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Autore: JulieDashwood    16/09/2012    2 recensioni
Ma cosa ne sapevo io del futuro? Cosa sapevo io della morte?
Mi sono beffata di lei, non l’ho trattata con il dovuto rispetto e questa ha steso il suo manto corvino su di me, mi ha presa con sé mangiandosi, come una bestia affamata, tutti quegli anni che avrei dovuto vivere.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'ospite

 

 

Non avevo mai pensato seriamente alla morte.

Amavo definirmi una persona temeraria, una di quelle persone che non temono la morte e poco s’interessano a questa.

Mi piaceva essere la ragazza strafottente e senza paura, mi faceva sentire forte, potente, affascinante.

Ma la verità era un’altra..

Non temevo la morte solo perché non la conoscevo, continuavo a vederla come una cosa così lontana da me. “ Non arriverà che fra molti anni ”, mi limitavo a commentare quando tra amici si prendeva l’argomento.

Ma cosa ne sapevo io del futuro? Cosa sapevo io della morte?

Mi sono beffata di lei, non l’ho trattata con il dovuto rispetto e questa ha steso il suo manto corvino su di me, mi ha presa con sé mangiandosi, come una bestia affamata, tutti quegli anni che avrei dovuto vivere.

……

 

E’ successo tutto un giorno assolutamente normale, nessun presagio funesto: solita tazza di latte e cereali integrali a colazione, solita passeggiata nel parco con le amiche, solito pranzo della domenica dalla nonna.

Erano le quattro (o forse le cinque?) del pomeriggio quando decisi di tornare a casa, non volevo rimanere oltre ad annoiarmi in mezzo a quella gente stanca della vita che non aspettava altro che esalare l’ultimo respiro.

I raggi del sole friggevano il mio volto, ma per fortuna pedalando velocemente la mia bici riuscivo a rinfrescarmi il viso con il vento.

…Poi vidi lui, davanti l’uscio di casa: un ragazzo.

Un normalissimo ragazzo, uno di quelli che farebbero andare fuori di testa le mie amiche: alto, muscoloso, giovane, bello.

Mi avvicinai a lui.

“ Scusi, questa è casa mia. Cosa ci fa lei qui? ”, chiesi freddamente.

Il ragazzo si limitò a sorridermi, sfoderando una dentatura a dir poco perfetta.

“ Perdoni l’intrusione ”, iniziò quello a dire. “ Lei non mi conosce, io sono Lawrence ”

Dovetti assumere un’espressione davvero infastidita, non mi piaceva che uno sconosciuto si fiondasse a casa mia, non gli dissi nemmeno il mio nome.

“Mi scusi, dovrei entrare. E’ stato un piacere fare la sua conoscenza”, lo liquidai così.

Lo superai e inserii le chiavi nella porta. Mi sentivo strana, credo qualcosa dentro di me stesse smuovendo quella paura che credevo di non avere.

Le mani iniziarono stranamente a sudare e due volte la chiave mi cadde per terra.

Lawrence mi continuava a fissare, non capivo perché lo facesse, doveva esserci una spiegazione razionale.

“ E’ uno strano tizio, davvero strano. Deve essersi preso una cotta per me. Scommetto che al rientro a scuola troverò bigliettini di amore nell’armadietto…” ripetevo nella mente durante quei tre infiniti minuti  che mi separavano dall’accogliente ingresso di casa mia.

Finalmente la porta si aprì e mi fiondai dentro sigillando casa.

Poi scoppiai a ridere.

“ Che stupida che sono ”, iniziai a dire ad alta voce e andai in cucina per prendere qualcosa da bere.

La tavola era apparecchiata per due persone, c’erano diversi contenitori a tavola, scodelle e cose del genere.

Mi avvicinai e trovai un bigliettino scritto a macchina – non la usavano da anni! – questo recitava

“ Tesoro, il figlio di una nostra cara amica verrà a farci visita. Noi purtroppo non potremo essere lì, sai com’è, io e tuo padre siamo occupati tutto il giorno in ospedale. Ho cucinato qualcosa, invitalo a cena.

Si chiama Lawrence, cerca di essere più carina possibile con lui, ok? ”

Rilessi altre tre volte il bigliettino, prima di decidere di accogliere l’ospite in casa.

“Scusa..” dissi accennando un sorriso, quando aprii la porta e mi ritrovai mr belloccio davanti.

Lawrence fece spallucce ed entrò. La casa si riempì di uno strano e nauseante odore, o forse c’era già prima che entrasse lui, comunque lo notai soltanto nel momento in cui fece il suo ingresso il mio ospite.

“Beh, immagino sia un po’ presto per cenare..” dissi cercando di rompere il silenzio,  Lawrence sembrò non ascoltarmi, era tutto intento ad osservare le foto mie e della mia famiglia sparse per tutto il salotto.

“ Quindi..” ripresi come se nulla fosse anche se dentro di me l’ansia mi stava divorando. “ Sei il figlio di alcuni amici…chi?”

Lawrence si voltò di scatto e mi rivolse nuovamente un enorme sorriso. “ Non credo tu conosca i miei genitori, sono amici dei tuoi d’infanzia..”

“Che strano…”risposi, “ io conosco tutti gli amici dei miei, non che ne abbiano molti…”

“ Ci siamo trasferiti molti anni fa, è impossibile che tu ci conosca” concluse quello sbrigativo.

Quasi dovetti sopprimere un conato di vomito, avevo appena respirato quello strano odore e ora potevo quasi sentirne il sapore in gola.. sembrava quasi il sapore del sangue.

“Scusami, fa.. quello che vuoi, come se fossi a casa tua.. io dovrei andare a fare la doccia ” dissi in fretta, anche se l’idea di lasciarlo lì da solo mi inquietava non poco.

Lawrence si limitò ad annuire.  Tutto ciò che vidi, prima di sparire nel piano di sopra, fu lui intento a sfogliare uno dei libri della mia libreria.

Credo mi assentai per un’ora buona, con l’acqua erano scivolate via tutte le mie ansie, ora quasi mi veniva da ridere al pensiero di ciò che un ragazzo bello come il sole mi aveva provocato.

“Lawrence..” urlai mentre scendevo le scale, “scusami se ti ho fatto aspettare, so che non è educato..”

Quando arrivai nel salotto non c’era nessuno. “Che se ne sia andato?” pensai.

All’improvviso sentii un soffio caldo nel mio collo ancora umido per i miei capelli bagnati. Mi voltai, ebbi il tempo di dire “Law..”, la mia bocca fu fermata dalle labbra del giovane ragazzo.

Sentivo la febbre che saliva, le mani iniziarono a sudare e Lawrence continuava a premere sempre di più le sue labbra sulle mie.

Poi tutto accadde in un respiro, un corpo sottile e ghiacciato mi penetrò lo stomaco causandomi un dolore lancinante, ma non riuscii ad urlare, le mie labbra erano sigillate da quelle del mio carnefice.

Mi risvegliai urlando dal dolore.

Ero legata in una sedia, davanti il tavolo della cucina.

Lawrence era seduto proprio di fronte a me, intendo a tagliare qualcosa preso dai contenitori lasciati da mia madre.

Non avevo la forza per parlare, l’urlo s’era portato via tutta la poca energia che mi era rimasta.

Abbassai lentamente la testa per vedere lo stato della ferità, inutile dire che vomitai.

Il sangue si era incrostato nelle mie mani, dalla sottile canottiera si intravedeva uno squarcio profondo da cui continuavano a scendere rivoletti di sangue, chissà quanto ne avevo perso, non avevo la forza di guardare il pavimento.

“ Tua madre…è davvero buona ”

Alzai lo sguardo, era Lawrence a parlare, ovviamente.

Con tutta la forza che avevo sollevai la testa, tanto da riuscire a vedere un bel po’ di capelli biondo platino sbucare dal piatto.

Quanto tempo avevo passato a convincere mia madre a tingersi i capelli di quel colore, finalmente c’ero riuscita poche settimane prima.

Non avevo più lacrime da piangere.

“..perchè? ” mormorai.

Con la bocca impastata di sangue e carne umana il bellissimo carnefice rispose “Avevo fame”.

Guardai la tavola imbandita, tutti quei contenitori… chissà cosa contenevano, quali altri parti dei miei genitori.

“Da giorni..” riprese quello, “…da giorni vi osservavo. Provavo una strana ossessione nei tuoi confronti. All’inizio avrei voluto soltanto baciarti quanto più a lungo potevo, bramavo quel contatto fisico.

Ma più passava il tempo e più si risvegliava in me una fame mai conosciuta. E’ stato relativamente facile uccidere i tuoi genitori, e ancora di più lo è stato con te. ”

Non riuscivo a pensare che fuori da quella stanza degli orrori, la vita continuasse tranquilla.

Non riuscivo a credere che in passato, mentre mi beffavo della morte, qualcuno stesse dicendo addio alla propria vita, proprio come ora facevo io.

Chiusi gli occhi mentre il mio assassino si avvicinava con un enorme coltellaccio in mano.

Con tutta la forza di volontà mi aggrappai ai ricordi più felici che avessi, ma nell’istante in cui sentii affondare la lama nel mio petto, mi passò davanti la vita che avrei dovuto avere.

Le lacrime che non avevo prima sgorgarono violentemente nel mio volto.

“ Ci sono tante cose che avrei potuto fare ” bisbigliai con l’ultimo filo di voce, poi il mio cuore smise di battere. 

  
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