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Autore: M e g a m i    16/09/2012    8 recensioni
The Black Order of the Soul Society, meglio conosciuta come The BOSS.
Era una sorta di social network in cui si era trovata coinvolta senza neanche rendersene conto. The BOSS ti attirava a se e ti risucchiava nel suo mondo “oscuro”come il colore del suo layout, e tu ti trovavi a sentire il bisogno di accedere ogni santo giorno, ogni santo momento libero. Era come una droga.
La cosa migliore di tutta quella “organizzazione”, era l’assoluto anonimato che garantiva. Perfino password e indirizzo di posta elettronica che servivano per la registrazione erano forniti dal social network stesso. Non era richiesta nessuna informazione personale, non la data di nascita, non un’immagine del profilo, neanche il nome, solo un nickname modificabile in qualsiasi momento.
Non era facebook.
Era semplicemente l’unico luogo in cui Tatsuki Arisawa riusciva a tirare fuori la vera se stessa, quella sotterrata sotto strati e strati di fogli A4 e retini, e sommersa dall’inchiostro per la G pen.
TheGrimReaper era entrato in chat giusto in quel momento, lesse con un sorriso appena accennato.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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NDA: Dico solo, leggete con attenzione il poem che ho messo come incipit.
Cirucci, grazie. Hai riassunto tutto quello che c’era da dire, sia per Linalee che per Rukia.
E diamine, Ichigo e Linalee che battibeccano come una coppia sposata mi fanno morire. x°D
Per non parlare del fatidico e tanto atteso incontro tra Lavi e Rukia in questo capitolo... io AMO le coppie che si danno del lei. N e m e con la sua long AU crossover Hortum Septentriones qui su EFP ne sanno qualcosa. *-*
E come al solito, mi scuso per il ritardo, e ringrazio tutti quelli che mi lasciano a ogni capitolo delle recensioni che apprezzo davvero!
 
 
 
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CAPELLI DI FUOCO, OCCHI DI GHIACCIO.
 
 
 
Ti ostini ad agghindarti
Pur sapendo che ti aspetta la falce

Ti ostini a farti bella
Pur sapendo che ti aspetta la falce

È spaventoso, è spaventoso
Il momento in cui verrai falciata

I tuoi capelli recisi
Somiglieranno a te, priva di vita

Sia i miei capelli che le mie unghie
Sono stupendi, curati come tesori
Perché basta che vengano separati dal corpo
Per diventare qualcosa di sporco e disgustoso?

La risposta è semplice:
Essi così non sono altro
Che l'immagine della mia morte.
[Bleachvolume 29]
 
 
 
Linalee Lee guardò con occhio critico lo smalto fresco di stesura sulle sue unghie, inclinando la testa di lato e chiedendosi se ci avrebbe messo ancora molto prima di asciugarsi. Le sue dita fremevano impazienti sotto il suo sguardo concentrato, quasi come se fissandole così intensamente, fosse convinta che avrebbe potuto dimezzare il tempo.
Finché aveva le mani in quello stato, non poteva muoversi. Giusto respirare, ma anche quello era qualcosa che faceva con estrema lentezza e attenzione. Linalee Lee amava colorarsi le unghie, soprattutto delle tonalità del viola, che metteva in risalto i suoi occhi proprio di quella sfumatura particolare. Amava prendersi un po’ di tempo per sé stessa, la sera, prima di uscire per andare a lavorare. Scegliere il colore, sdraiarsi a pancia in giù sul divano con un foglio di giornale sotto le mani per proteggere la fodera da eventuali gocce ribelli, e guardare come le sue unghie mediamente lunghe prendessero vita sotto i luminosi riflessi violacei creati dal sole, che proprio in quel momento stava tramontando dietro la schiera di edifici su cui si affacciava il piccolo balconcino della sua camera da letto.
Curarsi le unghie, anche solo dargli una sistemata impercettibile con la lima, era un piccolo rituale quotidiano al quale non sapeva rinunciare. Così come lo spazzolarsi i capelli esattamente cento volte prima di andare a dormire. Si rendeva perfettamente conto da sola che era una cosa stupida e senza senso. Eppure, da quando all’età di sedici anni si era volutamente rasata i capelli a zero, il farli ricrescere forti e sani era diventato il suo scopo prioritario. E un detto sentito una volta per caso, diceva proprio che spazzolarseli cento volte ogni giorno contribuiva a farli crescere più velocemente, rendendoli più lucenti e morbidi. Così Linalee aveva fatta sua questa discutibile perla di saggezza, credendoci ciecamente, volendo crederci ciecamente.
Perché proprio un altro luogo comune, l’aveva spinta a fare quel gesto decisivo. Il luogo comune secondo cui una donna col cuore spezzato, si taglia i capelli, come a dare un taglio netto col passato e iniziare una nuova vita.
E Linalee Lee, i cui capelli un tempo arrivavano ai fianchi, si era rasata completamente.
Ora le arrivavano appena di un dito sotto le spalle. Poteva legarli, se voleva. La prima volta che ci aveva provato, dopo anni che non era stata in grado di farlo, non era riuscita a trattenere le lacrime davanti allo specchio che rifletteva la sua immagine.
Linalee svolgeva altri “rituali” quotidiani per lei sacrosanti, come il lavarsi i denti dopo ogni pasto, anche solo uno spuntino, e passarsi il filo interdentale ogni sera. Oppure le maschere di bellezza che si applicava una volta alla settimana, sempre lo stesso giorno, o ancora, i regolari bagni col sale grosso. La sua, però, non era vanità. Non era per apparire bella agli occhi degli altri che faceva tutto questo. Piuttosto, era una cura e pulizia maniacale del proprio corpo. Come se in un certo senso, credesse che in questo modo si potesse purificare da tutte le scorie che era fermamente convinta di avere dentro di sé.
Quel giorno però, stava affrontando la sua tanto amata manicure non con la solita calma. Normalmente, avrebbe aspettato con pazienza i minuti necessari affinché lo smalto si asciugasse, senza appunto muoversi di un solo millimetro per evitare di prendere dentro con le unghie da qualche parte e dover ricominciare tutto daccapo. Anche il tempo che dedicava a sé stessa e ai suoi rituali, per lei che per tutta la vita aveva messo sempre gli altri al primo posto, su un piedistallo, era qualcosa di sacro. E qualcosa di cui approfittava, per prendere una pausa dalla sua vita e rilassarsi un po’. Eppure in quel momento, avrebbe voluto veramente che il tempo accelerasse, perché le sue dita fremevano davvero dalla voglia che aveva di battere sulla tastiera del computer sulla scrivania al suo fianco, la risposta che aveva già costruito e cambiato tante volte nella sua testa.
 
   -Mugetsu:                                                                                                                                                                                                              06:13 pm
È la cosa più stupida che abbia mai sentito.
   -YanWeiDie:                                                                                                                                                                                                         06:13 pm
Tecnicamente non la stai sentendo, la stai leggendo...
   -Mugetsu:                                                                                                                                                                                                              06:15 pm
Resta una cosa stupida. Completamente idiota.
   -YanWeiDie:                                                                                                                                                                                                         06:16 pm
Per te ogni cosa che dico lo è. Non mi prendi mai sul serio.
   -Mugetsu:                                                                                                                                                                                                              06:17 pm
... “Tecnicamente” non stai dicendo niente, stai scrivendo.
   -YanWeiDie:                                                                                                                                                                                                         06:20 pm
...
   -Mugetsu:                                                                                                                                                                                                              06:21 pm
Perché quando ho ragione io ti offendi?
   -YanWeiDie:                                                                                                                                                                                                         06:21 pm
Perché tu vuoi sempre avere ragione. E non mi sono offesa.
   -Mugetsu:                                                                                                                                                                                                              06:22 pm
Ah no?
   -YanWeiDie:                                                                                                                                                                                                         06:24 pm
No.
   -Mugetsu:                                                                                                                                                                                                              06:24 pm
Come vuoi.
   -YanWeiDie:                                                                                                                                                                                                         06:32 pm
... Va bene, forse un po’ sì. Ma mi da fastidio che etichetti quello che penso come “stupido”.
   -Mugetsu:                                                                                                                                                                                                              06:37 pm
Ma lo è.
   -YanWeiDie:                                                                                                                                                                                                         06:40 pm
Vedi? Lo stai facendo ancora.
   -Mugetsu:                                                                                                                                                                                                              06:41 pm
...
Tecnicamente non posso vedere niente.
   -YanWeiDie:                                                                                                                                                                                                         06:42 pm
!!!!!
   -Mugetsu:                                                                                                                                                                                                              06:46 pm
Va bene, scusa. La pianto.
   -YanWeiDie:                                                                                                                                                                                                         06:53 pm
Tanto lo so che stai ridendo di me, come ogni volta che chattiamo...
   -YanWeiDie:                                                                                                                                                                                                         07:05 pm
Mugetsu?
   -Mugetsu:                                                                                                                                                                                                              07:07 pm
Scusa, un contrattempo.
Piuttosto... Come fai ad essere convinta che io stia ridendo se non mi vedi neanche?

 
Era vero.
Linalee Lee, alias Yān Wěi Dié, nome cinese per il macaone, un tipo di farfalla dalle ali particolari, non poteva saperlo.
Così come non poteva sapere, anzi, neanche lontanamente immaginare, chi fosse il suo interlocutore, con cui da mesi si intratteneva a parlare. Anche per ore, senza che si accorgesse minimamente di quanto in fretta il tempo scorresse.

Preferiva non fare supposizioni campate per aria sulla sua identità. Da come si esprimeva, però, doveva essere un uomo. Cosa che inizialmente l’aveva frenata. Ma al riparo dietro lo schermo del computer, si era fatta forza. E pian piano, si era trovata ad aprirsi sempre di più con quello sconosciuto.
Le loro conversazioni erano sempre così. Discutevano. Non facevano che discutere. Presto però Linalee si era resa conto che le concise e pungenti risposte, o meglio, frecciatine di Mugetsu non erano che un sottile modo per prenderla in giro, ma non con intento offensivo. Linalee Lee conosceva i propri difetti, si rendeva perfettamente conto di essere molto permalosa. Ma per qualche motivo che ancora non riusciva a spiegarsi nonostante mesi e mesi di messaggi – scambiati privatamente, perché entrambi preferivano mantenere una sorta di intimità – non riusciva proprio a mettere il broncio per le sue parole. Anzi. Avevano sempre il potere di strapparle un sorriso.
Esattamente come in quel momento in cui delicatamente aveva preso a schiacciare coi polpastrelli le lettere della tastiera.
 
   -YanWeiDie:                                                                                                                                                                                                         07:13 pm
Perché anche io sto ridendo. Come ogni volta che chattiamo.
Lo sai... mi piace parlare con te.
   -Mugetsu:                                                                                                                                                                                                              07:15 pm
...
   -YanWeiDie:                                                                                                                                                                                                         07:15 pm
?
   -Mugetsu:                                                                                                                                                                                                              07:18 pm
Niente.
“Scriverti”, vorrai dire.
   -YanWeiDie:                                                                                                                                                                                                         07:20 pm
Va bene, va bene! Chi me l’ha fatto fare di correggerti...!
   -Mugetsu:                                                                                                                                                                                                              07:21 pm
Ecco, l’hai capito.
   -YanWeiDie:                                                                                                                                                                                                         07:21 pm
Smettila di ridere!
   -Mugetsu:
                                                                                                                                                                                                             07:22 pm
Anche tu, se è per questo.
 
Stava giusto portandosi una mano alla bocca per nascondere un sorriso, come se lui potesse vederla nonostante tutto, quando il tintinnio di un mazzo di chiavi la riscosse dai suoi pensieri, facendola tornare alla realtà. Distogliendo lo sguardo dallo schermo del computer, si voltò nella direzione della porta, riuscendo appena ad intravvedere la minuta figura di una ragazza dai capelli corvini che si chinava per raccogliere e indossare un paio di bassi anfibi, sparendo dietro il muro ad angolo che segnava l’ingresso.
Esitò solo un secondo prima di formulare la domanda.
   « Rukia, esci? »
In tutta risposta, Rukia Kuchiki non diede nessuna risposta. Ovviamente. Linalee aveva chiesto qualcosa del tutto superfluo, visto che era più che evidente il fatto che lei si stesse preparando per uscire.
   « Verso... verso che ora torni? », Linalee provò nuovamente, cercando di risultare cordiale.
   « Tornerò quando tornerò. », si limitò a replicare la ragazza senza neanche degnarla di uno sguardo, mentre si sistemava sulle spalle un sobrio trench nero, legandosi la cintola attorno alla sottile vita.
Colta da un improvviso moto di irritazione, Linalee tentò, come sempre, di sorvolare sulla sua indifferenza e mandare giù le sue risposte secche che avevano il chiaro intento di stabilire un confine netto tra di loro. Ormai aveva capito da tempo che Rukia non aveva la minima intenzione di instaurare il benché minimo rapporto di amicizia con lei, nonostante condividessero lo stesso tetto. Voleva starsene per i fatti suoi, in pace, senza essere disturbata da nessuno. Ma Linalee non riusciva proprio a rassegnarsi ad essere così palesemente ignorata dalla sua coinquilina, con cui aveva sperato fin dal primo momento di andare d’accordo. Le sarebbe bastato anche solo un saluto prima che uscisse di casa, cavolo.
   « Okay. Hai preso il cellulare, vero? Così posso chiamarti nel caso-... »
Ma la porta si chiuse non proprio delicatamente dietro le spalle di una Rukia a cui era bastato voltarsi per una breve frazione di secondo e guardarla con la stessa pena ed esasperazione con cui si guarda la propria madre troppo ansiosa, per zittirla all’istante.
Linalee Lee si sentì infinitamente stupida. Eppure la sua indole amichevole e forse davvero un po’ materna e apprensiva, le rendevano veramente impossibile non impicciarsi, o comunque, non tentare di intavolare un minimo di discorso.
Con un sospiro sconsolato, appoggiò la testa alla scrivania, rendendosi conto troppo tardi che con la fronte aveva preso dentro la tastiera del computer.
 
   -YanWeiDie:                                                                                                                                                                                                         07:33 pm
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   -Mugetsu:                                                                                                                                                                                                              07:34 pm
... Che?
   -YanWeiDie:                                                                                                                                                                                                         07:34 pm
Aaah, scusa!
 
 
 
Rukia Kuchiki tamburellò con le corte unghie mangiucchiate da anni e anni di nervosismo sul tavolo di legno, mentre sfogliava l’ennesima pagina. Non si accorse minimamente dell’occhiata curiosa che una cameriera dai lunghi capelli biondo ramato e il ventre teneramente arrotondato sotto il grembiule, le lanciò passandole davanti, andando a registrare sul taccuino l’ennesima ordinazione. Quella singolare ragazza dalla corporatura minuta e dal trucco esasperato, era ormai seduta a quel tavolo ai margini del locale da più di tre quarti d’ora. Aveva ordinato una bibita e delle patatine fritte, che non aveva pressoché toccato, e non aveva fatto altro che starsene seduta compostamente – fin troppo, ogni tanto l’aveva persino vista guardarsi intorno con aria circospetta e rilassare la schiena impostata rigidamente contro lo schienale della panchina di legno, per poi tornare al suo libro.
Dava l’idea di non sentirsi a suo agio, fuori posto. Anche se si stava dedicando a un passatempo tranquillo come la lettura, per di più di un libro che da quando lo aveva iniziato l’aveva presa molto, era visibilmente nervosa, e ci metteva secoli a girare una pagina. La verità è che Rukia Kuchiki aveva sfogliato almeno una decina di facciate rileggendo tre volte ogni frase senza neanche rendersene conto, perché non riusciva proprio a concentrarsi e ad estraniarsi da tutto il resto come era solita fare quando le capitava di imbattersi in un libro così bello e avvincente. La sua mente era assente, persa neanche in pensieri, ma piuttosto attanagliata nell’ansia, così come il suo stomaco.
   È in ritardo, riusciva solo a formulare, ogni volta che spostava lo sguardo dalle lettere stampate ai numeri in rilievo dell’orologio appeso al muro dall’altro lato della tavola calda.
C’è anche da dire che lei era arrivata in anticipo di almeno trenta minuti rispetto all’ora segnata sul pezzo di carta che ancora conservava, al sicuro nella tasca dei jeans. Sta di fatto che il misterioso... ragazzo?, uomo?, che gliel’aveva consegnato quella famosa sera in cui aveva creduto di essere vittima di una rapina, non le si era ancora presentato.
È in ritardo di un quarto d’ora.
Tentò per l’ennesima volta di rilassarsi, lanciando un’occhiata alle patatine fritte davanti a lei. Ne prese una, constatando già al tatto ancor prima di dare un netto morso coi denti, che ormai tutto il piatto doveva essere diventato freddo.
Lui era in ritardo, ma il luogo dell’appuntamento era quello, senza dubbio. Non poteva essersi sbagliata, aveva controllato più e più volte prima di recarsi lì quella sera. Si era chiesta perché quella persona avesse scelto un posto così affollato e dall’atmosfera accogliente come quel ristorante per famiglie, l’Oinari, pure a pochi isolati dal suo appartamento. Si era domandata parecchie volte anche cosa volesse da lei, quale fosse lo scopo di quell’incontro. La sua mente era al contempo piena di ipotesi e vuota di certezze.
Cosa sta aspettando?
La tensione saliva dentro di lei a ogni scocco della lancetta dell’orologio a muro che non poteva udire, sovrastato da tutte le voci dei clienti con figli al seguito, che all’ora di cena riempivano la tavola calda.
Sfogliò un'altra pagina, senza aver realmente afferrato una parola.
   « Buonasera. », disse a quel punto una voce dal tono perfettamente studiato per risultare profonda e accattivante, con una punta di ironia, amplificata dalle labbra da cui proveniva, tese in un sorriso che a prima vista, per uno sguardo ingenuo, sarebbe potuto apparire amichevole.
Rukia Kuchiki trasalì, ma cercò in tutti i modi di non darlo a vedere. Così come si impose di non alzare lo gli occhi verso la figura che si era posta di fronte a lei, con le mani coperte da mezzi guanti infilate nelle tasche di un paio di pantaloni color khaki. Si concentrò sui suoi vestiti evitando accuratamente il suo viso, mentre chiudeva il libro, infilandoci l’indice dentro per tenere il segno. Indossava una sciarpa, una giacca di pelle slacciata di evidente scarsa qualità. Niente completi eleganti e cravatte. Niente abiti costosi e firmati. Sembrava incredibilmente un ragazzo normale, come tanti, come quelli che erano seduti a qualche tavolo di distanza da loro, e che stavano ridendo per chissà quale battuta, poveri stolti senza preoccupazioni di sorta.
Non rispose al suo saluto, non lo degnò neanche di uno sguardo come faceva sempre con le persone che evidentemente volevano qualcosa da lei, ma non arrivavano dritte al punto se non dopo una serie infinita di falsi convenevoli e gentilezze immotivate. E quando infine lo facevano, si esprimevano con un tono talmente mellifluo da farle venire la nausea, credendo che adulandola avrebbero ottenuto un risultato migliore. Aveva passato gli ultimi cinque anni della sua adolescenza in mezzo a gente del genere, gente bugiarda, calcolatrice, egocentrica ed egoista, oppure fredda, altezzosa, sprezzante. Gente che era stata costretta a chiamare “famiglia”. Si era ripromessa davanti alla tomba di sua sorella che non si sarebbe più lasciata ingannare da persone del genere, mai più.
   « Mi scuso per averla fatta attendere, non era mia intenzione. », continuò il ragazzo che ai suoi occhi rimaneva ancora con un volto sfuocato, indistinto, mentre si accomodava sulla panchina di fronte a lei.
Rukia prese fiato e socchiuse gli occhi, prendendo il segnalibro e chiudendo definitivamente il volume che posò sul tavolo, spingendolo di lato. Aveva bisogno di concentrarsi per trovare la forza di guardarlo in faccia senza sentire l’impulso di riversargli contro tutta la sua ira repressa per troppo tempo. Oppure senza provare l’istinto di scappare via a gambe levate per la paura.
Rukia Kuchiki era incredibilmente brava a scappare.
Ma era stanca di farlo, stanca di comportarsi così debolmente, senza polso. Almeno, non con qualcuno che avrebbe saputo come gestire. La sua cosiddetta famiglia era qualcosa di completamente diverso, qualcosa contro cui era meglio non mettersi. Per questo, per il modo in cui quel ragazzo l’aveva avvicinata, aveva concluso che non lavorasse per i Kuchiki. Probabilmente era un giornalista, o un informatore che campava di notizie, o qualcosa del genere. Insomma, qualcuno che voleva essere pagato per il proprio silenzio. Quindi i tremiti che inizialmente l’avevano scossa la notte dopo quel loro incontro, impedendole di dormire, erano cessati lentamente. E Rukia aveva preso ad analizzare la situazione con mentre fredda, lucida. Calcolatrice, come le persone che odiava e in cui si era trasformata vivendo insieme a loro. Sul suo cuore era calata una spessa coltre di ghiaccio, talmente gelida da mordere la carne della mano di chiunque avesse provato a sfiorarla, a scioglierla.
Questo si rifletté nei suoi occhi blu scuro, quando finalmente li piantò sul viso di Lavi Bookman, gelando il suo sorriso.
   « Non si scusi se non è veramente dispiaciuto. »
   « ... Prego? »
   « Se non fosse stata sua attenzione farmi attendere, non avrebbe passato gli ultimi venti minuti a fissarmi seduto all’altro capo del locale. »
Lavi Bookman ricambiò il suo sguardo, sconcertato. Era vero. Lui era arrivato in perfetto orario, non un minuto in anticipo o uno di ritardo. Eppure aveva passato esattamente venti minuti ad osservare e fotografare mentalmente la figura di Rukia mentre sfogliava lentamente le pagine di un libro, nascondendo il viso e i capelli facilmente riconoscibili sotto il cappello che era solito indossare. Era stato quello a tradirlo? Ma non era possibile, fino a quel momento c’erano stati metri di distanza tra di loro, lei non avrebbe mai potuto riconoscerlo da così lontano, e per di più la prima volta non l’aveva nemmeno guardato in faccia. Resistette all’impulso di girarsi per gettare un’occhiata al lato del bancone presso cui era stato seduto, per controllare come fosse la visuale dal posto di lei, e se la distanza fosse effettivamente quanta gli era sembrata. In fondo, nella sua testa, ricordava perfettamente quanti passi avesse fatto per raggiungerla, quando finalmente si era deciso ad alzarsi, stanco di studiare da lontano i suoi gesti, il suo modo di porsi apparentemente ignaro del suo sguardo attento. Già, apparentemente. Perché Rukia Kuchiki si era accorta di tutto, solo Dio – sulla quale esistenza preferiva non pronunciarsi – sapeva come.
Represse a stento un sorriso che gli nacque spontaneo sulle labbra di fronte a quella magistrale dimostrazione di furbizia, nella quale lui, a cui non sfuggiva niente, era cascato in pieno. Se non fosse stato che si era già tolto il cappello sedendosi di fronte a lei, l’avrebbe fatto in quel momento rivolgendole un cenno della testa a mo’ di inchino. Aveva fatto bene a studiare la sua strategia mettendo in conto che quella ragazza non era da sottovalutare. Ma non avrebbe mai pensato che gli avrebbe dato così filo da torcere.
Ora che aveva trovato la forza di guardalo, Rukia Kuchiki studiò il suo viso, la sua chioma rossa mediamente lunga e vagamente spettinata, i dorati orecchini a cerchio che portava ai lobi delle orecchie, ma più di tutto, le sue labbra incurvate leggermente, come se fosse divertito, o piacevolmente sorpreso, e l’unico occhio visibile, quello sinistro, non coperto da una benda nera che non la incuriosì più di tanto. Un occhio di un verde incredibile, brillante, ma allo stesso tempo completamente vuoto. Il sorriso sulla sua bocca non raggiungeva il suo sguardo.
La ragazza prese nuovamente fiato, intrecciando le mani sul piano di legno. Lei, al contrario di tutti i giri di parole velati di disprezzo degli altri Kuchiki, amava andare direttamente al punto.
   « Cosa vuole? », chiese quindi, pungente, gelida come ghiaccio. « Soldi? Al momento, probabilmente lei ne ha più di me. »
Lavi considerò mentalmente che nonostante la sua esile corporatura e l’aria da adolescente ribelle a dispetto dei suoi venti anni di età, la sua voce, il tono con cui si esprimeva, erano improntati di una maturità incredibile. Così come i suoi occhi. Li trovava incredibili, come ipnotizzanti. Le sorrise ancora, accondiscendente.
   « Su questo avrei i miei dubbi, ma comunque... Se il suo timore è che vada a spifferare ai quattro venti chi è e dove abita, allora non si preoccupi, non sono queste le mie intenzioni. »
E quali sono, allora?, si chiese Rukia assottigliando lo sguardo.
   « Sa dove abito? »
   « So cose che lei nemmeno immagina, signorina Ku-... »
   « Rukia. Mi chiami Rukia e basta. »
   « Possiamo anche smettere di usare il lei e darci un taglio con questo tono formale? », propose Lavi sempre con un fare affabile che non intaccò minimamente l’impassibilità di Rukia.
   « Non ho intenzione di offrirle tutto il braccio. Si accontenti del dito. »
   « Ma come, non era la mano? »
   « Non ho intenzione di darle nemmeno quella. »
Questa volta, Lavi dovette sopprimere una vera e propria risata, che sicuramente agli occhi della sua glaciale interlocutrice sarebbe parsa sgarbata. O forse non si sarebbe scomposta minimamente, chissà. Tossicchiò appena, coprendosi la bocca con il dorso di una mano, mentre con l’altra attirava l’attenzione di Rangiku Matsumoto che stava passando proprio davanti a loro, diretta in cucina. Ordinò un caffè, per poi abbandonarsi contro lo schienale della panca in legno, prendendosi un momento per raccogliere i propri pensieri e riorganizzare la sua “strategia d’attacco”. Dopo qualche secondo di silenzio, fece un cenno verso il tavolo, indicando il piatto di patatine fredde.
   « Posso rubargliene una? »
   « Anche tutte. », e Lavi non se lo fece ripetere due volte, anche se non aveva esattamente fame. Ma sentiva come il bisogno di temporeggiare per alleggerire la tensione. Come aveva immaginato, la sua aria amichevole non attecchiva minimamente con quella Kuchiki-... no, Rukia. Nome che trovò incredibilmente adatto ai suoi occhi di una tonalità di blu profonda quanto la notte, nonostante significasse “luce”.
   « Bella trilogia, Millennium. », commentò quindi con noncuranza, leccandosi il sale delle patatine dal labbro superiore. Anche se non sarebbe servito ad ingraziarsela, Lavi non avrebbe mai rinunciato la sua galanteria e la sua parlantina sciolta. Dopotutto, amava conversare, trovava che così si potesse capire molto di più delle persone rispetto al semplice osservarle. “Conosci il tuo nemico”, diceva il buon vecchio Sun Tzu ne L’arte della guerra.
Se poi l’argomento su cui verteva la discussione erano i libri, chi era lui per tirarsi indietro?
   « Ottima trama e caratterizzazione psicologica dei personaggi », continuò, « anche se a mio parere poteva essere scritta meglio. In particolare tutta quella abbondanza di caffè e tramezzini infilata in ogni capitolo, Larsson avrebbe potuto risparmiarsela. »
Incredibilmente, il ragazzo notò che Rukia fu colpita da quella sua constatazione, senza però poter sapere che il tono secco con cui replicò fosse dovuto al fatto che le sue parole avevano espresso un pensiero che più di una volte era passato anche per la sua testa. E la cosa, per qualche motivo, l’aveva irritata. Senza volerlo, Lavi aveva messo a segno il primo punto contro l’imperturbabilità di Rukia Kuchiki.
   « Peccato che non fosse lei il suo editore, almeno così gliel’avrebbe fatto notare. »
   « Oh, se fosse ancora vivo avrei sicuramente fatto di tutto per diventarlo e presentargli le mie critiche una per una. Ah, grazie. », aggiunse poi, rivolto a Rangiku che era tornata col caffè che lui aveva ordinato. Lavi le rivolse un sorriso gentile, scendendo poi ad accarezzarle la pancia con lo sguardo. « Mi dica, di quante settimane è? »
   « Sono alla quindicesima. », sospirò la donna. « Il pensiero di essere neanche a metà mi uccide...! »
   « Non lo dico per consolarla, mi creda. Ma per quel che posso vedere io, sta affrontando il tutto splendidamente. Non credo di aver mai visto una madre più bella. »
Rangiku posò le mani sui fianchi con fare di rimproverò. Ma il sorriso furbo che le si dipinse sulle labbra carnose, rese la sua aria solo più dolce.
   « Sono sposata, ragazzino. E quasi potrei essere la tua, di madre. »
   « Sarei un ragazzino molto fortunato, allora. »
Rukia approfittò di quel breve scambio di battute in cui l’attenzione era stata distolta da lei per ritrarre le mani sotto il tavolo, dove le strinse forte per farsi coraggio.
La sua espressione non cambiò di una virgola.
Eppure non si poteva dire lo stesso di quella di Lavi. Quando aveva guardato la pancia della cameriera, per un attimo il suo occhio verde le era sembrato brillare rendendo giustizia a quel bel colore così vivo.
Ma era stato davvero solo un attimo, e nello stesso in cui la cameriera si era allontanata e lui era tornato a posare quell’occhio su di lei, ogni luce in esso si era spenta.
Lavi appoggiò il mento sul palmo di una mano e sollevò la tazzina di caffè – rigorosamente senza zucchero – fino a portarla alle proprie labbra, lanciando un'altra occhiata al libro di Rukia, mentre un pensiero lo folgorava, stimolato dalla copertina e dall’aroma della bevanda.
   « È a lei che si ispira? Lisbeth, dico. », le chiese con un sorriso, affilando lo sguardo per studiare meglio il trucco nero che contornava gli occhi di Rukia, proseguendo lungo il profilo del suo naso fino all’anellino a una narice. Forse era anche per questo che si era tagliata i capelli, anche se in un’acconciatura molto più sobria di quella della protagonista di quella trilogia.
   « Cosa glielo fa pensare? », domandò con noncuranza lei. Il sorriso di Lavi si allargò senza che lui riuscì ad impedirlo.
   « Non è evidente? »
   « La diverto così tanto? »
Per Lavi non aveva alcun senso negare, quando ormai era evidente.
   « Molto, sì. »
Ma chissà perché Rukia era convinta che fosse l’esatto contrario.
In tutta risposta, quindi, si portò una mano al naso e sfilò l’anellino, che subito si rivelò un piercing con la clip. Falso, insomma.
   « È una specie... di travestimento? », le chiese quindi il ragazzo, inarcando un sopracciglio.
   « Lei è l’ultima persona nella posizione di farmi una domanda del genere. », replicò Rukia con insensibile calma, facendo un cenno con la mano rivolto alla sua benda sull’occhio destro, che poteva benissimo essere definita “da pirata”.
Per la seconda volta, Lavi cercò di trattenere una risata, ma questa volta gli fu impossibile. Poi la battuta, se così si poteva definire il freddo umorismo di Rukia Kuchiki, era rivolta a lui, quindi poteva permettersi di ridere senza sembrare offensivo nei suoi confronti, no?
Ma si ricompose in fretta, scuotendo la testa.
   « Le è passata la voglia di prendermi in giro? »
   « Direi di sì. È meno divertente quando ti rendono pan per focaccia. »
   « A proposito di pan per focaccia... Lei dice di sapere molte cose su di me, ma io non so nemmeno il suo nome. Non mi pare corretto. », puntualizzò, mentre lui faceva un cenno d’assenso.
   « Vero, Lisbeth odia non conoscere i propri avversari o alleati che siano. »
   « E lei a quale delle due categorie apparterrebbe? »
   « Questo dipende tutto dalla decisione che lei stessa prenderà, Rukia. A questo punto, lasci che mi presenti come il Mikael Bloomkvist della situazione. »
Il biglietto da visita che le aveva allungato sul tavolo recitava a caratteri eleganti:
   Dick Bookman, giornalista freelance.

Rukia non poté fare a meno di irrigidirsi. Un giornalista. I suoi sospetti erano fondati, dunque.
   « Bloomkvist è un personaggio che non rientra esattamente tra i miei preferiti. »
   « Eppure Sally ne è fatalmente attratta. »
   « Io non sono Lisbeth Salander così come lei non è Kalle Bloomkvist. »
   « Altrimenti questo starebbe a significare che lei è fatalmente attratta da me. », scherzò lui.
La ragazza lo fissò per un lungo istante, decidendo ad occhio e croce che era un bel ragazzo. O meglio, più che bellezza, aveva carisma.
   « Cosa che trovo alquanto improbabile. », concluse.
   « Così mi ferisce... »
   « Non è niente di personale, mi creda. Non sono attratta dagli uomini. »
   « Capisco. »
   « Neanche dalle donne. », Rukia si sentì in dovere di precisare di fronte all’ammirevole flemma con cui lui aveva interpretato quella che aveva creduto una pacata affermazione di omosessualità.
   « ... Ora non capisco. », replicò quindi Lavi, alquanto perplesso.
   « Non c’è niente di difficile da capire. »
   « Così si perde le gioie migliori della vita, me lo lasci dire. »
   « Se è del sesso che parla, lasci dire a me che è qualcosa che sicuramente non mi perdo quando mi capita l’occasione. »
Lavi corrugò la fronte. Quella ragazza era una fonte incredibile di novità. Per un attimo pensò che non sarebbe riuscito a tracciare un quadro completo della sua psiche neanche avendo a disposizione interi secoli.
   « In pratica sta dicendo che quando le “capita l’occasione” è capace di fare sesso con una donna o uomo che sia, verso il quale non prova neanche la minima attrazione? »
Quello che pensò Rukia, invece, fu come fossero finiti a parlare di un argomento del genere. Soppesò la sua domanda per qualche secondo.
   « No, credo che abbia frainteso le mie parole. Sono stata poco chiara. Per attrazione intendo... quello che probabilmente lei chiamerebbe “amore”. », precisò sempre con la solita freddezza.
Anche Lavi esitò un attimo, considerando da vari punti di vista quella risposta a suo parere... interessante. E anche utile, in un certo senso. Si erano spinti a parlare di qualcosa di più personale. Ottimo, pensò, tendendosi un po’ di più sul tavolo.
   « Non crede nell’amore, quindi. »
Rukia si strinse brevemente nelle spalle, con fare indifferente.
   « Mettiamola così. »
   « E nell’amicizia? », le sorrise Lavi, sempre più colpito. Ma la sua aria divertita tornò a congelarsi come la prima volta che Rukia gli aveva rivolto il suo sguardo affilato, mentre lei tornava a posare le mani intrecciate sul tavolo, lentamente.
   « Credo nell’egoismo dell’essere umano, signor Bookman. »
E quelle parole, erano cariche di una veemenza devastante, nonostante fossero state pronunciate nel tono più calmo e pacato che Lavi Bookman avesse mai udito. Come se fossero state lentamente forgiate da anni e anni di confronto con un mondo che non aveva fatto che rivelarsi immancabilmente crudele e sì, egoista, agli occhi di quella piccola ragazza di cui Lavi si trovò ad ammirare ancora una volta la maturità nella voce, che, al contrario del suo aspetto, sapeva molto più di donna vissuta.
Si concesse altri secondi per riunire i propri pensieri, visto che il tono e gli occhi di lei avevano lo strano potere di fargli perdere il filo del discorso. Per un attimo, considerò di non aver mai incontrato un individuo che avesse avuto la capacità di risvegliare il suo interesse così prepotentemente come aveva fatto lei in neanche mezz’ora di colloquio.
   « Se io la posso chiamare Rukia, allora insisto perché lei mi chiami Lavi. »
   « Lavi...? » ripeté lei. Per il ragazzo dai capelli rossi era la prima volta che si presentava con quel nome, e trovò che pronunciato da Rukia, gli calzasse incredibilmente a pennello. E dire che aveva scelto a caso solo qualche settimana prima.
   « Sì, Dick è solo uno pseudonimo per il lavoro. »
Uno dei tanti.
Rukia sembrò riflettere per un istante.
   « ... Lavi, allora. Non mi ha ancora detto il motivo per cui mi ha chiesto di incontrarla. Se non è per i soldi, per che cos’è? »
Lavi le regalò l’ennesimo sorriso, improntato di furbizia questa volta, mentre si passava appena un dito sulle labbra.
   « Io non ho mai detto che i soldi non c’entrino. »
   « Ma io-... »
   « Non parlo dei suoi, Rukia. », la interruppe lui prima che potesse ribadire le sue scarse condizioni economiche. « E nemmeno di quelli che la sua famiglia mi darebbe se vendessi a loro l’informazione. »
La ragazza esitò ancora. Improvvisamente, il sorriso di lui le era parso più minaccioso di quanto le fosse sembrato per l’intera durata della serata. Senza sapere ancora perché, si sentì già in trappola.
   « Ora sono io che non capisco. », avanzò cautamente, mentre Lavi si tendeva ancora di più sul tavolo verso di lei, abbassando il tono di voce con fare confidenziale.
   « Cosa fanno i giornalisti, Rukia? Perdoni la domanda ovvia, non sto cercando di trattarla come una stupida. »
   « Direi che scrivono storie. », rispose dopo un attimo di prudente riflessione.
   « Raccontano stralci di vita, mi piace più vederla in questo modo. », le sorrise affabilmente lui. Rukia sentì un moto di irritazione salirle dentro, come prima. Chissà come, quel ragazzo aveva il potere di colpirla in modo di far cadere le sue fredde e imperturbabili difese. Si impose di restare calma come sempre.
   « Arrivi al punto. »
Lavi usufruì di una pausa ad effetto per rendere le sue parole ancora più cariche di tensione, che sciolse lentamente usando un tono carezzevole.
   « Nessuno ha mai scritto della vita di sua sorella Hisana. E neanche... della sua morte. O almeno, nessuno ha mai scritto la verità. »
Rukia Kuchiki rimase impassibile.
Rukia Kuchiki che non ci pensò neanche due volte prima di afferrare il proprio libro e la borsa, estrarre dalla tasca una banconota e qualche spicciolo per pagare le patatine che aveva ordinato, ed alzarsi rigidamente composta.
   « Il nostro colloquio finisce qui. »
Lavi spalancò gli occhi sorpreso, alzandosi a sua volta.
   « Mi dispiace se l’ho ferita, non-... »
   « Lei non ha idea di quello di cui sta parlando. », lo interruppe Rukia. La voce le era uscita più inferma di quanto avesse voluto, mentre stringeva un pugno lungo un fianco. Si sentiva paralizzata, un pezzo di legno.
Lavi aprì la bocca per replicare, ma si zittì subito, con aria dispiaciuta. Dopo qualche secondo riprese.
   « Ed è esattamente per questo le sto proponendo una collaborazione. », sospirò, passandosi una mano alla base del collo. « Rukia... mi dispiace. Sinceramente. Mi sono espresso senza il minimo tatto, capisco la sua reazione, è comprensibile. »
No, tu non capisci proprio un bel niente, sibilò Rukia mentalmente, senza riuscire ad aprir bocca.
   « Però... mi ascolti. Mi dia solo un secondo. Poi è libera di andarsene da qui, e se vuole io non mi farò più rivedere. Non mi azzarderò neanche a vendere questa informazione, si fidi. Non è mia intenzione rovinarla, neanche se non mi vuole aiutare. »
Rukia rimase ancora in silenzio, fissandolo con astio. Lavi prese fiato, interpretandolo come un muto consenso.
   « È vero, molti punti di questa faccenda mi sono oscuri. Principalmente sono le dinamiche familiari dei Kuchiki che non capisco. Eppure... eppure mi creda quanto le dico che è anche vero che io so cose di cui è lei a non avere idea. »
Cosa?
Cos’era che Rukia non sapeva? Per un breve istante si sentì divorare dal tarlo della curiosità e della vendetta. Ma poi si rivide, sola, con in mano un mazzo di fiori e il vento che le scompigliava i capelli come una carezza, e lo sguardo velato lacrime che però non le impedivano di leggere il nome di sua sorella scolpito nella pietra della sua tomba, dove avrebbe passato il resto di quella che sarebbe stata la sua vita.
 
Hisana Kuchiki
21 febbraio 1979 -14 settembre 2011
Sorella e moglie amata.
 
Non avevano scritto neanche il suo vero cognome, quei bastardi. Eppure non l’avevano nemmeno seppellita nella cripta di famiglia con gli altri membri dei Kuchiki.
Rukia chiuse gli occhi, mentre la voce di Lavi le arrivò ovattata alle orecchie.
   « Insieme potremmo portare alla luce la verità, Rukia. »
Quale verità? Le la sapeva già, la verità.
Hisana era morta.
E questo non sarebbe mai potuto cambiare.
Quando li riaprì, si sentiva molto più sicura di sé, anche se non tanto da sciogliere i pugni che aveva serrato lungo i fianchi. Prese fiato. Lei, al contrario di Hisana, poteva farlo.
   « Non permetterò mai che quel poco che rimane di mia sorella sia venduto in questo modo. »
Lavi parve stupito.
   « Neanche se le stessi offrendo la vendetta su un piatto d’argento? »
Le labbra di Rukia tremarono per un secondo, mentre si costringeva a serrare i denti per impedirne il fremito. Eppure la fermezza nei suoi occhi non vacillò neanche per un istante.
   « Mai. »
 
Lavi Bookman, tornatosi a sedere sulla panca di legno, osservò silenziosamente la figura di Rukia Kuchiki mentre si dirigeva a passo svelto verso l’uscita del ristorante. Sulla porta, quasi si scontrò con un uomo di mezza età che stava entrando in quel momento per raggiungere la famiglia già seduta a qualche tavolo di distanza da quello che avevano condiviso loro due fino a qualche minuto prima. La ragazza buttò lì qualche parola di scusa e si allontanò prima che l’uomo avesse anche solo la possibilità di replicare.
Era sconvolta, anche se aveva fatto di tutto per non darlo a vedere di fronte a lui.
   Ottimo, pensò ancora una volta con l’ennesimo sorriso, nascosto dalla tazzina che si era riportato alle labbra, mentre faceva un cenno di saluto verso Rangiku Matsumoto che passava in quel momento al suo fianco per accogliere il nuovo cliente.
   Questo caffè è davvero ottimo.
 
Era andato tutto esattamente come Lavi Bookman aveva previsto.
 
 
 
-
 
 
 
NDA n.2: ... Lavi, fattelo dire, sei un vero bastardo. /facepalm/



Se il LaviRuki come pairing vi intriga, vi consiglio VIVAMENTE di dare un’occhiata ai profili di N e m e e Angy_Valentine, che sono delle ottime scrittrici e hanno fatto dei veri capolavori su di loro!

  
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