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Autore: Fatanera    16/09/2012    4 recensioni
[Shatner/Nimoy] Durante le riprese dell'episodio 'The Devil in the Dark' succede qualcosa di inaspettato e profondamente doloroso. Un altro, fondamentale tassello che ha contribuito a cementare un'amicizia lunga una vita.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nota: ho scritto un articoletto sulla Horta, pubblicato su Gene's Star Trek - http://genestartrek.wordpress.com/ - (venite a trovarci, abbiamo i biscottini ^^). Fra le altre cose parlavo della morte del padre di Shatner e di quanto Nimoy gli sia stato vicino. E' stata Rei a lanciare l'idea di una FF sull'episodio. Abbiamo parlato un po' del tipo 'la scrivo io o la scrivi tu', ma l'argomento è difficile e doloroso, quindi nessuna delle due se la sentiva di affrontare la cosa. Alla fine ho deciso di provare. Non avevo per niente voglia di entrare nei pensieri e nelle emozioni di chi ha appena perso qualcuno che ama, perciò ho aggirato il problema, vedendo la cosa dall'esterno, dal punto di vista di Nimoy. Non so cosa ne sia uscito, è piuttosto superficiale e forse potevo anche non scriverla, è piuttosto inutile, però boh... Vabbè, dopo questo lungo e inutile spiegone, vedete voi ^^'''   

Leonard Nimoy sedeva su una roccia finta, sepolto dietro il copione. Non che ne avesse ancora bisogno, ormai sapeva le battute a memoria da un pezzo. La sua era una scusa per osservare il suo collega, amico e amante che quel giorno stava dando il meglio di se stesso. Nel teatro di posa era stata ricostruita una grotta completa di cunicoli che rappresentava una cava di pergium (qualunque cosa fosse) e l’ambiente naturale di quel grumo di gomma che giaceva in mezzo allo studio. Quel giorno la Horta era al centro dei pensieri burloni di William Shatner. In poche ore di ripresa aveva partorito una quantità esorbitante di battute e sketch sulla povera creatura. Leonard lo aveva sopportato per un bel po’, aveva risposto alle battute, aveva riso alle scenette, ma poi si era stancato.
“Un bel gioco dura poco, Bill” lo aveva ammonito ma Bill gli aveva dato del noioso, come faceva sempre quando Len si stancava degli scherzi del compagno. Allora aveva afferrato il suo copione e si era messo da parte, rimanendo ad osservarlo da lontano, cercando di mantenere un’aria disapprovante mentre invece un sorriso lottava per spuntare sulle sue labbra. Lo guardava da dietro i fogli, incantato come sempre dalla sua bellezza, dalla luce che emanava in ogni momento, ad ogni gesto, ipnotizzato dalla sua voce, persino dalla sua risata irritante e contagiosa insieme. Scosse il capo quando lo sentì ripetere per l’ennesima volta, ad una nuova comparsa, la sua battuta preferita del giorno sulla Horta: “Ma io avevo ordinato una pizza ai peperoni!”
La comparsa rise e Len si nascose ancora di più dietro il copione per nascondere il suo sorriso. Aveva sentito quella battuta dieci volte, non la trovava nemmeno divertente, eppure Bill aveva quel misterioso potere di farlo ridere come nessun altro riusciva. Leonard pensava che fosse collegato con l’altro suo potere, quello di farlo sentire bene, in qualsiasi momento, in qualsiasi stato d’animo lui si trovasse. Per quanto lo riguardava, Bill era magico.
Joseph Pevney, il regista della puntata, li richiamò all’ordine. Leonard si alzò e tornò nel centro dello studio, accanto a Bill.

Le riprese proseguirono come al solito, fra alti e bassi, punteggiate qua e là da piccoli disguidi tecnici, ma tutto sommato lisce. Durante una pausa William si allontanò per procurarsi una tazza di caffè. Mentre tornava con il bicchierone fra le mani, fu fermato da un’assistente della produzione. Len lo osservò mentre lasciava il caffè sul primo supporto disponibile e seguiva l’assistente. Per il momento non se ne preoccupò, capitava che qualcuno venisse convocato per vari motivi, anche se non riuscì a evitare un briciolo di curiosità. Ma poi il tempo passò, Spock girò un paio di scene da solo, poi tutto si fermò. Serviva Shatner che non tornava. Leonard aspettava da una parte, fumando una sigaretta dopo l’altra. Il regista sembrava nervoso, l’assistente andava e veniva, parlottando con lui. Piano piano, come una lieve onda, il nervosismo si espandeva. Leonard non poteva più aspettare. Aveva la sensazione che fosse successo qualcosa a Bill. Spense l’ultima sigaretta e si rivolse a Pevney.
“Joseph, che succede, dov’è Bill?”
“Non lo so, ha ricevuto una telefonata ed è scomparso”. Il regista continuò a parlare ma Len non lo sentì più. Partì in fretta a lunghi passi verso lo studio dove era disponibile il telefono, forse Bill era ancora là. Non riusciva a immaginare cosa potesse essere successo, forse qualcosa di brutto a sua moglie o alle bambine. Il cuore di Leonard accelerò fino a battere all’impazzata quando non lo trovò dove pensava. Quasi correndo si diresse all’ufficio della produzione, forse era a quel telefono. Ma nemmeno lì c’era. Nel corridoio incrociò Gene Roddenberry.
“Gene, scusami, sai qualcosa di Bill? Ha ricevuto una telefonata, ora non so dove sia, non lo trovo…” Il produttore osservò Nimoy per un attimo, stupito dall’aria ansiosa che mostrava. Leonard era spesso serio, a volte arrabbiato, ma mai ansioso.
“Non lo so, io torno adesso da una riunione alla Desilu…” e anche Gene si trovò a parlare alla schiena di Nimoy che si allontanava velocemente.

Scorse in fretta gli uffici vicini in cui sapeva trovarsi un telefono, poi ebbe un’illuminazione. Forse Bill aveva ricevuto una notizia grave e aveva lasciato gli studi, ma se era ancora lì, poteva trovarlo solo in un posto e si maledì per non averlo pensato prima. L’improvvisa preoccupazione gli aveva impedito di riflettere.

Il magazzino era semibuio e polveroso, ma Leonard trovò subito ciò che cercava. Emise un sospiro di sollievo nel vedere Bill in piedi accanto ai ‘loro’ materassi. Bill aveva trovato quel magazzino un giorno che aveva dato una mano a recuperare un paio di pezzi di scenografia. Bill non era proprio capace di stare fermo, pensò Leonard sorridendo. Quella sera stessa lo aveva portato lì e avevano fatto l’amore sui materassi degli stunt-men, e poi vi erano tornati ogni volta che volevano stare un po’ da soli e che potevano farlo. Era quasi ovvio che Bill si sarebbe rifugiato lì in caso di problemi e ora Leonard voleva scoprire quale fosse il problema.
Bill gli dava le spalle e teneva la testa bassa. Len si avvicinò con cautela e gli mise una mano sulla spalla, chiamandolo dolcemente.
“Billy” sussurrò. L’uomo rimase immobile per un po’, sembrava non respirare nemmeno. Poi si voltò e Leonard poté vedere tutto il dolore dipinto sul suo volto. Durò poco perché Bill lo nascose subito, anzi un tenue sorriso comparve sulle belle labbra. “Billy, che succede?” chiese Len, accarezzandogli il viso. Bill scosse il capo. “Le bambine stanno bene?” chiese.
“Si” rispose William, la voce era bassa ma abbastanza limpida. “Non sono le bambine…” disse. Leonard attese, sapeva che incalzarlo non sarebbe servito a niente.
“E’ mio padre. E’ morto questa mattina” spiegò, con un sospiro ma con la voce sufficientemente chiara e ferma.
“Dio, Billy…” mormorò Leonard. Improvvisamente non sapeva cosa dire, non che fosse un uomo di molte parole, ma con Bill trovava sempre il modo di fargli capire cosa provasse. In quel momento, di fronte a quella devastante notizia, non sapeva cosa dire, come spiegare a William quanto gli fosse vicino. Gli posò le mani sulle braccia, e cominciò a scorrerle su e giù, dai gomiti alle spalle e viceversa. Bill teneva lo sguardo fisso nel vuoto, così come vuoto era il sorriso sulle sue labbra pallide. Poi si riscosse.
“Adesso devo andare, devo prenotare l’aereo per Miami, devo preparare una valigia e sistemare alcune cose, devo parlare con la produzione, mancherò qualche giorno…” Bill si scostò da Leonard e si avviò verso l’uscita, parlando sempre più veloce, snocciolando un elenco di cose che doveva fare prima di partire e anche dopo. Leonard lo seguì.
“Billy, aspetta…” lo chiamò ma Bill non si voltò nemmeno.
“… devo avvisare Gloria, trovare un albergo, poi ci saranno i documenti e il funerale e…” Bill parlava a macchinetta, muovendo le mani, aveva imboccato il corridoio quasi correndo tanto che Nimoy faticava a stargli dietro. Sta scappando, pensò Len. “Billy!” lo chiamò, ma Shatner non lo sentiva nemmeno, continuava a muoversi in fretta, verso il suo camerino.
“Devo cambiarmi e struccarmi, ah, devo parlare con Gene, mancherò qualche giorno…” nella valanga di parole, cominciò a ripetersi. Stava riempiendo la sua mente e l’aria intorno a sé di rumore per impedirsi di pensare. Come entrò nel camerino cominciò a tirare la cerniera per togliere la maglia ma lo fece talmente in fretta che si inceppò. Continuò a tirare fino a quando la cucitura cedette.
“Cazzo, cazzo!!!” imprecò. E cominciò a tirare la maglia per levarla e questa si strappò.
“Billy!” esclamò Leonard e si avvicinò per aiutarlo ma Bill lo spinse via.
“Lascia stare!” gridò.
“Bill, voglio solo aiutarti!” e non si riferiva solo alla maglia.
“Ce la faccio da solo!” gli gridò contro William “Non ho bisogno del tuo aiuto, non ho bisogno di te!” Ora era paonazzo, i suoi occhi lucidi sembravano ancora più verdi, e le labbra erano sempre più pallide. Un altro uomo ora si sarebbe arrabbiato e offeso e lo avrebbe mandato a quel paese, ma Leonard conosceva Bill, sapeva quanto fosse orgoglioso e testardo, quanto fosse convinto di non avere mai bisogno di nessuno. E sapeva quanto in quel momento stesse soffrendo e quanto avesse bisogno di lui. Si avvicinò deciso e gli afferrò al volo entrambi i polsi. Non aveva la forza disumana di Spock, ma non ne era del tutto sprovvisto. Sapeva che la lotta di Bill era solo apparente, quindi lo tenne fermo.
“Billy, smettila, smettila!” gli urlò. “Smetti di scappare e di lottare contro questa cosa, non sei quel cazzo di capitano Kirk! Sei William Shatner! Sei Bill… il mio Billy e io non sono il primo che passa! Sono Len e sono qui…” Continuava a tenerlo ma Bill aveva smesso di lottare, lo guardava con espressione disperata e lo stava ascoltando. “So che forse non hai bisogno di me, ma io sono qui comunque, sono io che ho bisogno di starti vicino, adesso. Ti prego, Bill, lasciamelo fare…” disse e attirò William contro di sé, per stringerlo forte fra le braccia.
Shatner rimase rigido per un po’, poi, lentamente, si sciolse. Si adagiò contro il corpo di Leonard, gli posò il capo contro la spalla e, un braccio dopo l’altro, si strinse intorno a lui. Il suo respiro si fece prima più lento, poi cominciò a spezzarsi. Mentre la stretta diventava più forte, i respiri si trasformarono in singhiozzi, sempre più brevi e forti. Ora Len sentiva le mani di Bill stringere spasmodicamente la sua maglia e le spalle tremare e sollevarsi, mentre l’uomo, finalmente, piangeva.
“E’ morto, Lenny… è morto…” guaì contro di lui, inzuppandogli la maglia di lacrime. “Non lo vedrò mai più, non parlerò più con lui, non andremo mai più a pesca insieme…” Leonard continuò a stringerlo con un braccio, mentre l’altra mano salì a intrecciare le dita fra i capelli folti e dorati.
“Mi dispiace, Billy, mi dispiace tanto…” mormorò. E così rimase, stringendolo forte, cercando di trasmettergli calore e forza e sapendo di non riuscirci. Non poteva fare niente per sollevarlo da quel dolore spaventoso, poteva solo rimanere lì, e abbracciarlo, e accarezzargli i capelli. E restargli accanto, fino a quando Bill lo avesse voluto.
   
 
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