tutti quei mesi di prigionia e tortura.

 

                                                                                   ***

 

–Se non sei stata tu, chi è stato allora?- aveva chiesto il capitano guardandola diffidente. Che cercasse di discolparsi, era un cliché, una scena già vista e rivista. Però quella ragazza sembrava sincera. Era una zingara, però già solo per la propria bellezza e giovane età (infatti non aveva mai incontrato una zingara bella e giovane allo stesso tempo!) dubitava che potesse essere falsa come gli altri. La ragazza, alla sua domanda aveva titubato a lungo, come se ci fosse qualcosa che la turbasse. E per questo lui non aveva esitato a farle pressione.  –Allora? Si può sapere chi è stato se non tu?- chiese lei.

 

                                                                              ***

Esmeralda titubava. Doveva raccontare proprio tutto quello che sapeva al capitano? Doveva consegnare un uomo alla giustizia? Non sapeva se sarebbe stato giusto, cosa avrebbe detto Clopin se fosse stato lì. Però sapeva chi era l’uomo in questione, e cosa le aveva fatto patire. Quel prete maledetto, che odiava con tutta se stessa. Che aveva commesso un crimine e poi l’aveva accusata. Che l’aveva fatta torturare e le aveva fatto quella proposta indecente nella cella. Che, anche se non l’aveva consegnata alle guardie, continuava a guardarla con la stessa lussuria e lo stesso desiderio che gli aveva visto negli occhi quel mattino nella cella. Si sentì terribilmente in colpa. Ma fu più veloce di lei, le parole le sfuggirono di bocca ancora prima di poterle frenare.

-Il prete maledetto.- rispose lei per poi raccontargli tutto ciò che lui le aveva raccontato. –è stato lui, io non c’entro niente, mio Febo. Credimi.- rispose lei.

 

  
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