Dispersa
Il
mondo aveva i denti e in
Qualsiasi
momento ti poteva
Morsicare.
[Stephen
King, La bambina che amava Tom Gordon]
Doveva essere una giornata come le altre, aveva detto solo la notte prima
alla sua migliore amica, doveva essere una semplice gita che tutto aveva,
tranne che l’aria dell’escursione familiare pensava la dodicenne che seduta sui
sedili posteriori, ascoltava l’ennesima canzone stroncata sul nascere dal
continuo brontolare di suo fratello, fratellastro,
direbbe lei con il solito tono inviperito di chi non accettava quell’unione.
Michiru Kaioh, primogenita di una delle famiglie più ricche e potenti del
paese, stringeva al petto il suo zaino mentre con occhi carichi di astio,
fissava nuovamente lo scambio di effusioni tra suo padre e quella donna che
l’uomo si ostinava a farla chiamare madre. Non aveva nulla contro quella donna,
non aveva mai provato odio verso qualcuno in verità, ma, l’unica colpa che la
dodicenne le attribuiva, era quella di aver sfasciato una famiglia
apparentemente felice; era consapevole che la sua prima famiglia era amorevole
solo nelle occasioni mondane eppure non le dispiaceva, aveva imparato presto a
fingere e a nascondere i suoi veri sentimenti adattandosi alla sua apparente
famiglia felice.
In quel momento però, Michiru Kaioh, odiava profondamente quella donna dai
lunghi boccoli biondi raccolti in una non meglio definita coda, che le dava un’aria
sin troppo infantile, non che la sua età
fosse poi così avanzata, aveva detto sua madre al telefono non poche
settimane prima. Si era girata verso di lei, occhi verdi intelligenti e una
risata talmente finta, che lasciava trasparire perfettamente le sue reali
intenzioni; agli occhi di Michiru Kaioh, Henriette Justine –sono bella ho un figlio e ho sfasciato la tua famiglia- Kaioh, era
la reincarnazione di una donna che non si faceva scrupolo a distruggere
famiglie per arrivare più velocemente al suo scopo.
“Uffaaa! Manca ancora molto? Mamma sono stanco di stare seduto!”
Eccola, l’ennesima lamentela da parte di quell’inutile bastardo, come una sola volta l’aveva definito sua madre,
del suo fratellastro. Era un ragazzino troppo piccolo per la sua età, doveva
essere ormai abbastanza sviluppato e invece sembrava un ragazzino delle medie, a voler esser buoni, nonostante fosse
un ragazzo che dalla prossima settimana, sarebbe stato uno studente del liceo.
Non che Michiru si ritesse superiore o altro, ma anche lei aveva cominciato
a vedere quei dettagli che spesso sentiva uscire come veleno dalla bocca di sua
madre.
Da quanto era seduta in quella macchina? Non sapeva dirlo con certezza, si
era voltata un attimo e tutta la schiera di casupole era sparita e non si
vedeva nemmeno in lontananza, al loro posto c’era un’enorme distesa di verde
con chiazze scure qui e la e anche la
neve, tanta tantissima dannata neve, avrebbe detto poche ore più tardi.
La sua stupida famiglia acquisita aveva deciso di fare un viaggio diverso
dal solito, andiamo a scalare le montagne
e a fare escursioni! Aveva detto
qualche mese prima Henriette con il suo solito tono festoso, nemmeno i bambini a Disneyland si comportano
come lei aveva sputato sua madre alla notizia del viaggio di una settimana
in Cina a…a fare cosa esattamente? A
vedere stupide montagne, ammirare stupidi sassi e arrampicarsi su stupide
pareti rocciose come stupidi alpinisti principianti nati in città, questo
avrebbe presto pensato Michiru Kaioh e suo padre che si apprestava a scendere
da quella macchina.
“Allora, prendete tutto l’occorrente, passeggeremo per quasi tutta la
giornata e poi ci dirigeremo verso l’accampamento per l’ora di cena al massimo,
l’indomani, ci sveglieremo…”
Michiru già non la ascoltava più, fissava un punto indefinito della
montagna sperando che una valanga o una qualsiasi altra cosa sommergesse lei e
la sua famiglia o che improvvisamente un qualsiasi ranger spuntato dal bosco li
avvertisse di non addentrarsi per il sentiero per alcuni problemi.
Dovevo tacere! Altroché
se dovevo tacere! Per quanto tempo avrebbe rimpianto quelle parole in quel
posto desolato.
Neanche fossero dei militari, si erano messi in marcia verso quella che
sarebbe stata la loro casa delle vacanze da
lì a una settimana. Il cielo era sereno, niente nuvole, niente vento, niente di
niente, era una pallosa, seccante rottura
di palle come la definiva amabilmente suo padre, che preferiva di gran
lunga starsene rintanato nel suo ufficio con l’aria condizionata e il bicchiere
sempre mezzo pieno di whisky piuttosto che camminare con calzoncini e fottutissime sanguisughe volanti che gli
ronzavano attorno in mezzo ad una landa desolata dimenticata anche da quel bastardo che ha creato il mondo.
Camminavano all’incirca da un’ora, suo padre e Henriette passeggiavano come
una coppietta d’innamorati mentre lei e il suo fratellastro tenevano il passo
dietro di loro; non si parlavano molto, anzi, era più corretto dire che non
nutrivano nessun interesse l’una per l’altro. In silenzio dietro i cani in calore trecentosessantacinque giorni
l’anno, camminavano lungo il sentiero segnato da cartelli che indicavano le
varie diramazioni che di lì a poco avrebbero preso e che, per sfortuna di
Michiru, non avrebbe ricordato tanto presto.
“Da questo momento in poi proseguiamo sempre dritti fino al bivio poi
deviamo a…”
L’aveva fatto di nuovo, era più forte di lei, quando quella donna iniziava
a parlare, il suo cervello le proiettava l’immagine della camera nella casa di
sua madre, dove lei poteva starsene beatamente stesa sul letto parlottando ogni
tanto con la sua migliore amica sulle cose più disparate.
“Senti un po’
questa Michiru! La prossima settimana ci sarà un festival, ci andiamo?”
“Mi dispiace…la
prossima settimana sarò, in qualche parte sperduta della Cina con mio padre e
la sua famiglia”
“C-Cina?!”
“Prometto che ti
porterò un souvenir”
“E cosa? Una
qualsiasi cosa presa in quel posto sperduto dove andrai? Che poi…dov’è
esattamente questo posto sperduto?”
“Una montagna”
“Woah! Certo che
tuo padre ti porta sempre in posti che tu ami eh?!”
“Visto?!”
Era un rituale per lei e Haruka prendere in giro suo padre e la sua
famiglia, quel rituale che le sarebbe mancato da morire che si era svolto solo
pochi giorni prima.
Senza volerlo, aveva rallentato la sua andatura e ben presto assorta nei
suoi pensieri, la sua famiglia era completamente sparita dalla sua visuale.
E adesso? Calma
Michiru, vedrai che li raggiungi in poco tempo.
Il sentiero non era per niente complicato, sembrava più una stradina di
campagna con qualche pietra o radice qui e la, procedeva al piccolo trotto
sperando di vedere la testa castana del suo fratellastro ma tutto quello che
era riuscita a vedere era un bivio che portava in due posti completamente
differenti e che lei non sapeva leggere.
Che cos’ha detto
quella donna? Al bivio proseguiamo verso? Verso dove? Non possono essere
spariti così, è vero che stanno amorevolmente amoreggiando come una coppia
d’innamorati, ma almeno quell’inutile bastardo del mio fratellastro
doveva accorgersi della mia assenza!
Aveva scelto di percorrere il sentiero sulla destra, che rispetto a quello
sinistro, era più praticabile e soprattutto non aveva una serie di alberi morti
tutt’intorno che intimorivano e non poco, la piccola dodicenne sperduta;
camminava da diversi minuti ma della sua famiglia neanche l’ombra.
Non possono aver
spiccato il volo! Forse è meglio se torno indietro e prendo il sentiero sulla
sinistra. Mentre pensava e ripensava al momento migliore per tornare indietro, aveva
sbattuto contro un enorme albero abbattuto probabilmente da un temporale; in
quel momento aveva nella testa l’immagine di quel grosso cartello blu sbiadito
con un piccolo simbolo giallo nel punto dove, più o meno si trovava lei in quel
momento.
Senza pensarci troppo, aveva fatto dietrofront e involontariamente, si era
messa a correre come un’ossessa, sperando di raggiungere presto la sua famiglia
e di arrivare presto a quell’accampamento che in quel momento desiderava più di
ogni altra cosa.
Nella sua corsa, era inciampata nell’unico ramo che aveva incrociato
qualche momento prima, finendo con il cadere stesa a terra strisciando le mani
e il viso sul terriccio ricoperto di pietroline, aghi di pino e qualcosa che
lei non conosceva; a fatica si era messa a sedere sulle ginocchia soffiando
sulle mani sbucciate e sporche, agli angoli degli occhi si erano già formate
delle goccioline che lei aveva prontamente rispedito indietro sbattendo
violentemente le palpebre, non avrebbe pianto né in quell’occasione né in
altre.
Rialzandosi aveva dato una leggera pulita ai suoi vestiti con il dorso
della mano e prima di proseguire, nella sua mente era balenata l’idea di
tornare alla macchina e attendere suo padre, sicuramente manderanno qualcuno a cercarmi e appena mi vedranno accanto
alla macchina, papà abbandonerà questa stupida montagna riportandomi a casa.
Fiduciosa della sua brillante idea, Michiru aveva dimenticato il sentiero
sulla sinistra circondato da alberi morti e spaventosi e si era diretta, questa
volta camminando normalmente, verso il sentiero che aveva percorso prima
sperando di raggiungere presto la macchina e aspettare che qualcuno la
trovasse. Camminava forse da diverse ore, ma il sentiero che stava percorrendo
non l’era familiare, si guardava intorno sperando di riconoscere anche un solo
punto di riferimento ma niente, tutto ai suoi occhi era sconosciuto.
Mi sono persa! Mi
sono persa veramente! No no no e ancora una volta no! Non posso essere così
pessimista, sicuramente tornando indietro troverò qualche cartello o qualcosa
che mi è familiare! Sì farò così!
Si era voltata ed era tornata indietro, anche ripercorrendo la strada,
nulla le sembra il sentiero che aveva preso con la sua famiglia, certo alcune
diramazioni le aveva evitate per non addentrarsi troppo nel bosco o di perdere
l’orientamento, ma non sapeva dire da quale di quelle era spuntata; una folata
di vento, abbastanza gelida, l’aveva colta di sorpresa mandandole negli occhi,
un po’ di terriccio secco che l’aveva accecata per qualche minuto mandandola a
sbattere contro uno dei tanti alberi intorno a lei.
Aveva alzato gli occhi al cielo e aveva notato che il tempo era cambiato, in peggio anche, rispetto al suo arrivo,
nuvole grigie cariche probabilmente di pioggia, si estendevano a perdita d’occhio;
fantastico! Se viene a piovere sarà anche
peggio tornare indietro.
Aveva ripreso la sua camminata non avendo la benché minima idea di dove si
trovasse veramente, continuava a cambiare direzione, mentre dentro di lei un
fortissimo senso d’inquietudine andava prendendo sempre di più il controllo
della sua mente, oltre che del suo cuore.
Il suo stomaco aveva cominciato a reclamare cibo che non aveva, la
brillante e stupida idea di suo padre di non portare nemmeno uno spuntino l’avrebbe
resa debole in poco tempo. Non toccava cibo dalla sera prima, Henriette non
aveva voluto fare la colazione e come se non bastasse, si era rifiutata,
imponendosi anche su suo padre, di portare un pranzo al sacco. Giuro che se mai esco da questo bosco uccido
quella donna!
Era arrivata davanti ad un altro bivio, non sapeva dire se stava salendo o
scendendo la montagna, ma quel bivio le era in parte familiare; fissava le due
uniche strade riportate sull’ennesimo cartello blu sbiadito memorizzando le
varie diramazioni che avrebbe incontrato durante il cammino.
Il sentiero a
sinistra ha solo due diramazioni, una che porta verso l’alto e una che porta
verso il basso, anche se in questo momento non so bene se sto salendo o
scendendo dalla montagna; il sentiero di destra invece, ha sei diramazioni che
portano tutte verso l’alto e hanno tutte dei puntini gialli, forse è meglio non
prenderle. Adesso io dove diavolo vado esattamente?
Fissava i due sentieri che questa volta erano identici, almeno fin dove
riusciva a vedere, era tentata di andare a sinistra e prendere la diramazione
che scendeva ma non sapeva com’era il percorso e soprattutto non riusciva più a
capire se stava salendo o scendendo.
Alcune gocce fredde le si erano schiantate sul viso, era acqua mista a
neve, veramente fantastico! Non aveva
prestato molta attenzione al tempo e sicuramente nel punto in cui si trovava,
non poteva certamente trovare riparo se non nel bosco poco distante, ma era un’alternativa
che non voleva considerare almeno per il momento.
*
Erano all’incirca le nove di sera, Riuji Kaioh si era accorto solo in quel
momento della scomparsa di sua figlia, erano arrivati all’accampamento da
diversi minuti e per tutto il tragitto non si era reso conto che mancava
qualcuno all’appello.
“Adrien possibile che non ti sei accorto che tua sorella non era al tuo
fianco?”
“Calmati caro, è possibile che Michiru sia qui intorno”
“Come faccio a calmarmi? Mia figlia è sparita e tu te ne stai sbattendo
altamente, per non parlare del fatto che siamo gli unici a essere arrivati qui
e che il ranger non ha notato nessuna bambina!”
“I-io ho cercato di avvisarvi ma eravate troppo impegnati a fare la
coppietta d’innamorati”
“Guarda l’hai spaventato! Vieni Adrien non ci pensare, va a metterti seduto
e riposati”
Con la rabbia in corpo, Riuji era uscito dall’accampamento fissando il
sentiero davanti a se che iniziava ad affollarsi di altri escursionisti che
come loro si dirigevano verso l’accampamento.
“Scusatemi, avete per caso visto una bambina? Alta all’incirca un metro e
cinquanta, capelli acqua marina e occhi blu? Ah portava anche dei jeans bianchi
e una magliettina nera”
Non aveva ricevuto risposta da nessuno, nonostante avesse mostrato loro la
foto che aveva nel portafogli, nessuno aveva visto la sua Michiru; era buio e
il ranger aveva imposto di restare nell’accampamento mentre inviava una squadra
di ricerca intorno alla zona, se Michiru era vicina, i cani l’avrebbero trovata
in poco tempo.
*
Era consapevole che continuare a camminare al buio era una pessima cosa, ma
non poteva continuare a starsene ferma davanti al bivio aspettando che qualcuno
o qualcosa passasse di lì per aiutarla. Se
solo non ci fosse tutta questa dannatissima pioggia mista a neve probabilmente
riuscirei a orientarmi meglio.
Aveva imboccato la diramazione che andava verso il basso sul sentiero a
sinistra, la vegetazione man mano che proseguiva, diventava meno fitta ma
comunque svantaggiosa per una bambina di dodici anni stanca, sola e affamata.
Intorno a lei diverse querce secolari, avevano lasciato il posto ad
alberelli soffocati già in partenza dal fitto sottobosco che andava via via a
bloccare i movimenti di Michiru che si era ritrovare a fare l’ennesimo
capitombolo sbattendo questa volta violentemente la testa contro un masso
nascosto da alcune piante.
Non sapeva dire quanto tempo era passato, ma da quando aveva sbattuto la
testa, le sue energie si erano ulteriormente dimezzate portandole continui
capogiri dovuti alla ferita sulla testa e una sensazione di smarrimento sempre
crescente a causa della scarsa visibilità e della pioggia in continuo aumento.
Dove diavolo mi
trovo? Voglio la mia mamma e il mio papà.
Il crollo emotivo era inevitabile, dopotutto aveva solo dodici anni e lo
stress a cui era sottoposta era troppo forte per lei nonostante fosse una
bambina molto forte; si era rannicchiata accanto all’unico albero che poteva
darle riparo dalla pioggia sempre più insistente, aveva tirato fuori dallo
zaino il suo fazzoletto e l’aveva premuto contro la ferita che continuava a
perdere sangue.
Senza rendersene conto, aveva cominciato a piangere, erano inutili i
tentativi di sopprimere i singhiozzi e ben presto si era ritrovata a stringere
le gambe al petto poggiando la testa sulle ginocchia, aveva cominciato a urlare
sia per il dolore alla testa sia per essersi persa su una stupida montagna per
una stupida escursione organizzata dalla sua ancor più stupida matrigna.
Ormai sono bella
che finita, non ho cibo, non conosco le piante o i frutti che posso mangiare e
ho una ferita alla testa che continua a perdere sangue; ho paura, sento
continuamente dei rumori da qualche punto indefinito e non ho la minima idea di
alzare la testa per controllare se qualche strano animale si è avvicinato a me
con l’intento di mangiarmi. Sento freddo e non ho più la forza di muovermi, i
miei occhi si stanno chiudendo sempre più spesso, forse farò un pisolino per
riprendere energie.
*
Erano passate diverse ore da quando la squadra di ricerca era andata a
perlustrare la zona, Riuji sedeva preoccupato davanti alla finestra mentre alle
sue spalle la sua stupida moglie dormiva beatamente, batteva nervosamente il piede
a terra tenendo le mani incrociate sotto il mento sperando di veder comparire
presto la sua bambina.
Stupida montagna!
Stupido fottuto viaggio in Cina! A quest’ora potevo starmene a casa con l’aria
condizionata o a fissare Michiru che dormiva beatamente nella sua camera sempre
troppo piena di pupazzi ringraziando qualsiasi Dio che mi aveva concesso l’affidamento!
Riuji era un uomo che non lasciava trasparire mai le sue emozioni, ma in
quell’occasione non riusciva a trattenere la furia cieca che cresceva dentro di
lui portandolo a lanciare diverse occhiate a sua moglie e suo figlio; si era
alzato di scatto rovesciando la sedia all’indietro vedendo la squadra di
ricerca rientrare nell’accampamento con il volto avvilito.
“L’avete trovata?”
“No signore, purtroppo è buio pesto, la pioggia è diventata insistente e
gli odori si mescolano, nemmeno i cani riescono ad andare oltre!”
“Non me ne frega un cazzo dei vostri cani! Rivoglio mia figlia!”
Aveva ceduto alla rabbia alzando la voce, non era arrabbiato con la squadra
di ricerca, era incazzato con se stesso per essere stato troppo occupato a fare la gastroscopia a quella puttana, come
direbbe la sua ex moglie, per badare a sua figlia che in questo momento era
dispersa chissà dove nei boschi.
Le immagini più raccapriccianti avevano invaso la sua testa portandolo a
crollare in ginocchio mentre le lacrime scendevano copiose accompagnate da
singhiozzi e pugni lanciati contro il pavimento in legno.
“Si calmi, all’alba riprenderemo le ricerche. Vedrà la troveremo”
Senza ascoltare una sola parola, aveva preso la torcia dalle mani dell’uomo
davanti a lui e si era precipitato fuori dall’accampamento correndo in ogni
direzione urlando con quanto fiato aveva in corpo il nome di sua figlia.
*
Qualcosa aveva urtato il corpo di Michiru che con un urlo si era
risvegliata, al suo fianco era rotolato qualcosa che l’aveva spaventata a
morte; il sangue aveva smesso di fuoriuscire mentre le sue energie si erano
leggermente ristabilite, con molta fatica si era rialzata, la pioggia era
cessata lasciando il posto alla neve che iniziava a scendere sempre più
insistentemente coprendo le tracce del suo passaggio.
Intorno a lei i rumori si erano attutiti a causa della quantità di neve che
si era poggiata, non voleva proseguire per il bosco ma era sicura di perdersi
ulteriormente se tornava indietro. Tornare
indietro! Certo come se potessi! Dove diavolo è finito il sentiero di poco fa?
Aveva aggirato l’albero proseguendo alla cieca, non riusciva a vedere
niente, camminava molto lentamente tastando accuratamente il terreno coperto di
neve, si era fermata un attimo sentendo molto lontano la voce di qualcuno ma
non era sicura di averla sentita veramente.
Adesso ho anche
le allucinazioni!
Continuava a proseguire per quella strada quando aveva messo il piede in
fallo scivolando lungo una scarpata fratturandosi il piede sinistro che nella
caduta si era girato verso destra e il braccio destro all’altezza del gomito. La
sua caduta era stata arrestata da una sporgenza in mezzo al nulla, sotto di lei
c’era solo il vuoto che continuava ancora per diversi metri.
Le urla di dolore si erano levate come il ruggito di un leone, le lacrime
copiose le rendevano impossibile vedere le sue ferite, continuava a urlare con
quanto fiato aveva in corpo fino a quando la stanchezza non aveva avuto la
meglio su di lei facendola addormentare.
*
Riuji continuava a correre nel bosco con la luce della torcia che diventava
sempre più fioca, continuava a chiamare sua figlia senza però ottenere
risposta, era arrivato nei pressi di un burrone che sembrava sprofondare verso
l’infinito.
Signore ti prego
fa che non sia caduta, fa che non sia caduta!
Si era avvicinato cautamente e aveva puntato il raggio della luce fino a
incontrare un piccolo corpo scomposto e senza pensare alle conseguenze, si era
messo a scalare la parete rocciosa resa scivolosa dal ghiaccio fino a
raggiungere il corpo di sua figlia.
“Michiru, piccola apri gli occhi ti prego”
La voce andava via via incrinandosi a causa del pianto, stringeva tra le
braccia il corpo freddo di sua figlia vedendo l’osso del braccio che
fuoriusciva e il suo piccolo piede girato in modo innaturale verso l’intero.
Un urlo, un solo urlo pieno di straziante dolore mentre si rendeva conto che
non avrebbe più visto le sue guancie arrossarsi quando le faceva i complimenti,
non avrebbe più visto quegli occhi blu così simili alla sua ex moglie che
sembravano scaldargli l’anima con una semplice occhiata, non avrebbe più sentito
la sua voce o la sua risata mentre giocava nel grande giardino di casa insieme
alla sua amica Haruka.
Si era piegato su se stesso continuando a piangere e urlare maledicendo
quella giornata e quella donna che era diventata sua moglie che aveva organizzato
quella gita; un leggero movimento l’aveva fatto bloccare, il corpo di sua
figlia si era mosso appena, i suoi occhi blu erano privi di vita e il viso era
solcato oltre che dalle sue lacrime anche da quelle della sua bambina.
“Papà…”
A fatica gli aveva gettato le braccia al collo singhiozzando, l’uomo le
accarezzava i capelli sentendo sempre meno il battito del suo cuore, l’aveva
allontanata solo un attimo dal suo corpo caldo per guardare ancora una volta
quegli occhi.
“Papà…ho tanto freddo…”
“Piccola mia, ti prometto che ti salverò, ti porterò via da questa montagna
e torneremo dalla mamma, ma ti prego non chiudere gli occhi, non ora, non qui. Voglio
diventare vecchio e stanco mentre ti guardo crescere felice e diventare triste
e solo quando andrai a vivere per conto tuo”
“Papà…resterò sempre con te, so già che non uscirò da qui, ma io sarò
sempre con te anche quando sarai vecchio e stanco…”
Ormai parlava a fatica, la stretta intorno al collo di suo padre diventava
sempre più debole e i suoi occhi tornavano a chiudersi sempre più spesso.
“Papà…ti voglio bene…”
In un sussurro aveva detto le ultime parole contro il petto di suo padre
che aveva continuato a stringerla e ad accarezzarle la testa fino ai primi
raggi del sole mentre in lontananza sentiva la voce di sua moglie e della
squadra di ricerca urlando il suo nome e quello della sua bambina.
“Guarda piccola, l’alba che a te piace tanto è arrivata, spero che la stai
guardando anche tu come me…ti voglio bene figlia mia”
Le aveva baciato il capo prima di legare il suo corpo alla corda che gli
era stata tesa e che l’aveva portato fuori da quel dirupo e da quella montagna.
Era da molto che non scrivevo qualcosa di buono o che comunque avrei
apprezzato io in primis, chiedo scusa per la lunghezza ma non mi sentivo di
spezzarlo in più capitoli, avrei subito perso interesse o rischiato di scrivere
qualcosa di completamente diverso dall’idea iniziale che mi è venuta leggendo,
come dice anche la nota in alto, La bambina che amava Tom Gordon di Stephen
King. Il libro non l’ho finito sono ancora con la bambina persa nel bosco, ma
mi sentivo in dovere di scrivere qualcosa sulla stessa base visto e considerato
che nella mente avevo qualcosa di simile da un po’ di tempo ma non sapevo come
organizzarlo.
Venendo alle parole usate, la frase “…landa desolata dimenticata anche da quel bastardo che ha creato il mondo.” Non me ne vogliano i vari lettori, non ho mai
pensato di cambiarla, sono le parole del padre di Michiru e soprattutto non
vogliono insultare realmente qualcuno o qualcosa, tengo a specificare perché non
vorrei mai far pensare chissà cosa.
Detto questo, grazie a chi leggerà, commenterà, inserirà la storia tra i
preferiti/seguiti o ricordati, grazie anche a chi leggerà in silenzio la storia
e in più ringrazio chi mi ha inserita tra gli autori preferiti.