[Shatner/Nimoy] Durante le riprese dell'episodio 'The Devil in the Dark' succede qualcosa di inaspettato e profondamente doloroso. Un altro, fondamentale tassello che ha contribuito a cementare un'amicizia lunga una vita.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Nota: ho scritto un articoletto sulla
Horta, pubblicato su Gene's Star Trek - http://genestartrek.wordpress.com/ - (venite a trovarci, abbiamo i
biscottini ^^). Fra le altre cose parlavo della
morte del padre di Shatner e di quanto Nimoy gli sia stato vicino. E'
stata Rei a lanciare l'idea di una FF sull'episodio. Abbiamo parlato un
po' del tipo 'la scrivo io o la scrivi tu', ma l'argomento è
difficile e doloroso, quindi nessuna delle due se la sentiva
di affrontare
la cosa. Alla fine ho deciso di provare. Non avevo
per niente voglia di entrare nei pensieri e nelle emozioni di chi ha
appena perso qualcuno che ama, perciò ho aggirato il
problema, vedendo la cosa dall'esterno, dal punto di vista
di Nimoy. Non so cosa ne sia uscito, è piuttosto
superficiale e forse potevo anche non scriverla, è
piuttosto inutile, però boh... Vabbè, dopo questo
lungo e inutile spiegone, vedete voi ^^'''
Leonard Nimoy sedeva su una roccia
finta, sepolto dietro il
copione. Non che ne avesse ancora bisogno, ormai sapeva le battute a
memoria da
un pezzo. La sua era una scusa per osservare il suo collega, amico e
amante che
quel giorno stava dando il meglio di se stesso. Nel teatro di posa era
stata
ricostruita una grotta completa di cunicoli che rappresentava una cava
di pergium
(qualunque cosa fosse) e l’ambiente naturale di quel grumo di
gomma che giaceva
in mezzo allo studio. Quel giorno la Horta era al centro dei pensieri
burloni
di William Shatner. In poche ore di ripresa aveva partorito una
quantità
esorbitante di battute e sketch sulla povera creatura. Leonard lo aveva
sopportato per un bel po’, aveva risposto alle battute, aveva
riso alle
scenette, ma poi si era stancato.
“Un bel gioco dura poco,
Bill” lo aveva ammonito ma Bill gli
aveva dato del noioso, come faceva sempre quando Len si stancava degli
scherzi
del compagno. Allora aveva afferrato il suo copione e si era messo da
parte,
rimanendo ad osservarlo da lontano, cercando di mantenere
un’aria disapprovante
mentre invece un sorriso lottava per spuntare sulle sue labbra. Lo
guardava da
dietro i fogli, incantato come sempre dalla sua bellezza, dalla luce
che
emanava in ogni momento, ad ogni gesto, ipnotizzato dalla sua voce,
persino
dalla sua risata irritante e contagiosa insieme. Scosse il capo quando
lo sentì
ripetere per l’ennesima volta, ad una nuova comparsa, la sua
battuta preferita
del giorno sulla Horta: “Ma io avevo ordinato una pizza ai
peperoni!”
La comparsa rise e Len si nascose
ancora di più dietro il
copione per nascondere il suo sorriso. Aveva sentito quella battuta
dieci
volte, non la trovava nemmeno divertente, eppure Bill aveva quel
misterioso
potere di farlo ridere come nessun altro riusciva. Leonard pensava che
fosse
collegato con l’altro suo potere, quello di farlo sentire
bene, in qualsiasi
momento, in qualsiasi stato d’animo lui si trovasse. Per
quanto lo riguardava,
Bill era magico.
Joseph Pevney, il regista della
puntata, li richiamò all’ordine.
Leonard si alzò e tornò nel centro dello studio,
accanto a Bill.
Le riprese proseguirono come al
solito, fra alti e bassi,
punteggiate qua e là da piccoli disguidi tecnici, ma tutto
sommato lisce.
Durante una pausa William si allontanò per procurarsi una
tazza di caffè.
Mentre tornava con il bicchierone fra le mani, fu fermato da
un’assistente
della produzione. Len lo osservò mentre lasciava il
caffè sul primo supporto disponibile
e seguiva l’assistente. Per il momento non se ne
preoccupò, capitava che
qualcuno venisse convocato per vari motivi, anche se non
riuscì a evitare un
briciolo di curiosità. Ma poi il tempo passò,
Spock girò un paio di scene da
solo, poi tutto si fermò. Serviva Shatner che non tornava.
Leonard aspettava da
una parte, fumando una sigaretta dopo l’altra. Il regista
sembrava nervoso,
l’assistente andava e veniva, parlottando con lui. Piano
piano, come una lieve
onda, il nervosismo si espandeva. Leonard non poteva più
aspettare. Aveva la
sensazione che fosse successo qualcosa a Bill. Spense
l’ultima sigaretta e si
rivolse a Pevney.
“Joseph, che succede,
dov’è Bill?”
“Non lo so, ha ricevuto una
telefonata ed è scomparso”. Il
regista continuò a parlare ma Len non lo sentì
più. Partì in fretta a lunghi
passi verso lo studio dove era disponibile il telefono, forse Bill era
ancora
là. Non riusciva a immaginare cosa potesse essere successo,
forse qualcosa di
brutto a sua moglie o alle bambine. Il cuore di Leonard
accelerò fino a battere
all’impazzata quando non lo trovò dove pensava.
Quasi correndo si diresse
all’ufficio della produzione, forse era a quel telefono. Ma
nemmeno lì c’era.
Nel corridoio incrociò Gene Roddenberry.
“Gene, scusami, sai
qualcosa di Bill? Ha ricevuto una
telefonata, ora non so dove sia, non lo trovo…” Il
produttore osservò Nimoy per
un attimo, stupito dall’aria ansiosa che mostrava. Leonard
era spesso serio, a
volte arrabbiato, ma mai ansioso.
“Non lo so, io torno adesso
da una riunione alla Desilu…” e
anche Gene si trovò a parlare alla schiena di Nimoy che si
allontanava
velocemente.
Scorse in fretta gli uffici vicini in
cui sapeva trovarsi un
telefono, poi ebbe un’illuminazione. Forse Bill aveva
ricevuto una notizia
grave e aveva lasciato gli studi, ma se era ancora lì,
poteva trovarlo solo in
un posto e si maledì per non averlo pensato prima.
L’improvvisa preoccupazione
gli aveva impedito di riflettere.
Il magazzino era semibuio e
polveroso, ma Leonard trovò
subito ciò che cercava. Emise un sospiro di sollievo nel
vedere Bill in piedi
accanto ai ‘loro’ materassi. Bill aveva trovato
quel magazzino un giorno che
aveva dato una mano a recuperare un paio di pezzi di scenografia. Bill
non era
proprio capace di stare fermo, pensò Leonard sorridendo.
Quella sera stessa lo
aveva portato lì e avevano fatto l’amore sui
materassi degli stunt-men, e poi
vi erano tornati ogni volta che volevano stare un po’ da soli
e che potevano
farlo. Era quasi ovvio che Bill si sarebbe rifugiato lì in
caso di problemi e
ora Leonard voleva scoprire quale fosse il problema.
Bill gli dava le spalle e teneva la
testa bassa. Len si
avvicinò con cautela e gli mise una mano sulla spalla,
chiamandolo dolcemente.
“Billy”
sussurrò. L’uomo rimase immobile per un
po’,
sembrava non respirare nemmeno. Poi si voltò e Leonard
poté vedere tutto il dolore
dipinto sul suo volto. Durò poco perché Bill lo
nascose subito, anzi un tenue
sorriso comparve sulle belle labbra. “Billy, che
succede?” chiese Len,
accarezzandogli il viso. Bill scosse il capo. “Le bambine
stanno bene?” chiese.
“Si” rispose
William, la voce era bassa ma abbastanza
limpida. “Non sono le bambine…” disse.
Leonard attese, sapeva che incalzarlo
non sarebbe servito a niente.
“E’ mio padre.
E’ morto questa mattina” spiegò, con un
sospiro ma con la voce sufficientemente chiara e ferma.
“Dio,
Billy…” mormorò Leonard.
Improvvisamente non sapeva
cosa dire, non che fosse un uomo di molte parole, ma con Bill trovava
sempre il
modo di fargli capire cosa provasse. In quel momento, di fronte a
quella
devastante notizia, non sapeva cosa dire, come spiegare a William
quanto gli
fosse vicino. Gli posò le mani sulle braccia, e
cominciò a scorrerle su e giù,
dai gomiti alle spalle e viceversa. Bill teneva lo sguardo fisso nel
vuoto,
così come vuoto era il sorriso sulle sue labbra pallide. Poi
si riscosse.
“Adesso devo andare, devo
prenotare l’aereo per Miami, devo
preparare una valigia e sistemare alcune cose, devo parlare con la
produzione,
mancherò qualche giorno…” Bill si
scostò da Leonard e si avviò verso
l’uscita,
parlando sempre più veloce, snocciolando un elenco di cose
che doveva fare
prima di partire e anche dopo. Leonard lo seguì.
“Billy,
aspetta…” lo chiamò ma Bill non si
voltò nemmeno.
“… devo avvisare
Gloria, trovare un albergo, poi ci saranno
i documenti e il funerale e…” Bill parlava a
macchinetta, muovendo le mani,
aveva imboccato il corridoio quasi correndo tanto che Nimoy faticava a
stargli
dietro. Sta scappando, pensò Len.
“Billy!” lo chiamò, ma Shatner non lo
sentiva
nemmeno, continuava a muoversi in fretta, verso il suo camerino.
“Devo cambiarmi e
struccarmi, ah, devo parlare con Gene,
mancherò qualche giorno…” nella valanga
di parole, cominciò a ripetersi. Stava
riempiendo la sua mente e l’aria intorno a sé di
rumore per impedirsi di
pensare. Come entrò nel camerino cominciò a
tirare la cerniera per togliere la
maglia ma lo fece talmente in fretta che si inceppò.
Continuò a tirare fino a
quando la cucitura cedette.
“Cazzo, cazzo!!!”
imprecò. E cominciò a tirare la maglia per
levarla e questa si strappò.
“Billy!”
esclamò Leonard e si avvicinò per aiutarlo ma
Bill
lo spinse via.
“Lascia stare!”
gridò.
“Bill, voglio solo
aiutarti!” e non si riferiva solo alla
maglia.
“Ce la faccio da
solo!” gli gridò contro William “Non ho
bisogno del tuo aiuto, non ho bisogno di te!” Ora era
paonazzo, i suoi occhi
lucidi sembravano ancora più verdi, e le labbra erano sempre
più pallide. Un
altro uomo ora si sarebbe arrabbiato e offeso e lo avrebbe mandato a
quel
paese, ma Leonard conosceva Bill, sapeva quanto fosse orgoglioso e
testardo,
quanto fosse convinto di non avere mai bisogno di nessuno. E sapeva
quanto in
quel momento stesse soffrendo e quanto avesse bisogno di lui. Si
avvicinò
deciso e gli afferrò al volo entrambi i polsi. Non aveva la
forza disumana di
Spock, ma non ne era del tutto sprovvisto. Sapeva che la lotta di Bill
era solo
apparente, quindi lo tenne fermo.
“Billy, smettila,
smettila!” gli urlò. “Smetti di scappare
e
di lottare contro questa cosa, non sei quel cazzo di capitano Kirk! Sei
William
Shatner! Sei Bill… il mio Billy e io non sono il primo che
passa! Sono Len e
sono qui…” Continuava a tenerlo ma Bill aveva
smesso di lottare, lo guardava
con espressione disperata e lo stava ascoltando. “So che
forse non hai bisogno
di me, ma io sono qui comunque, sono io che ho bisogno di starti
vicino,
adesso. Ti prego, Bill, lasciamelo fare…” disse e
attirò William contro di sé,
per stringerlo forte fra le braccia.
Shatner rimase rigido per un
po’, poi, lentamente, si
sciolse. Si adagiò contro il corpo di Leonard, gli
posò il capo contro la spalla
e, un braccio dopo l’altro, si strinse intorno a lui. Il suo
respiro si fece
prima più lento, poi cominciò a spezzarsi. Mentre
la stretta diventava più
forte, i respiri si trasformarono in singhiozzi, sempre più
brevi e forti. Ora
Len sentiva le mani di Bill stringere spasmodicamente la sua maglia e
le spalle
tremare e sollevarsi, mentre l’uomo, finalmente, piangeva.
“E’ morto,
Lenny… è morto…”
guaì contro di lui,
inzuppandogli la maglia di lacrime. “Non lo vedrò
mai più, non parlerò più con
lui, non andremo mai più a pesca
insieme…” Leonard continuò a stringerlo
con un
braccio, mentre l’altra mano salì a intrecciare le
dita fra i capelli folti e
dorati.
“Mi dispiace, Billy, mi
dispiace tanto…” mormorò. E
così
rimase, stringendolo forte, cercando di trasmettergli calore e forza e
sapendo
di non riuscirci. Non poteva fare niente per sollevarlo da quel dolore
spaventoso, poteva solo rimanere lì, e abbracciarlo, e
accarezzargli i capelli.
E restargli accanto, fino a quando Bill lo avesse voluto.