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Autore: Aeternum    16/09/2012    1 recensioni
"...mi chiedo come sia possibile che il mondo a diciassette anni sembri così dannatamente vasto che pare che tutte le emozioni possano scivolare via, perdersi in questo immenso niente che racchiude la vita." (cit.)
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Devo ancora dire a mamma e papà che giovedì devono andare a scuola a parlare con la Nicoletti, la mia prof di storia. Stè mi ha suggerito di andarci piano, con calma, che se gli dico le cose in fretta poi mi prendo una di quelle punizioni extralarge che mi impedisce di uscire di casa per almeno un mese. E non è il caso, anche perché quel gioco online c’ha preso di brutto e voglio vedere come va a finire. Se tutto va bene domani vado da lui e continuiamo a giocare. Ma prima, beh prima devo dire ai miei dell’incontro con la Nicoletti.
Sono seduti sul divano, in soggiorno, che guardano un film comico, roba italiana che non farebbe ridere neanche la persona più solare di sto mondo. Mi metto su una sedia, leggermente lontano da loro qualora volessero prendermi a botte, o comunque abbastanza lontano da potermene fuggire in camera a tutta birra e chiudermici dentro a chiave.
Mamma mi guarda. Mi sorride. [Che c’è tesoro? Qualcosa non va?] che vuoi che ti risponda mamma? C’è una marea di cose che non va, ma non ti accorgi mai di niente, perché come tutte le madri hai ben altro per la testa, e ogni volta che mi vedi è solo per dirmi di cambiare atteggiamento. Se sono troppo felice pensi che qualcosa non va; se sono troppo silenzioso, idem; se ti guardo con due occhioni spalancati, col terrore in corpo della tua reazione, pensi sempre la stessa cosa… Possibile che debba sempre esserci qualcosa che per te non va, mamma?
Deglutisco, quindi calo lo sguardo, papà che abbassa il volume della tv e mi guarda anche lui.
[Giovedì la Nicoletti vuole vedervi…] mormoro con tono basso, timoroso della loro reazione. E infatti papà subito dice [Che hai combinato?] con tono rude, cattivo quasi. Non ho il coraggio di alzare gli occhi. Perdonami papà se non sono il figlio che vorresti. Perdonami se sono il solito ragazzo scapestrato che pensa solo a divertirsi. Perdonami se non sono uno studente modello. Perdonami se perdo la testo dietro a cose che tu reputi inutili… ma io la amo, e lei non va via dalla mia testa, capisci? È un pensiero fisso, immobile, statico, incastonato nelle pieghe del mio cervello. E non va via. Non esce fuori. Non ne vuol sapere della libertà…
[È la seconda volta in una settimana che mi becca impreparato…] mormoro quasi controvoglia, come se mi stessero strappando le parola di forza dalla gola.
Papà s’incazza. Alza subito la voce. Dice che sono un figlio degenerato e che non merito niente, poi domanda alla mamma dov’è che hanno sbagliato con me, qual è il loro sbaglio. Ma non sono loro ad essere in errore. È solo colpa mia. Mia, perché non so scacciare via Rosa dalla mia mente. È sempre lì, imperterrita, quel dannato pensiero che occupa tutte le ore scolastiche, quell’immagine frantumata che mi sovviene ogni giorno, ogni ora, ogni minuto che passo lontano da lei.
Vorrei dire ai miei genitori che è normale che io non riesca a studiare, ma sanno che la storia non mi è mai piaciuta e quindi non mi presterebbero affatto ascolto, anzi, prenderebbero le mie parole come l’ennesima presa per il culo.
Mi urlano contro, ma alla fine papà si ferma. È rosso in volto. Mi dice con tono arrabbiatissimo [Adesso basta Max! Mi hai proprio stufato tu e le tue tarantelle! Sei in punizione! E ci resterai finquando non recuperi tutto, ogni singola materia! Niente tv. Niente computer. Niente x-box. E scordati di prendermi per il culo con la storia che vai a studiare a casa di un amico! Ma per chi diavolo mi hai preso eh? C’ho forse scritto “giocondo” in fronte?] mi alzo in piedi, papà che continua ad urlare come un ossesso. Non ce la faccio a starlo a sentire ancora. Mi ha rotto pure lui con le sue stupide frasi del cazzo.
Vorrei dirgli tante cose, ma alla fine taccio e mi chiudo in camera. Almeno il cellulare me l’ha lasciato.
Mamma e papà continuano a gridare. Parlano di me, di come mi hanno educato, e non fanno altro che urlare che frequento persone sbagliate, che da quando sono alle superiori sono diventato incomprensibile, che mi comporto sempre in modo strano... Non li sopporto quando fanno così. I genitori dicono sempre che noi figli sbagliamo tutto, ma perché loro forse ci aiutano a non sbagliare? Ci danno forse una mano quando abbiamo bisogno di loro? No. Non ci sono mai. Troppo presi dal loro lavoro, dalle loro faccende, dai propri problemi… come pensano di poter essere un buon esempio per noi, se nella nostra vita non ci sono mai? Che poi è assurdo, credono che fare il genitore sia solo qualcosa di part-time, e che implichi il solo impartire punizioni o fare quelle due chiacchiere durante i pasti, come se poi si parlasse di qualcosa d’intelligente. Non sanno far altro che venire incazzati da lavoro, e non sapendo con chi prendersela scelgono sempre l’anello debole: i figli. Già. Mamma ha versato l’acqua? È colpa di Max che non era attento e non ha preso la bottiglia prima che cadesse. Mamma si taglia un dito affettando la cipolla? È colpa di Max che l’ha distratta con una delle sue solite cazzate. Papà inciampa nei suoi stessi piedi? È sempre colpa di Max, non c’è’ niente da fare! In questa cazzo di casa, chi si deve sempre addossare le colpe di tutti, sono sempre e solo io! Non è possibile!
Voglio scappare, ma il cellulare mi vibra nella tasca. È Stè. “Com’è andata? Gliel’hai detto?”.
Vorrei tirare il cellulare contro la parete, ma è l’unica cosa che mi resta per distrarmi e non posso distruggere anche questa. Trattengo la rabbia, e scrivo “Sì, e sono in punizione finquando non recupero TUTTO”. Non oso immaginare la faccia di Stè. Addio giochino online. Addio filmini porno. Addio tutto… Il display s’illumina di nuovo. Altro messaggio. “Allora sei totalmente spacciato! xD”. Mi viene da ridere, e non so come diavolo sia possibile dopo tutto quello che sto passando.


***

Stasera niente cena. Non ne ho voglia. Papà s’incazza ancora di più. Io gli dico che voglio studiare. Che cazzata… Non ci casca, e si sente preso ancora di più per il culo, ma io me ne fotto. Sto chiuso in camera mia e ho la mia musica che mi gira a palla nelle orecchie.

“I wanna heal, I wanna feel, what I thought was never real.
I wanna let go of the pain I've felt so long…
Erase all the pain til' it's gone.
I wanna heal, I wanna feel, like I'm close to something real.
I wanna find something I've wanted all along.
Somewhere I belong…”


Strano, eppure le canzoni hanno il potere di essere sempre in perfetta sintonia coi nostri sentimenti, neanche fossero legati da un sottilissimo filo di lenza.

***

Pensieri grigi come l’asfalto bagnato mi fan pensare che la vita ci vuole a tutti quanti belli, forti, indistruttibili, sempre presenti, ma poi se siamo noi a chiedere qualcosa alla vita questa ci volge le spalle. Proviamo a tirarci su di morale in tutte le maniere, ma quando gli amici ti dicono “Ehi, sorridi! La vita è bella!” non ti viene da credergli neanche un po’, e se prima stavi solo precipitando leggermente, adesso sei finito nel fosso per bene, e non c’è modo di uscirne se non con le proprie gambe. Già, perché la gente è difficile che allunghi un braccio e dica, “Sono qui. Sono qui per te”…
Ma no, non c’è nessuno pronto a prodigarsi in un’azione tanto pia, quindi devi risalire da solo in superficie. E finisce che ti attacchi ad ogni cosa, ad ogni nota stonata che parte dal cuore, ad ogni pizzicotto di verità che ti entra nel cervello, e che pare urlarti “La vita è questa. Alzati!”. Così lentamente risali in superficie, ti levi le cuffiette, ti guardi attorno, e pare che il mondo non sia mai esistito prima d’ora, che tutto sia qualcosa di nuovo e straordinario. Ti riscopri a guardare le cose in modo diverso, con occhi più spiritati, col sangue più caldo, talmente caldo nelle vene che pare le bruci per tutto quel ribollire. E quando apri bocca poi, e provi a rimestare le corde vocali per la riuscita di un suono decente che ti esca dalle labbra, alla fine odi solo un mormorio, parole confuse, una voce che pare non sia nemmeno la tua. E ti chiedi se questo poi sia veramente il tuo corpo, e ti alzi come un invasato dal letto piazzandoti davanti allo specchio, tastandoti il volto con le mani, gli occhi fissi in quelle pupille che sanno solo di specchio, di riflessione, e tante piccole speranze morte come sogni caduti in terra, simili a dei palloncini ormai sgonfi.
Dicono che la solitudine serva. Che sia utile per capire quanto in realtà tieni alla compagnia. In questo momento, gli occhi fissi nel riflesso dei miei stessi occhi, comprendo che è tutta una grandissima puttanata. La solitudine non serve a niente. Fa solo male e basta. Ti tiene costretto in un fosso dalle pareti scivolose, con una voce fuori campo che pare dirti “Prova a risalire se ci riesci!”. E in effetti risalire in superficie, tornare a sorridere come prima di cadere giù, è difficile. Non sempre ti riesce… Ma la musica serve a questo no? A farti compagnia. Ad aiutarti. A fare da scala per condurti fuori dal fosso. E io sono uscito. Un po’ leso, è vero, ma sono ancora vivo. Purtroppo per lei, purtroppo per Rosa.

“All is right 'cause we're
breakin' the chains, breakin' the chains!”




FINE
   
 
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