Crossover
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Autore: Registe    12/09/2012    3 recensioni
Seconda storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone". Sono passati tre anni dagli avvenimenti narrati ne "Il Castello dell'Oblio", e i membri dell'Organizzazione hanno perduto gran parte dei loro poteri e sono ridotti a vagare per il loro mondo primitivo come vagabondi o ladruncoli qualunque. Auron e Mu invece si sono uniti alla Resistenza contro il Grande Satana, anche se Auron non e' ancora riuscito a dimenticare la breve storia d'amore vissuta con Zachar tre anni prima. Nella Galassia Mistobaan, ancora sotto l'influsso del condizionamento, e' diventato il fedele braccio destro dell'Imperatore. Ma il Grande Satana non intende rimanere a guardare, e tentera' con ogni mezzo in suo potere di riprendersi il suo servitore...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 11 - Si alzi il sipario!


Axel

Axel




“Guarda e ammira!”
Axel fissò il kunai, giallo nella scarsa illuminazione del laboratorio. Larxen lo teneva ben stretto tra le punte dei suoi stivali, piegandole in su ed in giù per dare all’arma la direzione e la forza corretta; il cuore del n. VIII mancò un battito quando gli sembrò che la Ninfa perdesse il controllo del kunai, e quella per tutta risposta gli regalò uno dei suoi peggiori sorrisi. I movimenti di lei erano limitati da un sottile campo di forza che si vedeva a malapena dalla capsula piena di acqua in cui Axel si trovava; il loro carceriere sembrava uno gnomo, ma non era per niente idiota, rifletté, cercando di ignorare la presenza soffocante dell’acqua su tutto il suo corpo. Poi lei lo lanciò verso l’alto: Axel seguì la traiettoria e vide l’arma superare la barriera energetica, attraversandola con un crepitio inquietante tra mille scariche azzurrine.
Poi uscì dal campo, e fece tutto quello che alle armi di Larxen riusciva meglio. Un casino.
Sul soffitto del laboratorio vi erano diverse sfere, che il n. VIII notò solo in quell’istante: fluttuavano in aria, composte da un materiale sottile come il vetro che lasciava trasparire il loro contenuto, per lo più erbe, liquidi, frammenti di osso o altre cose dalla dubbia utilità. Erano di diversi colori e grandezze, e quando si spostavano e si urtavano mandavano un tintinnio sordo che era certo di aver udito anche nelle ore che aveva trascorso in quella prigione d’acqua. Axel si pentì immediatamente di non conoscere a fondo il contenuto della grande, verde e luminosa sfera posta proprio un metro sopra il tavolino di Larxen: il kunai la colpì con precisione, e dopo ci fu solo un accecante lampo verde ed un urlo stridulo di donna che si levò dall’origine dell’esplosione.
L’attimo successivo qualcosa di tagliente si conficcò nel suo addome, qualcos’altro nella gamba destra ed un ultimo frammento per poco non gli portò via l’occhio destro; il sangue non gli coprì la visuale, perché si ritrovò a faccia in giù in una pozza d’acqua, con attorno i resti della capsula che lo aveva tenuto prigionieri. Bestemmiò tra i denti, poi d’istinto cercò la scheggia infissa nel braccio e la lanciò lontano “Larxen, maledetta puttana, ti giuro che …”
“Tappati la bocca, roscio, o ti rimetto a testa in giù in un’altra capsula!”
Si rimise in piedi a fatica, appoggiandosi al minuscolo tavolo pieno di libri borchiati che troneggiava nella stanza, cercando qualcosa con cui fermare il sangue della fronte che ormai gli era arrivato fin sulle labbra, per poi premersi l’addome nel punto in cui il frammento della capsula si era piantato. Le ennesime cicatrici della sua vita. Come se non bastassero quelle che gli avevano regalato Saïx e Roxas.
A dispetto dell’esplosione la Ninfa Selvaggia era tutta intera, e guardava soddisfatta il pandemonio creato dalla sua manovra evasiva: le sfere più vicine a quella esplosa dovevano aver reagito con la stessa, ed una aveva preso fuoco mentre l’altra aveva creato una seconda esplosione, meno intensa ma abbastanza vicina ad un set di provette in miniatura per mandarle in mille pezzi e far cadere uno strano liquido ambra sulle mensole; per un attimo Axel si ricordò dell’incursione della ragazza nel laboratorio di Vexen anni prima, e si chiese se avesse un sadico piacere a distruggere ciò che apparteneva agli scienziati. Con un colpo di tacco Larxen spaccò una capsula posta sulla parete del laboratorio in cui quello Zaboera aveva inserito le loro armi per studiarne le proprietà elementali. Riuscire ad afferrare il primo chackram con la mano sinistra, ma il secondo gli giunse troppo lontano ed incendiò uno dei pochi mobili superstiti.
Guardò dubbioso la grande falce dalla lama rosa di Marluxia: “Non avrai intenzione di portarti dietro quel peso inutile, vero?”
“Niente è inutile se può fare un po’ di danno, Axel. Ed io ho seria intenzione di farne un bel po’ a cominciare da quella lì”.
Impugnò l’asta verde scuro della falce in modo goffo e rivolse la punta verso la figura che giaceva immobilizzata sul lettino accanto al suo e che aveva scosso con violenza la testa e le braccia durante le esplosioni di qualche istante prima. Axel aveva riconosciuto in lei l’Invocatrice tavola-da-surf, ma da quando era stato rinchiuso in quel cilindro d’acqua aveva perso qualsiasi interesse in tutto ciò che non fosse una boccata d’aria; la ragazza era stata uno dei tanti tasselli che avevano causato la rovina del loro piano al Castello dell’Oblio, e pur essendo una valida maga non era un problema finché rimaneva lì ferma, il n. VIII lo aveva sperimentato sulla sua pelle. Ma conoscendo Larxen non stava puntando la falce verso l’Invocatrice perché la considerava un pericolo, piuttosto perché aveva bisogno di un nuovo divertimento.
Provò a spiegarle che con tutto quel baccano non c’era tempo di mettersi a giocare, ma fu liquidato con un “Axel, se continui ad annoiarmi tu sarai il primo e lei la seconda” dopo il quale lasciò perdere e cercò di tamponarsi le ferite con tutto quello che trovava. Si accese una candela grigia che era rotolata in un angolo e la appoggiò sulla ferita dell’addome, confidando sulle proprietà positive che il fuoco aveva sul suo corpo; negli anni da elementale aveva scoperto che non solo ridava molte forze perse, ma stimolava una guarigione più rapida. Se fossero arrivati dei nemici (e sarebbero arrivati in capo a qualche minuto se conosceva l’efficienza dei demoni) era meglio non farsi trovare del tutto indeboliti e vendere cara la pelle; ma soprattutto per trovare abbastanza energie da uscire di lì, Larxen o non Larxen.
La Ninfa Selvaggia iniziò la sua risata sadica e lui si voltò da un’altra parte, fissando fuori dalla finestra per vedere se ci fosse una via di fuga dall’esterno.
Si pentì di averlo fatto quando la porta esplose in centinaia di schegge e riconobbe l’odioso grugnito prima ancora di voltarsi. I demoni sarebbero stati preferibili …
“Levale le mani di dosso, brutta puttana!”
“Giusto, giusto, è proprio come nelle fiabe!” disse la n. XII “La bella principessa è prigioniera dei cattivi, e quando loro la vogliono uccidere arriva l’eroe a salvarla!”
Ecco, Larxen, spero che tu ricordi anche come vanno a finire di solito le fiabe …
Era la seconda volta che Auron veniva a salvare l’Invocatrice, ed entrambe le volte aveva dipinta nell’occhio la voglia di distruggere tutto quello che aveva davanti, con una rabbia che invece la Ninfa non aveva. Non rimase a lungo sulla porta, perché in tre passi aveva sguainato la spada (che anni addietro Vexen aveva avuto la geniale idea di renderla resistente agli incantesimi) e si era messo tra il lettino della maga e la gigantesca falce rosa.
“Non pensavo proprio di ritrovarvi qui … no davvero … bene, vorrà dire che unirò l’utile al dilettevole. Fatevi avanti, se avete il coraggio!”
Per me potremmo anche lasciargli l’Invocatrice ed andarcene di qui, ma ho come il sospetto che Larxen non sia dello stesso parere. Lei infatti appoggiò la falce al muro ed estrasse i kunai, facendoli brillare di tutti i fulmini che poteva; il mercenario non era affatto turbato, sicuro dei poteri della sua arma, e si mise immobile davanti alla sua bella in attesa dell’attacco dell’avversaria, proprio come un possente muro attendeva l’infrangersi dell’onda. In tutto questo, notò Axel, nessuno badava a lui. Nessuno dei tre tagli che si era procurato aveva avuto la gentilezza di chiudersi, e la gamba aveva conosciuto situazioni migliori; la fiamma con cui si era curato aveva avuto un effetto blando e in quel momento non si sarebbe sentito di affrontare nemmeno il piccolo dolce Mu disarmato, figurarsi quel bestione furioso armato di spada che vanificava ogni suo incantesimo. Dall’altra parte non gliene importava nulla di Larxen.
O almeno, non abbastanza da rischiare la vita per una delle sue follie.
Auron era concentrato solo sulla ragazza e adesso dava le spalle alla porta, e conosceva la Ninfa Selvaggia abbastanza bene da sapere che quando sentiva l’odore della battaglia e del sangue avrebbe potuto risorgerle il resto dell’Organizzazione sotto i piedi e non si sarebbe accorta di nulla. Con delicatezza scivolò a destra approfittando delle ultime fiamme che consumavano ciò che restava di una libreria, ricordando le volte che si era intrufolato nelle palazzi dei nobili per fare man bassa di qualche sacco di denaro. Grazie al cielo negli anni non aveva mai perso il suo piede leggero.
Larxen non perse tempo e circondò il mercenario con una catena di fulmini che teneva sospesa nella mano destra, e quello fu costretto a rispondere roteando la spada con un unico, lungo fendente che trasformò le saette in una cascata di scintille tutte intorno alla propria lama che si illuminò.
“Bravo soldatino, proprio quello che volevo!”
Per difendersi Auron aveva disegnato nell’aria una parabola con la Masamune, e quando la punta di questa era rivolta verso il basso Larxen balzò in avanti “Forse non sei condizionato, ma sei sempre un povero ingenuo!”
Prima che l’altro si rimettesse in posizione di guardia lei gli era già addosso; il duello sarebbe durato pochissimo se Auron non si fosse abbassato in tempo, evitando la mano sinistra della donna con i suoi quattro Kunai dritti alla faccia. Poi sollevò il braccio destro e diede una gomitata alla Ninfa Selvaggi proprio a livello dello stomaco: al sibilo furioso di lei Axel capì che nessuno avrebbe più fatto caso a lui. Abbandonò ogni precauzione, strinse con forza i chackrams ed atterrò oltre la porta distrutta, dando fuoco alle schegge di legno per coprirsi il passaggio.
Poi si lanciò nel corridoio con tutte le forze che aveva.
Doveva andarsene di lì e subito: i demoni non gli avrebbero dato una seconda occasione, non era nella loro natura perdonare, men che mai immedesimarsi in un prigioniero che desiderava solo la propria libertà. Non aveva la più pallida idea di dove andare, soprattutto perché il Baan Palace era a centinaia di metri dal suolo, e lui non aveva né i poteri di Xigbar né quelli di un demone né un comodo paio di ali. Ma un modo ci doveva pur essere e l’avrebbe trovato, anche a costo di nascondersi per mesi interi tra i mobili della fortezza volante in attesa di un’occasione.
Ma comunque se Auron era venuto senza inviti doveva pur essere salito in qualche maniera e lui ne avrebbe approfittato; lo gnomo scienziato che li aveva imprigionati aveva parlato di un attacco nemico, e ne avrebbe potuto approfittare cercando di usare il meno possibile la magia visto che i demoni sembravano quasi fiutarla.
I rumori di sottofondo davano l’idea che ci fosse una battaglia ai piani più bassi, e uno stormo di demoni volò fuori dalla finestra che aveva alla sua sinistra, ma nessuno fece caso a lui. Si appoggiò contro un muro per riprendere fiato ed appoggiò le mani ad un braciere che illuminava il percorso. La sensazione del calore ardente sotto le mani gli diede nuove energie, e stava per riprendere il percorso quando qualcosa lo tirò per la tunica.
“Ehi, tu, spilungone!” Axel era stato chiamato in tanti modi, ma mai in quello. Non era mai stato molto alto. Eppure quando si voltò capì: uno strano esserino non più alto del suo ginocchio si era aggrappato al bordo dell’abito e lo scuoteva per attirare la sua attenzione. Non aveva le orecchie a punta dei demoni ma una testa piccola e chiara con un unico occhio che lo fissava da sotto un cappello a punta “Ehi, guarda che stai sbagliando strada!”
Il primo istinto gli avrebbe suggerito di scrollarsi di dosso quella bambolina deforme e continuare a correre, ma quella gli rivolse un sorriso disarmante ed agitò la mano libera in segno di saluto; Axel diede un’occhiata alle proprie spalle e quando fu certo che non ci fosse nessuno in arrivo si piegò verso il nuovo arrivato. Quello lasciò il suo abito ed improvvisò qualche saltello su un piede solo rischiando di scivolare nella sua tunica fin troppo larga “Bravo umano, bravo umano, non di là! Ci sono delle cose brutte davvero, cose mooooolto brutte, sì sì!”
Non sembrava minaccioso: i membri della famiglia demoniaca erano famosi per non saper fingere, e se quel minuscolo essere avesse voluto fargli del male avrebbe già chiamato le guardie; dopo aver finito il suo ballo la creatura fece un goffo inchino e si levò il cappello.
“Cosa vuoi da me?” disse Axel. Piccolo o meno, non abbassare la guardia era una priorità, ma date le dimensioni avrebbe potuto benissimo agguantarlo per il collo e trasformarlo in un mucchietto di cenere se qualcosa fosse andato storto “Hai intenzione di aiutarmi?”
“Ma certo! Non sarebbe bello se i demoni ti trovassero! Ti farebbero tanto male, lo sai?”
“E perché dovrei fidarmi di te?”
Il grande occhio sembrò riempirsi di lacrime “Oh, lo spilungone non si fida di me! E io che volevo invitarti ad uno spettacolo di primo ordine!”
“Uno spettacolo?”. Adesso la cosa iniziava a sfuggirgli di mano. Non aveva alcuna voglia di vedere uno spettacolo di quello gnomo rattrappito, men che mai quando il GSB era a pochi piani da lui: l’unica cosa che gli interessava in quel momento era andarsene “Spiacente, ma devo uscire di qui!”
“Ma l’unico modo per uscire di qui è partecipare al mio spettacolo!”
“Che cosa …?”
“È ovvio!” fece quello, rivolgendogli un sorriso ancora più dolce “È lo spettacolo della tua morte!”
Axel non fu abbastanza rapido. A quelle parole provò ad agguantare la creatura per il collo, ma quella fece un balzo sorprendente sulla sua spalla e la sua risata fu qualcosa di ridicolo e inquietante allo stesso tempo. Dal cappello estrasse una carta, e prima che l’elementale del fuoco riuscisse a scrollarselo di dosso quello gli aveva toccato la fronte con l’oggetto.
Fu avvolto da uno sbuffo di fumo viola e giallo e quando cercò con la mano il piccolo mostro non agguantò altro che aria, e starnutì più volte per la sensazione pungente che quelle volute di fumo davano nelle sue narici e trattenne il respiro. Quando riaprì gli occhi fece appena in tempo a scansarsi che un kunai gli passò vicino all’orecchio.
“Axel, brutto roscio, che sta succedendo?”
“Succede che non sta bene che i prigionieri del Grande Satana fuggano in questo modo”.
A quella voce tutti si voltarono. La stanza era ridotta ancora peggio di quando l’aveva lasciata, e nemmeno una delle sfere colorate fluttuanti era rimasta intatta: Auron aveva la tunica quasi a brandelli ma era ancora immobile davanti all’Invocatrice, che adesso però si era seduta sul lettino e si stava divincolando per distruggere i sottili tentacoli che ancora le avviluppavano le caviglie. Da parte sua, Larxen era ancora più elettrica del solito, in piedi in mezzo a pozze di liquido non ben identificato che mandavano scosse e piccole folgori al passaggio di lei. Ma in quel momento tutti erano immobili, persino la Ninfa, davanti al nuovo arrivato. Era vestito di nero dalla testa ai piedi ed indossava una maschera come quella dei mimi, con un grande arco sopra la testa da cui pendevano dei ciondoli; impugnava una falce e Axel mandò un sibilo quando vide il piccolo gnomo con un occhio solo comparire in una nuvola di fumo sopra la spalla del nuovo venuto. Gli fece addirittura un cenno di saluto con la sua manina accompagnato dallo stesso sorriso affabile di qualche attimo prima.
“Ehi, Killvearn, sono stato bravo, vero? Piro Piro, Piro Piroro!”
“Assolutamente sì, Piroro!” fece quello, con una voce strana, dal tono alto, quasi buffa se veniva da un essere dall’aspetto minaccioso “Ma il merito è anche della Kill-Trap che hai usato!”
“Oh, sì, le tue Kill-Trap sono sempre le migliori, Killvearn! Tu sei il più grande! E io sono molto fiero di essere il tuo assistente!”
L’Invocatrice alla vista di quelle creature lanciò un grido “Sono quelli che hanno rapito me e Mistobaan!”
Quello lì … ha rapito Mistobaan?
La situazione stava sfuggendo di mano alla velocità della luce. Quel Killvearn passò la sguardo su loro quattro, ed anche se non poteva vedere il suo volto era certo che qualcosa in loro lo divertisse “Mistobaan? Quel sempliciotto? Il GSB gli dà troppa importanza secondo me, ma chi sono io per dire al nostro onnipotente signore cosa fare? Ma veniamo al nostro spettacolo …” la creatura sulla sua spalla mise per la seconda volta la mano nel cappello e stavolta ne trasse un mazzo di carte intero e glielo mise nella mano libera “Quattro ospiti eh? Non capita tutti i giorni un pubblico simile!”
Perfino Larxen sembrava interessata alla creatura con la maschera visto che ancora non era partita all’attacco; eppure Axel pregò che qualcuno, fosse anche la Ninfa Selvaggia o Auron, facesse la mossa per primo, perché non era sicuro di voler sperimentare una seconda volta i trucchi di quel tetro prestigiatore e del suo irritante assistente.
“Li ucciderai tutti insieme, Killvearn? Tu potresti farlo, Killvearn! Una quadrupla sparizione sarebbe un numero sensazionale per te che sei la Morte!”
“Ma non è nel mio stile, Piroro! Perché fronteggiare tanti avversari insieme quando si possono distruggere uno ad uno con calma? Questo mi darebbe il tempo di ideare qualche nuovo trucco!”
“NON CI AFFRONTI INSIEME PERCHE SEI UN VIGLIACCO, BRUTTO MASCHERONE DALLA LINGUA LUNGA! E io che credevo che voi demoni foste onorevoli!”
Eccellente, Auron, distrailo!
Voi demoni? Oh oh, ci deve essere un piccolo malinteso! Purtroppo per voi io non sono un demone-onorevole-coraggioso-leale! Per queste idiozie chiamate quella testa granitica che è il Grande Satana” scelse una carta dal mazzo e la passò davanti agli occhi “Io sono Killvearn, la Morte, e non penso che a voi servano altre informazioni. Godetevi il mio cinque di fiori!”
L’attimo dopo Axel perse il terreno sotto i piedi.


Mistobaan fluttuava a mezz’aria, avvolto in una piramide azzurra che levitava anch’essa al centro della grande prigione. I suoi occhi, di solito simili a dei fari gialli sotto l’inquietante cappuccio bianco, erano spenti; Zexion però riusciva a sentire in lui la coscienza e tutte le attività vitali e cerebrali in perfetto stato, e se il Braccio Destro aveva chiuso gli occhi lo aveva fatto solo per aumentare la sua concentrazione.
Zexion sapeva che la famiglia demoniaca possedeva diversi sistemi per intrappolare e controllare altre creature magiche, ma non aveva mai immaginato che potesse essere così … delicata. Quando da bambino gli parlavano della famiglia demoniaca quei racconti erano sempre accompagnati da racconti di gente che spariva nel nulla, o di maghi privi delle dovute licenze che venivano giustiziati senza alcuna pietà. Le prigioni dei demoni erano sempre descritte con un misto di paura e disprezzo, e più di una volta Xigbar e Xaldin discutevano delle atrocità che la famiglia demoniaca poteva compiere dentro le mura delle celle. Eppure dopo essere stato all’Impero Galattico ed aver visitato più di un blocco di detenzione i suoi concetti di raccapricciante e orribile avevano preso una diversa piega. Grazie al suo olfatto Zexion conosceva bene la reale natura di Mistobaan e sapeva che il Grande Satana non lo avrebbe mai danneggiato in ogni caso, ma comunque anche gli odori che provenivano dagli umani imprigionati nelle celle vicine non si avvicinavano minimamente a quelli percepiti nei penitenziari di Carida o di Tatooine.
Appoggiato dietro una colonna, protetto dal sempre eccellente abito dell’Organizzazione, il ragazzo si lasciò guidare dagli odori della stanza e dall’energia magica che si intrecciava in quel punto: per contenere l’essere incappucciato l’incantesimo di guardia era stato eretto dal Grande Satana in persona e quella presenza imponente ancora permeava il luogo con i frammenti della sua aura. La piramide era stata pensata innanzitutto per fronteggiare l’essere che vi era imprigionato dentro, ed ai suoi vertici cinque globi quasi evanescenti pulsavano, apparivano, scomparivano ed alternavano la loro posizione.
“Accumulatori …” mormorò tra sé. Sfere magiche che assorbivano magia e la rilasciavano in altra forma, piccoli artefatti che nessun umano del loro mondo aveva mai visto; se Mistobaan non stava ancora lottando disperatamente per uscire voleva dire che quel delicato sistema di difesa aveva sfiancato persino la sua leggendaria ostinazione. Gli odori disegnarono davanti ai suoi occhi la potente rete incantata, e forse l’unico punto debole della prigione del più grande demone maggiore era il fatto che fosse predisposta più per impedire a Mistobaan di uscire piuttosto che bloccare un eventuale gruppo di salvataggio “Come se arrivare fin lì fosse facile …”
Una pattuglia di almeno trenta soldati del Fushikidan, il corpo d’armata al servizio del generale Hyunkel, pattugliava i numerosi metri che separavano la sua colonna da Mistobaan: erano esseri raccapriccianti, cadaveri di esseri umani che invece di decomporsi avevano tratto nuovo spirito vitale dalla magia della famiglia demoniaca. L’odore di marcio che proveniva dalla squadra gli fece tornare in gola quelle poche barrette proteiche che aveva inghiottito prima di partire.
Era difficile distinguerli uno dall’altro: quegli scheletri animati non indossavano altro che delle armi, e solo su un paio rimanevano dei brandelli di carne putrefatta attaccata al cranio insieme a quelli che un tempo erano stati capelli. Le orbite erano vuote e non vi erano orecchie attaccate alla testa, ma Zexion sapeva che i soldati del Fushikidan vedevano, sentivano ed annusavano grazie alla magia e molto meglio di qualsiasi essere umano.
I racconti di paura che circolavano all’Impero Galattico pullulavano di mostri simili a quegli scheletri: zombie, così venivano soprannominati. Erano cadaveri che di notte uscivano dalle loro tombe per razziare villaggi ed uccidere umani, ma erano sempre molto stupidi e il protagonista del racconto (di solito un valoroso soldato con l’emblema dell’Impero stampato sugli abiti) li uccideva in un attimo con qualche grande diavoleria tecnologica.
Zexion detestava quelle storie.
Lì, nel suo mondo, quei mostri erano tutt’altro che stupidi “Altrimenti arrivare a Mistobaan sarebbe un gioco da ragazzi …”
Il blaster assicurato ai suoi abiti non gli dava alcuna sicurezza: con l’aiuto della fortuna avrebbe potuto ucciderne due o tre, ma quelli lo avrebbero disarmato subito dopo. Ai servizi segreti gli mostravano spesso i filmati di quell’eroe della Terra I chiamato James Bond che si trovava sempre in situazioni simili e ne usciva vittorioso. Giusto negli olomovies …
Rampini, miniblaster, occhiati rifrangenti, vibrolame modificate con frequenze subsoniche, decriptacodici nucleari, niente che aveva nelle sue tasche sembrava adatto: l’unico oggetto utile era il detonatore termico P11 sfornato da nemmeno due mesi dai laboratori di Geonosis, e a differenza dei suoi predecessori era pensato per generare cariche dal potenziale distruttivo incredibile ma allo stesso tempo contenuto in un’area di nemmeno due metri di raggio. Non era stato pensato per abbattere tanti nemici, ma era utile contro obiettivi singoli da cui era difficile allontanarsi: sarebbe stato perfetto contro la piramide di magia di Mistobaan, ma prima avrebbe dovuto raggiungerla.
Il suo braccio non sarebbe mai riuscito a lanciarlo così distante.
Lo appoggiò sul fondo della tasca, poi gli balenò un’idea in mente.
Si allontanò di una decina di metri ed accese il comlink auricolare “Kaspar?”
La voce del mago gli arrivò dopo una sinfonia di scrosci, esplosioni e tutti quei suoni che accompagnavano dei duelli di incantesimi insieme alle grida dei suoi avversari “Kaspar, mi senti?”
“Affermativo”
“Usa la tua divinazione e rileva la mia presenza, sono ad un livello più basso del tuo. Continua a distrarre i nemici ma esegui la manovra 77 alfa 5 nel punto dove mi trovo”
“Affermativo”.
Parlare con Kaspar gli metteva sempre un po’ di soggezione: condizionato o meno era pur sempre Kaspar, e meno aveva a che fare con lui, meglio era. Ma stavolta aveva bisogno del suo aiuto.
Ritornò verso la colonna in attesa. La formazione degli scheletri non era cambiata, e marciavano a gruppi alternati di due o tre membri con i passi che avanzavano sul ritmo in contemporanea; quelli armati di lance scandivano il tempo picchiandole sul pavimento.
L’illusione di Kaspar comparve a pochi metri da lui con tanto di capelli al vento, mantello bianco e leggendaria scollatura: un essere umano privo del suo olfatto lo avrebbe scambiato per quello vero. Purtroppo il mago eccelleva in tutti gli incantesimi conosciuti (tranne la magia bianca), e Zexion fu felice di avere quell’illusione fluttuante come partner. Ma non è me che deve ingannare. Non poteva comunicare con essa, dunque tutto era alla portata dei poteri di Kaspar.
Il ragazzo tornò alla colonna e seguì il movimento della proiezione magica che lo superò ed arrivò a qualche metro dalla pattuglia di soldati più vicina con le mani che gli si illuminarono, la prima di un lampo giallo, la seconda di un globo azzurro. Le creature urlarono qualcosa nella loro lingua e le prime si avvicinarono alla figura con le spade protese in avanti mentre gli altri membri assumevano una formazione da battaglia. Zexion sapeva che l’illusione non poteva dar vita ad incantesimi reali, ma non era quello il suo obiettivo. Come concordato dalla manovra, il Kaspar fantasma levitò da terra di una decina di centimetri e fluttuò all’indietro nel corridoio da cui era venuto, mentre gli incantesimi posticci intorno alle sue dita aumentavano d’intensità. Gli scheletri spiegarono la posizione d’attacco e, come il ragazzo aveva sperato, partirono all’inseguimento.
Se lo avessero raggiunto si sarebbero accorti dell’inganno, ma gli sarebbero bastati due minuti per raggiungere indisturbato Mistobaan, innescare la carica e poi lasciare che fosse il Braccio Destro ad eliminare eventuali superstiti.
Il piano non faceva troppe pieghe.
Se non che, con suo sommo disappunto, solo metà dei soldati del Fushikidan abbandonò la stanza.

 

In piedi sulla ringhiera di marmo del balcone, Zam ascoltò la folata d’aria che annunciava l’arrivo del famoso Cavaliere del Drago.
Una volta stordite le creature di guardia e le loro cavalcature volanti in quel luogo regnava una certa pace: era così in alto che il frastuono della magia di Kaspar e dei suoi assalitori si era trasformata in un sottofondo accettabile, e le strida delle viverne erano al massimo dei fischi. Vi erano luoghi più alti di quello per fronteggiare il Cavaliere, ma le altre terrazze erano più esposte agli occhi della famiglia demoniaca e non aveva alcuna intenzione di trascinarsi dietro l’altra metà dell’Esercito del Grande Satana che non era ancora impegnata contro Kaspar.
Il punto era stupendo: era stata su grattacieli di Coruscant anche più alti, ma da quella posizione riusciva a vedere la terra sotto di lei, il disegno del fiume di quel mondo ed anche un bel lago. E’ proprio vero che l’altezza offre una grande sensazione di potere.
Se quei demoni potevano vivere così lontani dagli uomini era comprensibile il loro senso di onnipotenza.
L’attesa non durò che qualche minuto: la figura che si avvicinava muovendosi di spalle al sole, rapida più di qualsiasi drago, doveva essere proprio la persona che aspettava. Dalla sua forma umana non poteva percepire alcun potenziale magico, ma bastava osservare il suo volo per capire che l’avversario era dotato di un potere abbastanza grande da non temere nulla di ciò che era intorno a sé. Capì di aver attirato la sua attenzione quando l’essere mutò la sua traiettoria e si abbassò nella direzione del balcone rallentando il volo. A dire il vero dal modo con cui il piccoletto col ciuffo aveva parlato del Cavaliere del Drago si era aspettata qualcosa di più … grosso? Mostruoso? Che sputava fuoco?
L’essere che si fermò in aria ad una decina di metri da lei aveva l’aspetto di un essere umano di mezza età: non aveva né ali né una lunga coda avvolta a spirale, soltanto un mantello corto e verde che non gli scendeva oltre la vita e non gli conferiva quell’aspetto estetico e misterioso di cui Kaspar aveva spesso abusato. Non aveva zanne o artigli, perché ai piedi indossava comuni stivali scuri che sorreggevano gambe anch’esse umane, e dalla pelle che poteva osservare non spuntavano squame. Ma il viso era la cosa più singolare: l’occhio sinistro era avvolto da un diadema dorato che, da quella distanza, ricordava le fauci di un drago, e le sopracciglia nere erano incurvate in un’espressione che non ammetteva repliche.
Eppure un aspetto così semplice ma solenne era interrotto dal più folto paio di baffi che avesse mai visto: neri, lucidi, attraversavano dritti le guance del proprietario e gli conferivano un aspetto ancora più anomalo. Un bell’uomo, tutto sommato.
Si accorse di star osservando da troppi secondi dei particolari insignificanti del suo avversario e cercò di fissarlo in maniera più distaccata, certa che anche l’altro stesse facendo il medesimo ragionamento. Abbandonò con l’ultimo sguardo la forma di drago dell’elsa della spada ed iniziò i giusti convenevoli “Lei è il Cavaliere del Drago, suppongo”
Gli lasciò del tempo per avvicinarsi ed osservarla: lui le puntò gli occhi scuri contro, come a volerla spaventare con la sua mera presenza. Zam incrociò lo sguardo e non lo staccò, costringendolo a fissarla per vari secondi pur di non abbassare gli occhi e darsi per sconfitto. Si rifiuta di abbassare lo sguardo … bene, ho capito che tipo di avversario è.
La migliore qualità.

“Solo gli esseri umani fanno supposizioni su ciò che è già evidente” fece lui. Il tono di voce era forte e profondo; poteva ricordare lo sfregare d’aria nella gola di un drago quando ruggiva per esalare il fuoco, ma aveva sentito voci assai più minacciose “Questo vi classifica per natura come esseri inferiori”.
In nemmeno due battiti di cuore sulla punta del diadema comparve un baluginare sinistro.
“Sparisci!”
Reazione prevedibile.
L’onda d’urto colpì in pieno balaustra, terrazza e parte della muratura che sosteneva l’intera struttura; quando mutò in Lich per deviare l’energia fu colpita in pieno non solo dalla forza sprigionata da quell’attacco, ma dall’aura emanata da quell’essere nel semplice levitare lì sopra. Nella propria forma umana non era in grado di avvertire le spire ed il potenziale magico dell’avversario, ma i suoi sensi Lich percepirono tutto come un muro di duracciaio spinto con violenza contro il suo petto. Mosse le mani e spinse la propria rete di incantesimi contro l’energia pura e grezza che le veniva incontro, e creò un guscio protettivo intorno a lei che spinse il colpo nemico intorno e poi dietro, come un guscio in un fiume. Ma di certo non aveva modo di rispedire l’attacco al mittente. Il ragazzino dei servizi segreti non aveva esagerato nella descrizione, dopotutto.
Sebbene avesse scelto una creatura con un alto potenziale magico tra quelle a sua disposizione si rese conto che non era sufficiente; ma per quello che aveva in mente aveva bisogno di qualcosa di piccolo e maneggevole, e piuttosto che mutare in un Balrog mantenne quella forma per un’altra manciata di secondi mentre l’energia prodotta dal diadema del drago continuava nella sua violenza. Sibilò le parole necessarie in quella bocca decadente e marcia che non aveva mai considerato come sua, poi lasciò che l’Esplosione Solare attingesse a tutte le energie. Se esco intera da questa situazione non mi lamenterò mai più di quanto schifo mi faccia questa forma…
L’impatto la lasciò senza fiato: senza più il guscio di difesa l’aura del drago la spinse contro la parete alle sue spalle, ma l’effetto finale ne valse la pena. L’Esplosione Solare generò un’energia luminosa che deflesse la maggior parte della forza avversaria in mille raggi di luce violenta: un paio completarono la distruzione della balconata, altri portarono con loro metà di una torre, ma la maggior parte del grande ventaglio luminoso rimase nell’aria per il tempo previsto.
“Fatti servire, Cavaliere del Drago!”
Lasciò svanire la pelle di Lich ed in un attimo si ritrovò a quattro zampe, non troppo lunghe ma agili, e la lunga coda da Suubatar le diede la prima spinta contro la torre alla sua destra; il corpo flessuoso da rettile rispose in un lampo ai suoi ordini, e grazie ad un unico, tortile movimento, della schiena evitò un frammento di muro volante e si appoggiò sulla parete prevista. Poi un secondo salto in alto, poi corsa, corsa e salto negli ultimi istanti di vita dell’Esplosione Solare.
Osservò la figura nemica di sfuggita e prese l’ultima rincorsa, mantenendosi salda soltanto con la pianta simile ad una ventosa delle sue zampe; quando raggiunse l’ultimo piano abbandonò la presa sui mattoni e saltò indietro. L’energia del Cavaliere del Drago e del proprio incantesimo si era quasi dissolta, e l’ultima vibrazione spazzò via anche le poche mattonelle ancora appoggiate alla terrazza; dalla sua posizione più alta osservò il bersaglio e riprese la normale forma umana.
Il volo fu di quasi cinque metri, ma la posizione era perfetta. L’enorme spallaccio del Generale le fornì un punto abbastanza largo per atterrare con i polsi e con un unico movimento scivolò sull’oggetto e vi si mise seduta: il Drago impiegò qualche secondo a rendersi conto di dove lei fosse.
“Adesso ho diritto a qualche minuto della sua attenzione?”




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Fonte della fanart a inizio capitolo: http://browse.deviantart.com/?qh=§ion=&global=1&q=axel+maevachan#/d21lwak
  
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