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Autore: SkyScraper88    14/09/2012    7 recensioni
Le prime gocce scivolarono silenziose sul viso, infastidendolo. Sbuffò, mentre cercava rapidamente rifugio oltre l’uscio di quel vecchio stabile ubicato alla periferia di Seoul. Gli piaceva la pioggia, ma non quando i capelli gli si schiacciavano sulla fronte e sulle guance, donandogli un aspetto insicuro e trasandato. Aveva lasciato l’ombrello a casa prima di partire, ricordò con un pizzico di irritazione sul bel volto. Attraverso il fitto incedere del temporale osservò la sua nuova città. L’ultima pioggia. L’estate stava arrivando.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altro personaggio, Jonghyun, Key, Quasi tutti, Sorpresa
Note: Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 31 - Fiducia incondizionata

I fari delle auto fendevano la notte, come spade di luce al calar del sole, illuminavano l’asfalto e la città deserta. I giubbotti appesantiti dalla pioggia erano stati messi da parte all’ingresso, tra l’elegante soprabito per le occasioni importanti e l’austera uniforme dei giorni lavorativi. La libreria e lo scrittoio, entrambe in legno di noce e dal taglio pregiato, occupavano la parete ovest dello studio, insieme alla semplice poltrona panna e oro, e al sottile candelabro dall’impugnatura in ottone.
 
Il fascicolo tra le mani venne gettato via, mentre le labbra carnose si tendevano disgustate, rendendo rigida la mascella e con essa la postura del docente. “Non mi stai dicendo tutto” decretò, con tono severo, cercando gli occhi del suo interlocutore. Jihun, di fronte a lui, rise brevemente a quell’affermazione, accavallando le gambe e allentando la cravatta.
 
“Il professorino è in gamba” osservò, rivolto al suo migliore amico, in piedi accanto alla finestra.
 
Byung-Hee non rispose, accennando un semplice segno di assenso in direzione di Jinki. “Ti ho detto quanto basta” rispose, democratico “Il resto ti darebbe solo noie inutili” aggiunse, spegnendo la sigaretta, per accenderne subito dopo una seconda.
 
Una mano affusolata, dalle dita leggere e la pelle pallida, si tese prontamente nella sua direzione, rubandogli l’accendino con impacciata apprensione. “Ti fa male” si giustificò il ragazzino, deviando lo sguardo. Un’innocua carezza scompigliò i capelli biondi, donando al viso delicato un colorito quanto meno accentuato.
 
Spalla contro spalla, Abel mantenne il capo chino, mordendo distrattamente il labbro inferiore sotto lo sguardo interrogativo di Jinki. “Dimmi che non è quello che penso” mormorò l’assistente di laboratorio, sospirando pesantemente. Nuove congetture avevano preso forma tra i suoi pensieri, incupendo l’espressione e rendendo fastidiosamente pulsante il fluire del sangue nelle vene.
 
Si abbatté con forza sulla scrivania, quella mano usualmente gentile e dalle unghie curate, trasmettendo con un singolo gesto la totale disapprovazione che il più grande provava. “E’ solo un ragazzino!” urlò, fuori di se, mettendosi in piedi ormai furioso. Gli occhi di Byung-Hee osservarono la sua marcia con stanco disinteresse, e i pensieri della persona al suo fianco riuscì a percepirli ancor prima che questa avesse il tempo di agire.
 
Lo spostamento d’aria fu appena percettibile, mentre Abel si spostava protettivo sulla sinistra, interponendosi a Jinki. “E’ una mia scelta” affermò, convinto, affrontando gli occhi nocciola con inaspettata tenacia. “Non sono così puro come credi” sussurrò ancora, scivolando abilmente tra le braccia del docente che, incredulo quanto sconvolto, si tirò rapidamente indietro.
 
“Raccontami tutto” ringhiò feroce, rivolto a Byung-Hee, ma questi scosse ancora una volta il capo, irremovibile. “Hai intenzione di usarlo, vero?!” sputò fuori con astio, stringendo i pugni lungo i fianchi, mentre anche Jihun si decideva finalmente ad intervenire.
 
 “C’è un accordo tra loro” dichiarò, stringendosi nelle spalle “Un accordo dove né tu né io abbiamo voce in capitolo” aggiunse, indicandogli nuovamente la sedia. Non c’era comprensione in fondo ai suoi occhi, ma l’agente Park non si aspettava niente di diverso, e si limitò ad allungare una mano verso il secondo cassetto dello scrittoio, da dove un nuova cartelletta in pelle nera, dalla rilegatura fine e precisa, venne velocemente tirata fuori.
 
“Conosci bene il passato del ragazzo” sentenziò, imponendo il proprio sguardo deciso a quello del docente “Ma quanto ne sai di suo padre?” incalzò, stringendo tra le dita i documenti privati su cui l’attenzione di tutti si era rapidamente concentrata. “Nessuna prova certa. Carichi fantasma. Navi mercantili intercettate in mare aperto. Persone scomparse nel nulla, e bordelli pieni di ragazzini senza nome”.
 
Jinki deglutì a fatica, serrando la propria presa attorno alle braccia squadrate della sedia, fin quando le nocche divennero bianche e il fiato spezzato. “Traffico di persone” concluse, appena udibile, suscitando nel più piccolo dei presenti un lungo brivido di terrore. Byung-Hee chiuse per un attimo gli occhi, tirando a sé il corpo tremante di Abel, pronto a frantumarsi come il più fragile tra i cristalli. Ricordi lontani diedero vita a quel singhiozzo strozzato, sul cui dolore le carezze del maggiore arrivarono premurose, lenendo per quanto possibile il suo pianto silenzioso.
 
“Seung Su è solo una pedina, e Kibum un fuori programma” la scrivania venne sommersa di volti, immagini in bianco e nero di vite spezzate, la cui esistenza era stata crudelmente recisa da uomini avidi e privi di scrupoli “Sono loro le vere vittime” dichiarò, orribilmente consapevole, e la gravità del suo tono gelò il sangue di Jinki… come il più atroce e spietato fra gli inverni.
 

*****

 
Le nuvole si diradarono in cielo, oltre i tetti delle case e il viale illuminato, mentre la mano forte si muoveva irrequieta, tastando le lenzuola disfatte e il letto vuoto. “Kibum?” lo chiamò, con voce roca, stropicciando gli occhi per poi richiuderli. Le tapparelle ancora abbassate. L’appartamento avvolto nel silenzio.
 
Grattò la testa, svogliato, mettendosi lentamente a sedere e gettando da parte le coperte. Rise distrattamente, riscoprendo con un po’ d’imbarazzo la propria nudità. Gli slip li trovò sulla sedia, accanto alla scrivania, scrupolosamente ripiegati dal proprio coinquilino, insieme al resto dei vestiti. Un sospiro abbandonò le labbra, inevitabilmente increspate in un dolce sorriso.
 
Il brusio proveniente dalla cucina divenne ad ogni passo più chiaro, ma Jonghyun non si prese la briga di verificare l’identità degli ospiti; svoltò diretto verso il bagno, accarezzando Lucy e dandole il buongiorno. La cagnolina trotterellò alle sue spalle, giocosa, scomparendo insieme a lui oltre la porta cigolante.
 
“Si è svegliato” mormorò Kibum,  ravvivando i capelli con un filo di vanità. Minho seguì la sua figura, diretta ai fornelli, nascondendo a stento un sorriso divertito. Il biondo, per niente interessato ai suoi commenti sarcastici, sistemò una nuova tazza accanto alla propria, osservando con evidente orgoglio il proprio operato.
 
Le dita sottili si mossero apprensive lungo la maglia, rassettando qui e lì qualche piega. Taemin scostò amorevolmente un ciuffo dal volto del più grande, sorridendogli comprensivo. “Allora noi andiamo” annunciò, facendo un segno d’intesa in direzione del proprio coinquilino. Quest’ultimo annuì prontamente, raggiungendo l’ingresso.
 
“Grazie” mimò il biondo con le labbra, salutando gli amici sulla porta. Taemin e Minho gli diedero un bacio per uno, prendendosi poi per mano e scomparendo oltre le scale.
 
Rimasto solo in casa, Kibum tese l’orecchio, accertandosi che il getto della doccia fosse ancora in funzione. “Bene” dichiarò soddisfatto, raggiungendo veloce il frigorifero. L’involucro rigido, arrotondato sugli angoli e deliziosamente variopinto, venne depositato sul tavolo, insieme a due piatti gemelli e un paio di tovaglioli. Il bollitore sulla fiamma appena accesa. Le minuscole varietà di dolci gustosamente riposte al centro del vassoio.
 
I passi alle sue spalle, discreti e leggeri, lo costrinsero a trattenere il respiro, mentre due braccia robuste si stringevano gentili attorno ai suoi fianchi. “Bu-Buongiorno” balbettò, con gli occhi chiusi e il fiato corto. Jonghyun mormorò poche parole, appena comprensibili, sfiorando il suo collo con un estasiato sospiro.
 
“Quanto è dolce il mio gattino…” gli sussurrò all’orecchio, lusingando con la propria dolcezza il cuore emozionato di Kibum. Battiti veloci e prepotenti scandivano ogni parola, risuonando impetuosi tra le pareti dello stomaco, per poi risalire il suo corpo, fino alla gola improvvisamente asciutta. “Come hai fatto?” volle sapere, allungando una mano verso una tartina di fragole e ciliegie, la cui forma curata e arricchita con panna ricordava vagamente quella di una piccola barchetta.
 
“Mentre dormivi” rispose il più giovane, inspirando a pieni polmoni il dolce aroma del suo dopobarba “Minho e Tae sono venuti con me” precisò d’istinto, quando la presa sulla sua vita si fece improvvisamente possessiva.
 
“Non andartene in giro da solo” brontolò Jonghyun tra i suoi capelli “Non mi piace il modo in cui la gente ti guarda!” gracchiò, tirandoselo più vicino al petto, mentre la squillante risata dell’altro ragazzo riempiva la cucina. “Non è divertente, Bummie!”
 
Il biondo si mosse nel suo abbraccio, e le dita affusolate scomparvero nel caldo colore dei capelli ancora umidi, lisciandoli senza fretta, fintanto che i loro occhi restavano inevitabilmente allacciati gli uni agli altri. “Solo un pochino…” mormorò, con l’accenno di un sorriso. Guidò la mano sinistra del più grande fino alle proprie labbra dischiuse, spezzando tra i denti un pezzetto di quella morbida tartina dall’aspetto invitante.
 
“Com’è?” chiese Jonghyun, il cui sguardo intenso era stato in pochi attimi rapito e sedotto… da quella dolcissima forma a cuore che era la bocca del suo coinquilino.
 
“Vuoi provare?” propose il più giovane, segnando i contorni delle proprie labbra con la punta della lingua. Gli occhi felini resi liquidi dal desiderio, mentre le dita tremanti si chiudevano delicate attorno al collo del maggiore. La voce sottile vibrava ad ogni sillaba, così deliziosamente in contrasto con il velo di provocazione che il suo invito celava.
 
“Sono sicuro che ti piacerà…” soffiò, direttamente sulla sua bocca, e l’impetuosità di quel nuovo bacio non avrebbe potuto donargli soddisfazione più grande.
 

*****

 
Non ho mai pensato alla mia vita come un dono. Vivere era più un dovere, forse. L’unico obbligo a cui credevo di dover far fronte. Non per gli altri, ma per me stesso. Ad un certo punto, comunque, la necessità di chiedere al cielo una fine quantomeno dignitosa divenne ai miei occhi l’unica soluzione possibile.
 
I giorni si susseguivano, gli uni sugli altri. Sempre gli stessi. Il dolore si univa alle umiliazioni, mentre le settimane diventavano mesi… e i mesi anni. La sofferenza si trasformava in rabbia. La rabbia in rassegnazione. La rassegnazione in desiderio di morte.
 
Non volevo uccidermi. Credo mi sia sempre mancato il coraggio, in fondo, per un atto così drastico. Solo che chiudevo gli occhi, la sera, tra quelle quattro mura dallo stomachevole odore di sperma, e chiedevo al cielo: “Ti prego… fai che domani non arrivi. Permettimi di non vedere il nuovo giorno, e con esso l’inutilità della mia abominevole vita”.
 
Passarono due anni e mezzo da quella prima supplica, ma nessun Dio prestò mai ascolto alla mia voce. L’oscurità scivolava sul mio letto, ogni sera, ma io non riuscivo quasi a distinguere la differenza tra giorno e notte oramai. Le ombre dei peccati altrui si erano impadronite del mio cuore già da troppo tempo. Che differenza poteva fare, per me, che fuori ci fosse il buio o il sole?
 

- Poi conobbi lui -

 
Una promessa che mi spezzò il respiro, slittando attraverso la fitta nebbia delle mie reticenze, fino a dissolverle completamente. La sua vicinanza rimase costante nella mia vita, così calda e protettiva da restituirmi il sorriso. Percepivo il suo dolore, così differente eppure così simile al mio. Le ferite che si trascinava dietro erano talmente profonde da farmi piangere.
 
Fu così che mi resi conto di amarlo, sotto voce, tra le lenzuola pulite e gli abiti nuovi. Quella notte non vi furono preghiere, ma solo l’inaspettata consapevolezza… che il suo sorriso fosse diventato la cosa più importante che possedevo.
 
Lasciai l’appartamento alle prime luci dell’alba, come da abitudine. Avvertivo un turbinio di emozioni in fondo al cuore. Qualcosa di indefinito, ma estremamente piacevole. Mi sentivo leggero, quasi stessi volando a cavallo di una nuvola, verso un sogno da tempo desiderato e mai raggiunto.
 
Mancavano pochi giorni ormai.
 
L’odore di pioggia si fondeva con quello dell’erba, mentre attraversavamo il parco del sesto distretto, diretti al luogo che per anni interminabili aveva rappresentato la mia disumana prigione. Un incomprensibile formicolio mi attraversava la punta delle dita, ma alla causa di tanta trepidazione faticavo ancora a dare un nome. Con il senno di poi posso dire… che quelli furono i giorni più incredibili di tutta la mia vita.
 
La speranza di un’esistenza migliore soffocava ogni altra cosa, compresa la sempre più radicata idea che il mio salvatore stesse diventando per me fin troppo importante.
 
Lui mi sedeva accanto, offrendomi il suo braccio come sostegno. Non sono mai riuscito a dirgli grazie. Le parole mancavano quando mi stava vicino, e anche se tentavo disperatamente di negarlo, comprendevo bene quali sentimenti la sua persona suscitasse nel mio animo. Fu quella la mattina in cui Jihun si prodigò, senza preavviso, in un radicale quanto imbarazzante consiglio.
 
“Non farlo” disse, talmente severo da farmi tremare. Cercai i suoi occhi, ma erano puntati sulla strada. Byung si era appisolato, con la testa poggiata al sedile e la fronte aggrottata. Era stata una dura giornata quella appena trascorsa. Esporre Jinki alle possibili conseguenze che il loro piano avrebbe generato lo rendeva irrequieto e sfortunatamente insonne.
 
“Non capisco” tentai di sviarlo, ma la mia voce venne fuori talmente insicura da strappargli un sorriso. Non era divertito, bensì amareggiato. Riuscivo a percepirlo sulla mia pelle il suo sguardo rattristato, mentre parcheggiava silenzioso al limite del vialetto, ormai non più disposto a rimandare l’argomento.
 
“Sono spesso duro nei miei giudizi. Soprattutto con lui…” commentò a mezza voce, passando le dita tra i capelli con quello che mi parve un gesto tutt’altro che rilassato. “Anche quando porto avanti le mie teorie, però, so bene quanto la realtà differisca da ciò che dico”. Strinsi istintivamente le sopracciglia, più confuso che mai dalle sue parole. Mi parve un discorso assai enigmatico all’inizio, ma continuai a rimanere in silenzio, deviando lo sguardo fino al volto dormiente di Byung-Hee.
 
“Non ti ricambierà mai”.
 
 La durezza della sua affermazione mi penetrò i timpani, strozzando sul nascere quei sentimenti acerbi e probabilmente illusori. “Cerco di mantenerlo diffidente, imponendogli il mio punto di vista negativo. Non voglio che si strugga nell’attesa del suo giovane amore, ma… tutte le mie insinuazioni sulla possibilità che quel ragazzino non torni da lui sono solo miseri castelli di menzogne”.
 
Ogni parola gravava sul cuore, come fango e cemento, distruggendo tutto ciò che di irrealistico continuavo a fantasticare da giorni. Conoscevo la natura della sua pena. L’amore che gli avevano strappato continuava a vivere e crescere dentro di lui, ma mi rifiutavo di accettare l’idea di non poterne essere all’altezza.
 
“Non è stato l’unico ad uscirne a pezzi. Io li ho visti insieme, Abel” mormorò, mentre inafferrabili sfumature di dolore incrinavano la sua confessione. “L’inspiegabile certezza che il cuore di una persona ti apparterrà per sempre. Riesci ad immaginarlo?”
 
Lacrime amare offuscarono la vista. No, non riuscivo ad immaginarlo un amore incondizionato come il loro. Anni di attesa e di solitudine. Dolore, disperazione, rancore. Sapevo che Byung-Hee provava tutto questo, ma il fatto che continuasse ad aspettarlo… non dimostrava forse l’assoluta fiducia che continuava a riporre in quel ragazzo?
 
“Si ritroveranno. Ci sono legami che, semplicemente, non possono essere spezzati”.
 

*****

 
Starnutì rumorosamente, coprendo il volto con un fazzolettino pulito quando il suo coinquilino si voltò sorpreso ad osservarlo. “Hai preso il raffreddore?” si premurò immediatamente di informarsi il più grande, scostando la frangetta castana dai suoi dolci occhi imbarazzati. Taemin abbassò ritmicamente il capo, tentando invano di trattenere un nuovo starnuto.
 
“Mi sento un bambino con il naso a fontanella!” si lagnò, rosso in viso, sgusciando dall’abbraccio di Minho per paura di contagiarlo.
 
“Dove vai piccolo furfante?” risuonò allegro il richiamo del moro, che gli corse velocemente incontro, ignorando i suoi continui urletti di protesta. “Smettila di fare il difficile!” lo rimproverò, afferrandolo gentilmente per i polsi e riportandoselo vicino “Vieni qua…”
 
La felpa rossa, leggermente avvitata sui fianchi sottili, era stata perfettamente abbinata agli scarponcini di vernice e agli enormi guanti di lana. Minho scrutò con sguardo amorevole il tenero ragazzino che si agitava tra le sue braccia, spingendolo dolcemente verso una panchina poco distante. Adagiò a terra le buste della spesa, trascinandosi in grembo il più piccolo. La fronte era piuttosto accaldata, constatò, sfiorandola con le labbra dischiuse per verificarne la temperatura.
 
“Dovremmo tornare a casa” decretò infine, più che mai deciso a mettere a letto quella piccola peste.
 
“Abbiamo ancora delle cose da comprare” puntualizzò invece Taemin, sventolandogli sotto il naso la lunghissima lista compilata quella mattina “Il dentifricio sta per finire, e lo zucchero rimasto basterà giusto per un giorno o due” aggiunse, evitando accuratamente gli occhi divertiti del maggiore.
 
“Io credo che la tua unica preoccupazione siano i prodotti a fine pagina” lo canzonò Minho, scoppiando in una fragorosa risata quando le guance del suo dolce coinquilino presero velocemente fuoco. “Merendine e biscotti, mmh?” mormorò, ricordando il piccolo market poco lontano da casa “Li prendiamo sulla via di ritorno, non preoccuparti” concesse bonario, regalandogli un tenero buffetto sulla gote colorite.
 
“Non prendermi in giro!” piagnucolò Taemin, scansando con un gesto irritato le nuove carezze che il moro era stato in procinto di elargire. “Io mi preoccupavo anche di questa!” esclamò, puntando il ditino affusolato sulla quartultima riga della sua interminabile lista “Non dirmi che a te non interessa?” incalzò, sfrontato, sfoggiando un vittorioso sorriso quando fu il volto di Minho a divenire paonazzo.
 
“Andiamo!” decise per entrambi, afferrando la mano del suo gigante con frettolosa allegria “Per fortuna ho convinto omma a dirmi il nome del negozio!”
 

*****

 
Le dita tra i miei capelli si muovevano lente e leggere, soffermandosi con i polpastrelli sulla base della nuca, lì dove le sue carezze mi procuravano piacevoli brividi di desiderio lungo la schiena. Mossi istintivamente il capo incontro alla sua mano, e la bassa risata che seguì quel gesto involontario arricciò di rimando le mie labbra infastidite.
 
“Fallo ancora” soffiò sul mio orecchio, estremamente divertito nel suo tono sdolcinato e cantilenante. Sbuffai irritato, nascondendomi più infondo nel mio piccolo bozzolo di lenzuola e felpe ingombranti. “Continua a parlare. Non volevo che ti fermassi” precisò, forse dispiaciuto, stringendosi più forte alla mia schiena man mano che la distanza tra i nostri corpi diminuiva.
 
Sospirai in quel nuovo abbraccio, sconfitto in partenza dai suoi teneri occhioni da cucciolo. Spostai lo sguardo sul vetro appannato dalla pioggia, osservando mentalmente quanto avessi in realtà gradito quel temporale imprevisto e inizialmente criticato. Mi concedeva la possibilità di restare per tutto il giorno sotto le coperte, insieme all’insolente scimmione che proprio in quel momento aveva preso a punzecchiarmi  un fianco.
 
“Bummie?” si lamentava dolcemente, tirando in avanti le labbra carnose, così da mostrare un piccolo broncio tanto stupido quanto adorabile. L’indice e il pollice si chiusero con più forza attorno alla carne che avevano intrappolato, facendomi sussultare nuovamente sotto le sue torture.
 
“Sei insopportabile!” brontolai, fingendomi indignato, ma lui sorrise sulla mia guancia, depositandoci sopra tanti teneri bacetti appena accennati. Mi si strinse lo stomaco dinanzi al suo sguardo, in quel momento talmente vicino da costringermi a chiudere gli occhi.
 
“Ti posso baciare?” sussurrò timidamente, accarezzandomi le labbra con la dolce sensazione del suo respiro caldo e regolare. Annuii mestamente, irrigidendomi all’istante quando la sua bocca sfiorò gentile la mia, percorrendola subito dopo con la punta della lingua. Cedetti sognante alla sua muta richiesta, e del suo sorriso divertito riuscivo facilmente ad immaginarne ogni particolare.
 
Scivolò sul mio corpo, silenzioso e delicato, trattenendo il proprio peso sugli avambracci e piegando in avanti il busto. Jonghyun è sempre stato un tipo attento a queste piccole cose, come quando mi chiedeva improvvisamente di fare qualcosa per lui, magari recuperare un libro dalla sua stanza o spegnere il televisore, e quando tornavo a voltarmi tutti i panni appesi fuori erano stati magicamente raccolti.
 
Aveva la pelle intirizzita dal vento, perché magari le temperature si erano ulteriormente abbassate e fuori pioveva, ma non si lamentava di nulla né giustificava i propri gesti, sorridendo svenevole al mio sguardo interrogativo. Ricordo che un giorno gli chiesi: “Perché l’hai fatto? Stavo per raccoglierli io”. Lui allora mi aveva fissato, talmente buffo nella sua smorfia impacciata da farmi scappare un sorriso, e aveva risposto: “Oh, beh… non me ne ero accorto”.
 
Grandissimo bugiardo che era il mio scimmione.
 
“Mi stavi dicendo che la prossima settimana arriveranno i tuoi” disse a mezza voce, portando una mano sul mio fianco e l’altra al cuscino poco distante. Lo afferrò per un angolo, trascinandolo premuroso fino a me.
 
“Grazie” mormorai di rimando, sollevandomi appena e adagiandoci sopra il capo. “Si, si fermeranno un paio di giorni. Forse qualcuno in più” confermai distrattamente, allungando due dita fino ai suoi capelli, per poi giocherellare pigramente con qualche ciuffo un po’ più lungo. Avvertii una sensazione di inconsapevole vittoria, quando anche lui abbassò involontariamente le palpebre, sospirando beato alle mie carezze.
 
“Fallo ancora” lo presi in giro, sfiorando il suo naso con il mio. Non riuscii nel mio intento di deriderlo perché lui, assai più accomodante di quanto io potessi mai sognarmi di diventare, si limitò a farsi più vicino, strofinandosi ancora una volta contro la mia mano e unendo le nostre fronti.
 
“Contento?” rispose, incrociando i miei occhi. Sorrise al mio sorriso, facendo aderire la sua guancia alla mia mentre tornava ad abbracciarmi. “Quando ha scoperto di te?” chiese, appena udibile, probabilmente insicuro di fronte all’idea di aprire nuovamente un argomento così delicato.
 
“Diversi anni fa. Lo incrociai per strada all’uscita da un locale. Avevo un tizio mezzo ubriaco allacciato al braccio, e l’insegna del posto dove mi trovavo non lasciava spazio ad equivoci” spiegai brevemente, senza provare la minima vergogna per le mie azioni passate.
 
Jonghyun sollevò rapidamente il capo, puntando i suoi occhi infastiditi direttamente nei miei. Corrugai la fronte, senza afferrare il motivo della sua irritazione. Quasi avvampai dalla vergogna quando la natura dei suoi pensieri divenne di colpo più chiara. “E-Era un a-amico!” balbettai, imbarazzato, agitando freneticamente le mani davanti al volto.
 
“Ne sei sicuro?!” indagò, unendo l’una all’altra le sue folte sopracciglia. La mascella si irrigidì ulteriormente, mostrando con lampante evidenza quanto quella rivelazione lo avesse sul serio disturbato. Decisi che, almeno per un altro po’, avrei potuto sfruttare quella sua debolezza per farci sguazzare dentro il mio ego compiaciuto.
 
“Suvvia Jongie, non puoi certo star qui a preoccuparti per tutte le storielle passeggere del mio passato, ti pare?” lo provocai, sempre più esaltato dalla possibilità di spingere fino al limite la sua innata gelosia nei miei confronti. “Era solo un tizio che ho frequentato per un po’. Nulla di che. Sai… qualche bacetto. Niente di spinto alla fine”.
 
“Qualche bacetto?!” ringhiò a denti stretti, serrando con eccessiva veemenza quella che fino a pochi minuti prima era stata una presa dolce ed infinitamente gentile. Forse sarò un po’ masochista, ma riconoscere in fondo ai suoi occhi quella debole fiammella alimentata dalla follia spinse ogni cellula autolesionista del mio corpo a portare avanti quella farsa.
 
“Si. Solo baci” insistetti, perfidamente orgoglioso della voglia di uccidere qualcuno che sentivo nascergli dentro “Una volta ha provato a spingersi più in là, ma mi sono tirato indietro” calcai ancora di più la mano, non riuscendo a trattenere più il mio sorriso vittorioso quando infine i suoi occhi parvero schizzare letteralmente fuori dalle orbite.
 
“Né scimmione, lo sai che ti adoro quando fai così?” cantilenai, ancora poco cosciente di quale reazione sconsiderata avessi in realtà messo in moto all’interno del suo cuore.
 
“Non provocarmi, Kibum!” tuonò, furioso del mio inganno. Tremai inconsapevolmente della sua irruenza, mentre l’intero peso del suo corpo mi ricadeva prepotente addosso, schiacciandomi contro il materasso senza possibilità di fuga.
 
“Impazzirei all’idea di saperti tra le braccia di un altro!”
 
Riconobbi una nota addolorata, tra le tonalità cupe e profonde di quella sorda minaccia. Non sono mai stato bravo a gestire le emozioni. Le mie in primis, e quelle degli altri ancora meno. Provai per un solo secondo ad immaginarmi nella sua posizione. Cosa avrei provato io… sapendolo con qualcun altro? Vederlo sorridere ad altri occhi, sorreggere altre mani, cercare altre labbra.
 
Arrivò dritta al cuore. La sensazione straziante di qualcosa di essenziale che ti viene strappato via. Unghie invisibili che lacerano senza rimorsi, trascinando con sé tutto ciò che di speciale rappresenta la persona amata nella tua vita. Serrai involontariamente le palpebre, dilaniato dalla colpa di quello stesso dolore che gli avevo egoisticamente inflitto.
 
“Perdonami” sbiascicai, inerme sotto il suo corpo, mentre le lacrime scivolavano addolorate lungo le guance, segnando la fine di quel gioco immaturo e involontariamente crudele. “Sono un idiota. Non volevo…” il primo singhiozzo mi morì in gola, soffocato dall’immeritata dolcezza dei suoi rimorsi.
 
“Sono io l’idiota...” mormorò, traboccante di sensi di colpa, liberandomi con un sospiro dal proprio peso. Mi spinsi veloce verso di lui, stringendolo ancora, pregandolo silenziosamente di non lasciarmi. Avrebbe voluto allontanarsi, lo avvertivo, forse dispiaciuto dalle sue reazioni, o magari disgustato dai miei egoistici intenti.
 
Piansi più forte, terrorizzato dal pensiero che i miei gesti potessero in qualche modo fargli perdere interesse nella mia persona. Jonghyun inspirò profondamente contro il mio collo, stringendomi finalmente a sé per poi cullarmi con comprensione.
 
“Non è successo niente. Ho reagito male, scusami” sussurrò timoroso, percorrendo la scia delle mie lacrime con la punta delle dita “Non piangere, Bummie. Solo un idiota potrebbe pensare di avere una storia di poco conto con uno come te” tentò di tranquillizzarmi, accarezzando dolcemente la mia schiena tremante, fin tanto che il mio pianto si placava e il respiro riacquistava serenità.
 
“Ci credi all’amore a prima vista?” mi chiese, talmente sottovoce che feci fatica ad udirlo “Sai, quando incroci una persona per strada, senza conoscerla o averle mai parlato, e te ne innamori perdutamente solo per la dolcezza del suo sguardo…”
 
“Non lo so” mormorai in risposta, e la mia voce venne fuori stridula e spezzata, ancora rammaricata per la stupidità delle mie azioni.
 
Sorrise gentilmente, allacciando i nostri occhi mentre tornava a sollevare le coperte sul mio corpo raggomitolato. Mi ero istintivamente stretto al suo fianco, talmente vicino da plasmare ogni centimetro di pelle al suo, troppo impaurito in quel momento dall’eventualità di vederlo andare via.
 
“Io riesco ad immaginarlo facilmente” replicò, accarezzando la mia schiena nuda con rinnovata dolcezza “Perché credo che chiunque si innamorerebbe di uno sguardo come il tuo…”
 

*****

 
La notte arrivò improvvisa, accarezzando il paesaggio circostante con il proprio mantello nero. I rami secchi degli alberi apparivano assai più solitari sotto la luce argentata della luna. Passi silenziosi e leggeri percorsero il piccolo vialetto, oltrepassando le siepi curate, inoltrandosi in quella boscaglia più o meno fitta, ad una decina di metri dalle recinzioni.
 
Il respiro, pesante ma regolare, si condensava rapido in piccole nuvolette dalla consistenza effimera. Esse difatti scomparivano veloci, risucchiate dalla stessa aria gelida che le aveva generate. La mano sul tronco tremò appena, e si ritrasse subito dopo, quasi scottata da quel fugace contatto.
 
La punta affilata accarezzò la corteccia, percorrendo con tacita determinazione quei piccoli simboli un tempo più chiari. Cosa sarebbe successo se li avesse lasciati scomparire? Si lasciò ferire dalla stessa crudeltà dei propri pensieri, trattenendo un impercettibile rantolo mentre tornava a serrare le palpebre. “Impossibile” sussurrò, appoggiandovi contro la fronte “Il tuo ricordo rimarrebbe comunque”.
 
Riprese con parsimoniosa attenzione il proprio lavoro, tirando su il colletto della giacca quando infine il vento divenne più testardo. Poche lacrime scivolarono sulle guance, accompagnando i sottili riccioli di legno fino al terreno sconnesso. La suoneria del cellulare, allegramente derisoria tra la silenziosa tristezza di quel pianto strozzato, gli riempì ben presto le orecchie, infastidendolo.
 
Il dorso della mano sfregò indelicato la scia umida del suo sfogo solitario, cancellandone ogni traccia. Avrebbe voluto gettarlo lontano quel palmare, furioso della poca considerazione con la quale lo aveva ridestato dai propri ricordi. Poi il nome sul display divenne lentamente più chiaro, costringendolo a ricredersi. No. A quella persona avrebbe risposto.
 
“Ciao” disse solamente, piegando tristemente una gamba, fin quando la terra umida non imbrattò gli abiti sportivi e la mano ancora libera.  “Che ci fai sveglio a quest’ora?”.
 
“Non lo so. Forse un presentimento. Non ti piace circondarti di molte persone. Ho pensato… che magari avessi bisogno di qualcuno con cui fare quattro chiacchiere”.
 
Le parole di Kibum erano premurose, completamente concilianti con il tono armonioso utilizzato per pronunciarle. Byung-Hee sospirò, portando indietro i capelli “Cosa te lo fa credere?” rispose, abbassando le palpebre quando la voce del più piccolo tornò a farsi sentire.
 
“Non è facile spiegarlo, ma… so che è così”.
 
Avrebbe potuto raccontare a Kibum i propri timori? Probabilmente no. Non era ancora pronto a farlo. Sollevò lentamente il capo, portando gli occhi al cielo, nuovamente inghiottito dalla malinconica consapevolezza della propria natura solitaria. Le prime stelle facevano capolino da dietro le nuvole, puntellando con il loro romanticismo il velo buio di quella notte di metà Novembre.
 
Una chiamata di tre minuti, il cui silenzioso contenuto venne spezzato solo dal flebile alternarsi dei loro respiri. Non c’era molto da dire. Kibum aveva intravisto la sua sofferenza attraverso le poche parole che avevano segnato il loro scambio di battute, e di questo Byung-Hee non si era affatto sorpreso. Quel ragazzino dai capelli biondi nascondeva una certa maestria nel saperlo leggere.
 
“Ci sei ancora?” domandò il più grande alla fine, portando lo sguardo sulla propria tenuta, le cui luci del primo piano risultavano ancora accese. Jihun e Abel dovevano essere nello studio.
 
“Sono qui”.
 
“Non è mia abitudine parlare molto. Non riuscirei ad esprimerlo quello che provo, ma… tu sembri capirlo ugualmente per cui… non ce ne sarà bisogno. C’è qualcosa che devo fare. Qualcosa che aspetto da molto tempo. Una volta ero determinato. Convinto della mia causa e dell’obiettivo da raggiungere” riprese lentamente fiato, arricciando le labbra quando del pacchetto di sigarette non trovò traccia “Poi gli anni sono passati, e i dubbi non mi risparmiano”.
 
“Quanto credi in lui?”
 
Kibum lo aveva interrotto, ponendogli quella domanda con una serietà tale da spezzargli il respiro. Il peso sul cuore risalì lento la gola, serrandoci intorno i propri artigli. Byung-Hee schiuse le labbra, ma nessun suono ne venne fuori.
 
“Quanto credi in questa persona? Perché… è di una persona che stiamo parlando, vero?”
 
La gelida consapevolezza dei propri sentimenti gli attanagliò lo stomaco, percorrendo testarda ogni vena e ogni muscolo, fino ad esplodergli in testa come il più devastante dei pensieri. Si propagò veloce, avvolgendogli l’anima, obbligandolo a serrare i pugni attorno all’umido terriccio sul quale si trovava seduto. Nuove lacrime incrinarono la sua risposta. Inarrestabili come il pulsare del suo cuore. Amare più delle precedenti.
 

“Non smetterò mai di credere in lui”

  
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