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Autore: ValeAki    14/09/2012    1 recensioni
[5927!Day][2759]
"Gokudera camminava a passo lento, trascinato. Se solo pensava a ciò che era successo qualche ora prima, sentiva ribollirgli il sangue nelle vene. Troppo nervoso, troppo stanco; ferito, quello sì, ma le cicatrici sulla pelle non lo preoccupavano così tanto, quanto quelle che si sarebbero riaperte internamente."
Genere: Drammatico, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hayato Gokudera, Tsunayoshi Sawada, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non sono una che ama fare grandi discorsi prima di una storia ma due cosine le voglio dire xD
Solo qualche settimana fa ho scoperto quest'importantissimo giorno (?) e, un po' perché non avevo nulla da fare, un po' perché volevo migliorarmi nella scrittura, mi sono "avventurata" nello scrivere qualcosa per il 5927 Day. Alla fine ne è uscito un mattone, la 5927 è diventata 2759 ma questa è un'altra storia...
Io e i titoli non andiamo d'amore e d'accordo... da ieri ho scoperto che vale pure per i finali! (xD)
Tengo a precisare che l'ho iniziata due settimane fa, l'ho finita ieri giusto in tempo, se c'è qualche disguido nella storia mi scuso (anche se spero non ce ne siano).
Ho finito queste note lunghissime e inutili, vi lascio alla storia!
Buona lettura e, se vi va, mi farebbe piacere sentire le vostre opinioni a riguardo ^^




Il boss dei Vongola

Gokudera camminava a passo lento, trascinato. Se solo pensava a ciò che era successo qualche ora prima, sentiva ribollirgli il sangue nelle vene. Troppo nervoso, troppo stanco; ferito, quello sì, ma le cicatrici sulla pelle non lo preoccupavano così tanto, quanto quelle che si sarebbero riaperte internamente. Preso dalla rabbia, diede un pugno troppo forte al tronco di un albero: ci aveva messo troppa foga, e la ferita sul fianco si era riaperta, macchiando la camicia ormai sporca, sgualcita, mentre il liquido rossastro scivolava sulla sua pelle. Odiava davvero tanto suo padre. Dopo anni e anni da quando se n’era andato dal castello –essendo venuto a conoscenza della verità- lui non aveva mai mosso un dito, mai. E adesso, lo rivoleva indietro, voleva farlo tornare in Italia. O almeno, così gli avevano spiegato quei mafiosi, sottoposti di suo padre, che avevano cercato di picchiarlo pur di farlo tornare indietro. E anche se una ferita dopo l’altra si riapriva, e anche se ormai la vista si offuscava o si sentiva le gambe sempre più pesanti, lui non demordeva e continuava, avanti, verso il suo obiettivo: la casa del Decimo, del suo Boss. In realtà, neppure lui sapeva cosa avrebbe fatto una volta arrivato lì: gli avrebbe detto che se ne sarebbe andato? Che avrebbe combattuto, o che voleva una mano? No, non poteva mettere in pericolo il suo boss, come suo braccio destro. Anche G., il Guardiano della Tempesta di Prima Generazione, gli aveva detto che lo esponeva troppo al pericolo. Questa volta, se la sarebbe cavato da solo. Dopo interminabili minuti, che a lui sembrarono ore, arrivò di fronte alla casa in questione e suonò al campanello. Probabilmente, pensò, il Decimo era da solo in casa, dato che aprì proprio lui. Tsuna, d’altro canto, vedendo Gokudera in quelle condizioni si precipitò da lui, prendendolo sotto braccio e accompagnandolo dentro. << Gokudera-kun, ma cosa è successo? >> chiese allarmato, mentre andava a prendere una cassetta di pronto soccorso. Ora, l’argenteo, che cosa gli avrebbe risposto? Dischiuse le labbra, pronte a parlare, mentre la sua testa elaborava una frase, lettera dopo lettera, parola dopo parola. << Juudaime, io... io devo tornare in Italia. >> una frase sofferta, quella. Una frase sofferta da dire, e da sentirsi dire, giacché quando raggiunse le orecchie di Tsuna, quest’ultimo fece cadere a terra la cassetta. Come per Gokudera non era facile da dire –in fondo, avrebbe perso tutte le persone a lui care, coloro che ormai poteva definire amici- per Tsuna non era facile da recepire quel messaggio. Come poteva, Gokudera, tornarsene in Italia? Come poteva, adesso, lasciarlo da solo? Si sentì come tradito alle spalle. Non era stato forse lui, tempo prima, a dirgli che sarebbe stato sempre al suo fianco? Che la sua vita gli apparteneva? Pensieri egoistici, certo, ma Tsuna non poteva di certo accettare su due piedi il fatto che il suo migliore amico –nonché braccio destro- tornasse in Italia. Boccheggiò, per alcuni istanti, incapace di proferire parola.<< Perché? >> chiese solo. Gokudera assottigliò lo sguardo, cercando le parole migliori da dire. << Juudaime... mio padre ha mandato alcuni suoi sottoposti qui in Giappone per riportarmi in Italia... questa volta son riuscito a cavarmela, ma non posso permettere che anche voi siate in pericolo. >> spiegò, mentre chiudeva le palpebre; era sicuro che il Decimo adesso avrebbe sbraitato, sapeva bene le reazioni di Tsuna quando si parlava di qualcuno a lui caro. << E tu... e tu te ne vorresti tornare in Italia per non mettermi in pericolo? Che ti salta in testa, Gokudera-kun? >> benché non stesse urlando, nella sua voce c’era una nota di esasperazione. Lo guardò, con gli occhi lucidi. Sul punto di piangere? Forse, ma quella che si rispecchiava in quei due pozzi color cioccolato era rabbia. Rabbia per tutto, per tutti, per il padre di Gokudera, per i suoi sottoposti che lo avevano ferito... per Gokudera, che si faceva sempre male da solo pur di non coinvolgerlo. << Gokudera-kun ci sono qui io, perché non chiedi il mio aiuto? Ci parlerò io, se non si troverà un accordo combatteremo, ma non te ne andare... >> la sua voce sfumò pian piano in sussurrò, che Gokudera riuscì a percepire distintamente. << Juudaime... >> disse solo, le parole formavano un groppo in gola, la voce mozzata. Tsuna, risvegliatosi da quello stato di rabbia, si ricordò delle ferite dell’argenteo, e riprese da terra la cassetta, mettendosi a medicarlo, in silenzio. << Gokudera-kun, questa notte perché non rimani qui? Sarà più facile per me proteggerti. >> chiese solo, anche se sapeva benissimo che lo avrebbe convinto, in un modo o nell’altro. << Ma Juudaime, così sarete in pericolo... >> ribatté l’altro, non del tutto convinto. Ed infatti bastò un solo sguardo del Decimo a fargli cambiare idea. << Va bene, come volete voi, Juudaime. >> Pochi minuti dopo, tornarono a casa Nana con i bambini, Lambo, I-Pin e Fuuta. Con loro erano andati anche Basil e Reborn, per farle da scorta. Tsuna spiegò quindi a sua madre che Gokudera sarebbe rimasto lì per la notte, mentre Reborn e Basil gli si avvicinavano. << Gokudera-dono, cosa vi è successo? >> chiese Basil, notando le numerose ferite e fasciature, anche a nome di Reborn. << Dei sottoposti di mio padre vogliono che torni in Italia. >> spiegò brevemente, mentre Reborn abbassava appena il cappello per far ombra agli occhi. << Tsuna, che hai intenzione di fare? >> chiese al moro, che si girò verso di lui con sguardo deciso. << Lo proteggerò. >> disse semplicemente, mentre Reborn sorrideva. Così ci fu una riunione di tutti i Guardiani –o quasi, escludendo Hibari- per attuare un piano di difesa e attacco. Quando si parlava dei propri amici, Tsuna sembrava veramente il Decimo Vongola che Primo aveva scelto come suo erede. Si diressero così verso la sua camera, seduti attorno al tavolo. << Io cercherò di parlare con il padre, per vedere se la cosa si può risolvere pacificamente, sennò... >> si morse il labbro, strinse i pugni, continuando << ...sennò combatteremo. >> disse, attendendo le reazioni dei suoi Guardiani. << Sawada, puoi contare su di me all’estremo! >> esclamò Ryohei, euforico. Yamamoto rise << Ahah, ci sono anche io, Tsuna. >> finì con un sorriso. << Lambo-san vuole combattere! Gahaha! >> ghignò Lambo, non avendo nemmeno capito bene la situazione. Chrome lo prese in braccio, stringendolo a sé. << Boss, verrò anche io. >> disse solo. Tsuna sorrise << Bene, allora è deciso. >> Gokudera –che aveva sentito tutto dal letto di Tsuna, dove era disteso- sentì per la prima volta che quelle persone tanto bizzarre, alla fin fine, tenevano a lui. E non poté fare altro di ringraziarle una per una, mentalmente.

Bene, era tutto pronto. Quel giorno Tsuna sarebbe andato a parlare con il padre di Gokudera, sperando che andasse tutto per il meglio. Gokudera aveva pure insistito sul fatto di volerlo accompagnare, ma fu costretto a rimanere a letto, date le sue condizioni. Così, ben presto, Tsuna si ritrovò davanti ad un edificio enorme, che doveva essere una delle tanti basi del padre dell’amico. Si fece coraggio ed entrò nella stanza principale, andando spedito verso il bancone. << Voi siete? >> chiese la donna da dietro il vetro. << Il boss di Hayato. >> disse solo, con un tono di voce più fermo possibile. << Vorrei parlare con il vostro boss. >> esordì poi, mentre la donna faceva una rapida chiamata, annuendo ogni tanto. << Potete andare, settimo piano, quinta porta a destra. >> avute le informazioni, Tsuna si diresse verso il luogo. Non credeva ancora di aver detto di essere il boss di Gokudera, o di come Reborn lo aveva conciato per quel giorno: camicia, giacca e cravatta, con pantaloni e scarpe nere. Sembrava un vero mafioso e, sebbene era quello il destino per lui designato, ancora non voleva crederci. Non sapeva nemmeno perché era lì: suo padre non doveva mica essere in Italia? Sennò perché avrebbe mandato i suoi sottoposti? Scosse la testa, abbandonando quei pensieri. Preso l’ascensore e arrivato di fronte all’ufficio del padre di Gokudera, bussò, attendendo una risposta. Che non tardò ad arrivare, annunciata da un veloce “avanti”. Tsuna entrò, sguardo serio e corpo rigido. << È lei il padre di Hayato? >> chiese, stando immobile. L’uomo gli schioccò un’occhiata perplessa. << Lei chi è? >> chiese, non rispondendo alla domanda. << Io sono il Decimo dei Vongola, il boss di vostro figlio. >> disse, riprendendo subito il discorso << E non permetto che Hayato se ne ritorni in Italia. >> finì, aspettando la reazione dell’uomo. Lui schioccò la lingua, ruotando di più la poltroncina verso di lui. << E così Hayato è entrato nei Vongola, eh? Non mi interessa se è una grande o una piccola Famiglia, lui è mio figlio e ne faccio ciò che voglio. >> ed eccola, eccola la frase che mandò in bestia Tsuna. Suo padre lo paragonava a poco più che un oggetto, e questo lo fece arrabbiare più che ogni altra cosa. << Lei non... lei non può parlare così di Gokudera-kun. >> disse in un soffio, con i buoni propositi per stare calmo buttati al vento. << Gokudera-kun non vuole tornare con voi, e se lo vorrete prendere con la forza... Noi considereremo quest’azione come guerra aperta ad i Vongola. >> finì, con la determinazione negli occhi, una fiamma più pura e luminosa della sua Fiamma del Cielo o quella del Coraggio di Morire. << Bene. Se è tutto, potete andare. >> rispose l’altro, freddamente, facendo roteare la poltroncina verso l’ampia vetrata. Tsuna non ci pensò un secondo di più e si diresse fuori, dove Reborn e Basil lo aspettavano. << Come è andata, Sawada-dono? >> chiese l’ultimo, mentre gli camminava affianco. << Ho detto che... ogni loro mossa la considereremo come guerra aperta ad i Vongola. >> disse, mordendosi il labbro. Una luce scintillante negli occhi di Reborn a quelle parole. << Bravo Tsuna, stai iniziando a pensare come un boss! >> esclamò, saltandogli in spalla. << Ma ora come farai? Così saranno in pericolo pure Mamma, Kyoko e Haru. >> Tsuna chiuse gli occhi. Sapeva bene che anche loro sarebbero potute rimanere coinvolte, ma aveva pensato già a tutto, una mossa avanti, così da non avere problemi. << Ho già una soluzione a questo problema. >> disse, dirigendosi a casa più velocemente possibile.
Quel giorno ci fu una seconda riunione, dove erano riusciti a far venire anche Hibari; quando c’erano dei combattimenti in mezzo, poteva anche chiudere un occhio. << Grazie per essere venuti. >> disse prima di tutto Tsuna, subito interrotto da Kyoya. << Non ho tempo da perdere, dì solo quello che dobbiamo fare. >> gli intimò, imbracciando i tonfa. Tsuna sospirò, riprendendo a parlare. << Potremo essere da un momento all’altro sul punto di guerra. Ma non è questo il vero problema. Mamma, Fuuta, I-Pin, Kyoko e Haru potrebbero essere in pericolo, perciò qualcuno deve rimanere in difesa. Adesso dirò le varie formazioni. >> disse, spostando poi lo sguardo su Basil. << Basil, possiamo contare su di te? >> chiese, aspettando la risposta. << Certo, Sawada-dono. >> gli sorrise l’altro, e Tsuna si sentì un po’ più sollevato. << Bene, la squadra di difesa è formata da Chrome, Lambo e Bianchi: le ho già parlato, ha detto che li proteggerà lei. E non voglio mettere troppo in pericolo Chrome o Lambo. >> annunciò. << Vorrei che stiate vicino a loro il più possibile. >> continuò. Chrome annuì, e Tsuna si apprestò ad annunciare gli altri gruppi. << Yamamoto ed Hibari, vorrei che voi vi occupiate del fronte giapponese. Ho sentito che tra qualche giorno il loro boss se ne tornerà in Italia, e, se fosse necessario, io vorrei combatterlo lì. Con me verranno il fratellone e Basil. >> concluse. Gokudera, che era ancora disteso sul letto ma non si era ancora del tutto ripreso, sgranò gli occhi. << Ed io, Juudaime? >> chiese, incredulo. Tsuna si rivolse verso di lui, sorridendo, uno di quei sorrisi che Gokudera amava. << Gokudera-kun, tu sei ferito, rimarrai qui. >> Reborn osservava la scena dal piano della finestra, e non poté non sorridere: ormai Tsuna stava imparando a comportarsi come un vero Boss. << Hey, tu. Non ho bisogno di Yamamoto Takeshi per affrontare il fronte giapponese. Posso andare da solo. >> annunciò Hibari. << Ma Hibari-san, è troppo pericolo farti andare da sol- >> si bloccò all’istante, dato lo sguardo tagliente che il Presidente del Comitato Disciplinare gli aveva rivolto. << O-ok, allora Yamamoto resterà qui a proteggere Gokudera. È tutto, ragazzi. >> li congedò. Quando tutti pian piano se ne andarono, rimase da solo con Gokudera nella camera, dato che anche Reborn e Lambo erano scesi di sotto. << Juudaime... vi ringrazio per tutto ciò che state facendo per me. Ve ne sono davvero grato. >> ringraziò sottovoce. Nessuno si era mai preoccupato per lui così tanto. Ma in fondo, sapeva di non aver sbagliato, quando aveva votato la sua intera esistenza a quel ragazzo: era lui il perfetto candidato a Decimo Vongola, era degno di essere chiamato Cielo; un ragazzo gentile, che ospita sia amici che nemici, con un cuore davvero generoso. Non si era pentito nemmeno quando si era innamorato di quel ragazzo e, sebbene fosse un po’ innaturale, a lui non importava, anche se sapeva di non avere speranze. Al suo boss piaceva la giovane Sasagawa,e lui non poteva interferire, doveva pensare al suo bene. Così lo desiderava da lontano, di nascosto, nel profondo del suo cuore, sognando di notte le sue labbra che mai e poi mai avrebbe potuto assaggiare. Ma, anche se non ne era a conoscenza, si sbagliava di grosso. Tsuna, dal canto suo, da un po’ di tempo si sentiva sempre strano accanto al suo autoproclamato braccio destro. Quando lo vedeva pieno di ferite, combatteva contro la voglia di vomitare, e piuttosto si precipitava a medicarlo. Quando lo vedeva distante si sentiva da solo, e non poteva fare a meno di chiamarlo. Sempre, sentiva piccole scosse di elettricità dentro di se, le guance andavano in fiamme, il suo cervello se ne andava allegramente per la sua strada lasciandolo confuso. La sua cotta di una vita, quella per Kyoko, sfumò lentamente nel tempo, vedendo più Kyoko-chan come... un’amica, o una sorellina da proteggere, in quel mondo di Mafia. Lei e Haru avevano ascoltato a testa bassa la faccenda, ma poi si erano riprese e avevano fatto il possibile per aiutarli in quella situazione. Le stesse sensazioni che tempo prima provava con Kyoko, adesso le sentiva con il suo braccio destro, con un’intensità ancora maggiore. Che provava qualcosa per Gokudera era ormai palese, ma non riusciva ad accettarlo, non ancora. Non è una cosa così semplice da assimilare su due piedi: erano due ragazzi, era strano, ma per quanto strano che fosse, lui si sentiva bene al suo fianco, al sicuro... protetto. Sapeva che Gokudera non lo avrebbe mai abbandonato, come mai avrebbe fatto lui. Ecco perché si stava facendo in quattro per aiutarlo, non poteva permettere che una persona così importante nella sua vita se ne tornasse in Italia. Non poteva permettere che la persona che amava se ne tornasse in Italia e che lo lasciasse da solo, abbandonato ad i suoi sentimenti infranti, al suo cuore sgretolato, che si sarebbe diviso in altre schegge ancora più piccole, irrecuperabili. Per questo, con la paura che l’indomani quella figura ferita che era stesa sul suo letto non ci sarebbe stata più, si avvicinò lentamente e lo abbracciò, trasmettendogli tutto il suo calore: magari, avrebbe recepito pure i suoi sentimenti. E Hayato si ritrovò lì, a ricambiare quell’abbraccio del Decimo, stringendolo forte a sé: non importava se le ferite facevano male, in quel momento avrebbe voluto che il tempo si fermasse per rimanere abbracciato alla persona amata.
 
Erano passati solo tre giorni da quando Tsuna aveva parlato al padre di Gokudera, ed era più che sicuro che quel giorno suo padre sarebbe partito: l’unico volo per l’Italia, in quella settimana, era quel giorno. Finché le acque fossero state calme, lui non avrebbe fatto una singola mossa; sarebbe andato a scuola normalmente e senza il costante pensiero per le condizioni di Gokudera, dato che Basil lo assisteva e nel mentre controllava se ci fossero nemici in agguato. Bianchi, invece, accompagnava la mamma con Fuuta, I-Pin e Lambo quando dovevano uscire, e anche su questo Tsuna era più tranquillo. Quindi, sarebbero rimaste solo Haru e Kyoko, ma quest’ultima andava a scuola con lui, quindi non poteva succederle nulla. Chrome stava pian piano superando la sua timidezza per restare più tempo con Kyoko e Haru ed essendo anche lei una Guardiana, poteva proteggerle con le sue illusioni: se ci fossero stati anche due nemici, in ogni caso, avrebbe contattato il boss. Ed era quindi tutto a posto, una calma piatta che però non era destinata a durare molto: si sa, solo dopo la calma, segue la tempesta. Ed infatti, il quarto giorno dopo, Basil si ritrovò a combattere contro alcuni sottoposti della Famiglia Solenero, avvertendo Tsuna. Così, il piano di attacco su due fronti e di difesa ebbe inizio. Era pieno pomeriggio, e Tsuna corse il più velocemente possibile in direzione della Scuola Media Namimori, per avvertire Hibari dell’attacco. E così il Guardiano della Nuvola si diresse verso la base in Giappone dove, nel giro di un quarto d’ora, morse a morte tutti i nemici aiutandosi con i suoi tonfa. Il Decimo allora si diresse all’aeroporto, controllando quando fosse il volo più vicino per andare in Italia: 4 giorni. Beh, non era poi tanto male, dato che il fronte giapponese era stato sbaragliato e non sarebbero arrivati altri mafiosi per un po’. Andò così da Yamamoto, avvertendolo che tra quattro giorni sarebbe dovuto  andare a casa sua per stare vicino a Gokudera e corse per l’ennesima volta e a perdifiato verso la casa di Ryohei. Tornarono all’aeroporto e fecero i biglietti: era tutto pronto, adesso dovevano solo dare tempo al tempo.
 
I quattro giorni d’attesa trascorsero normali, non ci fu nessun’altro attacco e di questo Tsuna se ne rallegrò. Ora, però, cosa avrebbe fatto una volta in Italia?
L’avrebbe attaccato direttamente? Di certo, la Famiglia Solenero non era nell’Alleanza, su questo non ci sarebbero stati problemi. Lui, Basil e Ryohei andarono all’aeroporto e quando il volo finì, si ritrovarono in Sicilia, la terra madre di Hayato. Non ci volle molto per trovare la base dei Solenero, grazie ad alcune informazione ricevute dalla CEDEF. Andarono avanti, fino alla stanza del Boss. La base era deserta, cosa che li fece insospettire. Arrivati davanti alla scrivania del padre di Hayato, lo videro che sorrideva, beffardo. << Alla fine, sei venuto davvero, moccioso. Hai superato la prova. >> annunciò semplicemente. << La... prova? >> chiesero i tre all’unisono. << Beh, sono pur sempre il padre di Hayato, volevo vedere se il suo Boss valeva qualcosa, se l’avrebbe aiutato... e non mi sbagliavo. Complimenti. >> La rabbia di Tsuna era al culmine. << E lei avrebbe fatto picchiare Gokudera-kun solo per una prova? Che razza di ragionamento è questo? >> urlò e solo Ryohei riuscì a bloccarlo. Con un “portateli fuori” i tre furono letteralmente buttati fuori dal cancello, pronti a ritornarsene in Giappone. Per tutto il viaggio Tsuna non aprì bocca, tanta la rabbia che montava dentro di lui. Si ricordò distintamente anche delle parole dei sottoposti del Boss dei Solenero, quando li avevano “accompagnati” all’uscita. << Tieniti stretto Hayato, che magari domani nemmeno ci sarà più. Al Boss non frega nulla della sua vita, lo potrebbe ammazzare senza problemi. >> All’aeroporto Tsuna e Basil si congedarono con Ryohei, che se ne tornò a casa sua. Tsuna invece filò dritto dritto per le vie di Namimori con l’unico intento di raggiungere la sua stanza per fare la cosa più pazza della sua intera vita. Prima che la determinazione se ne fosse andata. Quando arrivò, infatti, non salutò nemmeno sua madre o Reborn o Yamamoto, che erano in cucina, ma andò nella sua camera, dove c’era Hayato. Lui, vedendolo in quello stato si preoccupò. << È successo qualcosa, Juudaime? >> chiese, palese preoccupazione nella sua voce. Ma Tsunayoshi non rispose. Si limitò a baciarlo, come quella potesse essere l’ultima occasione per farlo. << Ti amo, Hayato. >> Una lacrima dell’argenteo e un nuovo futuro.
E in dieci anni, questo sentimento non è mai cambiato, sfumato o vacillato. E adesso, dietro la scrivania che si affacciava sulla grande vetrata dell’ufficio del Boss dei Vongola, il Decimo ed il suo fidato –e amato, braccio destro, guardano lo sfumare del tramonto, come se quella potesse essere l’ultima occasione per farlo.

Fine

   
 
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