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Autore: Flower of Eternity    02/04/2007    4 recensioni
In una squallida, sporca strada di periferia, Neera, nostra giovane ed ingenua protagonista, incontra una creatura oscura, abbandonata. Un essere in fuga.
E lo aiuta.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO PRIMO

Tutta questa storia iniziò perché a Neera non fu concesso un mezzo di trasporto.
Prova concreta di come il destino in generale ed il caso in particolare amino sollazzarsi con le nostre esistenze, facendole cozzare l’una contro l’altra come tante biglie colorate, splendide eppure fragili.
Ma torniamo a Neera.
Se vi foste affacciati da una qualsiasi finestra del grande palazzo dirimpetto alla sua scuola – quell’edificio che un tempo, forse, era stato marrone – l’avreste vista uscire insieme agli altri studenti, allo scoccare della campanella dell’ultima ora.
Una giovane dai morbidi capelli neri, con grandi e vispi occhi del medesimo colore incastonati in un visino allegro, pulito. Ragazza ordinaria, con il giusto numero di amici e corteggiata dal giusto numero di ragazzi. Se i suoi genitori l’avessero dotata di un mezzo di trasporto, forse la sua vita avrebbe avuto tutto un altro corso, e lei si sarebbe innamorata di un anonimo alunno del quinto anno, con il quale avrebbe messo su famiglia una volta trovato un lavoro decente, vivendo un’esistenza mestamente felice.
Ma i suoi genitori non gliel’avevano concesso.
Eppure lo aveva chiesto. Eccome! Lo aveva preteso, supplicato, implorato.
Ma nulla. Non un motorino, nemmeno uno straccio di bicicletta. Uno stramaledetto monopattino. Non era necessario, a loro giudizio.
Per riportare a casa la loro figliola, in fondo, erano necessari solo venti minuti di cammino; e non aveva poi molta importanza il fatto che la zona ove Neera si avventurava ogni giorno pullulasse di certi soggetti che non sarebbero stati raccomandati nemmeno dalle loro stesse madri.
L’importante era non guardare in faccia a nessuno, non rispondere a nessuno e proseguire dritti per il proprio cammino. Una cosa così facile, no? Oh, sì. Facile come ricevere una randellata in testa una volta girato l’angolo.
Ma che ne potevano capire, mamma e papà? Loro avevano un’auto a testa.
E così la nostra giovane, decisamente poco felice, continuava a tornare a casa con i propri piedi, tutti i giorni alla stessa ora, zampettando come un cuccioletto indifeso per le grigie strade di quella grande città.
Commuovente, nella sua dolce bellezza ancora a metà strada tra il mondo dell’infanzia e quello dell’età adulta, con una colorata cartella appesa alle spalle, ed una cartellina stretta al petto, i lunghi capelli che ricadevano attorno al viso tenuto basso. Una quindicenne come tante altre, fresca quanto una rosa in pieno sboccio.
Anche quel giorno, come sempre, prese la sua strada, salutando allegramente un gruppo di compagne di classe. Dopo quattro lunghe ore pomeridiane passate nel triste e scadente laboratorio di cui era dotata la sua scuola, un liceo artistico che molti fondi riceveva dal comune, sprecandone ben pochi nel miglioramento delle sue strutture, Neera avvertiva una qual certa forma di stanchezza. Si avviò di buona lena, i jeans un po’ troppo larghi che le sformavano le magre gambe.

Fu in quel frangente che conobbe la sua Bestia.

Il sole, un freddo e pacato sole invernale, andava lentamente tramontando, abbandonando a se stessa la grande, brulicante area cittadina che aveva visto nascere e crescere la nostra protagonista; rosse ombre si protesero lungo le sporche, trascurate strade che lei attraversava con passo rapido, tingendole di un colore sanguineo.
Quella zona era, sulla scala del degrado, di appena pochi gradi più in basso rispetto al quartiere ove abitava lei; pullulava di persone che mettevano paura ed angoscia al solo guardarle, cosa che Neera evitava accuratamente di fare, proseguendo ostentatamente per la sua strada. Pareva quasi che la Vita si fosse dimenticata di quegli abitanti, abbandonandoli senza scrupoli alla ben più triste cugina Esistenza.
I palazzi, ognuno il gemello più brutto dell’altro, affiancati come tanti soldatini storpi, osservavano lo scorrere della vita, la loro lunga ed imponente fila interrotta qua e là da qualche piccolo, oscuro, nero, maleodorante vicolo.
Quel tipo di vicoli, tanto per intenderci, ove non mandereste neppure il vostro peggior nemico, a meno che non desideriate per lui un’originale ed elaborata morte indotta da una serie di malattie che l’umanità probabilmente credeva sconfitte da secoli.
Fu proprio nei pressi di uno di questi vicoli che Neera, passandovi innanzi forse per puro caso, udì quel suono che cambiò il corso della sua vita. Per sempre.
Un suono anonimo, a dire il vero, paragonabile a quello provocato dalla caduta di un grande sacco pieno di patate. Nulla che potesse far presagire ad un grande avvenimento e che, anzi, per un attimo, le diede l’impulso di allontanarsi più velocemente che poteva.
Ferma di fronte a quel vicolo, lei si guardò attorno, domandandosi se qualcun altro avesse udito quel rumore. Che era risuonato chiaro e limpido alle sue orecchie, bloccandola all’istante. Il suono di qualcosa che cadeva. Un corpo, magari.
Forse qualcuno stava male, là dentro. Uno di quei ragazzi che bevevano troppo, fumavano troppo e che, soprattutto, si iniettavano troppa di quella certa sostanza nelle vene.
Forse stava morendo, solo ed abbandonato da tutti.
Neera si guardò attorno ancora una volta, come in cerca di complicità con qualche casuale passante. Ma nessuno era abbastanza vicino a lei, o abbastanza interessato alla sua persona. In quella sporca e depressa zona della città, ognuno viveva una grigia esistenza a sé stante, cellula impazzita di una società incapace di restituirle una qual certa forma di decoro.
Sospirando indecisa, la giovane tornò a fissare l’interno buio del vicolo, mentre la sottile ombra della sua figura femminile veniva proiettata alle sue spalle, circondata ed accarezzata dalla luce del sole morente.
Forse c’era davvero qualcuno che stava morendo…
Probabilmente avrebbe fatto meglio a proseguire per la sua strada, sperando che altri entrassero in quella brutta e spaventosa stradina, e rinvenissero il malato. O il morto, a seconda del caso.
Ovviamente, dato che era un’adolescente che sapeva benissimo qual’era il comportamento più responsabile da tenere, ma che, nella maggior parte di casi, tendeva a fare esattamente l’opposto di ciò che il buon senso le consigliava caldamente, ella entrò di qualche passo dentro il vicolo, quasi fagocitata dalla sua ombra.
E lo vide.
Lei flebilmente illuminata dai pochi raggi che riuscivano a raggiungere il principio del vicolo, lui avvolto nell’ombra: fu così, il loro primo incontro. Dapprima lo scambiò sul serio per un ubriacone, o per un drogato. Ripiegato su se stesso, il corpo fasciato in stracci lerci e puzzolenti, quel poveretto se ne stava a terra, mugolando debolmente. I capelli, il cui colore lei non seppe distinguere con chiarezza a causa della semioscurità di quel luogo, ricadevano scomposti sul viso, coprendolo e celandolo alla sua vista.
Tenendo la grande cartellina che conteneva i suoi disegni stretta al petto, come se fosse stata un piccolo ed inutile scudo, Neera rimase a lungo in silenzio, trattenendo il respiro, osservando quella creatura, un piede proteso all’indietro e pronto alla fuga.
«Tu… tutto bene?» tartagliò timidamente, non sapendo perché il solo scorgere quel corpo umano le avesse dato i brividi. Al suono della sua voce, la persona misteriosa mosse di scatto il capo, parte del viso ancora tenuta nascosta dai capelli. «Se ti senti male, posso chiamare un’ambulanza…»
«Mi cerca.» fu l’ansimante risposta che l’uomo le fornì, con voce roca e debole. «Mi cerca!» con quello che parve un immenso sforzo, lui si puntellò a terra, riuscendo ad alzarsi in ginocchio; cosa che allarmò Neera, sempre più preoccupata per la propria incolumità che di quella della persona cui aveva pensato di prestare soccorso.
«Io non…» balbettò la poverina, mentre l’essere si rialzava in piedi. Era più alto di lei, dal fisico snello e slanciato. Gli occhi che si andavano abituando alla penombra, la giovane riuscì a distinguere i tratti di quella porzione di viso che lui le offriva. Un ragazzo. Era solo un ragazzo. «Chi ti cerca?»
Lui fece un paio di passi verso la ragazzina, osservandola con attenzione, come se volesse valutarla, o giudicarla. Il cono di pallida luce che a malapena raggiungeva il principio del vicolo finalmente lo accolse, svelandolo appieno. Era molto più alto di lei, tanto che, nel vederlo avvicinare, Neera fu costretta a ripiegare il capo verso l’alto per osservarne il volto.
Un volto che quasi la fece urlare.
La cartellina cadde a terra con un suono sordo, abbandonata dalle mani della fanciulla che, in un gesto atavico, corsero verso la bocca di lei, coprendola. Forse per impedire all’urlo che voleva uscirne di trovare la libertà.
«Non guardarmi così.» accusò il ragazzo, anche se con rassegnazione, coprendo con un gesto stizzito la parte destra del viso, orrendamente sfigurata. I biondi capelli, sporchi e spenti, ricadevano a ciuffi disordinati sino all’altezza degli occhi azzurri, quasi glaciali. «Aiutami…»
Cos’altro avrebbe dovuto fare? Lo aiutò.
  
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