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Autore: luctrovato    17/09/2012    1 recensioni
Quando si pensa ad un podista dilettante si immagina un pazzo in pantaloncini che corre... eppure ci sono gare che lasciano il segno. Questa è una di quelle gare....
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando ero piccolo, affacciandomi dal terrazzo di casa mia, venivo rapito dall’affascinante panorama che si proponeva davanti a me con la catena montuosa dell’appennino Tosco-Emiliano che dominava la scena.
Sembrava uno splendido dipinto e il mio sguardo seguiva i dolci pendii delle colline soffermandosi sui luoghi che ben conoscevo: il convento dei frati di Giaccherino che di sera sembrava una lanterna sospesa nel vuoto e la strada che portava in alto, superando il ristorante “La Cugna” e il 44° parallelo, segnalato sul posto con un cartello che, ovviamente, non potevo certo vedere da quella posizione ma che appariva impresso nella memoria.
Poi il mio sguardo si perdeva arrivando in vetta dove la cima toccava il cielo: l’Abetone.
Quella montagna è stata da sempre il mio barometro: d’inverno, in presenza della neve, mi avvertiva che la giornata sarebbe stata fredda e d’estate, con il colore blu, mi dava sollievo dalla calura afosa.
Quel gigante silenzioso, che controllava tutta la valle, mi guardava bonariamente chiamandomi a sé, per giocare con la neve o per distendermi sui prati, anche se, questo caro compagno di infanzia, ho sempre pensato fosse troppo lontano anche per arrivarci con un qualsiasi mezzo a motore.
Infatti le poche volte che mio padre decideva di portarci su era un mezzo dramma perché sapevamo aspettarci un viaggio di quasi due ore con strade piene di curve, tutte in salita, con la sola valle del fiume Reno che ti dava un po’ di sollievo perché si snodava in un falsopiano: nausea da mal di auto.
Se poi trovavi un camion sul tragitto era finita perché sicuramente avresti fatto prima a piedi come, raccontava mio padre ogni volta, faceva qualcuno….
A piedi? Di corsa!
Perché scoprii che ogni anno dei pazzi in pantaloncini e canottiera partivano dal centro storico di Pistoia per arrivare fin lassù: più di 50 chilometri di salita, sudore e fatica, dolore e maledizioni.
Mi sono sempre domandato: ma chi cavolo glielo fa fare?
Non li ammiravo…mi facevano tenerezza….specialmente appena conobbi qualcuno di loro e mi raccontarono come preparavano quella gara.
Innanzitutto erano concordi nel dire che quella è una gara che  non si inventa né si  improvvisa.
Non è che di punto in bianco il signor X si sveglia prima del solito, perché il giorno prima aveva mangiato dei peperoni, e guardando la sveglia segnare le ore 06:00 dice:
 “Quasi quasi faccio la Pistoia Abetone!”
No, assolutamente no.
La preparazione, solo per finire la gara senza aspirazioni ed avere il proprio nome tra i valorosi che sono arrivati al traguardo, inizia anche un anno prima e devi essere uno che già sta correndo abbastanza bene, che ha fatto qualche gara, anche lunga, e che ha le gambe abituate.
Non è una preparazione qualsiasi.
Perché la strada per arrivare in cima all’Abetone non è piatta.
Ci sono alcune discese (poche) e tante salite (ripide) con tornanti messi alla fine come in un romanzo giallo o meglio come in un dramma.
Fino alla fine puoi solo sperare di arrivare e basta perché potrebbe succederti qualsiasi cosa che comprometta la gara.
Così ti devi allenare. Allenare. Allenare.
Bisogna dire che Pistoia presenta molti tipi di tracciati per i podisti: pianura, variazioni altimetriche medie ed extra strong.
Bisogna poi ammettere che l’inizio per l’allenamento preparatorio alla gara è probabilmente il momento più brutto.
Inizi con piccoli tracciati di percorsi medi, qualche salitina e pochi chilometri, poca voglia e tanto dolore di gambe.
Arrivi a fare solo salite, magari 20-30 chilometri, in tutte le condizioni atmosferiche: freddo, pioggia, gelo, sole, afa e umidità. Sacrifichi tempo libero e ti organizzi in modo capillare.
Come se non bastasse si deve fare i conti anche con le giornate “no”, quando non hai proprio voglia di far muovere le gambe o quando senti quei piccoli dolori muscolari, normali per il tipo di allenamento che fai, che ti fanno passare la voglia di affrontare anche dieci minuti di corsa lenta.
Ma non è finita.
La gara in realtà inizia una settimana prima quando finisce la preparazione atletica.
Ormai quello che è fatto è fatto.
Inutile allenarsi e stancarsi perché poi lo sentiresti in gara. Allora uno pensa: si rilasseranno un po’?
Magari.
Inizia il famoso scarico carboidrati che segue il carico.
Per tre giorni circa non si mangiano carboidrati.
Niente pasta o pane. Niente patate o qualsiasi cosa che ti possa far integrare carboidrati.
Poi, tre giorni prima la gara, si fa il contrario: si carica.
Allora mangi pasta e patate da scoppiare tanto da arrivare a forzarti di mangiarle perché ne hai la nausea.
Mentre fai questa dieta i tuoi familiari, se non sono podisti come te, ti guardano con pietà e tristezza.
Ci provano sempre, mentre ti porgono un piatto con qualche prelibatezza culinaria, dicendoti:
“Che vuoi che sia? Solo un po’?”
E tu, stressato dall’ansia della prestazione agonistica, li mandi a quel paese.
Allora i tuoi parenti arrivano a chiamare il medico curante per sospetta pazzia.
Ovviamente durante tutta la preparazione è assolutamente vietato bere alcolici o semplicemente vino.
Sarebbe come bere veleno in modo consenziente.
La sera prima della gara ti prepari tutto facendo la conta delle cose sparse sul letto:
“Allora ho preso la canotta, pantaloncini e calze tecniche; la crema di vasellina e gli integratori….”
Poi vai a letto lottando con il sonno che non arriva per la tensione e molto probabilmente ricordi una cosa importante che non hai contato nell’elenco fatta poco prima:
“Cavolo! Il pettorale di gara!!!!”
Poi arriva il sospirato giorno della gara.
Una domenica mattina di giugno, quando c’è quel tempo ancora non troppo caldo e il freddo è un ricordo, molte persone, che potevano stare a letto comodamente, si svegliano molto presto per andare a fare una gara podistica massacrante come la Pistoia-Abetone.
Il bello che la gara comincia alle 07.30 ma bisogna svegliarsi alle 05.00 perché si deve mangiare almeno due ore prima.
Cosa si mangia? Caffè e brioche? Macchè.
Pasta all’olio con spolverata abbondante di grana e un caffè.
Ho sempre pensato a quel poveraccio che si alza con la bocca impastata dal sonno, la voglia di dolce per iniziare bene la giornata e invece….
Pasta all’olio!
Poi, ancora con i segni di cuscino sulla faccia, raggiungere piazza del Duomo di Pistoia per trovare il primo piccolo dramma della giornata: dove parcheggiare?
La zona è ZTL e, se uno è veramente fortunato, ci potrebbe essere una bella e sana domenica ecologica a rompere le scatole.
Perché il problema non è quando uno arriva, dalle 06.30 del mattino, ma il fatto che lascia la macchina in un punto che verrà a prendere nel primo pomeriggio, se tutto va bene.
Allora devi parcheggiare fuori dalla zona blu, lontano, pensando che al tuo ritorno devi fare quel tragitto a piedi dopo aver corso in salita per 50 chilometri.
E magari trovarsi anche una bella multa stampata sul parabrezza perché, con il sonno ancora in atto e la pasta all’olio sullo stomaco, non ti eri accorto del cartello blu e rosso che ti consigliava di non parcheggiare.
E i vigili che lavorano non sono certo podisti.
Sono quelli che odiano i podisti perché lavorano per le strade litigando con gli automobilisti fermi al passaggio della gara.
Alle 07.00 c’è forse il momento migliore.
Tutti i partecipanti, forti e meno forti, magri e grassi, ridicoli e non iniziano a scaldarsi, senza sprecare fiato o stancarsi, nei modi più svariati.
Vedi quelli che continuano a correre e ti domandi come diavolo fanno a correre di continuo visto che poi devono farlo per 50 chilometri.
Poi ci sono i casinisti. Quelli che scherzano e urlano.
Invece di conservare il fiato.
Il momento è bello perché vedi tanti colori. Le canotte variopinte delle squadre fanno da cornice alla piazza.
C’è chi viene snobbato e chi sopravvalutato ma all’interno della squadra tutti sono uguali.
Perché l’importante, come diceva Pierre de Coubertin, è veramente partecipare, non vincere anche se poi la strada farà la sua selezione naturale.
Alle 07.20 circa, a dieci minuti dall’inizio, questi “atleti” cercano un angolino per fare i bisogni: piazza del Duomo diventava un bagno pubblico e i tanti bagni portatili non bastano mai.
È buffo pensare che persone, nella vita di ogni giorno distinte e altezzose, possono diventare degli scaricatori di porto, grezzi e rozzi, che non si fanno problemi a cambiarsi per strada o ad urinare nel primo angolo che trovano.
La punzonatura è il momento topico e divertente prima di fare le cose sul serio. I giudici che impazziscono per obliterare il pettorale di gara e tutti i partecipanti stipati in uno spazio minimo sotto controllo degli addetti.
In quel momento c’è un clima di fratellanza misto a uno di “pinocchite” acuta. Ogni atleta dà sostegno al vicino, anche se non lo conosce, e tutti mettono mano sul cronometro pronti a farlo partire al momento dello sparo della partenza.
Ma se senti i discorsi viene da ridere.
In quel momento non ce n’è uno che si sia allenato con costanza o che stia fisicamente bene.
Trovi quello che “Non so se riuscirò a farla tutta” o che “Ho avvertito un dolore alla coscia, la prenderò piano piano, poi vedremo” e i tanti “Oggi non mi sento particolarmente bene…vedremo…sennò mi ritiro…”.
Bugiardi.
Il fatto che tutti quelli che dicono ciò sono forti.
Sembra una scaramanzia, un rito contro la jella. Ogni interlocutore, pur sapendo che quello che sente è una probabile balla, annuisce e ribatte con i suoi dolori, con la sua mancanza di allenamenti.
In quel momento sono tutti messi male…a parole.
Intanto chi ha intenzione di vincere si mette in prima fila.
Appena lo starter dichiara che si sta partendo, come per magia, le voci e il chiasso si spengono e tutti gli occhi sono concentrati sulla mano del giudice che regge lo starter.
Un colpo e poi la partenza.
Quelli forti partono e si eclissano dalla visuale di quelli più scarsi.
Vedi di tutto in quei momenti.
Chi si impegna seriamente, chi corre troppo veloce e si ferma dopo alcuni chilometri piegato in due, chi ride e scherza con tutti, chi urla, chi parla serenamente come fosse da un’altra parte, chi si guarda intorno e chi si lamenta dopo il primo chilometro…. vedi alcuni partire a razzo e altri salutare i fotografi e i videoamatori: è l’unico momento di gloria collettiva.
In pochi metri quelli che fanno la gara, quelli veramente allenati e vicino alla parola atleta, spariscono dalla vista dei runner amatoriali, quelli che sposano la teoria di De Couberten.
Ci fosse un modo per sentire i pensieri di tutti quanti sono sicuro che si sentirebbe all’unisono: “Ma chi cacchio me l’ha fatto fare?”
Quante ore ci si mette per arrivare su?
Dipende, ma comunque si può dire tranquillamente troppe.
Perché ci sono i traguardi intermedi e il tragitto è abbastanza traditore. Appena parti, dal centro storico, fai una passerella tra gli addetti ai lavori, anche perché i cittadini stanno dormendo tutti, e imbocchi la via Dalmazia, lunga e tranquilla.
Forse è l’unico pezzo dove si può stare sereni anche se, ad essere pignoli, è leggermente in salita.
Nessun automobilista può contestare quel serpentone multicolore di atleti al passaggio perché è ancora troppo presto.
Al limite ci potrebbero essere gli amici o parenti che si sono sacrificati svegliandosi per vederti nell’unico pezzo dove puoi dire che eri in gruppo.
Appena la strada inizia a presentare una variazione altimetrica pensi a quello che ti aspetta.
Al quinto chilometro inizia la salita.
Non è una salita dolce e tranquilla.
È uno strappo con curva doppia che ti porta nella prima frazione fuori Pistoia: Piazza.
Lì si trova un ristoro e c’è la prima selezione naturale.
Quelli forti vanno su con il passo tranquillo e deciso.
Quelli meno forti, o scarsi, rallentano, si fermano a bere e/o mangiare al ristoro, e ripartono svogliatamente.
Arrivare in cima al primo traguardo intermedio, Le Piastre, è già una piccola impresa.
La salita presenta dei muri impegnativi e c’è chi ci mette ore per fare quei 15 chilometri.
Pensare che alcuni li coprono sotto l’ora fa rabbia.
C’è una fontana enorme prima del primo traguardo e in tanti non resistono alla tentazione di farci un tuffo dentro.
Subito dopo c’è la valle del Reno. Una strada che si snoda come un serpente che si incunea nella valle.
Una leggera discesa che ti dà sollievo.
Appena arrivi a Campo Tizzoro si cambia radicalmente tracciato.
Di nuovo salita e, in certi punti, anche sterrato.
Doppia fatica e doppia difficoltà.
Il paese dopo, Gavinana, non riesci nemmeno a godertelo.
Maledici quelle salite dove ci sputi sudore e sangue.
Ormai sei oltre i 20 chilometri di gara e quando compare la salita del passo dell’Oppio, anche se sei felice pensando alla discesa che segue, non ti capaciti nel pensare che altri stanno correndo tranquillamente quella strada che forse dovrebbe scalare un alpinista e non un podista.
Subito dopo il passo dell’Oppio c’è una discesa folle fino al secondo traguardo: San Marcello Pistoiese.
Ormai vedi molta gente ai bordi della strada e anche se il fisico ti chiede che cavolo stai facendo la mente, pavoneggiandosi, ti chiede almeno un po’ di dignità.
Le gambe implorano di fermarti ma tu cerchi la postura più atletica che hai, il sorriso di circostanza e lo sguardo lucido.
Quando vedi qualcuno guardare l’ora, come dire “ma quanto ci ha messo”, ti tocchi la gamba cercando una scusa visibile.
Il podista, in questo, è veramente un bugiardo inguaribile.
Quella mano sulla gamba mentre corri vorrebbe dire:
“Peccato, ero primo ma mi è venuto un dolore muscolare e ho rallentato un po’….ma ora li riprendo tutti, tranquilli…”.
L’orgoglio ti fa volare in mezzo a San Marcello, tra gli applausi della gente, lo speaker che segnala il tuo arrivo e ti augura un arrivo all’Abetone.
Arrivo all’Abetone?
Mancano ancora 20 chilometri all’Abetone.
Detto così sembrano persino pochi.
Chi non corre dice:
“Vabbè, ne hai fatti 30 ormai ne mancano meno della metà…”
Cavolo però ne ho fatti 30 e la cosa bella è che mi aspetta il pezzo più duro.
L’illusione che ce la puoi fare è data dal fatto che, dopo San Marcello, c’è un tracciato tranquillo, con qualche discesa, fino alla Lima.
Poi ti aspetta solo ed unicamente salita.
Ma non salita normale, dolce, tranquilla e poco impegnativa.
Ti aspetta una salita da massacro.
Tornanti dove le macchine devono mettere la prima per continuare.
Ti aspetti un calo della temperatura perché stai andando a toccare il cielo.
In quel momento ne vedi di tutti i colori.
Chi si ferma con i crampi piangendo e imprecando.
Chi si sente male e stramazza al suolo esausto.
Chi vomita l’anima dallo sforzo.
E a bordo strada o sulle auto la gente che incita:
“Vai! Vai!”
Ma dove devo andare?
Solo in prossimità del sospirato arrivo, dai risorse alle tue ultime energie o, più che altro, ti affidi nuovamente al tuo orgoglio.
Arrivi al traguardo con un sorriso di reale felicità e con un pianto liberatorio che fa dimenticare, per un attimo, tutta la fatica.
Se ti va bene trovi i tuoi familiari e gli amici ad incitarti e complimentarsi.
Ti mettono la medaglia al collo.
Ti guardi intorno e ti dicono di andare al ristoro.
Il problema è che non hai fame, mangiare è l’ultimo dei pensieri.
Perché superato il traguardo e la felicità di quel pezzo di metallo legato da un nastro che penzola dal collo ritorna, senza avviso e a tradimento, la fatica.
Tutta la fatica.
Insieme e senza sconti.
Senti i muscoli indolenziti e affaticati ma se ti va male arrivano crampi e dolori che ti ricordano di avere delle gambe che, durante la gara, avevi dimenticato di avere.
Il tuo cervello ti segnala il problema con un ghigno ironico dicendo “Te lo avevo detto di non fare sta’ pazzia”.
Poi, arrivati dopo ore ed ore all’Abetone, se nessuna anima buona è venuto su a prenderti, puoi prendere il pullman che ti riporta giù, dove trovi la tua auto.
Con la multa.
Una domenica stressante e molto faticosa.
Magari arrivi a casa, con la medaglia al collo e fiero per la prestazione, e tua moglie e figli, seccati e neri dalla rabbia, ti obbligano a uscire per passeggiare in centro.
La dolce metà ti rinfaccia:
“Hai fatto la corsa e non riesci a camminare?”
Una domenica stressante e molto faticante che finisci facendo una seconda maratona con la tua famiglia.
E il giorno dopo arriveranno i dolori più o meno forti.
Ma chi te lo ha fatto fare?
Invece di riposare.
Invece di godere la compagnia di amici a bere e mangiare.
Invece di farsi una gita da qualche parte.
In auto senza fatica.
Perché lo fai? Me lo sono chiesto sempre….
…e oggi faccio parte di questi pazzi….….un esaurito che ha sacrificato un giorno di riposo per stressarsi….
….mi son svegliato alle 05.00….
…ho mangiato riso in bianco con olio e formaggio….
…mi son fatto accompagnare in piazza del Duomo dal mio amico, e compagno di squadra, Gianni…. Almeno niente multa per oggi….
Sono entrato in piazza del Duomo e mi sono accorto di aver anticipato troppo i tempi: c’era lo speaker della gara che stava cominciando a parlare, qualche atleta e molti dello staff dell’organizzazione.
 
In gara ho maledetto ogni metro anzi, ogni centimetro.
Appena ho visto il traguardo, quello di San Marcello perché non avevo il coraggio di arrivare all’Abetone, sono stato accecato dalle lacrime che uscivano copiose dagli occhi.
Arrivarono attacchi di pianto a dirotto nel sentire gli applausi, nel vedere mia figlia e mia moglie incitarmi, mia sorella e suo marito urlare il mio nome e il mio grande amico Gianni inseguirmi per la foto.
Pochi metri prima avevo pensato:
“Ma chi me lo ha fatto fare? Luca è la prima e l’ultima volta che fai questa cavolo di gara…”
Appena superato il traguardo guardai, con ammirazione, quelli che continuavano fino all’Abetone e mi riproposi di farla.
Nessuno può capire cosa si prova finché non lo fa.
Stare nel pubblico, nella critica, nel gruppo degli atleti della poltrona, non può certo avvicinare a questo pensiero.
Solo chi corre capisce la voglia di tutta quella fatica.
Perché corri contro te stesso, ed è vero.
Puoi arrivare ultimo ma per il solo fatto che sei arrivato hai vinto.
Il popolo dei podismo è allegro, festante e molto unito.
Nelle retrovie non c’è gelosia e tutti si aiutano.
Sono arrivato e l’emozione prende il sopravvento mischiando lacrime di gioia all’abbondante sudore della fatica. Posso dire di avercela fatta, vedo il traguardo, e in quei pochi metri che mancano penso a quelli che si alzano alle sei del mattino per fare un allenamento e andare a lavoro alle 08.30; quelli che sacrificano la loro vita per questa passione; che piangono quando tagliano il traguardo fregandosene della posizione in classifica. Rivivo i momenti con i miei compagni di squadra, i miei amici, con i quali ho fatto allenamenti così divertenti che  avrei potuto correre per ore e ore senza stancarmi.
Penso a chi corre forte ma non se la tira quando si allena con me, a quelle persone che si mettono sul percorso a distribuire acqua e pacche amichevoli a tutti o quelli che hanno sempre una parola di conforto e incoraggiamento. Sorrido ai bambini che ti chiedono il cinque, emozionati, e ti ammirano per il semplice fatto che sei lì. Penso alle mogli e mariti che sopportano la passione del loro compagno senza lamentarsi e presenziando ad ogni gara diventando dei tifosi personali.
Ho sfidato il mio limite fisico ma, come dicono molti runner, mi ha aiutato la mia mente, la volontà, le mille emozioni.
L’ultimo pensiero, quello più polemico, prima di abbandonarmi alla gioia incontenibile, va agli ignoranti della corsa, quelli che, domani, mi chiederanno come è andata.
Lo so, contesterete il mio tempo e direte che voi avreste fatto meglio. Direte che mi dovrei vergognare e che non ha senso fare queste gare per uno come me, che non vincerà mai una corsa…
Non capite proprio nulla.
Voi che vivete nel vostro immobilismo davanti alla tv giudicando ogni azione sportiva come foste critici rinomati o ex campioni.
Non avete capito nulla.
Partecipare, correre, affaticarsi, soffrire, sentire dolore, piangere e ridere o, per riassumerla in un’unica parola, emozionarsi.
Questo è la corsa.
Questo è lo spirito del runner amatoriale.
Nessuna competizione con altri.
Solo con sé stessi.
Quando lo capirete e avrete il coraggio di farlo anche voi, apprezzerete il vostro cammino da Pistoia all’Abetone.
Anche se ci metterete dieci ore.
  
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