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Autore: ele_lele    13/09/2012    1 recensioni
Beatrice ha venticinque anni, un contratto a tempo determinato come traduttrice e ha abbandonato nel cassetto il sogno di essere la stella del teatro. Quando, quasi quattro anni prima, aveva deciso di prendere un appartamento da condividere con i suoi amici Lollo e Charlie mai si sarebbe aspettata una vita fatta di risate e felicità, lei che conosceva solo la grigia monotonia di casa. Tanto da restarne assuefatta.
Lorenzo è il classico studente sfaticato che ha più amici che voglia di lavorare, patito per la forma fisica e che fa strage di cuori con i suoi sorrisi mozzafiato.
Infine c’è Charlie: sorriso timido e braccia muscolose, una latente incertezza e la paura di cambiare che accompagnano ogni suo gesto. Anche la scelta consapevole di iniziare una nuova vita lontano dai suoi amici più cari, nonché coinquilini.
Gli ultimi giorni della convivenza prima della partenza di Charlie sono sempre più forzati e portano alla luce le parole non dette negli anni, i rancori serbati e gli amori covati. Tanto che si vedranno tutti e tre costretti a rivedere i termini della loro amicizia e a combattere per quello che vogliono davvero.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Maturità di Calibano CORRETTO

Capitolo I

La Maturità di Calibano

 

 

Chi ti vuole bene conosce quattro cose di te:

 il dolore dietro al tuo sorriso, l’amore dietro alla tua rabbia,

 le ragioni del tuo silenzio… E dove soffri il solletico.

Penauts // Snoopy

 

 

 

 

 

 

Maturità.

C’era stato un tempo, non troppi anni addietro, in cui aveva attribuito alla parola maturità il significato di terrore,  abbinandola quasi meccanicamente alla parola “classica”. Quando poi, il fatidico quinto anno del liceo era passato senza intoppi se non un’eccezionale perdita di peso nella settimana degli esami, aveva sempre cercato di tirarla fuori in ogni discorso.

Lei, che aveva conseguito la maturità classica, era ormai una persona matura.

E, come tale, aveva condotto gli anni all’università, laureandosi nei tempi prestabiliti, cercando di dare sempre il massimo come ci si aspettava che una persona matura e adulta come lei facesse. E sempre da persona matura aveva accettato di buon grado di non poter avere il lavoro per cui aveva sfacchinato giorno e notte sui libri per anni a causa della crisi; aveva ringraziato di avere venticinque anni e un lavoro come traduttrice che le permetteva, alle soglie del suo compleanno, di poter vivere in un appartamento relativamente lontano dalla famiglia e ancor più relativamente in pace.

Per questo, quando si sentì rivolgere per l’ennesima volta quell’accusa, le venne naturale storcere il naso.

Sei immatura

Adorava il suo migliore amico, anche se  certe volte gli avrebbe volentieri tirato una scarpa in testa.

“E la cosa peggiore è che sai di essere immatura e non ti importa un cavolo”.

Una di quelle con tanto di tacchi spropositatamente alti e le borchie, giusto per essere chiari.

“Stai lì, a piangerti addosso come le ragazzine lagnose”.

Chissà se uccidere qualcuno con una scarpa era punibile dalla legge o sarebbe riuscita ad uscirne indenne mostrando le sue doti seduttive magari camminando sull’arma del delitto davanti alla giuria. Possibilmente senza cadere o rischiare di rompersi una caviglia…

“Lucy, Lucy, cosa devo fare con te? Ricordi il buon proposito di quest’anno? ‘Essere coraggiosa’ avevi detto. Invece ti stai comportando come una bambinetta che resta attaccata alle gonne della mamma per paura… di cosa?”

“Io non ho paura”.

Replicare al resto avrebbe significato ammettere che aveva dimenticato deliberatamente il suo buon proposito per quell’anno che ormai volgeva al termine e che effettivamente si stava comportando in modo sciocco e infantile. Avrebbe preferito amputarsi un braccio piuttosto che dargli ragione.

“Lucy” la chiamò gentilmente, sorridendole in modo rassicurante.

Si sarebbe gettata volentieri addosso al petto del ragazzo, scolpito dagli anni di pesi in palestra combinata a quelli di danza, ma si trattenne cercando di ricacciare indietro le lacrime che rischiavano di bagnarle le guance da un momento all’altro.

“Lollo, sto bene. È solo un momento, passerà.”

Passerà.

Se l’era ripetuto troppe volte anche se alla fine non era mai passato.

Lui se ne sarebbe andato e l’avrebbe lasciata a sprofondare nel suo più grande incubo: una vita da sola.

Una vita in cui lui sarebbe stato felice senza di lei, più sereno e spensierato e dove non avrebbe sofferto di emicranie per il suo continuo chiacchiericcio.

Lollo le credé o per lo meno finse di farlo, annuì e le sfiorò con le dita la spalla in una carezza rassicurante che le fece venir voglia di gettarsi al suo collo e di sfogare il pianto a stento trattenuto.

“Come vuoi tu. Io faccio un centrifugato di sedano, carote e pompelmo rosa. Ne vuoi un po’?”

“Preferisco morire di sete che bere un’altra volta una delle tue schifezze e stare poi male per giorni e giorni.”

“Esagerata. Solo perché quella volta non ho fatto caso ad un numeretto!” si giustificò roteando gli occhi al soffitto.

“La ricetta diceva tre gocce di tabasco. Tu ne hai messe trenta.”

“Capirai, quante storie per due gocce in più. Era un concentrato di cetriolo solo un po’ più saporito, senza contare che il piccante è un potente afrodisiaco.”

“Sì, quando non rischia di farti secco o di lasciarti con il sedere rosso come quello di un babbuino per una settimana…”

Ricordava la sgradevole sensazione di non riuscire più a mettersi seduta e le risate sguaiate di Lorenzo, abituato da sempre al piccante, che la guardava come se fosse veramente un animale da circo. Ci mancava solo che le tirasse le banane...

“Se ti consola, non camminavi in modo diverso rispetto a quando indossi un perizoma.”

Lo strillo indignato che fece probabilmente gli comunicò che no, la cosa non la consolava affatto. Anzi, ben lungi dal rassicurarla, le fece venire ulteriori paturnie.

“Pensi che anche gli altri si accorgano di quando ne indosso uno?”

“Se per altri intendi lui, no. È più cieco di una talpa quando si tratta di certe cose.”

“O quando si tratta di me…”

Capì di aver fatto centro quando lui non replicò nulla ma le diede le spalle per inserire i pezzetti di sedano nella centrifuga e ottenerne il succo.

Lorenzo era così: la persona migliore che conoscesse, però non sapeva dare brutte notizie. Si era laureato dopo di lei pur di non dover affrontare le bocciature agli esami, e quelli che aveva dato, nel corso della sua carriera universitaria, aveva finito a superarli quasi sempre per il rotto della cuffia. Tranne quello di linguistica italiana e pochi altri, quando lei gli aveva fatto una testa così che, per disperazione, doveva aver immagazzinato tutto fino a prendere un trenta, facendo rimanere tutti stupefatti.

“Bea?” la stava guardando con il bicchiere pieno di un liquido dalla dubbia commestibilità in mano. Doveva averla già chiamata e dal tono si disse che probabilmente l’aveva fatto più di una volta.

“Mi sono incantata un attimo. Che c’è?”

La risata che gli gorgogliò in gola era calda come le sue mani che le sere di tristezza l’abbracciavano accogliendola nel suo letto per non farle soffrire la solitudine del proprio.

“Se non ti ‘incantassi un attimo’ non saresti Beatrice, credimi, e se non ti irritassi e offendessi per ogni minima sciocchezza, proprio come stai facendo ora, non ti saresti guadagnata il soprannome di ‘Lucy’”.

“Sì, però il mio Schroeder non è innamorato del suo pianoforte, ma di una ragazza in carne ed ossa e con tanto di capelli rossi. E poi non capisco perché chiami me Lucy quando sei tu che dispensi consigli spesso non richiesti…”

“Non è ovvio? Perché tu sei bisbetica e antipatica proprio come Lucille van Pelt! E ora capisco la tua mania di voler accentuare i riflessi rossicci che hai ai capelli. Non è voglia di piacerti, ma voglia di vincere! Se le cose stanno così, approvo in pieno!”

Si sarebbe aspettata di tutto da Lorenzo, eccetto questo. Come amico avrebbe dovuto dirle che era una stupida perché tentava di rivaleggiare a causa di un ragazzo come le ochette del liceo che aveva sempre sbeffeggiato con crudeltà, ed era finita a comportarsi proprio come loro, se non peggio.

Come ragazzo avrebbe dovuto ammonirla su come si sarebbe resa ridicola ai suoi occhi, mettendosi in mostra cercando di combattere una battaglia in una guerra che era già persa in partenza.

Infine, come uomo, avrebbe dovuto metterla in guarda dall’idea che, sempre lui, si sarebbe fatto di lei vedendola giocare le sue carte in modo così disperato e affannoso.

Come disperati e affannosi erano stati i suoi respiri ogni volta che c’era lui nei paraggi, che le si avvicinava troppo stordendola con il profumo aromatico della sua pelle calda.

Invece, non le disse niente di tutto ciò. Scrollò le spalle, scosse il capo e mosse il braccio come a scacciare una mosca e il risultato che ne uscì fuori fu la parodia di uno strano tic.

“Io ovviamente sono Snoopy. Ha classe ed è più famoso di Linus, Lucy e compagnia bella. E poi, come lui, capisco al volo sempre tutto.”

Evidentemente doveva esserci un fondo di verità in tutto ciò, si disse Beatrice. Altrimenti non si sarebbe alzato dal divanetto per sparire in camera, evitando così di prendere in testa la famosa scarpa col tacco.

 

 

 

Avrebbero dovuto chiarirsi, pensò con amarezza, mentre infilava la chiave di casa nella serratura difettosa del vecchio portone d’ingresso del palazzo, in cui abitava da quasi quattro anni.

Il portachiavi a ciondolo dei Findus, quello con Carletto, tintinnò, facendolo sorridere. Glielo aveva regalato Beatrice dicendo che lui non poteva non portare con sé il suo omonimo, unendo in una botta sola, in una parodia di un matrimonio, due finti addormentati e due finti magri: lui e la famosa mascotte dei Sofficini. Lei, ovviamente, aveva fatto la parte del prete.

“Toh, chi si vede. È tornato il grande attore!” lo accolse con un tono ironico Lorenzo non appena varcò la porta di casa.

“Charlie! Sei a casa!”

Beatrice era seduta sul divano e lo guardava stupita, le gambe allungate sui cuscini e i piedi fasciati in ridicoli calzettoni a fiorellini rosa. Doveva sicuramente sentire freddo, con solo addosso una maglietta a mezze maniche e dei pantacollant; tuttavia se anche fosse così, sembrava indifferente o troppo presa dai suoi pensieri per accorgersi della temperatura. Non che questa fosse tanto bassa, ma per lei, abituata a stare con le felpe fino a primavera inoltrata e a girare per casa con addosso una coperta di pile, essere a ottobre così scoperta doveva significare sfidare il gelo Polare.

“Non senti freddo?” le chiese, ignorando la sua esclamazione sorpresa e vedendola rabbrividire alla sua domanda. Ora che lui le aveva fatto notare quanta pelle scoperta avesse, sarebbe congelata in meno di un minuto.

Si sfilò la felpa con un movimento deciso e, prima di rendersi conto delle proprie azioni, già gliela aveva poggiata sulle spalle.

“Grazie.”

Non lo guardava. Brutto segno.

“Vado a farmi una doccia, sono sfinito.”

Sarebbe stato da sciocchi continuare a farsi del male. Magari una doccia calda l’avrebbe aiutato a prendere di petto l’intera situazione e a comportarsi da uomo.

“Troppo stress tornare a casa o è una reazione al troppo sesso?”

“Lorenzo!” Strillò indignata Bea.

“Beatrice. Charlie.” Chinò la testa verso di lui in un inchino strafottente e derisorio. “Ora che ci siamo presentati è cambiato qualcosa? Tanto per sapere, non è che ci chiederai di stenderti il tappeto rosso ogni volta che torni, eh? E magari fingerai di non conoscerci, eh Charlie?” sibilò furioso Lorenzo uscendo di casa e sbattendosi dietro la porta.

Lui rimase immobile, a sentire l’eco dei passi attenuarsi man mano che l’amico scendeva i gradini, finché non risuonò il suono secco del portone d’ingresso che veniva chiuso con forza.

Beatrice lo stava fissando, la coda sfatta e gli occhi marroni spalancati.

“Direi che non ha preso molto bene il mio trasferimento” le mormorò Charlie e la vide annuire impercettibilmente, prima di voltarsi per andare finalmente a rilassarsi sotto la tanto agognata doccia bollente.

 

Aveva fatto domanda senza pensare che avrebbero davvero potuto accettarlo a quella tanto prestigiosa scuola di recitazione e aveva accolto la notizia della sua ammissione troppo incredulo per condividerla con qualcuno.

Era nato tutto così, dalla perplessità che fosse tutto vero e non solo un sogno. Poi per forza di cose l’aveva detto a Georgina, la sua fidanzata e lei, chissà come, se l’era fatto scappare con la cassiera del supermercato che, guarda caso, aveva spifferato tutto alla madre di Lorenzo o a Lorenzo stesso - ancora non aveva ben chiaro quel passaggio - che si era tenuto tutto per sé lasciando all’oscuro Beatrice con l’intento più che evidente di far fare tutto il lavoro sporco a lui. Charlie avrebbe voluto che lei, che l’aveva sempre supportato a fare domanda, fosse stata la prima a saperlo, avrebbe voluto vedere la gioia e l’orgoglio nei suoi occhi, invece da giorni ci leggeva delusione e tristezza.

Lui l’aveva delusa e vivere con quel peso sullo stomaco si stava rivelando davvero troppo pesante.

Alla fine, anche lei doveva essere venuta a sapere della novità da qualcuno; Lorenzo gli aveva assicurato di non averle né detto né lasciato intendere nulla, fatto sta che quando lui però le aveva scritto un sms, troppo codardo per comunicarle di persona la novità, lei si era mostrata contenta ed esuberante. Esageratamente, tanto che lui, conoscendola meglio delle proprie tasche, non aveva impiegato molto tempo a capire il perché.

Era delusa. Forse di non essere stata la prima a saperlo o forse di averlo saputo tramite un impersonale messaggio; in quella decina di giorni in cui la notizia si era diffusa a macchia d’olio l’aveva vista così diversa che era arrivato ad uscire ancor prima del solito la mattina e tornare il più tardi possibile a casa, sfruttando alcune notti l’appartamento di Giorgina, pur non dover affrontare i silenzi che fino a poco prima erano riempiti dal cicaleccio di Beatrice.

Uscì dal box pensando alle parole da dire e si ritrovò poco dopo vestito a fissarsi allo specchio, ancora in cerca dell’ispirazione. Era un pessimo oratore, non sarebbe mai stato il Marco Antonio della situazione. Era lei che, se si gettava anima e corpo in una causa, era la vera attrice, capace di risplendere anche in silenzio. Le bastava un palco e un ruolo e smetteva di essere la sua Bea: diventava una Lady Macbeth, una Medea, una Giulietta, persino un magnifico Shylock e un mirabolante Calibano, la parte che lui l’aveva vista provare più volte e quella che portava fuori una Beatrice diversa da tutte le altre. Era il personaggio per il quale era costretta a giocare col dolore, affrontandolo e accogliendolo in sé, in quella parte maledetta che le si era appiccicata addosso e alla quale, volente o nolente, si era ritrovata a dare voce sul palco del teatro, prima di mettere da parte i sogni per anteporre la vita vera fatta di bollette da pagare, di un lavoro precario e di un futuro da costruire.

Sicurezza, certezza, consapevolezza. Grazie a lei, lui era riuscito a dare un calcio a tutte quelle parole astratte e aveva deciso di inseguire il suo sogno prima che fosse troppo tardi. Prima di arrendersi anche lui al suo Calibano.

Il faretto sopra lo specchio evidenziava le occhiaie nere sotto gli occhi e il viso leggermente più scarno rispetto ai giorni precedenti.

Così non andava, si ripeté Charlie mentre apriva la porta ed usciva dal bagno.

Dovevano assolutamente chiarirsi.

 

 

 

Lollo aveva ragione, ammise tra sé e sé Beatrice. E quando aveva deciso di chiamarla Lucy probabilmente aveva avuto un’illuminazione, perché lei era davvero antipatica e scorbutica e si pentì subito per come doveva essere apparsa agli occhi infossati di Charlie, scavati dall’insonnia e dalle preoccupazioni: una ragazzina che decideva di voler giocare a fare l’adulta ma, nel momento di dimostrare la sua effettiva maturità, si era messa a fare i capricci perché non poteva avere quello che voleva.

Che poi, aveva nuovamente ragione Lollo: che cosa voleva?

Se l’avesse saputo, se avesse avuto un Godot da aspettare, un obiettivo da raggiungere, una meta per cui combattere, sarebbe stato tutto mille volte più facile.

Aveva studiato Lingue certa che sarebbe diventata una professoressa di Inglese tuttavia la crisi e il taglio ai fondi del sistema scolastico l’avevano obbligata a ripiegare come traduttrice per studenti americani e a fare, di tanto in tanto, da interprete a conferenze che trattavano i temi più disparati: dalla medicina al futuro dei giovani, dall’economia all’ecologia passando per la meccanica e la letteratura.

Aveva finito per smettere di fare teatro, un po’ a cause della pigrizia un po’ nel tentativo di risparmiare pur di non dover chiedere nulla ai genitori, e aveva rinunciato anche ai vari corsi di dizione e di movimento scenico che tanto aveva elogiato nel corso degli anni e che aveva frequentato fin dal primo anno di università.

Così si era spenta, rinunciando all’unica migliore amica femmina che aveva per non doversi più mordere la lingua di fronte ai maltrattamenti che il fidanzato - un pallone gonfiato che lei stessa aveva visto poche volte che tuttavia le erano bastate per inquadrarlo - le riservava, trattandola come una ruota di scorta e dandola ogni volta per scontata, e rompendo una relazione fatta di alti e bassi con Nick,un ragazzo americano conosciuto nei primi anni della triennale che aveva continuato a sentire, costruendo un rapporto altalenante che le aveva provocato un dannoso bisogno di essere rassicurata su tutto, tanto lui l’aveva annientata.

Perdere Charlie adesso le avrebbe dato la botta definitiva.

“Bea.”

Il suo nome, sussurrato, la fece sobbalzare e si accorse di avere davanti il suo amico, uscito dal bagno e con i capelli ancora umidi per la doccia, che la fissava con uno sguardo penetrante.

“Io… credo che dovremmo parlare”. Una supplica che suonò alle sue orecchie come una bestemmia.

Parlare di cosa? Del fatto che la stava abbandonando come aveva promesso, giurato e spergiurato che non avrebbe mai fatto?

“Parla. Ti sto ascoltando.”

“Bea… per favore. Non è facile. Parliamo.” Ripeté, passandosi una mano nei capelli e scompigliandoseli con un gesto esasperato.

“Parla tu. Io non ho niente da dirti.”

Si stava comportando come una vera stronza e se Lorenzo non fosse uscito glielo avrebbe sicuramente fatto notare.

“Bea. Sei la mia migliore amica, lo sai…”

“Davvero? E dovrei saperlo? Perché io invece non ne sono certa, Charlie. Con gli amici si condividono gioie e dolori, ai migliori amici solitamente non si nasconde nulla, figuriamoci se si arriva a non parlarsi per giorni interi!”

“Sei arrabbiata, lo capisco. Posso solo dirti che mi dispiace. Tanto.”

“Lo so.” Distaccata, doveva rimanere impassibile e pensare a cose particolarmente tristi per impedire al sorriso di nascerle sulle labbra.

Era una cosa spontanea: lui le faceva gli occhi da cucciolo bastonato e lei non riusciva a impedirsi di sorridergli.

“E mi dispiace di aver rovinato la nostra amicizia. Davvero.”

“Lo so.”

Non le avrebbero mai dato la parte principale in uno spettacolo, sarebbe sempre stata quella con una o due battutine e nessuno si sarebbe mai ricordato il suo nome.

Non avrebbe più baciato Nick, assaporato quelle labbra morbide e sentito la sua barba pizzicarle la pelle.

Non avrebbe mai insegnato, sarebbe stata una precaria a vita, sempre a preoccuparsi di bollette e a cercare coinquilini con cui dividere le spese.

Maledizione, non stava funzionando! Non serviva a niente pensare tutte quelle cose, non sarebbe servito a niente! Le sembrò di vedersi dall’esterno: i capelli spettinati, la felpa di Charlie sopra ai pantaloni grigi che usava quando stava in casa, gli occhi lucidi e gonfi dopo giorni e giorni di pianti, Charlie seduto accanto a lei sul divano e lei con le labbra che si stavano per stirare in un sorriso solo per lui.

Così arrivò IL pensiero. Quello che le fece morire il sorriso prima ancora che spuntasse e che illuminasse il viso stanco del suo amico.

Lui avrebbe baciato un’altra. Quella sera e tutti i giorni a venire.

 

 

 

 

 


 

NOTE: 

Questa storia avrà un aggiornamento circa ogni 20 giorni: non posso aggiornare di più perché per me questo è un periodo pieno e perché sto aggiornando anche l'altra originale, 'All Summer Long'

Grazie alla fantastica Alice che mantiene sempre le promesse; a Stefania che ha la pazienza di una santa e a Mimmi, che mi lascia blaterare per ore e si emoziona quando le dedico un capitolo.

   
 
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