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Autore: skullrose    14/09/2012    5 recensioni
Il mondo aveva i denti e in
Qualsiasi momento ti poteva
Morsicare.
Doveva essere una giornata come le altre, aveva detto solo la notte prima alla sua migliore amica, doveva essere una semplice gita che tutto aveva, tranne che l’aria dell’escursione familiare pensava la dodicenne che seduta sui sedili posteriori, ascoltava l’ennesima canzone stroncata sul nascere dal continuo brontolare di suo fratello, fratellastro, direbbe lei con il solito tono inviperito di chi non accettava quell’unione.
Genere: Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Michiru/Milena, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Dispersa

Dispersa

 

 

Il mondo aveva i denti e in

Qualsiasi momento ti poteva

Morsicare.

[Stephen King, La bambina che amava Tom Gordon]

 

 

 

 

Doveva essere una giornata come le altre, aveva detto solo la notte prima alla sua migliore amica, doveva essere una semplice gita che tutto aveva, tranne che l’aria dell’escursione familiare pensava la dodicenne che seduta sui sedili posteriori, ascoltava l’ennesima canzone stroncata sul nascere dal continuo brontolare di suo fratello, fratellastro, direbbe lei con il solito tono inviperito di chi non accettava quell’unione.

Michiru Kaioh, primogenita di una delle famiglie più ricche e potenti del paese, stringeva al petto il suo zaino mentre con occhi carichi di astio, fissava nuovamente lo scambio di effusioni tra suo padre e quella donna che l’uomo si ostinava a farla chiamare madre. Non aveva nulla contro quella donna, non aveva mai provato odio verso qualcuno in verità, ma, l’unica colpa che la dodicenne le attribuiva, era quella di aver sfasciato una famiglia apparentemente felice; era consapevole che la sua prima famiglia era amorevole solo nelle occasioni mondane eppure non le dispiaceva, aveva imparato presto a fingere e a nascondere i suoi veri sentimenti adattandosi alla sua apparente famiglia felice.

In quel momento però, Michiru Kaioh, odiava profondamente quella donna dai lunghi boccoli biondi raccolti in una non meglio definita coda, che le dava un’aria sin troppo infantile, non che la sua età fosse poi così avanzata, aveva detto sua madre al telefono non poche settimane prima. Si era girata verso di lei, occhi verdi intelligenti e una risata talmente finta, che lasciava trasparire perfettamente le sue reali intenzioni; agli occhi di Michiru Kaioh, Henriette Justine –sono bella ho un figlio e ho sfasciato la tua famiglia- Kaioh, era la reincarnazione di una donna che non si faceva scrupolo a distruggere famiglie per arrivare più velocemente al suo scopo.

“Uffaaa! Manca ancora molto? Mamma sono stanco di stare seduto!”

Eccola, l’ennesima lamentela da parte di quell’inutile bastardo, come una sola volta l’aveva definito sua madre, del suo fratellastro. Era un ragazzino troppo piccolo per la sua età, doveva essere ormai abbastanza sviluppato e invece sembrava un ragazzino delle medie, a voler esser buoni, nonostante fosse un ragazzo che dalla prossima settimana, sarebbe stato uno studente del liceo.

Non che Michiru si ritesse superiore o altro, ma anche lei aveva cominciato a vedere quei dettagli che spesso sentiva uscire come veleno dalla bocca di sua madre.

Da quanto era seduta in quella macchina? Non sapeva dirlo con certezza, si era voltata un attimo e tutta la schiera di casupole era sparita e non si vedeva nemmeno in lontananza, al loro posto c’era un’enorme distesa di verde con chiazze scure qui e la e anche la neve, tanta tantissima dannata neve, avrebbe detto poche ore più tardi.

La sua stupida famiglia acquisita aveva deciso di fare un viaggio diverso dal solito, andiamo a scalare le montagne e a fare escursioni!  Aveva detto qualche mese prima Henriette con il suo solito tono festoso, nemmeno i bambini a Disneyland si comportano come lei aveva sputato sua madre alla notizia del viaggio di una settimana in Cina a…a fare cosa esattamente? A vedere stupide montagne, ammirare stupidi sassi e arrampicarsi su stupide pareti rocciose come stupidi alpinisti principianti nati in città, questo avrebbe presto pensato Michiru Kaioh e suo padre che si apprestava a scendere da quella macchina.

“Allora, prendete tutto l’occorrente, passeggeremo per quasi tutta la giornata e poi ci dirigeremo verso l’accampamento per l’ora di cena al massimo, l’indomani, ci sveglieremo…”

Michiru già non la ascoltava più, fissava un punto indefinito della montagna sperando che una valanga o una qualsiasi altra cosa sommergesse lei e la sua famiglia o che improvvisamente un qualsiasi ranger spuntato dal bosco li avvertisse di non addentrarsi per il sentiero per alcuni problemi.

Dovevo tacere! Altroché se dovevo tacere! Per quanto tempo avrebbe rimpianto quelle parole in quel posto desolato.

Neanche fossero dei militari, si erano messi in marcia verso quella che sarebbe stata la loro casa delle vacanze da lì a una settimana. Il cielo era sereno, niente nuvole, niente vento, niente di niente, era una pallosa, seccante rottura di palle come la definiva amabilmente suo padre, che preferiva di gran lunga starsene rintanato nel suo ufficio con l’aria condizionata e il bicchiere sempre mezzo pieno di whisky piuttosto che camminare con calzoncini e fottutissime sanguisughe volanti che gli ronzavano attorno in mezzo ad una landa desolata dimenticata anche da quel bastardo che ha creato il mondo.

Camminavano all’incirca da un’ora, suo padre e Henriette passeggiavano come una coppietta d’innamorati mentre lei e il suo fratellastro tenevano il passo dietro di loro; non si parlavano molto, anzi, era più corretto dire che non nutrivano nessun interesse l’una per l’altro. In silenzio dietro i cani in calore trecentosessantacinque giorni l’anno, camminavano lungo il sentiero segnato da cartelli che indicavano le varie diramazioni che di lì a poco avrebbero preso e che, per sfortuna di Michiru, non avrebbe ricordato tanto presto.

“Da questo momento in poi proseguiamo sempre dritti fino al bivio poi deviamo a…”

L’aveva fatto di nuovo, era più forte di lei, quando quella donna iniziava a parlare, il suo cervello le proiettava l’immagine della camera nella casa di sua madre, dove lei poteva starsene beatamente stesa sul letto parlottando ogni tanto con la sua migliore amica sulle cose più disparate.

“Senti un po’ questa Michiru! La prossima settimana ci sarà un festival, ci andiamo?”

“Mi dispiace…la prossima settimana sarò, in qualche parte sperduta della Cina con mio padre e la sua famiglia”

“C-Cina?!”

“Prometto che ti porterò un souvenir”

“E cosa? Una qualsiasi cosa presa in quel posto sperduto dove andrai? Che poi…dov’è esattamente questo posto sperduto?”

“Una montagna”

“Woah! Certo che tuo padre ti porta sempre in posti che tu ami eh?!”

“Visto?!”

Era un rituale per lei e Haruka prendere in giro suo padre e la sua famiglia, quel rituale che le sarebbe mancato da morire che si era svolto solo pochi giorni prima.

Senza volerlo, aveva rallentato la sua andatura e ben presto assorta nei suoi pensieri, la sua famiglia era completamente sparita dalla sua visuale.

E adesso? Calma Michiru, vedrai che li raggiungi in poco tempo.

Il sentiero non era per niente complicato, sembrava più una stradina di campagna con qualche pietra o radice qui e la, procedeva al piccolo trotto sperando di vedere la testa castana del suo fratellastro ma tutto quello che era riuscita a vedere era un bivio che portava in due posti completamente differenti e che lei non sapeva leggere.

Che cos’ha detto quella donna? Al bivio proseguiamo verso? Verso dove? Non possono essere spariti così, è vero che stanno amorevolmente amoreggiando come una coppia d’innamorati, ma almeno quell’inutile bastardo del mio fratellastro doveva accorgersi della mia assenza!

Aveva scelto di percorrere il sentiero sulla destra, che rispetto a quello sinistro, era più praticabile e soprattutto non aveva una serie di alberi morti tutt’intorno che intimorivano e non poco, la piccola dodicenne sperduta; camminava da diversi minuti ma della sua famiglia neanche l’ombra.

Non possono aver spiccato il volo! Forse è meglio se torno indietro e prendo il sentiero sulla sinistra. Mentre pensava e ripensava al momento migliore per tornare indietro, aveva sbattuto contro un enorme albero abbattuto probabilmente da un temporale; in quel momento aveva nella testa l’immagine di quel grosso cartello blu sbiadito con un piccolo simbolo giallo nel punto dove, più o meno si trovava lei in quel momento.

Senza pensarci troppo, aveva fatto dietrofront e involontariamente, si era messa a correre come un’ossessa, sperando di raggiungere presto la sua famiglia e di arrivare presto a quell’accampamento che in quel momento desiderava più di ogni altra cosa.

Nella sua corsa, era inciampata nell’unico ramo che aveva incrociato qualche momento prima, finendo con il cadere stesa a terra strisciando le mani e il viso sul terriccio ricoperto di pietroline, aghi di pino e qualcosa che lei non conosceva; a fatica si era messa a sedere sulle ginocchia soffiando sulle mani sbucciate e sporche, agli angoli degli occhi si erano già formate delle goccioline che lei aveva prontamente rispedito indietro sbattendo violentemente le palpebre, non avrebbe pianto né in quell’occasione né in altre.

Rialzandosi aveva dato una leggera pulita ai suoi vestiti con il dorso della mano e prima di proseguire, nella sua mente era balenata l’idea di tornare alla macchina e attendere suo padre, sicuramente manderanno qualcuno a cercarmi e appena mi vedranno accanto alla macchina, papà abbandonerà questa stupida montagna riportandomi a casa.

Fiduciosa della sua brillante idea, Michiru aveva dimenticato il sentiero sulla sinistra circondato da alberi morti e spaventosi e si era diretta, questa volta camminando normalmente, verso il sentiero che aveva percorso prima sperando di raggiungere presto la macchina e aspettare che qualcuno la trovasse. Camminava forse da diverse ore, ma il sentiero che stava percorrendo non l’era familiare, si guardava intorno sperando di riconoscere anche un solo punto di riferimento ma niente, tutto ai suoi occhi era sconosciuto.

Mi sono persa! Mi sono persa veramente! No no no e ancora una volta no! Non posso essere così pessimista, sicuramente tornando indietro troverò qualche cartello o qualcosa che mi è familiare! Sì farò così!

Si era voltata ed era tornata indietro, anche ripercorrendo la strada, nulla le sembra il sentiero che aveva preso con la sua famiglia, certo alcune diramazioni le aveva evitate per non addentrarsi troppo nel bosco o di perdere l’orientamento, ma non sapeva dire da quale di quelle era spuntata; una folata di vento, abbastanza gelida, l’aveva colta di sorpresa mandandole negli occhi, un po’ di terriccio secco che l’aveva accecata per qualche minuto mandandola a sbattere contro uno dei tanti alberi intorno a lei.

Aveva alzato gli occhi al cielo e aveva notato che il tempo era cambiato, in peggio anche, rispetto al suo arrivo, nuvole grigie cariche probabilmente di pioggia, si estendevano a perdita d’occhio; fantastico! Se viene a piovere sarà anche peggio tornare indietro.

Aveva ripreso la sua camminata non avendo la benché minima idea di dove si trovasse veramente, continuava a cambiare direzione, mentre dentro di lei un fortissimo senso d’inquietudine andava prendendo sempre di più il controllo della sua mente, oltre che del suo cuore.

Il suo stomaco aveva cominciato a reclamare cibo che non aveva, la brillante e stupida idea di suo padre di non portare nemmeno uno spuntino l’avrebbe resa debole in poco tempo. Non toccava cibo dalla sera prima, Henriette non aveva voluto fare la colazione e come se non bastasse, si era rifiutata, imponendosi anche su suo padre, di portare un pranzo al sacco. Giuro che se mai esco da questo bosco uccido quella donna!

Era arrivata davanti ad un altro bivio, non sapeva dire se stava salendo o scendendo la montagna, ma quel bivio le era in parte familiare; fissava le due uniche strade riportate sull’ennesimo cartello blu sbiadito memorizzando le varie diramazioni che avrebbe incontrato durante il cammino.

Il sentiero a sinistra ha solo due diramazioni, una che porta verso l’alto e una che porta verso il basso, anche se in questo momento non so bene se sto salendo o scendendo dalla montagna; il sentiero di destra invece, ha sei diramazioni che portano tutte verso l’alto e hanno tutte dei puntini gialli, forse è meglio non prenderle. Adesso io dove diavolo vado esattamente?

Fissava i due sentieri che questa volta erano identici, almeno fin dove riusciva a vedere, era tentata di andare a sinistra e prendere la diramazione che scendeva ma non sapeva com’era il percorso e soprattutto non riusciva più a capire se stava salendo o scendendo.

Alcune gocce fredde le si erano schiantate sul viso, era acqua mista a neve, veramente fantastico! Non aveva prestato molta attenzione al tempo e sicuramente nel punto in cui si trovava, non poteva certamente trovare riparo se non nel bosco poco distante, ma era un’alternativa che non voleva considerare almeno per il momento.

*

Erano all’incirca le nove di sera, Riuji Kaioh si era accorto solo in quel momento della scomparsa di sua figlia, erano arrivati all’accampamento da diversi minuti e per tutto il tragitto non si era reso conto che mancava qualcuno all’appello.

“Adrien possibile che non ti sei accorto che tua sorella non era al tuo fianco?”

“Calmati caro, è possibile che Michiru sia qui intorno”

“Come faccio a calmarmi? Mia figlia è sparita e tu te ne stai sbattendo altamente, per non parlare del fatto che siamo gli unici a essere arrivati qui e che il ranger non ha notato nessuna bambina!”

“I-io ho cercato di avvisarvi ma eravate troppo impegnati a fare la coppietta d’innamorati”

“Guarda l’hai spaventato! Vieni Adrien non ci pensare, va a metterti seduto e riposati”

Con la rabbia in corpo, Riuji era uscito dall’accampamento fissando il sentiero davanti a se che iniziava ad affollarsi di altri escursionisti che come loro si dirigevano verso l’accampamento.

“Scusatemi, avete per caso visto una bambina? Alta all’incirca un metro e cinquanta, capelli acqua marina e occhi blu? Ah portava anche dei jeans bianchi e una magliettina nera”

Non aveva ricevuto risposta da nessuno, nonostante avesse mostrato loro la foto che aveva nel portafogli, nessuno aveva visto la sua Michiru; era buio e il ranger aveva imposto di restare nell’accampamento mentre inviava una squadra di ricerca intorno alla zona, se Michiru era vicina, i cani l’avrebbero trovata in poco tempo.

*

Era consapevole che continuare a camminare al buio era una pessima cosa, ma non poteva continuare a starsene ferma davanti al bivio aspettando che qualcuno o qualcosa passasse di lì per aiutarla. Se solo non ci fosse tutta questa dannatissima pioggia mista a neve probabilmente riuscirei a orientarmi meglio.

Aveva imboccato la diramazione che andava verso il basso sul sentiero a sinistra, la vegetazione man mano che proseguiva, diventava meno fitta ma comunque svantaggiosa per una bambina di dodici anni stanca, sola e affamata.

Intorno a lei diverse querce secolari, avevano lasciato il posto ad alberelli soffocati già in partenza dal fitto sottobosco che andava via via a bloccare i movimenti di Michiru che si era ritrovare a fare l’ennesimo capitombolo sbattendo questa volta violentemente la testa contro un masso nascosto da alcune piante.

Non sapeva dire quanto tempo era passato, ma da quando aveva sbattuto la testa, le sue energie si erano ulteriormente dimezzate portandole continui capogiri dovuti alla ferita sulla testa e una sensazione di smarrimento sempre crescente a causa della scarsa visibilità e della pioggia in continuo aumento.

Dove diavolo mi trovo? Voglio la mia mamma e il mio papà.

Il crollo emotivo era inevitabile, dopotutto aveva solo dodici anni e lo stress a cui era sottoposta era troppo forte per lei nonostante fosse una bambina molto forte; si era rannicchiata accanto all’unico albero che poteva darle riparo dalla pioggia sempre più insistente, aveva tirato fuori dallo zaino il suo fazzoletto e l’aveva premuto contro la ferita che continuava a perdere sangue.

Senza rendersene conto, aveva cominciato a piangere, erano inutili i tentativi di sopprimere i singhiozzi e ben presto si era ritrovata a stringere le gambe al petto poggiando la testa sulle ginocchia, aveva cominciato a urlare sia per il dolore alla testa sia per essersi persa su una stupida montagna per una stupida escursione organizzata dalla sua ancor più stupida matrigna.

Ormai sono bella che finita, non ho cibo, non conosco le piante o i frutti che posso mangiare e ho una ferita alla testa che continua a perdere sangue; ho paura, sento continuamente dei rumori da qualche punto indefinito e non ho la minima idea di alzare la testa per controllare se qualche strano animale si è avvicinato a me con l’intento di mangiarmi. Sento freddo e non ho più la forza di muovermi, i miei occhi si stanno chiudendo sempre più spesso, forse farò un pisolino per riprendere energie.

*

Erano passate diverse ore da quando la squadra di ricerca era andata a perlustrare la zona, Riuji sedeva preoccupato davanti alla finestra mentre alle sue spalle la sua stupida moglie dormiva beatamente, batteva nervosamente il piede a terra tenendo le mani incrociate sotto il mento sperando di veder comparire presto la sua bambina.

Stupida montagna! Stupido fottuto viaggio in Cina! A quest’ora potevo starmene a casa con l’aria condizionata o a fissare Michiru che dormiva beatamente nella sua camera sempre troppo piena di pupazzi ringraziando qualsiasi Dio che mi aveva concesso l’affidamento!

Riuji era un uomo che non lasciava trasparire mai le sue emozioni, ma in quell’occasione non riusciva a trattenere la furia cieca che cresceva dentro di lui portandolo a lanciare diverse occhiate a sua moglie e suo figlio; si era alzato di scatto rovesciando la sedia all’indietro vedendo la squadra di ricerca rientrare nell’accampamento con il volto avvilito.

“L’avete trovata?”

“No signore, purtroppo è buio pesto, la pioggia è diventata insistente e gli odori si mescolano, nemmeno i cani riescono ad andare oltre!”

“Non me ne frega un cazzo dei vostri cani! Rivoglio mia figlia!”

Aveva ceduto alla rabbia alzando la voce, non era arrabbiato con la squadra di ricerca, era incazzato con se stesso per essere stato troppo occupato a fare la gastroscopia a quella puttana, come direbbe la sua ex moglie, per badare a sua figlia che in questo momento era dispersa chissà dove nei boschi.

Le immagini più raccapriccianti avevano invaso la sua testa portandolo a crollare in ginocchio mentre le lacrime scendevano copiose accompagnate da singhiozzi e pugni lanciati contro il pavimento in legno.

“Si calmi, all’alba riprenderemo le ricerche. Vedrà la troveremo”

Senza ascoltare una sola parola, aveva preso la torcia dalle mani dell’uomo davanti a lui e si era precipitato fuori dall’accampamento correndo in ogni direzione urlando con quanto fiato aveva in corpo il nome di sua figlia.

*

Qualcosa aveva urtato il corpo di Michiru che con un urlo si era risvegliata, al suo fianco era rotolato qualcosa che l’aveva spaventata a morte; il sangue aveva smesso di fuoriuscire mentre le sue energie si erano leggermente ristabilite, con molta fatica si era rialzata, la pioggia era cessata lasciando il posto alla neve che iniziava a scendere sempre più insistentemente coprendo le tracce del suo passaggio.

Intorno a lei i rumori si erano attutiti a causa della quantità di neve che si era poggiata, non voleva proseguire per il bosco ma era sicura di perdersi ulteriormente se tornava indietro. Tornare indietro! Certo come se potessi! Dove diavolo è finito il sentiero di poco fa?

Aveva aggirato l’albero proseguendo alla cieca, non riusciva a vedere niente, camminava molto lentamente tastando accuratamente il terreno coperto di neve, si era fermata un attimo sentendo molto lontano la voce di qualcuno ma non era sicura di averla sentita veramente.

Adesso ho anche le allucinazioni!

Continuava a proseguire per quella strada quando aveva messo il piede in fallo scivolando lungo una scarpata fratturandosi il piede sinistro che nella caduta si era girato verso destra e il braccio destro all’altezza del gomito. La sua caduta era stata arrestata da una sporgenza in mezzo al nulla, sotto di lei c’era solo il vuoto che continuava ancora per diversi metri.

Le urla di dolore si erano levate come il ruggito di un leone, le lacrime copiose le rendevano impossibile vedere le sue ferite, continuava a urlare con quanto fiato aveva in corpo fino a quando la stanchezza non aveva avuto la meglio su di lei facendola addormentare.

*

Riuji continuava a correre nel bosco con la luce della torcia che diventava sempre più fioca, continuava a chiamare sua figlia senza però ottenere risposta, era arrivato nei pressi di un burrone che sembrava sprofondare verso l’infinito.

Signore ti prego fa che non sia caduta, fa che non sia caduta!

Si era avvicinato cautamente e aveva puntato il raggio della luce fino a incontrare un piccolo corpo scomposto e senza pensare alle conseguenze, si era messo a scalare la parete rocciosa resa scivolosa dal ghiaccio fino a raggiungere il corpo di sua figlia.

“Michiru, piccola apri gli occhi ti prego”

La voce andava via via incrinandosi a causa del pianto, stringeva tra le braccia il corpo freddo di sua figlia vedendo l’osso del braccio che fuoriusciva e il suo piccolo piede girato in modo innaturale verso l’intero.

Un urlo, un solo urlo pieno di straziante dolore mentre si rendeva conto che non avrebbe più visto le sue guancie arrossarsi quando le faceva i complimenti, non avrebbe più visto quegli occhi blu così simili alla sua ex moglie che sembravano scaldargli l’anima con una semplice occhiata, non avrebbe più sentito la sua voce o la sua risata mentre giocava nel grande giardino di casa insieme alla sua amica Haruka.

Si era piegato su se stesso continuando a piangere e urlare maledicendo quella giornata e quella donna che era diventata sua moglie che aveva organizzato quella gita; un leggero movimento l’aveva fatto bloccare, il corpo di sua figlia si era mosso appena, i suoi occhi blu erano privi di vita e il viso era solcato oltre che dalle sue lacrime anche da quelle della sua bambina.

“Papà…”

A fatica gli aveva gettato le braccia al collo singhiozzando, l’uomo le accarezzava i capelli sentendo sempre meno il battito del suo cuore, l’aveva allontanata solo un attimo dal suo corpo caldo per guardare ancora una volta quegli occhi.

“Papà…ho tanto freddo…”

“Piccola mia, ti prometto che ti salverò, ti porterò via da questa montagna e torneremo dalla mamma, ma ti prego non chiudere gli occhi, non ora, non qui. Voglio diventare vecchio e stanco mentre ti guardo crescere felice e diventare triste e solo quando andrai a vivere per conto tuo”

“Papà…resterò sempre con te, so già che non uscirò da qui, ma io sarò sempre con te anche quando sarai vecchio e stanco…”

Ormai parlava a fatica, la stretta intorno al collo di suo padre diventava sempre più debole e i suoi occhi tornavano a chiudersi sempre più spesso.

“Papà…ti voglio bene…”

In un sussurro aveva detto le ultime parole contro il petto di suo padre che aveva continuato a stringerla e ad accarezzarle la testa fino ai primi raggi del sole mentre in lontananza sentiva la voce di sua moglie e della squadra di ricerca urlando il suo nome e quello della sua bambina.

“Guarda piccola, l’alba che a te piace tanto è arrivata, spero che la stai guardando anche tu come me…ti voglio bene figlia mia”

Le aveva baciato il capo prima di legare il suo corpo alla corda che gli era stata tesa e che l’aveva portato fuori da quel dirupo e da quella montagna.

 

 

 

Era da molto che non scrivevo qualcosa di buono o che comunque avrei apprezzato io in primis, chiedo scusa per la lunghezza ma non mi sentivo di spezzarlo in più capitoli, avrei subito perso interesse o rischiato di scrivere qualcosa di completamente diverso dall’idea iniziale che mi è venuta leggendo, come dice anche la nota in alto, La bambina che amava Tom Gordon di Stephen King. Il libro non l’ho finito sono ancora con la bambina persa nel bosco, ma mi sentivo in dovere di scrivere qualcosa sulla stessa base visto e considerato che nella mente avevo qualcosa di simile da un po’ di tempo ma non sapevo come organizzarlo.

 

Venendo alle parole usate, la frase “…landa desolata dimenticata anche da quel bastardo che ha creato il mondo.”  Non me ne vogliano i vari lettori, non ho mai pensato di cambiarla, sono le parole del padre di Michiru e soprattutto non vogliono insultare realmente qualcuno o qualcosa, tengo a specificare perché non vorrei mai far pensare chissà cosa.

Detto questo, grazie a chi leggerà, commenterà, inserirà la storia tra i preferiti/seguiti o ricordati, grazie anche a chi leggerà in silenzio la storia e in più ringrazio chi mi ha inserita tra gli autori preferiti.

  
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