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Autore: Belinda Nero    12/09/2012    3 recensioni
Si alzò di scatto. Corse verso le tele appese al muro, tutte opere compiute dal giovane che alla luce della rivelazione acquisivano nuova simbologia. Spaventato si rivolse al suo ritratto, lo prese tra le mani e lo gettò a terra.
“Io non sono così!” urlò a se stesso. Poi calpestò il dipinto: incredibilmente la tela non si sporcò affatto. Il nero pigmento che ovunque il ragazzo aveva utilizzato, si amalgamò perfettamente con la sporcizia che la suola del maestro avevo sparso sulla ruvida trama del tessuto.
Si sentii smarrito. L'espressione dell'uomo ai suoi piedi rifletté la sua.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I l  R i t r a t t o

L'allievo era un ragazzo molto silenzioso.
Amava osservare gli stessi oggetti per ore ed in questo dimostrava una caparbietà inusuale. Poteva rimanere affascinato dai dettagli più semplici della vita quotidiana e riservare a loro un'ammirazione senza confini.
Il giovane aveva imparato ben presto a dipingere. Il suo rozzo talento non era niente di comune e nulla che avesse mai visto prima in un artista: possedeva qualcosa di immaturo, come un frutto destinato forse a non maturare mai e qualcosa di ruvido, come il bozzo di una farfalla incapace ad evolversi.
Era una semplice sensazione, ma ogni giorno il ragazzo ritraeva il mondo sulle sue tele e vagamente in quei dipinti il maestro riscontrava un miglioramento: indipendentemente dai suoi insegnamenti e da quanto il giovane fosse attento alle sue lezioni, non progrediva mai. Forse non desiderava farlo.
Applicava le tecniche imparate senza esitazioni, eppure l'attimo dopo, immerso nel suo universo di dolce silenzio, tornava al consueto pennellare deciso e al contempo spazientito.
Usava colori cupi e tonalità opache, occasionalmente alternate a gialli mischiati al nero: produceva così un beige che si sarebbe detto melmoso e denso come acqua di palude.
L'allievo era un ragazzo che nella sua esistenza aveva dovuto affrontare numerosi problemi e gravi episodi: tuttavia non si era mai arreso e nella suprema Arte aveva trovato la sua pace.
Vederlo dipingere era come ammirare un uccellino costruire il nido: il frenetico muoversi delle sue piccole dita, come le ali della creatura piumata, l'incessante fremito delle setole del pennello sulla tela e il morbido mescolare dei pigmenti sulla tavolozza in un unico colore, come unici diventavano gli elementi che componevano insieme un nido.
Il giovane sorrideva spesso e in quella sua espressione si coglieva la spensieratezza fanciullesca; eppure i suoi soggetti rivelavano sempre una nota di malinconia e tristezza.
Credeva il maestro che i suoi dipinti fossero lo specchio più fedele del suo allievo e sapeva che la felicità apparente del ragazzo non avrebbe mai potuto mascherare anche la sua creatività: essa sgorgava direttamente dal suo cuore ferito.
Sebbene più volte gli avesse suggerito temi diversi, il maestro non aveva mai imposto la sua volontà all'allievo: aveva compreso che tramite la pittura, il ragazzo riusciva a purificarsi dai pensieri più tetri che riempivano la sua anima. Era esattamente come risciacquare il pennello nell'acqua corrente: quella si riempiva di scarto e lo trascinava con sé, ma le setole tornavano pulite e pure.. o quasi: sempre appena tinte di nero, un colore difficile da lavar via.
Anche quel pomeriggio il suo allievo stava dipingendo. Lavorava concentrato, incapace di distogliere gli occhi dalla sua mano e dal tratto nero che tingeva la tela. Aveva realizzato uno sfondo giallino come di consueto, ma tanto chiaro da essere quasi impalpabile, l'alone sfuggente di un sogno o di un incubo. Al centro spiccava un ovale sgraziato dai bordi spessi e ripetuti: agli occhi dell'osservatore quella forma diventava tanto più un muro impenetrabile quanto il ragazzo continuava ad enfatizzarne i limiti geometrici.
Nel farlo socchiudeva gli occhi e mugugnava tra sé e sé: appariva insoddisfatto o al contrario, divertito. Il maestro non sapeva intuirlo.
Poco sotto la sommità dell'ovale, con un gesto veloce del polso, il ragazzo definì un tratto curvilineo. Cambiò pennello e lo intinse di grigio. Riempì l'ovale di pennellate tremolanti, sovrapposte, goffe. Non c'era niente in quell'opera che suggerisse lo studio dei grandi pittori del passato. Anni di storia venivano spazzati ora dal blu disposto disordinatamente all'interno dell'ovale, sulla destra rispetto all'osservatore.
Cosa desiderava realizzare? La risposta giunse in fretta quando in quel lavorio il maestro vi scorse la forma di un viso: dapprima un naso, poi occhi cerulei ed infine su uno sparuto ocra, la bocca nera dal labbro inferiore prominente.
Un'ora più tardi il giovane artista aveva concluso la sua opera che appariva così accorata da commuovere: eppure in essa c'era una forza agghiacciante, qualcosa di oscuro e travolgente. Lo sguardo di quell'uomo ritratto comunicava un infelice emozione, ma la sua bocca mostrava i denti digrignati ed in questo dettaglio il maestro trasse le sue conclusioni.

C'è della violenza. Nell'uso del colore, nella pennellata, nei bordi spessi. C'è della tristezza. Ma soprattutto, c'è della solitudine. E' così che ti senti? Sei tu quello che hai dipinto?”
Solo allora il ragazzo si voltò. Lo fece con calma, come se ogni singolo muscolo del suo corpo avesse bisogno di tutta la calma necessaria per fissare la sua attenzione dalla tela al maestro.

No” replicò sorridente “siete voi, maestro”.
L'uomo rimase basito. Fece vagare lo sguardo dal suo allievo alla tela e poi ancora al suo allievo. Con voce insicura gli domandò “e perché mi avresti ritratto così?”.
Entusiasta, il ragazzo indicò il suo lavoro “perché è così che siete” rispose convinto.
L'attimo dopo si allontanò dallo studio, lasciando il maestro solo; egli si sedette sulla comoda poltroncina vicino alla finestra, ma non smise di fissare quel dipinto.
Fu un'inaspettata consapevolezza quella che lo colse impreparato in un turbinio di emozioni.
Il ragazzo non aveva mai ritratto i sentimenti aleggianti nel suo animo! Il ragazzo non aveva mai usato l'Arte per sfogarsi. Quel giovane fanciullo sapeva andare oltre l'apparenza, sapeva rischiarare il visibile ed illuminare l'invisibile; tuttavia poteva persino indagare i sentimenti umani?
Si alzò di scatto. Corse verso le tele appese al muro, tutte opere compiute dal giovane che alla luce della rivelazione acquisivano nuova simbologia. Spaventato si rivolse al suo ritratto, lo prese tra le mani e lo gettò a terra.

Io non sono così!” urlò a se stesso. Poi calpestò il dipinto: incredibilmente la tela non si sporcò affatto. Il nero pigmento che ovunque il ragazzo aveva utilizzato, si amalgamò perfettamente con la sporcizia che la suola del maestro avevo sparso sulla ruvida trama del tessuto.
Si sentii smarrito. L'espressione dell'uomo ai suoi piedi rifletté la sua.
Non rivide mai più il giovane allievo.


   
 
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